I Digital Innovation Days 2021 torneranno dal 10 al 13 novembre con la quarta edizione di cui Guanxi sarà partner. Quest’anno l’evento più atteso nel panorama digital italiano si presenta con una nuova veste in formato phygital, con momenti dal vivo e online. Il 10 e 11 novembre interventi e talk on stage e in streaming da Milano, mentre il 12 e 13 novembre appuntamenti online nelle Sale Tematiche. Un’edizione ricca di incontri, workshop e speech incentrati sui temi dei quattro pilastri che fondano il brand: Digitale, Innovazione, Sostenibilità e In-Formazione. Per l’occasione, il CEO Guanxi Alberto Giusti sarà coinvolto come relatore alla roundtable che esplorerà il ruolo delle varie tipologie di investitori, intesi come motore dell'innovazione tecnologica e di un ecosistema startup. Parteciperanno: EARLY STAGE: Carolina Montagna (Investment Director @ B-Heroes) Forbes u30; GROWTH PHASE: Lorenzo Castelli (Co-Founder & Portfolio Manager @Alchimia Investments) Forbes u30 Si analizzeranno le fasi di vita di una tech-company attraverso il ruolo degli investitori. Edizione 2021 “Human Capital: Driver for Innovation” Il tema dell’edizione 2021 è “Human Capital: Driver for Innovation”: al centro della ripresa post pandemia Covid 19 c'è il capitale umano, vera e propria leva di riattivazione. Proprio durante la crisi pandemica il digitale e le nuove tecnologie si sono elevati a strumenti imprescindibili per garantire il superamento dei limiti legati alla distanza e preservare le relazioni umane e professionali. Un ruolo straordinario e fondamentale per affrontare l’emergenza: la dimensione digitale si è inserita sempre di più nelle nostre vite, dando luogo ad una vera a propria commistione tra vita off line e on line, la cosiddetta “vita Onlife”. Oltre 200 speaker selezionati tra i professionisti più influenti Anche in questa edizione ogni intervento vedrà la presenza di moderatori scelti tra i professionisti italiani più influenti del settore: Social Media, Influencer Marketing, Branding & Content, Web Marketing, E-commerce, Sostenibilità, Innovation & Emerging Tech, Food Tech, Health Tech, Fintech, Startup e In-Formazione. Tra gli ospiti internazionali che saliranno sul palco, anche Martin Lindstrom, guru del Neuromarketing ed autore di best seller. La vision dei Digital Innovation Days 2021 «Non esistono macchine intelligenti senza uomini intelligenti. È a partire da questa convinzione che è nata l’idea di questa nuova edizione del Digital Innovation Days. Dietro ogni grande innovazione c’è sempre un uomo che l’ha ideata, progettata e realizzata. Ri-partiamo dunque dal ‘capitale umano’, inteso nella sua accezione più ampia e dunque comprensiva degli aspetti valoriali e identitari delle persone, per ri-costruire, con il supporto del digitale e delle tecnologie, il nostro futuro. Pensiamo ad una piena integrazione fra mondo reale e digitale per il rilancio economico e sociale delle nostre comunità». Queste le parole di Giulio Nicoletti, CEO di Digital Innovation Days, che racchiudono la vision dell’edizione 2021. A chi si rivolge e come partecipare? I Digital Innovation Days si rivolgono a: Aziende: un’occasione per interagire con i relatori e raccogliere input ed idee, facendosi conoscere; Professionisti: per rimanere aggiornati in ambito digitale, avendo la possibilità di presentare la propria attività; Appassionati: per scoprire le novità del settore e allargare le proprie conoscenze rimanendo aggiornati; Studenti: per venire a contatto con esperienze professionali e partecipare ai workshops in ambito digital. Per iscriversi avere maggiori informazioni visita digitalinnovationdays.com
Quando le aziende si approcciano al digitale vogliono innovare i propri processi, avviare operazioni di digital marketing e CRM, avviare o migliorare il proprio e-commerce. In alcuni casi, questo grande cambiamento, la digital transformation, va a buon fine, in altri casi i progetti si arenano, si riducono, si scontrano con carenze interne organizzative e di budget. Ci sono delle condizioni che offrono maggiori garanzie di successo per chi desidera vendere online? La digitalizzazione in azienda, lo stato dell’arte L’obiettivo della ricerca avviata da Digital Building Blocks in collaborazione con alcune aziende del territorio è proprio valutare le possibilità di digitalizzazione nelle PMI e nelle grandi imprese attraverso questionari e interviste ai professionisti, che possono effettivamente guidare questo processo nella propria azienda. Un’analisi per comprendere quali sono le ragioni di acquisto di soluzioni digitali per la vendita online, a che bisogno specifico rispondono per l’impresa in quel momento e quali ostacoli si frappongono tra la fase di ricerca e l’avvio dell’attività digitale. I ruoli intervistati fanno capo ad aziende in espansione, che cercano opportunità per aprirsi a nuovi mercati, conquistare nuovi canali di vendita: General manager, CEO, Marketing manager, Digital manager, IT, Titolari sono spesso le persone chiave nella digitalizzazione. Ma qual è la leva che li porta a cercare un partner esterno per inserire il digitale nel proprio contesto aziendale? Quali sono i fattori determinanti che incidono sulla scelta di un partner piuttosto che un altro? E-commerce e inbound: due modi per vendere di più Vendere di più a più persone è uno degli obiettivi che spinge le imprese a esplorare il digitale. Le soluzioni per vendere online fanno capo a due modalità, diretta e indiretta, a cui corrispondono due servizi specifici: inbound ed e-commerce. L’inbound marketing attrae visitatori suo sito internet aziendale, li converte in lead, li segmenta in base a categorie rilevanti, li qualifica e li ‘intrattiene’ fino a farli diventare clienti effettivi. Si tratta di un metodo per aiutare le imprese nel creare relazioni 1:1, che abbiano un impatto duraturo. L’e-commerce, invece, rappresenta una opportunità diretta per vendere i propri prodotti a nuovi clienti. Ma non basta un sito web tipo e-commerce per ottenere dei risultati! Per vendere online servono know how tecnico, ma anche un’attitudine e processi consolidati, basati su dati. La transizione alla vendita digitale deve quindi essere strutturata in: Analisi del contesto online e delle necessità di marketing; Studio del progetto inbound/e -commerce e delle infrastrutture più adatte; Definizione delle funzionalità e degli strumenti necessari (incluse eventuali competenze interne); Realizzazione di landing page/blog/sito/e-commerce...; Gestione delle attività di web marketing, social media marketing, SEO… di supporto alle vendite. Le performance di vendita sono qualcosa che arriva con il tempo e la costanza, nel bilanciamento tra il tipo di prodotto o servizio offerto, la sua appetibilità online, l’evoluzione continua e veloce del mondo digital, che richiede costanti aggiornamenti. Comprendere dunque quali prerequisiti facilitino alle imprese il passaggio alle tecniche di vendita digitali, quali professionalità siano coinvolte, quali siano gli elementi che influenzano il processo, può diventare uno strumento predittivo per valutare la propria preparazione alle soluzioni digitali e attrezzarsi per affrontarle. I dati, che emergeranno da questa ricognizione nelle imprese, saranno utili sia per chi acquista i servizi digitali, sia per chi questi servizi li vende, perché forniranno una possibile indicazione sulle condizioni migliori per integrare l'innovazione in azienda da una parte, e per strutturare un efficace percorso di vendita dall’altra. Tutte le informazioni raccolte durante questa ricerca sono utilizzati in forma anonima e aggregata per avere un quadro di come le aziende riescano a fare fronte al ritmo di sviluppo del mondo dell’e-commerce e saranno condivisi con la community di DBB.
Sei un nostalgico del Rinascimento e desideri tornare al modello delle gilde, o addirittura, stai pensando di dare vita ad una gilda tutta tua? Se sì, non sei affatto “rimasto indietro” con la storia ma oggi puoi farlo grazie ai contributi a fondo perduto messi a disposizione dalla regione Lombardia. Ti dirò di più. Se hai seguito con interesse il nostro progetto rivoluzionario Guilds42, e ti sei appassionato all’Academy gratuita per la certificazione dei giovani (e meno giovani) alle arti digitali, potresti addirittura prendere in considerazione l’idea di creare la tua gilda insieme a Guilds42 ed entrare a far parte di un vivacissimo e stimolante ecosistema di giovani talenti già alla guida della trasformazione digitale in Italia. Questa è l'occasione che stavi aspettando per diventare Patron Ti spiego meglio di cosa si tratta La regione Lombardia mette a disposizione delle Micro, Piccole e Medie imprese e dei Liberi Professionisti che possiedono determinati requisiti al momento della presentazione della domanda, un contributo a fondo perduto fino al 50% delle spese considerate ammissibili e nel limite massimo di € 75.000 per un investimento minimo di € 30.000. Ma vediamo nel dettaglio quali sono i requisiti richiesti per presentare la domanda Sono ammessi a partecipare: Micro, piccole e medie imprese regolarmente costituite, iscritte nel Registro delle Imprese delle Camere di Commercio e attive da un minimo di 12 mesi e fino ad un massimo di 48 mesi con almeno una sede operativa attiva in Lombardia come risultante da visura camerale ed oggetto dell’intervento; Professionisti, che appartengano ad uno dei settori di cui alla lettera M del codice prevalente ATECO 2007, che abbiano eletto a luogo di esercizio prevalente dell’attività professionale uno dei Comuni di regione Lombardia. I professionisti singoli devono essere in possesso di partita IVA o aver avviato l’attività professionale da più di 12 mesi fino a un massimo di 48 mesi; gli studi associati (non iscritti al Registro delle Imprese) devono essere in possesso del contratto associativo tra professionisti o documentazione equivalente e aver avviato l’attività professionale da 12 mesi fino ad un massimo di 48 mesi. I Professionisti (studi associati) iscritti al Registro delle Imprese dovranno partecipare in qualità di MPMI. Se rientri in almeno una di queste categorie puoi già presentare la tua domanda a partire da domani venerdì 11 settembre alle 12:00 fino al prossimo venerdì 18 settembre alle 18:00. Per saperne di più, consulta il bando della Misura per le Micro, Piccole e Medie imprese e i Liberi Professionisti.
L’iniziativa #ripartitrentino #ripartitrentino è l’iniziativa promossa dalla Provincia autonoma di Trento a sostegno delle attività economiche a fronte della crisi da Coronavirus. Il bando in questione ha l’obiettivo di selezionare un progetto presentato da un gruppo di imprese per la creazione e l’implementazione di una piattaforma per il commercio elettronico. La selezione del progetto La selezione del progetto avviene in 2 fasi: La Fase 1 riguarda la presentazione di un’idea progettuale. I progetti che avranno superato questa prima fase, sono ammessi a partecipare alla Fase 2, che attiene alla presentazione di un progetto di trasferimento tecnologico. Chi può presentare il progetto Per partecipare al bando, occorre presentare il progetto insieme ad una o più imprese, con il coinvolgimento aggiuntivo di un organismo di ricerca (almeno nella Fase 2). Requisiti delle imprese partecipanti al progetto Tutte le imprese del gruppo per poter presentare il progetto, devono possedere i seguenti requisiti: non avere in corso procedure concorsuali non essere in difficoltà secondo la normativa europea non essere destinatari di un ordine di recupero della Commissione europea per gli aiuti dichiarati illegali e incompatibili Ammontare del contributo ed erogazione Il progetto che verrà presentato dovrà prevedere una spesa superiore a € 1,5 milioni. Un’occasione per la Bottega E-commerce di Guilds42 Se desideri farti promotore del progetto Guilds42 e, nello specifico, della Bottega E-commerce, puoi presentare la domanda per accedere alla Fase 1 entro le ore 12:00 del 30 settembre al seguente indirizzo PEC: apiae.incentivi@pec.provincia.tn.it. Per maggiori informazioni sull’iniziativa e sui requisiti di partecipazione,consulta il bando
La Regione Lombardia e le Camere di Commercio lombarde, con il bando e-commerce 2020, sostengono le MPMI (microimprese, piccole e medie imprese) che intendono sviluppare e consolidare la propria posizione sui mercati tramite l’E-commerce, favorendo l’accesso a piattaforme cross border (sia B2B che B2C) insieme a sistemi e-commerce proprietari (siti web, mobile app). Guilds42: un'opportunità per i mecenati della bottega e-commerce Si tratta di un'occasione importante per finanziare il progetto e-commerce di Guilds42. Se vuoi unirti al movimento e diventare il prossimo Mecenate della Bottega E-commerce, ecco tutto quello che devi sapere per inoltrare la domanda. Chi può partecipare Tutte le micro, piccole e medie imprese lombarde. Il contributo è a fondo perduto, con un limite massimo di 10.000 euro, a copertura del 70% delle spese ammesse e sostenute. Ogni impresa può presentare una sola domanda con un investimento minimo di 4.000 euro. Termini e modalità di presentazione della domanda Le domande devono essere presentate esclusivamente in modalità telematica con firma digitale sul sito http://webtelemaco.infocamere.it dalle ore 10:00 del 25 giugno fino alle ore 12:00 dell'11 settembre 2020. Per l’invio telematico è necessario essere registrati ai servizi di consultazione e invio pratiche di Telemaco secondo le procedure disponibili all'indirizzo: www.registroimprese.it. La registrazione va richiesta almeno 48 ore prima della chiusura della domanda di contributo. Fai parte anche tu del movimento. Sostieni il progetto e-commerce di Guilds42 come Mecenate.
A partire dal 16 luglio la Camera di Commercio di Firenze, mette a disposizione dei Voucher 4.0. per le piccole e medie imprese del territorio in ambito di digitalizzazione e innovazione tecnologica. Si tratta di risorse destinate all’acquisizione di servizi di consulenza e formazione e all’acquisto di beni e servizi strumentali. Ciascuna impresa può presentare una sola richiesta. Se vuoi diventare il prossimo Mecenate e sostenere il nostro progetto Guilds42, la nuova Academy gratuita per la formazione e la certificazione alle arti del digitale, ecco ll bando in breve: Il progetto “RIPARTIAMO IN DIGITALE” prevede un plafond di: € 374.845,00 Percentuale del contributo: 70% delle spese ammissibili Minimo di spesa: € 3.000,00 Massimale contributo: € 7.000,00 + eventuale rating legalità (€ 250,00) In bottega a sporcarsi le mani: ecco i progetti di Guilds42 Oggi Guilds42 conta ben 6 progetti all'attivo: Lead Generation Assessment & Strategia E-commerce CRM & Sales Crowdfunding Talent & Governance E se come Mecenate non sai quale progetto scegliere, non è un problema. Sarà proprio lui a scegliere te grazie ad un Project Finder che con 15 domande ti aiuterà a scoprire il progetto più adatto alle tue esigenze. Chi può beneficiare di queste agevolazioni? Possono beneficiare delle agevolazioni le imprese singole ed anche i gruppi di imprese che partecipano ad un progetto aggregato finalizzato all’introduzione di tecnologie in ambito Impresa 4.0 come appunto Guilds42. Presentazione della domanda: dal 16/07/2020 al 31/07/2020. Modalità d'invio delle domande Le domande potranno essere inoltrate dal 16 luglio 2020 al 31 luglio 2020 (salvo eventuale chiusura per esaurimento delle risorse disponibili). Della eventuale chiusura anticipata del Disciplinare verrà data notizia direttamente sul sito della Camera di Commercio di Firenze. La trasmissione delle domande di contributo potrà essere effettuata esclusivamente con Posta Elettronica Certificata (PEC) al seguente indirizzo della Camera di Commercio: cciaa.firenze@fi.legalmail.camcom.it Fai parte anche tu del movimento. Sostieni Guilds42 come Mecenate.
Se sei una piccola o media impresa che risiede nella circoscrizione territoriale di competenza della Camera di Commercio di Sassari e desideri contribuire al finanziamento del nostro progetto Guilds42, puoi usufruire di un fondo straordinario di 5.5 milioni di Euro messo a disposizione dalla C.C.I.A.A. di Sassari per sostenere le micro, piccole e medie-imprese della propria circoscrizione territoriale nella fase della “ripartenza” successiva alla chiusura forzata o comunque al rallentamento delle attività imprenditoriali dovuti all’ epidemia da Covid-19. Le risorse stanziate saranno erogate sotto forma di voucher che consiste in un contributo a fondo perduto ed una tantum e potrà essere pari ad un massimo del 70% delle spese ammissibili. Il voucher ha un importo massimo di euro 3.000,00 nel caso la richiesta provenga da un’impresa individuale e di euro 6.000,00 nel caso la richiesta provenga da un’impresa costituita in forma di società. Chi può partecipare all'iniziativa? Sono ammesse a partecipare le imprese, escluse quelle a partecipazione pubblica, che hanno la sede legale e/o l’unità locale nella circoscrizione territoriale di competenza della C.C.I.A.A. di Sassari, e che hanno subito una riduzione dei ricavi di almeno il 50% nel secondo bimestre 2020 rispetto al medesimo periodo del 2019. La domanda di Voucher deve essere presentata esclusivamente con invio telematico accedendo al sito www.registroimprese.it e si ha tempo fino al 30 Giugno 2020. Per saperne di più, consulta il bando Il lancio della piattaforma MOOC di Guilds42 e il significato del Towel Day Il 25 Maggio sarà una data molto importante per noi perché vedrà l'inaugurazione della piattaforma MOOC dell'Academy di Guilds42. Gli appassionati dei libri di Douglas Adams conoscono benissimo questa ricorrenza, che ogni anno, il 25 Maggio, li vede portare con sé un asciugamano, da cui il nome Towel Day, data l'importanza che questo oggetto ricopre nella serie di libri dell'autore intitolata Guida galattica per gli autostoppisti. Oggi il Towel Day è considerato un giorno proprizio per il lancio in orbita di qualcosa: quale migliore occasione se non questa per aprire le porte al mondo Guilds42? Ora tocca a te, anche tu puoi fare la tua parte. Diventa il prossimo mecenate.
Il 25 maggio sarà una data importante per noi perché verrà ufficialmente inaugurata la piattaforma MOOC di Guilds42. Daremo così il via ad un percorso che diventerà sempre più ricco di contenuti e di sfide mirato a formare i “garzoni” alle arti del digitale e a renderli dei candidati appetibili per le aziende in cerca di nuovi disruptors digitali. Anche tu puoi prendere parte all’iniziativa e decidere di finanziare il progetto. Se risiedi nelle provincia di Torino, ecco tutto quello che devi sapere sul bando messo a disposizione dalla Camere di Commercio. Il bando S.P.R.I.N.T. (Sostegno Progetti Ripartenza Imprese & Nuove Tecnologie) 2020 emanato dalla Camera di Commercio di Torino, prevede l’erogazione di contributi a fondo perduto per sostenere investimenti e spese in tecnologie digitali, hardware, software, accessori, applicativi e servizi specialistici per garantire la continuità dell’attività aziendale attraverso lo smart working e favorire lo sviluppo di soluzioni di e-commerce a seguito della crisi causata dall’emergenza Coronavirus. Le risorse complessivamente stanziate a disposizione dei soggetti beneficiari ammontano a Euro 1.000.000. Sono ammesse a partecipare le microimprese e le piccole imprese con sede legale nella circoscrizione territoriale della Camera di commercio di Torino. Le agevolazioni sono accordate sotto forma di voucher, a copertura del 50% delle spese sostenute e ritenute ammissibili con un importo massimo del voucher pari a Euro 3.000,00. L’investimento minimo per partecipare al Bando è fissato nella misura di Euro 1.500,00 e non è previsto invece un tetto massimo dell’investimento, fermo restando che l’importo del voucher non potrà superare 3.000 Euro. Come fare per presentare la domanda? Le richieste di voucher devono essere trasmesse, a pena di esclusione, esclusivamente in modalità telematica, con firma digitale, attraverso lo sportello on line “Contributi alle imprese”, all’interno del sistema Webtelemaco di Infocamere - Servizi e-gov, presente sul sito http://webtelemaco.infocamere.it, dalle ore 12.00 del 20/05/2020 alle ore 17.00 del 22/06/2020. Per saperne di più sull’iniziativa, consulta il bando. Il significato del Towel Day: perché abbiamo scelto questa data per lanciare l'Academy di Guilds42 Gli appassionati dei libri dell'autore Douglas Adams conoscono bene questa ricorrenza che ogni anno, il 25 Maggio, li vede portare con sé per tutto il giorno un asciugamano; oggetto che ha la sua importanza nella famosa serie di libri Guida galattica per gli autostoppisti. Anche noi abbiamo deciso di unirci al movimento. CheTowel Day sarebbe senza avere qualcosa da lanciare in orbita? Per questo abbiamo scelto la data del 25 Maggio per inaugurare la piattaforma Academy MOOC di Guilds42, il vero trampolino di lancio per il futuro digitale. Perché tutti dovrebbero entrare nella nostra Academy: In Guilds42 si studia solo per prepararsi alla Bottega Accedere al digitale è un diritto, gratuito, stimolante e aperto Google, Hubspot, Shopify, Indeed solo certificazioni riconosciute sul mercato Solo quando hai ottenuto le certificazioni ti puoi candidare alla Bottega In Bottega Zero inizi a fare pratica, migliori, sbagli, impari, cresci Hai una Dashboard che misura e traccia i tuoi progressi Quando sei pronto entri su progetti di Mecenati paganti Sei sempre al fianco di professionisti veri, al lavoro, insieme ad altri come te Le opportunità ci sono ma devi guadagnartele
Le persone sono cambiate, anche le più reticenti sono scese a compromessi con il digitale per dare spazio a un’esperienza migliorativa della loro vita. Gli eremiti digitali sono una rarità mentre le persone che si impongono un giorno di digital detox aumentano sempre di più. Le persone vivono allineate con il nuovo Rinascimento Esponenziale, molte Aziende invece continuano a resistere al cambiamento. Nonostante siano sempre più evidenti i miglioramenti che la Digital Transformation (se desideri maggiori informazioni leggi il nostro approfondimento - Introduzione alla Trasformazione Digitale) può portare in qualsiasi realtà quando introdotta in modo strategico, sostenibile e coinvolgendo la propria organizzazione, molte aziende non stanno nemmeno facendo un passo per colmare il divario tra la loro realtà e la crescita del cambiamento, tra i loro ritmi lineari e la velocità esponenziale a cui dovrebbero adeguarsi per rimanere competitivi e non correre il rischio di scomparire. Ogni giorno numerose realtà scompaiono perché non sono state in grado di adattarsi trovando soluzioni per allineare strategie e processi sia alla velocità del cambiamento che alle esigenze del cliente tipo di oggi, sempre più connesso e digitalizzato. Il ciclo di vita delle aziende moderne è sempre più breve: meno del 15% sono sul mercato da più di cinquant’anni e la permanenza media nella lista Fortune 500 è passata da oltre sessant’anni nel 1960 a meno di quindici anni oggi. Mentre il Giappone si sta muovendo verso la Società 5.0, molte Aziende in Italia stanno ancora valutando se entrare nel percorso Industria 4.0, un modello di trasformazione digitale che si concentra in particolare sulla produzione industriale. La sua idea fondante è lo scambio di informazioni delle macchine all'interno delle aziende per ricostruire, mappare e gestire i processi. Industria 4.0 nasce come parola e come concetto nella Strategia high-tech del governo tedesco che definisce sei campi prioritari: L'economia e la società digitale; L'economia e l'energia sostenibile; Il posto di lavoro innovativo; La vita sana; La mobilità intelligente; La sicurezza civile. Il primo campo, l'economia digitale e la società, ha reso la digitalizzazione dell'industria tedesca un tema molto importante e di primo piano, che, alla fine, ha portato proprio al termine Industria 4.0. In Italia Industria 4.0 coinvolge aziende manifatturiere e imprese puntando alla trasformazione digitale per creare fabbriche intelligenti. La gestione dei dati disponibili in abbondanza è al centro di Industria 4.0, come risulta evidente dalle quattro attività principali su cui si basa: Creare una Connected Enterprise - Raccogliere dati da varie cose fisiche (macchine, sensori, dispositivi); Accumulare dati da varie fonti (Big Data); Usare la potenza dell'Intelligenza Artificiale (AI) sui Big Data: l'AI viene utilizzata dalla progettazione per la raccolta dei dati fino all'analisi degli stessi per generare intuizioni reali e fruibili dai decisori. L'AI analizza i dati operativi / Big Data dai sistemi di produzione e attraverso modelli predittivi, consente ai produttori di prevedere la resa, la qualità del prodotti, il punto di rottura e i dettagli del consumo energetico delle macchine; Implementare. Industria 4.0 infatti agli occhi di chi ragiona con modelli di business vecchi sembrerebbe mirare solo ai dati per migliorare i processi ma in realtà come concetto non si limita solo alla produzione. Industria 4.0 viene chiamata anche Industrial Internet, l'Internet dell'industria, e non comprende solo la digitalizzazione delle catene del valore orizzontali e verticali, ma mira a ricalibrare anche il portafoglio di prodotti e servizi delle aziende, con l'obiettivo finale di soddisfare meglio le esigenze dei clienti. Nei prossimi anni Il settore industriale dovrà produrre quantità sempre maggiori utilizzando meno materie prime e meno energia e Industrial Internet è la chiave proprio per arrivare ad una maggiore produttività ed efficienza delle risorse, creando così le condizioni per una produzione sostenibile ed efficiente. In tal modo la trasformazione digitale permetterà di colmare il gap tra il classico andamento lineare della produttività e quello esponenziale introdotto dalle nuove tecnologie. È importante che le Aziende comprendano che sarà proprio con l’introduzione di tali tecnologie assieme allo sviluppo di nuovi modelli di business customer oriented nel proprio microsistema che si adatteranno al nuovo ecosistema industriale che cresce a sua volta a ritmi esplosivi grazie alla combinazione di vari strumenti digitali innovativi. Mancano esempi reali delle opportunità che il digitale rappresenta per le aziende? No, perché si chiamavano startup oggi sono Facebook, Alibaba, Google, Uber, Airbn e Netflix. Facebook, Alibaba, Google, Uber, Airbnb e Netflix sono aziende che devono il loro successo proprio alla capacità di utilizzare le tecnologie digitali esistenti prodotte da altri, per offrire esperienze nuove e uniche senza possedere materialmente il prodotto o servizio a cui devono il loro successo. Fonte: Capitalism switches from linear to exponential growth In particolare oggi l’abbondanza di dati e l’accesso all’informazione in modo così efficiente e tempestivo ha ridotto l’esigenza di possesso delle risorse (in modo fondamentale in condizioni di scarsità) a beneficio dell’accesso alle stesse (strategico in tempi di abbondanza). Mutuando da “L’era dell’accesso” di Jeremy Rifkin si può affermare che Airbnb è il più grande albergatore del mondo e non possiede nemmeno una camera (ma capitalizza più della catena Marriott), Uber è il più grande servizio di taxi al mondo e non possiede nemmeno un’auto, Alibaba è il più grande negozio al mondo e non possiede neanche un metro quadro di magazzino. Però questi soggetti hanno accesso all’informazione. O meglio hanno accesso ad informazioni in modo più efficiente e veloce rispetto ai loro diretti competitor. Pensiamo a Uber e Airbnb: entrambe devono il loro successo a modelli di business nati implementando al meglio una delle tecnologie più vecchie e popolari, il GPS integrato nelle mappe di Google. Queste Aziende sono i Big e rimangono leader del mercato perché fanno convergere grandi investimenti su nuove tecnologie emergenti o sperimentali e nel frattempo utilizzano al meglio quelle esistenti, mantenendo così il ritmo della crescita esponenziale. Hanno il budget per farlo è vero, ma hanno anche una visione innovativa nel definire i propri investimenti. GAFA poi emerge tra tutti, sono Google, Apple, Facebook e Amazon ovvero le 4 aziende che da sole beneficiano economicamente di circa 3360 bilioni di dollari. La chiave del loro successo è aver sviluppato nuovi modelli di business basati sulla condivisione aperta a tutti dei loro prodotti e strumenti, abilitando così un ecosistema economico esponenziale che si popola esponenzialmente. Fantastico! Il vantaggio che accomuna tutti i Big però non è essere esponenziali ma trovarsi di fronte a una marea di aziende competitor che rimangono lineari perché inconsapevoli e disinformate. Aziende che se non si adattano, se non abilitano la propria disruption attraverso la Digital Transformation rischiano di scomparire. È essenziale però capire un aspetto fondamentale del cambiamento in corso. Lo spiega Gideon Kay, CIO europeo dell'agenzia pubblicitaria Dentsu Aegisì: “Non penso che esista una trasformazione digitale. Penso che siano due parole che le persone mettono insieme: c'è una rapida trasformazione guidata dalla tecnologia, e tutti i cambiamenti nella società e negli affari sono oggi influenzati da un certo grado di tecnologia.” Per abilitarsi al cambiamento non basta digitalizzare i processi o la produzione, ma bisogna allineare l’azienda ripensando i suoi modelli di business e soprattutto portando la cultura digitale all’interno della propria organizzazione. Questa è la vera Digital Transformation, solo la riorganizzazione e l’allineamento di tutta l’Azienda al cambiamento abilita il salto disruptive dal vecchio modello lineare al nuovo ecosistema esponenziale. È necessario portare il Rinascimento Esponenziale (se desideri maggiori informazioni leggi il nostro approfondimento - Rinascimento Esponenziale) nella propria Azienda vincendo ogni resistenza al cambiamento coinvolgendo in primis le persone.
Il momento storico che stiamo vivendo rappresenta l’era di un cambiamento sociale, culturale ed economico che scorre a ritmo incessante con un andamento esponenziale. Stiamo vivendo quella che per alcuni è l’Era dell’Evoluzione Digitale, per altri la Rivoluzione Digitale o la Quarta Rivoluzione Industriale e così via. Tra le tante definizioni, Rinascimento Esponenziale è l’espressione che meglio rispecchia l’andamento della velocità e della portata della crescita che caratterizza ogni ambito, dalla diffusione delle informazioni all’innovazione portata dalle nuove tecnologie (se sei interessato ad avere maggiori informazioni consulta il nostro articolo - Introduzione alla Trasformazione Digitale. Come si osserva nel seguente grafico la crescita infatti ormai da esponenziale sta addirittura diventando un’esplosione combinatoria che investe tutto e tutti. La Digital Transformation (se sei interessato ad avere maggiori informazioni consulta il nostro articolo - Cos'è la Digital Transformation) è solo uno dei mezzi che permetteranno alle Aziende di rimanere al passo con i tempi, ma non è l’unico. Dalla comprensione del momento storico che stiamo vivendo a quella del significato di Digital Transformation, capiremo in questo primo capitolo perché è necessario evolversi per non sparire. Il mondo è cambiato e sta continuando a cambiare. Ma fin qui, niente di nuovo. È sempre successo. La caratteristica che sorprende oggi è l’accelerazione del cambiamento che, da una crescita ad andamento lineare, è letteralmente saltata negli ultimi trent’anni a una scala esponenziale. Negli anni ’90 l’arrivo di Internet abilitò il passaggio dal vecchio mondo analogico a quello digitale. Iniziò così la Digital Transformation che ancora oggi governa il mondo coinvolgendo tutti gli aspetti della nostra vita, dal benessere individuale e sociale all’economia, all’istruzione e alla politica. La prima Digital Transformation infatti ha non solo dato il via a quella che viene definita in ambito economico la Quarta Rivoluzione Industriale ma ha favorito anche l’acquisizione di nuove abitudini da parte dell’uomo che a sua volta ha abilitato la Rivoluzione dell’intero ecosistema, sociale, politico, culturale e lavorativo in cui viviamo. Stiamo vivendo il Rinascimento Esponenziale, una fase di crescita che abbraccia molteplici aspetti della nostra vita personale e lavorativa. Luke Muehlhauser in “How big a deal was the Industrial Revolution?” ha analizzato proprio tale fenomeno in rapporto al benessere che avrebbe portato all’uomo, valutando l’andamento di alcuni parametri: Salute fisica: aspettativa di vita alla nascita; Benessere economico: PIL pro capite (GDP/cap) + percentuale di persone che non vivono in condizioni di estrema povertà; Disponibilità di cibo: misurata in termini di energia acquisita in chilocalorie per persona al giorno; Potenziamento tecnologico: valutato come “Warmaking capacity”, il punteggio di Ian Morris; Libertà politica: percentuale di persone che vivono in una democrazia. Fonte http://lukemuehlhauser.com/industrial-revolution/ La Quarta Rivoluzione Industriale coincide con una crescita del benessere personale e sociale per l’uomo. È evidente un miglioramento esponenziale della salute, della disponibilità di cibo, della qualità di vita e del PIL che corre in linea con il potenziamento tecnologico. Questa è l’immagine del nuovo ecosistema in cui viviamo, un mondo che cresce ed evolve in modo continuo e inarrestabile. Siamo a tutti gli effetti entrati nel Rinascimento Esponenziale, una nuova Era della vita dell’uomo caratterizzata da una velocità di crescita mai evidenziata prima nel corso della storia. La velocità alla quale tutto ciò sta succedendo è la novità che meraviglia e allo stesso tempo disorienta. Il cambiamento è governato da un nuovo ritmo esponenziale il cui passo vertiginoso è guidato dalle tecnologie digitali con il loro continuo innovarsi e rinnovarsi. Ma non solo. Come evidenzia Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum di Davos: “ci si trova sulla soglia di un cambiamento profondo che cambierà il nostro modo di stare sul pianeta”. Oltre alla velocità, altri caratteri distintivi della Quarta Rivoluzione Industriale sono la portata e l’intensità insieme all’impatto sui sistemi. Le precedenti rivoluzioni infatti furono la conseguenza di una singola e dirompente invenzione, ovvero la macchina a vapore, l’energia elettrica, il motore a scoppio e i personal computer, mentre questa Quarta Rivoluzione nasce dalla convergenza di diverse tecnologie come le applicazioni digitali, l’intelligenza artificiale, l’automazione collaborativa, l’ingegneria genetica, le nuove reti di comunicazione e la banda larga, i nuovi materiali e così via. La combinazione di queste nuove tecnologie a loro volta potrà generare nuove soluzioni ad oggi non ancora emerse. Abbiamo avuto già un assaggio della portata e dell’intensità esponenziali delle nuove tecnologie, basti pensare che i robot collaborativi, la banda larga, l’Internet delle cose, i Big data e l’intelligenza artificiale sono diventati realtà nel giro di pochi anni. L’impatto sui sistemi è già evidente perché, anche se a ritmi diversi, sta già sconvolgendo e trasformando Paesi, Regioni, Istituzioni, Settori, Mercati, Aziende e anche la Società. La Digital Transformation iniziata 30 anni fa ormai coinvolge l’intera globalità di processi, prodotti, servizi e in particolare le persone, facendo convergere tutto in un nuovo ecosistema esponenziale.
Nuove professioni digitali: il Chief Digital Officer La Digital Transformation rappresenta il percorso necessario per adeguarsi alle dinamiche esponenziali attivate dalle tecnologie digitali. Nonostante ciò, troppe aziende devono ancora iniziare il loro percorso di adattamento, disruption e trasformazione.Si tratta di un cambio di mindset. La tecnologia, agricola, industriale, digitale, è sempre stata in evoluzione. Ma l'uomo, la società, le organizzazioni, avevano più tempo per adattarsi. Dall’altra parte, delle poche aziende che hanno abilitato il cambiamento molte lamentano di non aver ancora raggiunto i risultati desiderati. La Digital Transformation infatti si è rilevata molto più complessa di quello che poteva sembrare agli inizi perché non si limita all’introduzione delle nuove tecnologie, ma rappresenta un percorso che ridisegna strategia, processi, modelli, gestione dati e IT, produzione e persone all’interno dell’azienda per abilitarla al cambiamento globale in atto. Non è sufficiente digitalizzare l’azienda trasformando in digitale ciò che è analogico ma bisogna abilitare al nuovo le modalità di lavoro e la cultura di tutte le persone all’interno dell’azienda e nelle varie posizioni della scala gerarchica al fine di abilitare un nuovo mindset aziendale. Diciamo che dovrebbe essere un cambiamento voluto dall'imprenditore o Chief level, top down, ma guidato dalle persone che fanno l'organizzazione, bottom up. La maggior parte delle aziende che sta evolvendo con successo ha assunto un CDO, il Chief Digital Officer (se desideri maggiori informazioni leggi il nostro approfondimento Il Chief Digital Officer è l'artigiano della Digital Transformation) il professionista nato proprio per aiutare le aziende a “passare al digitale”. Professioni digitali: chi è il Chief Digital Officer? Nel 2012, David Willis, vicepresidente di Gartner, dichiarò: “Il Chief Digital Officer si dimostrerà il ruolo strategico più eccitante nel decennio a venire”, introducendo questa nuova figura nella C-suite che negli anni ha acquisito varie sfumature di ruoli, responsabilità e appellativi. I CDO sono stati definiti evangelisti, equalizzatori, armonizzatori, creativi, strateghi, digital trasformer e molto di più. In generale sono professionisti in cui convergono un DNA digitale avanzato e una profonda conoscenza delle dinamiche aziendali tradizionali nell’ambito del proprio business di pertinenza. Caratteristiche che gli consentono di intercettare il percorso di adattamento, disruption e trasformazione in Azienda e colmare il divario tra “analogico e digitale” a livello di processi, modelli, prodotti, marketing e persone colmando la distanza tra vecchio e nuovo (tra analogico e digitale). Un ruolo manageriale che ancora oggi, come aveva anticipato Willis, può essere considerato eccitante quanto però sfidante perché deve rispondere all’ormai impellente bisogno delle aziende di abilitare la propria Digital Transformation. Pensando alla maggior parte delle aziende tradizionali, il CDO è un ruolo: “Di grandi responsabilità che però ha bisogno di grandi poteri decisionali”, in particolare l’autorità, l’autorevolezza e l’empatia per potersi muovere non solo tra strategie e modelli ma anche tra le persone in Azienda e riuscire a testare il miglior percorso verso il cambiamento e l’inclusione dell’azienda nel nuovo ecosistema esponenziale. Il Chief Digital Ofiicer è un ruolo manageriale emergente che negli ultimi anni ha arricchito la C-suite in qualità di abilitatore, attivatore ed evangelizzatore della Digital Transformation. Il CDO è una figura nata da pochi anni e che, fin dagli inizi, si è distinta per una grande responsabilità, ovvero abilitare il passaggio dell’azienda al digitale, non accompagnata però da competenze ben definite. Alcuni opinionisti affermano che il ruolo è di transizione e che potrebbe svanire dal momento in cui le organizzazioni completano la trasformazione digitale. Altri, tuttavia, sottolineano che la trasformazione digitale di un'azienda è un processo in divenire e continuo poiché nuove tecnologie sono sempre all'orizzonte con la promessa di mettere in discussione (ancora una volta) il modo in cui i Brand interagiscono con il loro target attraverso diversi canali. La verità forse sta nel mezzo e si può supporre che nel tempo anche il ruolo del CDO evolverà in nuove competenze adatte alle esigenze digitali del futuro. La mission 4.0 di un Chief Digital Officer L’aggiornamento per il CDO è un’esigenza che dovrebbe andare ai ritmi esponenziali del Rinascimento Esponenziale. Il CDO è infatti un leader che si sente a proprio agio con il cambiamento oltre ad essere un innovatore con la capacità di abilitarlo e facilitarlo, ispirando i team ad abbracciarlo con entusiasmo. Il CDO non deve solo attivare la digitalizzazione ma far evolvere tutto l’ecosistema aziendale. Entrando nel dettaglio, la digitalizzazione si riferisce a due mansioni ben distinte: digitization, ovvero abilitare il passaggio dall’analogico al digitale di oggetti fisici, ad esempio passare da un documento cartaceo a un PDF; digitalizzation, ovvero l’abilitazione, il miglioramento o la trasformazione dei processi aziendali sfruttando le tecnologie digitali e i dati digitalizzati. In tale ambito rientrano sia i processi produttivi che quelli commerciali e del marketing. In particolare l’abilitazione di un team dedicato al Digital Marketing da affiancare a quello tradizionale è una delle responsabilità tipiche del CDO. Altro esempio tipico potrebbe essere la creazione di sistemi digitali che connettano marketing e sales permettendo di facilitare il passaggio di un lead generato da una landing page da potenziale contatto a nuovo cliente. Uno dei processi di digitalizzazion più diffusi da anni è l’utilizzo di iPad con giacenze di prodotto aggiornate real time da parte del commerciale, al fine di poter condividere con i propri clienti tempistiche reali di consegna. L'importanza del CDO: il caso IBM IBM era proprio focalizzata sulla digitalizzazione quando nominò il suo primo CDO, Bob Lord, ex presidente di AOL ed ex CEO della società di pubblicità web Razorfish, per gestire le sue vendite e il Digital marketing, il suo ecosistema di sviluppatori e la sua piattaforma digitale. In una dichiarazione diffusa ai suoi dipendenti della sede di New York, la società dichiarò che l’introduzione del CDO avrebbe accelerato e ridimensionato tutti gli aspetti della presenza digitale, delle operazioni e dell'ecosistema di IBM, perseguendo quindi una strategia aziendale ben precisa. La figura del CDO però “abilitando sul campo” ha assunto sfumature di competenze molto più ampie e inclusive. Soft e hard skill che un CDO deve possedere Il CDO infatti non deve essere solo un manager con una buona conoscenza dei processi aziendali ma è anche un professionista con un’ampia esperienza delle dinamiche interne ed esterne del settore a cui appartiene l’azienda, fattori che gli consentono di governare tutto il processo della Digital Transformation. L’esperienza nel tempo ha infatti evidenziato che il ruolo di CDO vuole un professionista con un vero e proprio DNA digitale che gli permette di sostenere l’azienda nella definizione di nuovi modelli di business e ottimizzare le sue strategie, sempre attento alle nuove tendenze del digitale. Il CDO deve infine inoculare nell’ecosistema aziendale la cultura digitale. Il CDO è infatti anche un evangelizzatore che deve superare i muri o silos aziendali e guidare anche le persone in azienda nel loro percorso verso il cambiamento. “L'evangelizzazione è un passaggio fondamentale per la trasformazione digitale dell'azienda”, afferma Justin Cerilli, che guida l'innovazione tecnologica dei servizi finanziari e delle pratiche di dati e analisi presso la società di consulenza Russell Reynolds Associates. “Si tratta sempre di persone, processi e tecnologia e di come il digitale viene introdotto nell'azienda. Le persone in questi ruoli devono concentrarsi sul processo, sulla strategia aziendale e su come raccontare una storia per arrivarci.” Il CDO se riesce a operare su tutto l’ecosistema aziendale può abilitare una nuova mentalità o mindset digitale e favorire l’adattamento, la disruption e la trasformazione necessari per allineare l’azienda al cambiamento. Il lavoro del CDO non è insegnare a “fare il digitale” ma abilitare a “essere digitali” attraverso un nuovo modo di lavorare così come di vedere e di vivere la propria azienda. Le Aziende hanno bisogno di un CDO per “fare il salto disruptive”, iniziare ad allinearsi il più possibile e il prima possibile con la velocità esponenziale che caratterizza il nuovo ecosistema economico, rimanere competitivi e non scomparire. I migliori CDO sono in grado di immaginare il futuro digitale di un'azienda e sono in grado di coinvolgere altri manager ed impiegati che ne condividono la visione e si impegnano per raggiungere l'obiettivo. Ragu Gurumurthy, CDO e CIO (Chief Innovation Officer) di Deloitte, spiega cosa significhi diventare un'organizzazione digitale: Non possiamo dire 'Abbiamo trasferito tutte le applicazioni di Deloitte nel cloud, quindi Deloitte è digitale. Non possiamo dire, 'Abbiamo automatizzato dei processi di robotica nel settore finanziario, quindi Deloitte è digitale. Dobbiamo fare tutto questo e molto altro per essere un'impresa digitale. Diventare digitali,- dice – è una questione di mentalità: riqualificare le persone e riorganizzare i processi aziendali, nonché adottare nuove tecnologie.” 5 attività da CDO per la Digital Transformation Nella pratica tutto ciò si traduce in 5 attività abilitanti essenziali alla Digital Transformation (se desideri maggiori informazioni leggi il nostro approfondimento Cos'è la Digital Transformation) che il CDO deve perseguire. Costruire una visione chiara per sviluppare una strategia focalizzata sui reali obiettivi dell’azienda. Lo sviluppo di una strategia end-to-end con progettazione e implementazione della road-map digitale dell’azienda è fondamentale. Una strategia digitale è migliore quando l'azienda che la crea ha una visione chiara. L'idea di passare al digitale funziona solo quando esiste una chiara strategia in atto e il ruolo del CDO è quello di riunire tutti, utilizzare la loro esperienza multicanale e condurre l'azienda verso lo stesso obiettivo. Il CDO è ora il “trasformatore in capo” e può arrivare a gestire e coordinare le modifiche globali dei processi all’interno di un'azienda; Creare un ponte tra diversi team, coinvolgendo anche altri dirigenti come CIO e CMO, Chief Marketing Officer, al fine di poter stabilire le priorità e supportare ogni dipartimento aziendale con programmi di trasformazione; Intercettare la domanda del cliente. Ineguagliata da qualsiasi progresso negli ultimi decenni, la tecnologia mobile e la tecnologia online stanno modellando il comportamento dei consumatori e il settore si sta muovendo troppo rapidamente perché alcune aziende possano tenere il passo. I servizi che combinano sia i social media che le ricerche locali stanno diventando la norma e se la tua attività non reagisce in qualche modo al passaggio all'accesso a Internet mobile tramite desktop, rischi di perdere una grande porzione del mercato. I tuoi clienti e le loro abitudini stanno cambiando, e dovresti esserlo anche tu; Guidare le persone in azienda nel percorso di Digital Transformation, rispettando con empatia anche la profonda sensibilità al nuovo e la paura che può caratterizzare i nativi non digitali. “Spesso il CDO deve avere la capacità di influenzare gli altri, di motivarli e convincerli a lavorare per raggiungere gli obiettivi”, dice Mike Doonan, partner della società di ricerca esecutiva SPMB: “Di solito entra in aziende vecchio stampo dove tutti sono abituati a fare le cose sempre nello stesso modo - (e perché è sempre stato fatto così). Coinvolgere le persone e aiutarle ad abbracciare nuove modalità di lavoro sono competenze essenziali per un CDO, intangibili, ma necessarie per aiutare le persone a superare lo scetticismo, a lasciare il vecchio e ad abbracciare il cambiamento.” Se l’azienda ha bisogno di evolvere Doonan consiglia di cercare: “qualcuno che sia un visionario, ma anche qualcuno che capisca che le persone non possono fare propria quella visione tutto in una volta (hanno bisogno di motivazione per applicarsi). Se adesso siamo al punto A e abbiamo bisogno di arrivare a B, - il CDO – deve essere in grado di dipingere l'immagine di ciò che è B, poi scomporla in piccoli pezzi – in modo tale che l'azienda possa assorbirli - e infine implementarli poco alla volta per arrivare all'obiettivo senza saltare nessun passo lungo il cammino.”; Tracciare ogni dato per evidenziare miglioramenti e ROI così come potenziali criticità. Il CDO deve attivare, monitorare e testare in modo continuo per intercettare la via abilitante al cambiamento più adatta ad ogni realtà aziendale. La necessità di utilizzare dati e analisi nelle attività quotidiane non è una novità, ma un CDO qualificato disporrà degli strumenti e delle competenze per garantire che vengano utilizzati in modo corretto. Molte aziende si vantano del loro uso dei dati, ma senza un esperto rischiano di andare alla cieca. L'analisi dei dati può aiutarti a identificare il comportamento del cliente e come sfruttarlo al meglio, ma la maggior parte dell'utilizzo dei dati è “stupido”. Determinare il comportamento va benissimo, ma analizzare i motivi alla base di quel comportamento è dove sta il vero valore; un CDO dovrebbe avere gli strumenti per farlo. Accelerare la velocità di sviluppo di un'organizzazione statica è però difficile. Il digital è spesso visto come un'arte oscura che solo pochi esperti comprendono. In troppi casi, i leader aziendali colmano questa lacuna di conoscenze con consulenti molto ben pagati che forniscono l'hype della trasformazione digitale, anziché portare un valore misurabile del business. Case study di progetti che offrono una vera digitalizzazione poggiano su un terreno così sottile che quando si comincia a reclamare risultati: “perché abbiamo applicato la stessa strategia di implementazione degli altri” tutto crolla sotto i piedi. Il compito dei CDO non è semplicemente quello di adattarsi alle attuali tendenze digitali o di far accelerare un'azienda ma è riconoscere l'importanza ormai permanente del digitale e trovare nuovi modalità e modelli di business aziendali per mantenerla viva e competitiva in un mondo che cambia a velocità esponenziali.
Marco Mazzé è un giovane Direttore Marketing che ha saputo valorizzare un settore spesso sottovalutato. Ha saputo mettersi in gioco, comprendendo bene la necessità di continuare a sperimentare e apprendere ottenendo grandi risultati per l'azienda. Come Direttore Marketing, mi rendo conto che la competenza da sola non basta. È necessaria l’informazione. Bisogna essere affamati di conoscenza. In un mondo in cui i percorsi formativi sono tutti standardizzati (università, master, lavoro..), quello che fa davvero la differenza è la conoscenza e l’apprendimento individuale. SM: Iniziamo presentandoci al nostro pubblico. Un cappello su di lei e sul suo ruolo Siciliano d’origine, ho completato gli studi prima a Palermo, poi a Trento. Dopo 12 giorni dal conseguimento della laurea ho ottenuto il mio primo lavoro nel settore dell’edilizia. Ho avuto la fortuna di essere stato formato da un grande maestro, il mio Direttore Marketing, che mi ha sin da subito inserito come Trade Marketing Manager affidandomi la gestione degli account e dei punti vendita strategici.Da sempre sono stato interessato a vedere tutta la filiera, dal produttore fino al distributore finale. Per questo ho scelto di accettare la sfida in Braga srl. SM: Di cosa si occupa Braga srl? Quando parlo della Braga srl non mi piace dire che vendiamo pavimenti in legno, preferisco affermare che offriamo un servizio, che si concretizza in una bella esperienza. Nel corso della mia esperienza ho gestito 120 punti vendita e molte sono state le esperienze negative vissute dai clienti all’atto dell’acquisto del pavimento per le loro case (tempi cantiere, budget, etc..). Così ho deciso di mettere al loro servizio il mio bagaglio di conoscenza focalizzandomi principalmente sulla Customer Experience. In primo luogo ci siamo occupati della creazione di un brand dall’identità forte con oltre 50 anni di storia e crisi superate. Il percorso qui nel nostro showroom è basato sull’analisi dei bisogni dei nostri clienti, creiamo un progetto su misura che ci permette di aiutare il cliente a trovare la giusta soluzione, in termine di design, comfort e rispetto del budget. SM: Come si colloca la sua figura in azienda? Quali sfide deve affrontare e come le affronta? Quali sono gli obiettivi primari di questo ruolo? Come Direttore Marketing, mi rendo conto che la competenza da sola non basta. È necessaria l’informazione. Bisogna essere affamati di conoscenza. In un mondo in cui i percorsi formativi sono tutti standardizzati (università, master, lavoro..), quello che fa davvero la differenza è la conoscenza e l’apprendimento individuale. Prima di iniziare a lavorare, io stesso non sapevo neanche cosa fosse l’Inbound. Sono anche una persona molto curiosa, per me l’aggiornamento e lo studio costanti sono fondamentali. La sfida più grande oggi è la concorrenza sul prezzo. I competitor di questo settore applicano continui sconti. A mio avviso, penso che posizionarsi su una strategia di prezzo oggi non sia differenziante e difficilmente crea valore per un’azienda. La vera sfida è farsi riconoscere il valore e avere clienti che generano un buon passaparola positivo. SM: Tra il nostro pubblico abbiamo giovani Manager che vogliono iniziare ma anche Senior Manager. Quali consigli possiamo dare a questi Manager rispetto alla sua esperienza sul campo? Posso dire loro che l’età non conta, ma conta cosa fai. Sia ai giovani che ai senior manager, consiglio di non smettere di studiare e acquisire continuamente competenze. Tante volte mi sono sentito dire “a 30 anni nn puoi essere direttore”. Perchè? Dipende da come sei fatto e da quanto impegno ci metti a studiare una strategia che valorizza i punti di forza di un’azienda. SM: Noi in Digital Building Blocks siamo focalizzati sul digitale. Quanto è importante il digitale per la sua figura e per l’azienda? come il digitale vi sta aiutando a migliorare i processi e quali vantaggi competitivi vi ha portato? Quali strategie digitali state adottando per incrementare il settore? Per noi la Digital Transformation ricopre un ruolo centrale. All’inizio avevamo il problema del deposito di informazioni importanti (es. storico degli architetti). Per questo abbiamo deciso di utilizzare ASANA dove raccogliamo l’operatività di cantiere, la funzione marketing e le informazioni sugli stakeholders. Al tempo stesso credo molto nella combinazione dell’online con l’offline. Catturiamo il lead online ma è qui nel nostro show-room che lo conquistiamo. SM: Lato Analytics, Lead Generation, Inbound Marketing e Inbound Sales quali azioni state portando avanti? quali vantaggi hanno portato queste azioni? Il nostro sito e il nostro blog, il primo sul pavimento, sono entrambi realizzati in ottica SEO. Per quanto riguarda invece la strategia Inbound, creiamo molti contenuti in cui il focus è il donare cultura e informazione a chi ci segue. Stiamo lavorando molto per trasformare internet in una fonte, che ci permette di rintracciare il nostro target ideale. Nel nostro percorso curiamo molto la cura del rapporto con il cliente, infatti inviamo una mail a tutti i nostri clienti su come prendersi cura del pavimento chiedendo loro in cambio una recensione. Per documentare l’esperienza che vivono i nostri clienti, realizziamo molti video in cui il cliente ci racconta la sua esperienza, delineando il percorso dal giorno del preventivo fino al giorno di riconsegna delle sue chiavi di casa. SM: Quali metriche misura l’azienda per valutare il suo lavoro? Che cosa valuta per sapere se sta lavorando nel modo giusto o se sta portando valore all’azienda? Quali sono le KPI? Uno dei principali KPI è la chiusura delle vendite, quindi in buona sostanza, lo smaltimento di tutti i preventivi in attesa. Un’altra metrica che prendiamo in forte considerazione è il numero di nuovi architetti conosciuti al mese, così come i nuovi clienti e i potenziali clienti da fonti nuove. Al tempo stesso, cerchiamo di instaurare reti d’impresa per fare squadra con altre realtà in linea con i nostri valori aziendali.Ragioniamo non solo sul pavimento in legno, quindi, ma seguiamo tutto il progetto ed è così che impostiamo lo showroom, come una casa e non come un negozio perché credo che l’ambiente influenzi molto la scelta d’acquisto.
In questo articolo cercherò di raccontarvi come potete costruire le vostre attività da CDO partendo da: Ascolto dell’esigenza del cliente Traduzione di quella esigenza in un percorso Definizione del percorso Le aziende, soprattutto le PMI che sono il target principale dei CDO, sono spesso organizzate in modo da non riuscire a comunicare il proprio bisogno latente. Invece chi lavora al loro fianco per cambiare il mindset sul digitale (CDO in primis) ha il dovere di generare una fase di assessment nella quale far emergere La situazione AS IS: qual è il livello di cultura digitale (io ad esempio utilizzo il DIGITAL HEALT RATE) La suddivisione in aree di attività: per chi come noi modellizza processi, capire come siano cristallizzati i processi nella quotidianità di un’azienda è fondamentale Le persone: responsabili di area con abbastanza esperienza nell’azienda. Un CDO infatti deve diventare il timoniere che affianca il CEO nelle decisioni strategiche fondamentali per il successo. Ma il percorso è lungo e bisogna avere alleati intermedi. Persone che ci aiutino a capire dinamiche ed equilibri dentro l’azienda. Se abbiamo chiari questi elementi siamo pronti per ascoltare le esigenze del cliente. In questa fase si raccolgono tutte le informazioni preziose. Il CEO vi racconterà: Come si orienta nel prendere decisioni (e qui scopri che quasi mai le aziende sono guidate dai dati ma l’istinto la fa da padrone) Quali sono i problemi che affronta. E che vorrebbe risolvere con il digitale. Quasi sempre l’esigenza espressa tocca l’area commerciale. Sicuramente se siete lì un problema sulle vendite c’è e quella sarà l’urgenza espressa. Ma in fase di assessment è importante non fermarsi all’urgenza espressa. Altrimenti il nostro ruolo diventa quello di un Marketing Manager. Per questo è necessario imparare a tradurre l’urgenza e farne un percorso. Cosa vuol dire e come si fa? Con il progetto che ho chiamato SURF DIGITAL, ad esempio noi traduciamo le esigenze scomponendole in aree. Se il CEO esprime una necessità di vendere di più, sarete nella situazione di ottimizzare i suoi processi/flussi che si innestano con la rete vendita. Quindi avrete circa due mesi di strada davanti per capire in che modo acquisiscono ordini/lavorano ordini, producono o rivendono, da quali canali, come tracciano senza un CRM i flussi di contatti (che noi chiamiamo LEAD). Se dovete focalizzarvi sull’implementazione di un progetto di ottimizzazione della rete di vendita queste sono le domande alle quali dovrete trovare risposta: Com'è organizzata la tua area commerciale? Quali sono le figure che la compongono? (numero di persone, obiettivi ed attività) Come comunicano tra di loro? (strumenti, tools, procedure) Hai mai verificato se tutti gli attori di questo ecosistema nella tua azienda siano efficientemente allineati sui cambiamenti, sui nuovi clienti, sulla conclusione delle proprie attività? Hai una rete vendita organizzata? Se sì, come si interfaccia con gli altri attori della rete di vendita? Chi gestisce, se si gestisce, la comunicazione della tua rete vendita verso i clienti? Chi cura l’assistenza alla vendita e post vendita dei tuoi prodotti/servizi? Quindi con un po’ di frustrazione del cliente che avrebbe voluto immediatamente uno strumento digitale (talvolta anche un e-commerce proprietario immaginato erroneamente come la panacea di tutti i mali), avete almeno due mesi di lavoro davanti per portare l’azienda ad essere pronta ad un nuovo modello di vendita. Dovete quindi disegnare i workflow del lead management (immaginando tutte le fasi del processo di un contatto) e farlo ragionando su un business tradizionale. Per prepararlo all’impatto di un Progetto CRM // INBOUND. Dovrete fare dei test per capire se i flussi che state immaginando saranno scalabili. Questo è vero soprattutto per l’assistenza. Il customer caring è di solito una delle aree che gravano di più sui processi di vendita e che le aziende faticano ad automatizzare. Perché ovviamente nell’assistenza c’è il rapporto con i clienti che in una rete di vendita tradizionale è tutto giocato su relazione/conoscenza del cliente. Riassumendo ed utilizzando la metafora che mi piace usare (ed è anche la visione che proviamo a passare alle aziende): Per cavalcare l’onda del cambiamento bisogna imparare a Surfare. Sfruttare cioè il digitale per una crescita di qualità. Se non sei ancora un CDO ma vorresti diventarlo vieni a scoprire la nostra Community
“Innovare significa correre dei rischi, ma sono convinto che sia indispensabile per rispondere prontamente alle esigenze del mercato, per questo investiamo molto nello sviluppo e ci impegniamo per mantenere un clima proattivo” - sono le parole di Daniele Saibene, General Manager insulbar® di Ensinger Italia SrL. Durante l’intervista ha spiegato come l’azienda curi costantemente l’aspetto comunicativo per agevolare l’innovazione: “Ciò che contraddistingue Ensinger è la sua capacità di creare un clima collaborativo in azienda e una comunicazione particolarmente fluida e chiara tra i vari dipartimenti”. SM: Iniziamo presentandoci al nostro pubblico. Un cappello su di lei e sul suo ruolo Faccio parte di Ensinger Italia SrL dal 1999, quindi da più di 20 anni. Ho iniziato la mia carriera in azienda operando nell’ufficio commerciale, poi, in seguito, come controller amministrativo. Successivamente mi sono occupato di IT. Oggi dirigo l’azienda e sono in grado di monitorare tutti i processi. Ensinger mi ha dato la possibilità di mettere a disposizione le mie capacità e di esprimerle al meglio. Mi sono sempre impegnato con molta passione e dedizione al mio lavoro, mantenendo sempre un approccio umile, che mi ha permesso di implementare giorno per giorno le mie capacità. I risultati importanti si raggiungono con impegno e passione. È importante saper avere la pazienza di attendere il momento giusto per acquisire un ruolo importante. Avere la capacità di gestire le persone in modo equilibrato, richiede molta attenzione. Informarsi, frequentare incontri formativi, può davvero aiutare i manager a fare un salto di qualità. Bisogna rispettare però le proprie competenze e fare ciò che è nelle proprie corde, portandole all’eccellenza. In azienda curiamo molto la comunicazione interna e mi dedico a stimolare la collaborazione interna. Personalmente preferisco un organigramma flat, dove ognuno ha ben chiari quali sono gli obiettivi da raggiungere, per imparare a remare tutti dalla stessa parte e raggiungere gli obiettivi insieme. Il rispetto della gerarchia in azienda è sicuramente importante, però è anche vero che l’unico modo per crescere è anche sapersi relazionare e collaborare. Oggi io sento ancora l’esigenza di imparare e sono il primo che, ogni giorno, cerca di mettersi in discussione ma soprattutto a confronto con gli altri. Se cresciamo insieme, ovviamente anche l’azienda cresce. SM: Di cosa si occupa Ensinger Italia SrL? Cosa la contraddistingue? Cosa l’ha resa così importante? Ensinger nasce in Germania nel 1966. L’azienda poi prende il volo e arriva in Italia all’inizio degli anni ‘90 specializzata nella produzione di termoplastici di alte prestazioni in tutti i comparti industriali: medicale, alimentare, aerospaziale ed anche un settore specifico dedicato al mondo delle finestre in alluminio e facciate continue. Oggi vanta 35 filiali nel mondo con più di 2600 dipendenti. Le aree di maggiore interesse in cui operiamo sono Europa, Asia e America. Sfruttiamo una tecnologia di estrusione detta l’inietto-compressione”: una particolare tecnica per estrudere materiali plastici. Siamo quasi gli unici al mondo a saper utilizzare questa tecnica e siamo stati tra i primi ad utilizzarla. Ciò che contraddistingue Ensinger è la sua capacità di creare un clima collaborativo in azienda e una comunicazione particolarmente fluida e chiara tra i vari dipartimenti. Saper maneggiare bene la comunicazione è molto importante, specialmente oggi che le informazioni hanno necessità di essere divulgate rapidamente. Essere sempre pronti è fondamentale per noi. Chiaramente esistono delle frizioni, come in tutte le aziende, il mio impegno è quello di mantenere un clima ideale supportando le persone nelle loro attività e operations. SM: Quanto è importante per voi il digitale e l’innovazione? Quali azioni state compiendo in questo senso? come il digitale vi sta aiutando a migliorare i processi e quali vantaggi competitivi vi ha portato? Siamo molto sensibili a questo argomento. L’aspetto tecnologico è fondamentale per partire con il piede giusto. Come azienda cerchiamo di stare sempre al passo con i tempi al fine di essere veloci e dinamici e in grado di innovare, nell’ottica di migliorare i processi e la qualità del lavoro dei dipendenti. Non perdiamo mai di vista l’obiettivo del beneficio finale. Il cambiamento e quindi i processi innovativi, rappresenta per noi uno stimolo continuo per migliorarci. Io per primo mi impegno per mantenere alto il desiderio di migliorarsi ogni giorno. Innovare significa correre dei rischi, ma sono convinto che sia indispensabile per rispondere prontamente alle esigenze del mercato, per questo investiamo molto nello sviluppo e ci impegniamo per mantenere un clima proattivo. Siamo in prima linea per quanto riguarda l’adozione di nuove tecnologie, stiamo investendo nell’industria 4.0 per migliorare i processi produttivi, abbiamo implementato dei software per ottimizzare la gestione documentale migliorando così la produttività. L’introduzione dei Workflow con assegnazione dei task ha consentito di snellire i processi, così come la fatturazione elettronica e l’archiviazione dei documenti in formato digitale hanno contribuito a ridurre gli spazi di archiviazione e gli sprechi di carta, consentendo il recupero delle informazioni in tempi molto rapidi. SM: Tra il nostro pubblico abbiamo giovani Manager che vogliono iniziare ma anche Senior Manager. Quali consigli possiamo dare a questi Manager rispetto alla sua esperienza sul campo? In Ensinger sono partito dal ruolo più basico e negli anni ho capito l’importanza di pianificare strategie a lungo termine con un orizzonte di 3-5 anni. I giovani devono perseverare, impegnandosi con costanza i risultati arrivano. Comprendere bene il presente per disegnare la rotta del futuro: questo è l’obiettivo.
SM: Iniziamo presentandoci al nostro pubblico. Un cappello su di lei e sul suo ruolo Ho un’esperienza trentennale in Cavanna e sono a capo della programmazione dell'approvvigionamento dei materiali, degli acquisti, della costruzione dei pezzi e del magazzino in qualità di Supply Chain Manager del Gruppo. SM: Di cosa si occupa Cavanna SpA? Cavanna si occupa di packaging ed è leader mondiale nelle soluzioni integrate per il confezionamento food e non food in flowpack. Siamo nati inizialmente come costruttori di macchine per l’impacchettamento del food sia a livello primario che a livello secondario. Siamo nati come costruttori di macchine per il confezionamento del flowpack, negli anni abbiamo ampliato il business e oggi siamo una delle poche aziende al mondo che riesce a seguire tutti i passaggi riguardanti il confezionamento internamente. L’azienda ha 4 stabilimenti: Mappano (TO), Prato Sesia, Atlanta (USA) e a San Paolo in Brasile. Un nostro grande valore, in cui credo molto, è il network che abbiamo creato con i Supply Chain Manager delle aziende estere del gruppo. Il confronto attivo tra l’estero e l’Italia ci sta aiutando a crescere in modo sano e profittevole. SM: Come si colloca la figura del Supply Chain Manager in Cavanna? Quali sfide deve affrontare e come le affronta? Quali sono gli obiettivi primari di questo ruolo? Quando si parla di Supply Chain di solito si pensa subito ai trasporti, alla logistica e alla grande distribuzione. All’interno di Cavanna la Supply Chain ha sempre a che fare con la fornitura ma il cliente finale è il reparto di montaggio interno. La nostra procedura prevede l’estrazione di un dato che arriva dalla pianificazione centrale, quando l’ufficio tecnico termina la progettazione, in funzione delle date la programmazione della produzione, va ad inserirle all’interno del gestionale MRP. L’MRP genera il fabbisogno che va alla produzione, il nostro obiettivo è cercare di far arrivare i pezzi nei tempi dichiarati dal sistema. Questa è la parte più difficile e riguarda il mio ruolo manageriale e di coordinamento. Il mio obiettivo è fare in modo che il cliente sia soddisfatto, dove il nostro cliente è il reparto di assemblaggio. Tutta la parte di spedizione invece viene gestita dall’amministrazione per poter seguire al meglio la documentazione riguardante l’estero. Quella del Supply Chain Manager è pertanto una figura cruciale all’interno dell’azienda. SM: Tra il nostro pubblico abbiamo giovani Manager che vogliono iniziare ma anche Senior Manager. Quali consigli possiamo dare a questi Manager rispetto alla sua esperienza sul campo? Io personalmente ogni giorno imparo qualcosa e sono molto propenso all’innovazione. Ad un giovane manager posso dire non sentirsi mai arrivato, di non avere i paraocchi, e di essere sempre curioso. La resistenza al cambiamento è quello che spesso ingessa le aziende. Al contrario, il cambiamento deve essere uno stimolo a migliorarsi sempre. Ogni cambiamento è uno stimolo. SM: Noi in Digital Building Blocks siamo focalizzati sul digitale. Quanto è importante il digitale per la figura del Supply Chain Manager? come il digitale vi sta aiutando a migliorare i processi e quali vantaggi competitivi vi ha portato? In Cavanna curiamo molto l’aspetto digitale e innovativo. Stiamo eliminato completamente la carta, gestendo digitalmente i flussi di comunicazione, tutta la fatturazione e i documenti di trasporto sono in formato digitale. In questo modo vengono eliminati i problemi di comunicazione con tutti gli stakeholder. In termini di industria 4.0. dal 2017 abbiamo installato 6 magazzini automatici collegati col gestionale. Lo scorso luglio abbiamo fatto lo stesso a San Paolo in Brasile e a dicembre a Mappano. Abbiamo messo in piedi un sistema di pianificazione, forse unico in Europa. Ci stiamo occupando anche di realtà virtuale su alcuni impianti in modo da dare al cliente la sensazione di essere sempre presenti sul campo. Abbiamo inoltre inserito strumenti digitali per l’e-procurement, in questo modo abbiamo digitalizzato e ottimizzato la catena del valore eliminando tutto il cartaceo e comunicando in modo immediato con gli stakeholder. SM: Quali metriche misura l’azienda per valutare il suo lavoro? Che cosa valuta per sapere se sta lavorando nel modo giusto o se sta portando valore all’azienda? Quali sono le KPI? In primo luogo, lato Supply Chain, misuriamo il valore di magazzino. Per quanto riguarda gli acquisti invece ci focalizziamo sulle performance dei buyer intese come tempo di risposta tra il momento in cui l’ERP genera un fabbisogno fino all’evasione dell’ordine. Lato fornitori, consideriamo il tempo di consegna richiesto e l’effettivo ricevimento della merce. Al momento stiamo mettendo in campo un sistema di monitoraggio del lead time, ossia del tempo di attraversamento della merce, dall’arrivo in azienda all’effettiva disponibilità per il reparto di assemblaggio. Questo per dare un supporto maggiore ai nostri clienti e per soddisfare le richieste del mercato attuale.
La Digital Transformation tocca ogni settore ed è importante analizzare ogni contesto aziendale per comprenderne a pieno le potenzialità. Oggi vi propongo il colloquio che ho avuto con Elio Zoia, Export Manager di Brandoni SpA. Nell'intervista abbiamo parlato del ruolo dell'Export Manager e degli strumenti messi a disposizione oggi dal digitale per questa figura. Stefania Montemurro: Iniziamo presentandoci al nostro pubblico. Un cappello su di lei e sul suo ruolo Elio Zoia: Mi chiamo Elio Zoia e lavoro in Brandoni SpA, azienda familiare di terza generazione, da circa 6 anni. Nello specifico, mi occupo di mercato estero in qualità di export sales area manager. La nostra azienda ha sedi anche in Cina ed in Spagna. In Italia siamo circa 57 dipendenti. Nello specifico, le aree di mia competenza attualmente sono: l’ex Unione Sovietica, la Scandinavia, alcune nazioni europee ed il Sud-Est asiatico. SM: Di cosa si occupa Brandoni? EZ: Brandoni è un’azienda che produce valvole per impiego industriale, impianti di riscaldamento e condizionamento, settore marittimo (valvole in bronzo e bronzo alluminio), ed infine il ciclo dell’acqua su vari livelli, tra cui la purificazione delle acque reflue ed acquedottistica municipale. SM: L’Italia in questo contesto ricopre ancora un ruolo importante? EZ: Il mercato nazionale per noi ricopre ancora un ruolo molto importante in quanto parte dell’attività di produzione e stoccaggio avviene in Italia. Siamo molto presenti in tutte le regioni ed in costante crescita. SM: Come si colloca la figura dell’export manager in Brandoni? Quali sfide deve affrontare e come le affronta? EZ: La maggior parte delle nostre valvole sono di “grandi” diametri (dai 2 pollici in su) e vengono principalmente vendute su progetti, pertanto si apre la questione del rilascio dei crediti da parte delle banche o dei governi. Oggigiorno molti Paesi presentano situazioni critiche a livello politico che frenano gli investimenti e generano incertezza, che viene riflessa dagli importatori. SM: Quanto è importante la figura dell’export manager per il vostro settore? EZ: La sfida principale è capire dove andare a concentrare gli investimenti e gli sforzi maggiori, individuando le aree geografiche che offrono le migliori opportunità con ritorni economici nei più brevi tempi possibili e quanto più sicuri. La figura dell’Export Manager prende una grande importanza purché esso sia molto dinamico e veloce nella direzione corretta. SM: Quali opportunità ha per voi il resto del mondo? quali consigli possiamo dare alle aziende del nostro territorio che vogliono iniziare a vendere all’estero? EZ: Il mio consiglio è quello di non farsi frenare troppo dai costi legati alla figura dell’export manager. Data la natura di questo ruolo, continuamente in viaggio, per l’azienda rappresenta inevitabilmente un investimento da non sottovalutare. Tuttavia bisogna guardare a quelle spese come ad un investimento finalizzato a portare dei risultati in crescita, un investimento timido difficilmente porterà il raggiungimento degli obiettivi. Io personalmente credo molto nei giovani dinamici e grintosi ed è su di loro che bisogna scommettere. SM: Noi in Digital Building Blocks siamo focalizzati sul digitale. Quanto è importante il digitale per la figura dell’export manager? come il digitale vi sta aiutando a migliorare i processi e quali vantaggi competitivi vi ha portato? Quali strategie digitali state adottando per incrementare l’area export? EZ: Sono molto aperto al digitale e sono pro tecnologie ai massimi livelli. Il lavoro dell’export manager oggi si basa quasi esclusivamente sull’utilizzo di queste tecnologie. Quello che viene fatto al di fuori del digitale, e con l’ausilio di altri strumenti, è la relazione umana. Ritengo che l’export manager che vuole essere competitivo sul mercato debba prestare la massima attenzione al digitale e conoscere tutti gli strumenti messi a disposizione oggi dal web senza mai trascurare la relazione umana. SM: Quali tool digitali utilizza un export manager? EZ: Disponiamo di tutti i tool dal CRM ai Software di analisi dei dati. SM: Quali metriche misura l’azienda per valutare il lavoro di un Export Manager? Che cosa valuta per sapere se sta lavorando nel modo giusto o se sta portando valore all’azienda? Quali sono i KPI? EZ: Analizziamo ogni metrica utile, a partire dai dati estrapolati dal CRM. SM: Rispetto alla figura dell’export manager quali sono gli aspetti che chi ricopre questo ruolo non può non conoscere? EZ: In pochi conoscono il sito della CIA Americana, The World Factbook, uno strumento molto utile e attendibile per avere un quadro accurato e sempre aggiornato del Paese estero in cui si decide di operare. L’ideale per chi approccia un nuovo mercato e non dispone di contatti in loco.
Tempo fino al 6 dicembre per compilare le domande di accesso alle agevolazioni riguardo il Voucher per consulenza in innovazione. Ma di cosa si tratta? A chi si rivolge e soprattutto, a quanto ammonta? In questo articolo ti fornirò le risposte a queste ed altre domande che non puoi non esserti posto sentendo parlare di questo voucher. Il Voucher per consulenza in innovazione Di cosa si tratta e chi ne può beneficiare Innanzitutto, vediamo di contestualizzare quanto sta accadendo in questi ultimi anni in Italia in merito all’innovazione digitale delle aziende, e qual é il nesso con il Voucher. Come sicuramente sai, il tessuto economico italiano si caratterizza per la presenza di oltre 4 milioni di piccole e medie imprese, che oggi si trovano in un periodo piuttosto delicato poiché da un lato vi è la necessità e volontà di “fare innovazione” mediante le soluzioni digitali oggi disponibili, dall’altro mancano fondi da investire e difficoltà da parte degli imprenditori ad assumere figure in possesso di competenze specifiche che si possano occupare all’interno dell’azienda di ricoprire questo ruolo. All’interno di questo quadro, il Voucher per consulenza in innovazione è un contributo che, in coerenza con il Piano nazionale “Impresa 4.0”, è nato per agevolare l’inserimento (temporaneo) nelle PMI Italiane di quelli chiamati “Innovation Manager” ossia quei manager qualificati il cui scopo è favorire i processi di trasformazione digitale. I soggetti che potranno beneficiare del Voucher, saranno le imprese operanti su tutto il territorio nazionale che risultino possedere di precisi requisiti (consultabili direttamente alla pagina ufficiale del Ministero dello Sviluppo Economico). La domanda che ti starai chiedendo è, a quanto ammonta questo contributo? Servirà a coprire i costi di investimento? Ecco alcuni dati riguardo al massimo contributo concedibile: per le micro e piccole imprese, risulta pari al 50% dei costi sostenuti ed entro il limite massimo di 40mila euro; per le medie imprese, risulta pari al 30% dei costi sostenuti ed entro il limite massimo di 25mila euro; per le reti di imprese, risulta pari al 50% dei costi sostenuti ed entro un limite massimo complessivo di 80mila euro. Il ruolo chiave dell’Innovation Manager Ti ho parlato prima della figura dell’Innovation Manager. Pensa a lui come ad un consulente, in possesso di determinate soft skills (problem solving, leadership, project management e tante altre ancora) in grado di accompagnare le PMI lungo il percorso di digitalizzazione, favorendo la trasformazione 4.0 dell’azienda per cui lavora. Come sono essi in grado attuare un piano di trasformazione così radicale per le nostre imprese? Importante per loro è soprattutto saper essere sempre “un passo avanti”, nel senso che nell’ottica di strutturare ed attuare una strategia atta a favorire la crescita dell’azienda, sicuramente non deve mancare una visione chiara del mercato di riferimento in cui opera l’impresa di cui il manager entra a far parte, in ottica di possibili sviluppi che la trasformazione digitale genererà al suo interno. Dopo questa doverosa premessa sulla figura del Manager e tornando al nostro argomento principale, ossia il Voucher per consulenza in innovazione, nella pagina ufficiale del sito MiSE è pubblicato il pdf aggiornato al 22/11/2019 contenente l’elenco degli Innovation Manager qualificati e delle società di consulenza e tra l’altro, figurano all’interno della lista anche Alberto Giusti e Massimo Calabrese, membri della nostra community di Digital Building Blocks. Considerazioni finali La digitalizzazione è qualcosa che pian piano sta prendendo piede anche in Italia, e se ciò è possibile è merito in gran parte di quegli imprenditori italiani che, muovendosi prima degli altri, sono riusciti ad infondere (e questo processo è tutt’ora in atto), il coraggio a quelli ancora dubbiosi ed incerti. Tuttavia nel contesto italiano il numero di imprese che decidono veramente di abbracciare tali tecnologie, soprattutto con uso consapevole e tramite reali competenze, è veramente basso. Stando a quanto espresso nel PMI Digital Index 2019, un report che analizza il livello di digitalizzazione delle PMI italiane elaborato da GoDaddy, emerge come il grado di digitalizzazione dell’azienda aumenta al crescere del suo fatturato. Questo di fatto evidenzia da un lato, come ad investire nel Digital siano più che altro le grandi aziende che possono beneficiare di un budget più alto, e dall’altro che le stesse tecnologie digitali se ben implementate, possono costituire la chiave per il successo ed incrementare il fatturato. GoDaddy sottolinea come “la digitalizzazione crea vero valore per le aziende solo nella fase di maturità digitale più avanzata” e, ricollegandomi al motivo per cui è stato scritto questo post, questo voucher potrebbe essere la svolta attraverso cui anche le imprese più piccole possano prendere coraggio ed intraprendere un percorso di trasformazione digitale. C’è da pensare però anche al fatto che se i fondi dovessero non bastare ed il percorso di digitalizzazione venisse intrapreso solo a metà, potrebbe finire con il far crollare nelle imprese quella consapevolezza che in tanto tempo si è cercato di costruire, dato che come sappiamo scarsi sono i risultati delle aziende che decidono di fare innovazione “a metà”.
Prima della rivoluzione digitale che ha capovolto i paradigmi del marketing classico, gli acquirenti seguivano un percorso di acquisto lineare: Oggi, dove internet costituisce la fonte di ogni informazione, gli utenti utilizzano il web come un hub: Ma in che modo le persone oggi compiono le loro scelte d’acquisto? Internet come hub: l’86% degli acquirenti cerca online prima di acquistare Differenti Dispositivi: la ricerca di informazioni spesso viene effettuata utilizzando diversi dispositivi Confronto delle soluzioni: leggono reviews online, confrontano prezzi e prodotti Nuove ricerche: ripetono la ricerca Per comprendere meglio questo cambio di paradigma, è fondamentale pensare alla nostra vita come ad un insieme di momenti (fonte:Think with Google): I-want-to-know-moments: il 66% degli utenti ricerca sul proprio smartphone informazioni su prodotti o servizi che hanno visto da annunci in TV I-want-to-go-moments: gli utenti ricercano ristoranti o negozi il più possibile limitrofi I-want-to-do-moments: oltre 100 milioni di ore vengono trascorse su YouTube per consultare dei tutorial I-want-to-buy-moments: l’82% degli utenti consulta lo smartphone nel momento in cui si trova nello store In particolare, Google definisce Zero Moment of Truth (abbreviato ZMOT), quel momento del processo decisionale che consiste nella ricerca delle informazioni in rete prima di effettuare l'acquisto. Si posiziona quindi tra la fase di stimolo e il first moment of truth, momento in cui l'acquirente compie la sua scelta d'acquisto. Ma se le aziende vogliono davvero soddisfare l’acquirente moderno, sempre più esigente e impaziente, allora devono rispondere a questi 3 imperativi: #1 HELP ME FASTER: il 53% degli utenti abbandona il sito se impiega più di 3 secondi a caricarsi. Il tempo di risposta deve essere quindi rapido e l’interazione il più semplice possibile. #2 KNOW ME BETTER: il 90% delle organizzazioni che investe in esperienze personalizzate ottiene un incremento di profittabilità aziendale. Creare delle esperienze rilevanti basate sull’intenzionalità e il comportamento dell’utente è quindi indispensabile. #3 WOW ME EVERYWHERE: il 62% degli utenti si aspetta un’esperienza coerente tra i canali quando interagisce con un brand. Al centro quindi sempre l’utente e non la tecnologia adottata. Internet ha quindi radicalmente ribaltato la relazione venditore/compratore. Le informazioni di cui l'utente ha bisogno per compiere le sue scelte d'acquisto sono ormai a portata di click. È finita quindi l'era dell'asimmetria informativa a favore del venditore. Oggi il potere contrattuale, nel processo di vendita, è passato nelle mani del compratore, attorno al qualve vengono definite le scelte strategiche dei business.
Come progettare dashboard utili e comprensibili a chiunque ne abbia bisogno L'ascesa di strumenti di dashboard design innovativi, interattivi e basati sui dati ha reso la creazione di dashboard efficaci un'attività rapida, semplice e accessibile alle aziende lungimiranti di oggi. Nell'era digitale, non è necessario che un dipartimento di tecnici IT, oltre a un grafico qualificato, crei una dashboard efficace. Tuttavia, se si desidera ottenere un risultato ottimale, acquisire una solida conoscenza del giudizio logico e del pensiero strategico è essenziale, soprattutto per quanto riguarda i principi di progettazione delle dashboard. Vediamo insieme quali sono i 10 consigli principali per le tue dashboard Le tue dashboard aziendalei dovrebbero essere di facile utilizzo e costituire un aiuto di base nel processo decisionale. Per aiutarti nel tuo percorso verso il successo guidato dai dati, approfondiremo 10 principi di progettazione della dashboard che ti garantiranno lo sviluppo della dashboard più completa per le tue esigenze aziendali: Definisci il tuo obiettivo finale Scegli i KPI più rilevanti Rendi chiaro il contesto Cerca la semplicità Definisci la struttura ragionando il base alla gerarchia delle informazioni Semplifica l'uso dei colori Scegli il giusto tipo di grafico Sii coerente usando le etichette e formattando i dati Usa elementi interattivi Continua a far evolvere le tue dashboard Definisci il tuo obiettivo finale Prima ancora di iniziare a mettere in atto qualsiasi elemento di design, la prima cosa che devi fare è considerare il tuo obiettivo finale. Per farlo con successo, devi metterti nei panni del tuo pubblico. Il contesto e il dispositivo su cui gli utenti accederanno regolarmente alle loro dashboard avranno conseguenze dirette sullo stile in cui vengono visualizzate le informazioni. La dashboard verrà visualizzata in movimento, in silenzio alla scrivania o verrà visualizzata come una presentazione di fronte a un vasto pubblico? Ricorda di creare dashboard online reattive che si adattino a tutti i tipi di schermi, che si tratti di uno smartphone, un PC o un tablet. Se la dashboard verrà visualizzata come una presentazione o stampata, assicurati che sia possibile contenere tutte le informazioni chiave in un'unica pagina. Per riferimento, ecco i 4 principali tipi di dashboard per ogni attività. Strategico: una dashboard focalizzata sul monitoraggio delle strategie aziendali a lungo termine analizzando e confrontando un'ampia gamma di informazioni critiche basate sull'andamento. Operativo: uno strumento di business intelligence esistente per monitorare, misurare e gestire i processi o le operazioni con una scala temporale più breve o più immediata. Analitico: queste dashboard particolari contengono grandi flussi di dati completi che consentono agli analisti di analizzare ed estrarre approfondimenti per aiutare l'azienda a progredire a livello esecutivo. Tattico: queste dashboard ricche di informazioni sono più adatte alla gestione intermedia e aiutano a formulare strategie di crescita basate su tendenze, punti di forza e punti deboli tra i dipartimenti, come nell'esempio seguente: Ogni dashboard deve essere progettata per un particolare gruppo di utenti con l'obiettivo specifico di assistere i destinatari nel processo decisionale aziendale. Le informazioni sono preziose solo quando sono direttamente utilizzabili. L'utente destinatario della dashboard deve essere in grado di utilizzare le informazioni nelle proprie strategie e per gli obiettivi aziendali. Come progettista di dashboard che utilizza solo i migliori principi di progettazione del dashboard, assicurati di essere in grado di identificare le informazioni chiave e separarle da quelle non essenziali per migliorare la produttività degli utenti. Scegli i KPI più rilevanti Per un design del cruscotto veramente efficace, è necessario selezionare gli indicatori di prestazioni chiave (KPI) giusti per le esigenze aziendali. I tuoi KPI aiuteranno a modellare la direzione delle tue dashboard poiché queste metriche mostreranno rappresentazioni visive di approfondimenti rilevanti basati su aree specifiche dell'azienda. Dopo aver determinato i tuoi obiettivi finali e considerato il tuo pubblico di destinazione, sarai in grado di selezionare i migliori KPI da includere nella tua dashboard. Per aiutarti nella tua decisione, ti consiglio una selezione di oltre 250 esempi di KPI per le funzioni più importanti all'interno di un'azienda: https://www.datapine.com/kpi-examples-and-templates/. Come ulteriore consiglio, non seppellire l'informazione più importante, il tuo KPI, principale in un grafico. Mostralo in modo forte e orgoglioso come un BAN (Big A** Number)! Rendi chiaro il contesto Senza fornire un contesto, come fai a sapere se quei numeri sono buoni o cattivi o se sono tipici o insoliti? Senza valori di confronto, i numeri su una dashboard non hanno senso per gli utenti. E, soprattutto, non rendono chiaro comprendere se sia necessaria alcuna azione. Cerca sempre di fornire la massima informazione, anche se alcuni casi sembrano ovvi per te, perché il tuo pubblico potrebbe trovarli perplessi. Assegna un nome a tutti gli assi e aggiungi titoli a tutti i grafici. Ricorda di fornire valori di confronto. La regola empirica in questo caso è quella di utilizzare i confronti più comuni, ad esempio il confronto con un obiettivo prefissato, con un periodo precedente o con un valore previsto. Questo è un suggerimento efficace per la progettazione delle dashboard che dovresti sempre considerare. Cerca la semplicità Per quanto riguarda le migliori pratiche nella progettazione delle dashboard, l'accessibilità è uno dei principi più importanti. Detto questo, non dovresti mai perdere di vista lo scopo di progettare una dashboard. Lo fai perché vuoi presentare i dati in un modo chiaro e accessibile che faciliti il processo decisionale. Se rendi i grafici troppo complessi, gli utenti dedicheranno ancora più tempo all'analisi dei dati di quanto farebbero senza la dashboard. L'analisi dei dati visualizzata su una dashboard dovrebbe fornire un valore aggiuntivo: ad esempio, un utente non dovrebbe aver bisogno di fare altri calcoli da solo, per ottenere le informazioni che stava cercando, perché tutto ciò di cui ha bisogno verrà visualizzato chiaramente nei grafici. Cerca sempre di metterti nella posizione dell'utente. Possiamo vedere nell'esempio sopra una dashboard di vendita che fornisce al pubblico i dati a portata di mano, per lo più interessanti per dirigenti e vicepresidenti di alto livello. Tieni a mente quali dati cercherà l'utente? Quali informazioni lo aiuterebbero a comprendere meglio la situazione attuale? Se hai due valori relativi, perché non aggiungere un rapporto per mostrare un'evoluzione o una proporzione, per renderlo ancora più chiaro? Un punto importante è anche aggiungere la possibilità per l'utente di confrontare il tuo numero con un periodo precedente. Non puoi aspettarti che tutti gli utenti ricordino quali sono stati i risultati delle vendite dell'anno scorso o il tasso di conservazione dell'ultimo trimestre. L'aggiunta di un rapporto di evoluzione e di un indicatore di tendenza aggiungerà molto valore alle tue metriche, che si tratti di KPI logistici o di approvvigionamento, e renderà l'utente come te. Definisci la struttura ragionando il base alla gerarchia delle informazioni Le migliori pratiche del dashboard nel design riguardano molto più che buone metriche e grafici ben ponderati. Il prossimo passo è il posizionamento dei grafici su una dashboard. Se la dashboard è organizzata visivamente, gli utenti troveranno facilmente le informazioni di cui hanno bisogno. Un layout scadente costringe gli utenti a pensare di più prima per capire il punto e nessuno ama cercare dati in una giungla di grafici e numeri. La regola generale è che le informazioni chiave debbano essere visualizzate per prime - nella parte superiore dello schermo, nell'angolo in alto a sinistra. C'è una certa saggezza scientifica dietro questa posizione: la maggior parte delle culture legge la propria lingua scritta da sinistra a destra e dall'alto verso il basso, il che significa che le persone guardano intuitivamente prima la parte in alto a sinistra di una pagina. Un altro utile principio di layout delle dashboard è iniziare con il quadro generale. La tendenza principale dovrebbe essere visibile a colpo d'occhio. Dopo questa prima panoramica rivelatrice, puoi procedere con grafici più dettagliati. Ricorda di raggruppare i grafici per tema con le metriche comparabili posizionate una accanto all'altra. In questo modo, gli utenti non devono cambiare i loro ingranaggi mentali mentre guardano la dashboard, ad esempio saltando dai dati di vendita ai dati di marketing e quindi di nuovo ai dati di vendita. Le dashboard richiedono una gerarchia per essere facili da scansionare. Usa dimensioni e posizione per dare enfasi alle informazioni più importanti e minimizzare le metriche che devono essere esaminate meno frequentemente. Dimensioni coerenti e relazioni chiare tra gli elementi aiuteranno a creare modelli e flusso visivo. In termini di posizionamento, l'angolo in alto a sinistra della dashboard è la posizione migliore in quanto è dove gli occhi vanno per primi durante la lettura. Non aver paura dello spazio vuoto. È meglio lasciare un vuoto piuttosto che fare qualcosa di più grande solo per colmarlo. Semplifica l'uso dei colori Senza ombra di dubbio, questa è una delle migliori pratiche di progettazione delle dashboard. Questo particolare punto può sembrare incongruo a quello che abbiamo detto fino a questo punto, ma ci sono opzioni per personalizzare le tue creazioni in base alle tue preferenze. La natura interattiva delle dashboard dei dati consente di abbandonare le presentazioni in stile PowerPoint degli anni '90. La dashboard moderna è minimalista e pulita: il design piatto è davvero la moda di oggi! Ora, quando si tratta di colore, puoi scegliere di rimanere fedele all'identità della tua azienda (stessi colori, logo, caratteri) o scegliere una tavolozza di colori totalmente diversa. La cosa importante qui è rimanere coerenti e non usare troppi colori diversi - una considerazione essenziale quando si impara a progettare una dashboard. Puoi scegliere da due a tre colori, quindi giocare con i gradienti. Un errore comune è usare i colori molto saturi troppo frequentemente. I colori intensi possono attirare immediatamente l'attenzione degli utenti su un determinato dato, ma se una dashboard contiene solo colori altamente saturi, gli utenti potrebbero sentirsi sopraffatti e persi: non saprebbero cosa guardare prima. È sempre meglio attenuare la maggior parte dei colori. Le migliori pratiche di progettazione delle dashboard sottolineano sempre la coerenza quando si tratta della scelta dei colori. Con questo in mente, dovresti usare lo stesso colore per abbinare gli oggetti in tutti i grafici. Ciò ridurrà al minimo lo sforzo mentale richiesto dal punto di vista degli utenti, rendendo di conseguenza più comprensibili le dashboard. Inoltre, se stai cercando di visualizzare elementi in una sequenza o in un gruppo, non dovresti mirare a colori casuali: se esiste una relazione tra categorie (ad es. Progressione di piombo, livelli di valutazione, ecc.), dovresti usare lo stesso colore per tutti gli articoli, graduazione della saturazione per una facile identificazione. Grazie a questo, i tuoi utenti dovranno solo notare che i colori ad alta intensità simboleggiano i valori variabili di una particolare qualità, oggetto o elemento, che è molto più facile che memorizzare più set di colori casuali. Ancora una volta, la creazione di una dashboard che gli utenti possano capire a colpo d'occhio è il tuo obiettivo principale. Tieni presente che l'8% dei maschi ha carenza di visione dei colori (CVD): scegli le tavolozze che funzionano bene universalmente. Ciò significa evitare i rossi e i verdi, o almeno scegliere i rossi / i verdi che possono essere visti dalle persone con CVD. Scegli il giusto tipo di grafico Non possiamo sottolineare abbastanza l'importanza di scegliere i giusti tipi di visualizzazione dei dati. Puoi distruggere tutti i tuoi sforzi con un tipo di grafico mancante o errato. È importante capire quale tipo di informazioni desideri trasmettere e scegliere una visualizzazione dei dati adatta all'attività. I grafici a linee sono fantastici quando si tratta di visualizzare modelli di cambiamento in un continuum. Sono compatti, chiari e precisi. Il formato dei grafici a linee è comune e familiare alla maggior parte delle persone, quindi possono essere facilmente analizzati a colpo d'occhio. Scegli i grafici a barre se desideri confrontare rapidamente gli elementi nella stessa categoria, ad esempio le visualizzazioni di pagina per Paese. Ancora una volta tali grafici sono facili da capire, chiari e compatti. I grafici a torta non sono la scelta perfetta. Si posizionano in basso in termini di precisione perché gli utenti trovano difficile confrontare accuratamente le dimensioni delle fette di torta. Sebbene tali grafici possano essere scansionati all'istante e gli utenti notino immediatamente la porzione più grande, può esserci un problema in termini di scala che comporta che le sezioni più piccole siano così piccole da non poter essere nemmeno visualizzate. Le sparkline di solito non hanno una scala, il che significa che gli utenti non saranno in grado di notare singoli valori. Tuttavia, funzionano bene quando hai molte metriche e vuoi mostrare solo le tendenze. Sono rapidamente scansionabili e molto compatti. Non è così facile decifrare anche i grafici a dispersione in quanto mancano di precisione e chiarezza poiché le relazioni tra due misure quantitative non cambiano molto frequentemente. Tuttavia, possono essere utilizzati per una presentazione interattiva per utenti esperti. La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che i grafici a bolle non sono adatti per i dashboard. Richiedono troppo sforzo mentale da parte dei loro utenti anche quando si tratta di leggere informazioni semplici in un contesto. A causa della loro mancanza di precisione e chiarezza, non sono molto comuni e gli utenti non ne hanno familiarità. In sintesi, i grafici e le visualizzazioni incentrati sulle dashboard rientrano in quattro categorie principali: relazione, distribuzione, composizione e confronto. A seconda di ciò che si desidera comunicare o mostrare, esiste un tipo di grafico adatto ai propri obiettivi. Posizionare i tuoi obiettivi in una delle 4 categorie principali sopra ti aiuterà a prendere una decisione informata sul tipo di grafico. Sii coerente usando le etichette e formattando i dati In termini di funzionalità, l'obiettivo principale di un dashboard di dati è acquisire la capacità di estrarre importanti informazioni a colpo d'occhio. È fondamentale assicurarsi che l'etichettatura e la formattazione siano coerenti tra KPI, strumenti e metriche. Se la formattazione o l'etichettatura per metriche o KPI correlati è molto diversa, causerà confusione, rallenterà le attività di analisi dei dati e aumenterà le possibilità di errori. Essere coerenti al 100% su tutta la linea è fondamentale per la progettazione di dashboard che funzionano. Usa elementi interattivi Qualsiasi dashboard completa degna di nota ti consentirà di approfondire con facilità determinate tendenze, metriche o approfondimenti. Quando si considera ciò che rende una buona dashboard, è essenziale eseguire drill-down di factoring, cliccare per filtrare e widget dell'intervallo di tempo nella progettazione. Il drill-down è una funzione interattiva intelligente che consente all'utente di eseguire il drill-down di informazioni più complete relative a un elemento particolare, variabile o indicatore di prestazioni chiave, senza sovraffollare il design complessivo.Tali funzionalità rendono le dashboard ordinate, interattive e ti offrono la possibilità di visualizzare o nascondere le informazioni chiave quando vuoi invece di vagare tra mucchi di informazioni digitali confuse. Continua a far evolvere le tue dashboard Ultimo ma certamente non meno importante nella nostra raccolta di principi di dashboard efficaci: la capacità di modificare ed evolvere i tuoi progetti in risposta ai cambiamenti intorno a te garantirà un successo analitico continuo. Quando si progettano dashboard, è essenziale chiedere un feedback. Richiedendo input regolari dal tuo team e ponendo le domande giuste, sarai in grado di migliorare il layout, la funzionalità, l'aspetto, il feeling e l'equilibrio dei KPI per garantire un valore ottimale in ogni momento. Il mondo digitale è in continua evoluzione. Il cambiamento è costante e i principi di dashboard efficaci sono dettati dalla volontà di migliorare e potenziare continuamente gli sforzi di progettazione. In caso contrario, si ostacolerà solo il successo dei propri sforzi. Quindi, non smettere mai di evolversi. “Ci sono tre risposte a un pezzo di design: sì, no e WOW! Wow è quello a cui mirare ”. - Milton Glasner, graphic designer di fama mondiale Quindi, cosa rende una buona dashboard degna di tale aggettivo? Una dashboard di dati efficace dovrebbe essere sorprendente ma visivamente equilibrata, esperta ma semplice, accessibile, facile da usare e adattata ai tuoi obiettivi e al tuo pubblico. Tutti i suggerimenti di progettazione delle dashboard riportati in questo articolo formano un processo a tenuta stagna che ti aiuterà a produrre visualizzazioni che miglioreranno esponenzialmente i tuoi sforzi di analisi dei dati. Ogni dashboard che crei dovrebbe esistere per un gruppo di utenti focalizzato con l'obiettivo specifico di aiutare gli utenti ad attingere ai processi decisionali aziendali e trasformare le intuizioni basate sui dati digitali in azioni strategiche positive. Le informazioni sono preziose solo quando sono direttamente utilizzabili. Sulla base di questo principio, è fondamentale che l'utente finale possa utilizzare le informazioni fornite da una dashboard per migliorare i propri obiettivi, ruoli e attività personali all'interno dell'azienda.Utilizzando solo i migliori e più equilibrati principi di progettazione delle dashboard, assicurerai che tutti all'interno dell'organizzazione possano facilmente identificare le informazioni chiave, accelerando la crescita, lo sviluppo e l'evoluzione della tua attività. Ciò significa un pubblico più vasto, una portata maggiore e più profitti: gli ingredienti chiave di un'azienda di successo. Scarica la tua copia del piano per la progettazione di dashboard davvero efficaci!
Gli utenti acquistano un prodotto per compiere dei lavori e risolvere esigenze specifiche, ecco perchè le aziende dovrebbero cercare modi migliori per portare a termine il lavoro, e non soltanto cercare di innovare i prodotti che offrono. Tale teoria è stata inventata da Clayton Christensen, professore della Harvard Business School, e prende il nome di Job To Be Done. Questo è il motivo per cui, anzichè studiare il prodotto è importante concentrarsi sul lavoro che le persone stanno cercando di portare a termine. “Le persone non vogliono un trapano da un quarto di pollice, vogliono un foro da un quarto di pollice”- Theodore Levitt. In sostanza, i prodotti vanno e vengono, ma il lavoro da svolgere alla base, quello non scompare. Perchè il Job to Be Done? Quando fai leva sul Job To Be Done, il mercato in cui lanci il prodotto non ruota più attorno al prodotto, ma diventa l’esecutore del lavoro che i clienti riusciranno a portare a termine scegliendo di acquistarlo. Ad esempio madri single (l’esecutore del lavoro) che cercano di “essere un buon genitore” (il lavoro da svolgere) sono un mercato. Se riesci a definire il mercato attraverso questa analisi, il secondo step è capire qual è il pensiero per cui nasce il bisogno, ovvero il motivo per cui questa nicchia pensa di poter fallire il compito. Concentrati su questo. La chiave del successo sta nel capire, sotto il punto di vista del cliente, quale sia il lavoro da svolgere e aiutare le persone a portarlo a termine, questo significa fornire valore. Viviamo in un mondo di continuo cambiamento, e se ti focalizzi sul prodotto, arriverai presto al punto in cui è diventato obsoleto, e dovrai ripartire da capo. Realizza invece un bene o un servizio destinato a modellarsi in funzione dello spazio in cui si trova, e in base a chi ne sarà il possessore. Ok troppo difficile… Ti faccio un esempio. Pensa ad un barbecue. Puoi pensare di vendere un accessorio per cucinare alla griglia, ma anche che stai dando l'opportunità ad una famiglia moderna, presa da mille impegni settimanali, di potersi riunire nel weekend e passare finalmente del tempo insieme. Il motivo per cui molte aziende falliscono, per cui i preziosi investimenti non bastano e non ripagano gli sforzi, è che tali miglioramenti, non hanno il minimo riferimento al bene del cliente. Sono sviluppi fini esclusivamente al bene dell’azienda e pertanto essa, è l’unica che può trarne beneficio. Breve caso studio: Kodak Non tutte le aziende riescono (o hanno la volontà) di tendere la mano all’innovazione, spesso il cambiamento fa paura. Questo coraggio di innovarsi come saprai, è mancato a Kodak, azienda nel mercato delle pellicole. Questo colosso non ha mai pensato di poter cambiare paradigma. Quando Kodak è stata travolta dalla rivoluzione tecnologica, la sua risposta è stata “Chi mai vorrà guardare le foto sullo schermo di una tv?” riferendosi ad un prototipo di macchina fotografica digitale. Beh, il business di Kodak era quello di far vedere foto alle persone, e non di vendere pellicole. Il legame tra Buyer Persona e JTBD Sai cosa è una Buyer Persona? Si tratta di una rappresentazione semi-reale del tuo cliente ideale, e conoscerla è decisivo per poter capire cosa davvero spinge i tuoi utenti a cercare i tuoi prodotti su internet scegliendo determinate keywords, cosa si aspettano di trovare e quali necessità mirano a risolvere. Se questo ti sarà chiaro, potrai creare una strategia di marketing dei contenuti ad hoc in tutto il customer journey. (Per saperne di più su questo tema, ti consiglio di leggere questo articolo ). La definizione della perfetta Buyer Persona non significa solamente raccogliere dati, è un qualcosa di molto più profondo, che assomiglia alla ricostruzione di un vero e proprio profilo psicologico, e per questo ti devi saper immedesimare a pieno nel tuo acquirente ideale. Nello step finale dovrai coniugare il concetto della Buyer Persona con il Job To Be Done. Se questo modo di pensare ti sembra strano, è perchè forse sei abituato a strategie di marketing che ancora disturbano il cliente e lo interrompono nelle sue attività quotidiane, ma sappi che esiste un modo migliore di fare affari: l’inbound Marketing. La metodologia Inbound mette al centro il cliente, capisce e soddisfa i suoi bisogni, offre contenuti utili e di valore, e lo fa proprio quando l’utente ne ha bisogno, al momento giusto e nel modo giusto. Lo scopo di questa fase non è inserire il cliente nel funnel (il processo di acquisto). La domanda a cui ora devi rispondere è “Perchè le persone dovrebbero scegliere i miei prodotti? In cosa potrebbe aiutarli?”. Trattali come persone, e non come semplici utenti. E’ ovvio che non puoi pensare di rivolgerti a chiunque! Per fare Inbound, devi essere Inbound, e se decidi di “svenderti” a tutti, probabilmente non ti stai rivolgendo alla tua nicchia di interesse, finendo per raggiungere un sacco di persone, poche delle quali davvero interessate. Con il Job To Be Done invece, stai mirando ad individuare i tuoi clienti perfetti, non dimenticarlo. Clicca qui per scaricare il nostro E-book gratuito e riuscire ad identificare la tua Buyer Persona! Revlon: il JTBD della speranza Implementare la tua strategia di marketing utilizzando il Job To Be Done, ti aiuterà a superare i competitors. Il pensiero che si nasconde dietro queste semplici parole, in realtà è infatti un potente strumento che ti consente di: capire i reali bisogni degli utenti identificare la concorrenza meno evidente, attraverso gli occhi del cliente Il fondatore dei cosmetici Revlon, Charles Revson, diceva che “In fabbrica produciamo cosmetici, nei negozi vendiamo speranza”. Ed infatti una delle campagne di marketing Revlon che ha riscosso maggior successo si chiama “Fire and Ice”, e ha avuto come obiettivo quello di far sentire Glamour ogni donna che utilizzava i prodotti Revlon, al pari di una vera celebrità. La “speranza” che Revlon voleva vendere è esattamente questa. Concludendo, se nel passato la campagna di marketing puntava ad attrarre il cliente basandosi sul rapporto qualità/prezzo del prodotto, oggi il modo di fare pubblicità è cambiato. Il prodotto è nelle mani del cliente, e la domanda da porsi è: “che tipo di utilizzo mi aspetto ne facciano?”. Nel contesto attuale, per lanciare un prodotto dovrai far leva sulle esigenze che puoi risolvere, anche quelle diverse dall’origine che avevi pensato in ottica di produttore!
Spesso si tende a confondere il concetto di Inbound Marketing (soprattutto la prima fase,ossia quella di attrazione dei potenziali clienti), con la lead Generation. Questo articolo ti chiarirà la differenza esistente fra i due concetti, che effettivamente sono molto vicini fra loro. Prima però facciamo qualche passo indietro. Tempo fa, per acquisire clienti le aziende sfruttavano eventi come fiere di settore, oppure quelle oggi definite “chiamate a freddo”, o ancor peggio li sentivi bussare alla porta in momenti (guarda caso) poco opportuni, per propinarti un qualche prodotto oppure offerta a cui non eri neanche minimamente interessato. Oggi invece, se il tuo obiettivo è incrementare le vendite o vuoi sviluppare una nuova idea di Business, l’Inbound Marketing è probabilmente la miglior strategia che puoi adottare, per cui vediamola più nel dettaglio. La metodologia Inbound Rimanendo nel generale (per approfondire tale argomento ti consiglio di leggere questo post), con il termine Inbound Marketing ci si riferisce ad una metodologia (non intrusiva) volta ad aiutare le varie imprese nella creazione di relazioni one-to-one significative, che abbiano un impatto duraturo dapprima con quelli che sono semplici utenti (visitatori), ma che successivamente (se la strategia di Inbound è svolta come si deve) diventeranno clienti. La lead generation Per trattare il concetto di Lead Generation, credo che ti sia utile prima di tutto sapere cosa è un lead. Il Lead è un contatto. Quello che prima era un semplice utente alla ricerca di informazioni, diviene lead dal momento in cui mostra interesse nei confronti del prodotto o servizio che può essere venduto, tanto da lasciare le sue informazioni su un apposito form (in questo caso il processo di generazione dei lead è online) al fine di iscriversi ad una newsletter, accedere ad un contenuto gratuito e altro ancora. Detto questo, come puoi intuire, la lead generation altro non è che l’insieme delle tecniche di marketing che consentono ad un’azienda di generare potenziali contatti; l’obiettivo finale sarà, come è logico aspettarsi, trasformare il contatto in cliente. La modalità con cui è attuato un processo di Lead Generation può essere online (organica o a pagamento) e offline. Nel primo caso il visitatore deve cliccare su un’apposita Call to Action (CTA), che farà atterrare l’utente su una pagina di destinazione (la cosiddetta “landing page”) contenente un form da compilare. L’utente potrebbe esser disposto a diventare lead in cambio del download ad una risorsa gratuita o l’invio di un campione gratuito di prodotto, per citarne solamente alcuni. Nel secondo caso informazioni come email e numero di telefono, saranno registrate di persona; per farti un esempio, pensa al modulo che ti sarà capitato di compilare al supermercato in cambio della fidelity card e al fatto che in seguito avrai ricevuto email sulle offerte presenti nel punto vendita o sconti riservati esclusivamente ai possessori della tessera, senza ricevere nulla in cambio dubito che qualcuno lascerebbe mai le proprie credenziali. Lead generation organica e campagne di advertising Un ruolo cruciale per ogni strategia di web marketing, mirato anche all’acquisizione dei lead è sicuramente il posizionamento sui motori di ricerca, ed in questo ti aiuta la SEO. Se ti stai chiedendo cosa significa questo termine, e come può aiutarti nel processo di lead generation, questo articolo ti sarà utile. In ogni caso, sappi che la SEO riguarda tutto ciò che è l’ottimizzazione e miglioramento del posizionamento di un sito, sia su Google che sugli altri motori di ricerca. Come potrai intuire un sito ben posizionato è maggiormente visitato dagli utenti, e se offre anche contenuti di valore aumenta la probabilità che l’utente si faccia convertire in lead in cambio di informazioni utili. Anche l’implementazione di campagne di advertising a pagamento, ad esempio AdWords, possono risultare molto utili e aiutarti nell’acquisizione di contatti, soprattutto se hai già un’idea del pubblico a cui ti riferisci nella vendita dei tuoi prodotti e/o servizi, e quindi puoi già indirizzarti su un social o piattaforma piuttosto che un’altra. Quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare, l’utente target a volte è un po’ dato per scontato e nella realtà non è poi così raro che alcune campagne impieghino più del previsto a “partire” proprio perchè l’azienda non è completamente consapevole del pubblico maggiormente interessato ai suoi prodotti (pubblicizzare il tuo brand su TikTok solo perchè è utilizzato per il 65% da pubblico femminile, sarà inutile se chi acquista non è più una teenager). Se stai pensando di pianificare una campagna di Advertising su Facebook e Instagram, ti sei posto le giuste domande? Sai gia come raggiungere i tuoi obiettivi e monitorare i risultati? Abbiamo preparato per te un'e-book gratuito da scaricare che ti aiuterà proprio in questo! Clicca qui per scaricare la tua copia. Per concludere… non confondere il fine con il mezzo Spero che questo articolo ti abbia chiarito la differenza fondamentale che esiste fra Inbound Marketing e Lead Generation. Mentre il primo è la strategia di marketing nel suo complesso, ed in quanto tale ha come obiettivo quello di vendere un qualcosa ai clienti, la lead generation rappresenta proprio l’insieme di azioni che permettono all’azienda di acquisire leads e successivamente utilizzarli per la prima parte di Inbound Marketing, consentendo all’impresa di popolare e ampliare nel tempo un proprio database di contatti. Da qui in poi, a seconda della necessità di effettuare un ulteriore lead nurturing al fine di trasportare il cliente verso il fondo del funnel, o se già qualificati di passarli ai sales, la strategia di Inbound potrà prevedere comportamenti diversi. Se sei interessato al mondo del digital e vuoi scoprire i prossimi eventi, clicca qui sotto:
Abbiamo già affrontato come creare una campagna con Facebook Ads, facciamo ora uno step successivo, a cosa ci riferiamo quando parliamo di remarketing? Il remarketing è una strategia che consente di targetizzare la propria campagna su utenti che in precedenza hanno interagito con la nostra realtà su Facebook o Instagram. Ecco due elementi fondamentali quando si parla di remarketing su Facebook e Instagram: Pixel e segmenti di pubblico. Il pixel di Facebook è uno strumento per la raccolta di dati statistici che permette di tenere monitorate le attività che gli utenti svolgono all’interno del sito web e della piattaforma. In parole povere, è una stringa di codice che viene inserita all’interno del sito web e consente lo scambio di dati tra la piattaforma e il sito. Per gestire e tenere organizzati i differenti dati in modo da poterli implementare nelle proprie campagne vengono utilizzati i segmenti di pubblico. Quest’ultimi sono una sorta di recipiente che permettono, previa un’impostazione di criteri messi a disposizione dalla piattaforma, di clusterizzare gli utenti che interagiscono con la propria realtà online. In generale, sono differenti i segmenti di pubblico che permette di creare la piattaforma, ecco per te 3 consigli sull’utilizzo dei segmenti di pubblico in ottica di una campagna di remarketing: Visualizzazione dei video Si possono creare i segmenti di pubblico in base alla tipologia di interazione che ha avuto l’utente con i video gestiti dall’account Facebook e Instagram. Possono essere utilizzati i differenti criteri: hanno visto 10 secondi del video hanno visualizzato il video per intero hanno riprodotto il video per il 25% del totale hanno riprodotto il video per il 50% del totale hanno riprodotto il video per il 75% del totale hanno riprodotto il video per il 95% del totale Possono essere inseriti all’interno dei criteri differenti video differenti e solitamente la strategia viene utilizzata per fare Awareness in merito ad una tipologia di servizio o prodotto. Traffico sul Sito Web In questo caso si possono creare segmenti di pubblico in base a differenti criteri. Il più ampio raggruppa in un segmento di pubblico tutti i visitatori del sito web. Risulta essere molto più efficiente, in ottica di remarketing, inserire come criterio la visualizzazione di pagine specifiche. Possono essere sia sezioni del sito che Landing Page create appositamente per un prodotto o un servizio. Tramite l’utilizzo delle eccezioni si possono escludere coloro che hanno convertito all’interno della Thank you Page per non fare remarketing ai contatti già acquisiti. Infine, è possibile creare segmenti di pubblico in base alla durata della sessione dell’utente all’interno del sito stesso. Per approfondire per quale motivo viene utilizzata una Landing Page, consiglio di leggere il seguente articolo. Cos'è una landing page e quali sono i principali vantaggi Modulo per l’acquisizione dei contatti Questa tipologia di segmento di pubblico è caldamente consigliata se all’interno della propria strategia di advertising è presente una campagna Lead Ads. Una campagna Lead ads è una campagna che permette di creare un’inserzione con all’interno un modulo di acquisizione contatti. Così facendo è possibile intercettare l’utente direttamente all’interno della piattaforma senza farlo uscire dalla stessa. In questo caso, è possibile creare un segmento di pubblico specifico per coloro che hanno aperto il modulo ma non lo hanno inviato. Vi è anche la possibilità di selezionare il criterio in base a tutti coloro che hanno aperto il modulo, in base alla strategia alla base della campagna si potrà scegliere tra i due differenti criteri presenti. In conclusione, i segmenti di pubblico sono un ottimo strumento da integrare alla propria strategia di advertising su Facebook e Instagram. Qualora volessi sfruttare i servizi e le app di facebook per creare campagne B2B di successo, scarica la nostra guida gratuita:
Con il termine Inbound Marketing ci si riferisce ad una metodologia volta ad aiutare le varie imprese nella creazione di relazioni 1:1, che abbiano un impatto duraturo dapprima con quelli che sono semplici utenti (visitatori), ma che successivamente (se siamo stati bravi con la nostra Inbound Strategy) diventeranno potenziali clienti. In questi due post puoi approfondire la metodologia e i vantaggi dell’Inbound Marketing. Qui che entra in gioco il Content Marketing. Come si riesce a creare tale impatto nei visitatori? Offrendo loro contenuti utili: blog, e-mail pagine sul sito web o sui social (ogni social prevede un diverso approccio al contenuto: un blog post non potrà avere l’immediatezza e la snelleza di un tweet) e tante altre ancora. Senza contenuti non ci sarebbe nulla da offrire. Il Content Marketing può essere considerato una parte di strategia dell’Inbound Marketing, poichè riveste un ruolo cruciale nel portare le persone da una fase all’altra della metodologia inbound. Entrando un po' più nello specifico, saprai che la metodologia Inbound si compone di tre fasi che coinvolgono il cliente durante il suo buyer’s journey: consapevolezza, considerazione e decisione (se vuoi approfondire questo argomento, ti consiglio di leggere questo post) A sua volta, il content marketing si occuperà di produrre e distribuire contenuti specifici in ogni fase in cui si trova il potenziale cliente. Tipologie di content marketing all’interno delle fasi del buyer journey Nella fase di awareness, la persona acquista consapevolezza circa il problema che deve risolvere ed inizia ad informarsi sulle possibili soluzioni. In questa fase i contenuti da proporre all’utente mireranno non solo a fargli capire che l’azienda conosce il suo problema, ma saranno finalizzati anche all’acquisizione di una certa autorevolezza sull’argomento e conseguentemente fiducia da parte dello stesso. Ciò avviene elaborando contenuti che, grazie all’utilizzo di specifiche parole chiave, esprimono i sintomi di un certo problema e ne offrono possibili soluzioni. Cosa fondamentale: i contenuti offrono al potenziale cliente informazioni utili; bene quindi utilizzare ad esempio eBook, white paper e video, offrendo sia informazioni sul problema, che possibili soluzioni. Nella fase di considerazione, l’acquirente ha compreso il problema ed ha effettuato ricerche volte a capire quale sia il miglior modo che il mercato offre per risolverlo o affrontarlo. In questo step i tuoi contenuti offriranno informazioni di valore ed entreranno più nello specifico. Buoni quindi post focalizzati su argomenti specifici, demo gratuite in modo da poter sperimentare i suggerimenti offerti continuando a guadagnare la fiducia dell’utente, ed infine inviti a dimostrazioni dal vivo. Ricorda che l’utente sta ancora confrontando le varie opportunità, quindi è importante lasciar lui spazio per altre valutazioni (si tratta ancora di potenziale cliente, egli non è pronto ad acquistare o intraprendere azioni specifiche). Siamo all’ultima fase, quella di decisione. Il prospect ha le idee chiare ed è pronto ad acquistare la soluzione. Questo è il momento perfetto per presentargli altri consigli e soluzioni che risolvano la sua necessità, . Alcune tipologie di contenuto potrebbero essere report di casi studio, che testimoniano la risoluzione di un problema analogo o simile al suo, o ancora le recensioni degli altri clienti. La capacità degli operatori di marketing di segmentare i propri clienti è diventata molto più sofisticata nel corso degli anni. E tu sai impostare una buona strategia di Content Marketing? Clicca qui per scaricare il nostro e-book gratuito ed imparare a segmentare nel modo giusto il tuo target! Due strategie in un unico percorso Questo articolo dovrebbe averti chiarito la differenza tra il concetto di Inbound Marketing e Content Marketing. Oggi le persone non vogliono essere interrotte nel quotidiano da pubblicità prodotto o email spam; quando hanno problema o ricercano la soluzione a qualche cosa la vanno a cercare. La filosofia Inbound si focalizza sul permesso e non sull’intrusione, entra in contatto con i clienti nel momento in cui ne hanno bisogno, e lo fa in modo utile e piacevole. La messa in pratica di un contenuto “helpful”, che sappia rivolgersi nel modo giusto e nel momento giusto all’utente, è un aspetto cruciale, e proprio per questo una giusta content strategy affianca quella di Inbound Marketing e offre il giusto contenuto in ogni fase attraversata. Se sei interessato ad approfondire l'argomento Inbound Marteking, clicca qui sotto:
In questo articolo vi presenterò quelli che per me sono i 7 suggerimenti più utili, dal punto di vista strategico, per ottenere il massimo dalle vostre inserzioni su Facebook: #1 Stimolare la curiosità Tra gli stimoli più forti per l’azione online, vi sono quegli elementi basati sulla curiosità che possono contribuire a catturare l'attenzione del vostro potenziale cliente e spingerlo a leggere i vostri contenuti, guardare un video o interagire con esso. Tipicamente, la curiosità può essere stimolata: Ponendo una domanda che suscita una riflessione Facendo uso di una creatività che attiri l’attenzione Mettendo in discussione il pensiero tradizionale (Pensavate che, e invece..) Ecco un esempio di elemento costitutivo basato sulla curiosità tratto da uno studio di Ahrefs. Se siete dei marketer digitali, sono sicuro che contenuto e immagini come questa scatenerebbero immediatamente in voi quella sete di sapere quanto impiega una pagina web a scalare le prime 10 posizioni della search di Google. #2 Affrontare la sfida, la frustrazione, o le difficoltà Affrontare il problema specifico con il quale il vostro potenziale cliente ha a che fare è un buon modo per far notare il vostro annuncio su Facebook. Questo può essere fatto ponendo domande che suscitano il suo interesse, quali: Frustrazione o sfida: ponete una domanda che si concentra direttamente su un problema specifico. Per esempio, Qual è la tua sfida più grande nell'intraprendere il social media marketing per la tua piccola attività di vendita al dettaglio?” Nel farlo, cercate di essere il più specifici possibile. Difficoltà: Ti senti stanco e non riesci “a far partire il motore” di lunedì mattina? Ecco due esempi di annunci di questo tipo su Facebook, proposti rispettivamente da Hootsuite e LinkedIn. Il primo, quello di Hootsuite, include sia le difficoltà che i momenti di piacere, offrendo uno scorcio di ciò che si può ottenere con lo strumento offerto dalla società stessa. Notate come sono state utilizzate una prova sociale (oltre 16 milioni di professionisti) e una prova gratuita per costruire la fiducia e ridurre il rischio. Il secondo proposto da LinkedIn (sorpresi? anche loro sono qui) si occupa specificamente della difficoltà che i venditori si trovano ad affrontare nell’identificare la persona giusta con cui parlare quando presentano i propri prodotti o servizi. Anche in questo caso, nel testo, sono presenti la prova sociale e i fattori limitatori di rischio. #3 Parlare di benefici e desideri Oltre ad affrontare le frustrazioni, potreste anche voler figurare uno scenario di successo per il vostro pubblico di riferimento. Questo può essere fatto usando parole che si collegano più profondamente con il vostro pubblico, come quindi puoi farcela o perchè lo vuoi o vedrai che.. alla fine di ogni beneficio che riportate nel vostro testo quando parlate dei vostri prodotti. Dal momento che, illustrare i benefici del proprio prodotto o servizio è probabilmente la seconda natura per la maggior parte dei marketer, molte aziende hanno utilizzato questo metodo per far sì che i loro annunci su Facebook vengano notati. Ecco un esempio di annuncio di questo tipo realizzato da Shopmatic. Quello che mi piace di questo annuncio è che include fatti molto specifici relativi al proprio prodotto, come Apri il tuo webstore in meno di 15 minuti. Questo elemento lo rende molto più accattivante per i potenziali clienti. Se sei interessato a conoscere i segreti e le best practices per creare campagne di successo B2B sfruttando i servizi e le app di Facebook, scarica la nostra guida gratuita: #4 Utilizzare affermazioni di credibilità e autorità In un mondo pieno di concorrenza online, è necessario utilizzare la credibilità e l'autorità del proprio prodotto per distinguersi dalla concorrenza. Tenete sempre bene a mente una delle regole cardine della pubblicità: Mostra, non dire”. Usate lo stesso approccio anche nei vostri annunci Facebook evidenziando alcuni dei traguardi raggiunti ma senza esagerare. Questo che vi presento è un buon esempio di annuncio su Facebook basato sull'autorità che sfrutta la credibilità del docente nonché la sua affiliazione al MIT. #5 Suscitare la sorpresa Che cosa si intende per sorpresa? La sorpresa o lo stupore possono scaturire: Svelando informazioni o raccontando storie in grado di produrre una visione o una consapevolezza improvvise. Smentendo una credenza comune presentandola come mito inesatto e irreale. Rivelando qualcosa che nessuno sapeva potesse esistere, fosse disponibile, o addirittura possibile. I momenti di stupore hanno la capacità di rendere il vostro annuncio su Facebook molto più condivisibile, in quanto fanno sì che il vostro pubblico si fermi un momento a riflettere. Ecco un esempio di questa tipologia di annuncio creato da Smartly. Notate come il momento di sorpresa si presenti sotto queste forme: Wow, posso fare trading senza pagare commissioni!” In più, posso ritirarmi da questa piattaforma d'investimento senza alcuna penalità!” #6 Inserire delle Call To Action (CTA) Che azione vorreste che compia il vostro lettore o visitatore dopo aver letto il vostro annuncio? Come potete avere una CTA dal suono naturale da inserire nel testo del vostro annuncio? In tutti gli esempi di cui sopra, potete notare come le CTA per gli annunci Facebook siano molto ben articolate. Ecco un altro esempio fornito da Sanitarium, che include chiaramente una CTA per ottenere il “Like” della propria pagina Facebook. #7 Superare le obiezioni Questo è forse il punto più critico e difficile da applicare, dato che la maggior parte dei marketer, per ovvie ragioni, preferirebbe evitare di inserire aspetti negativi legati ai propri prodotti e servizi nell’ambito dei loro annunci. Tuttavia, il pregio di affrontare le obiezioni nel proprio annuncio risiede nel fatto di rendere la l’offerta più credibile e autentica agli occhi del potenziale consumatore, riducendo le barriere ai click, ai “mi piace”, ai commenti e alle condivisioni. Ecco un esempio proposto da Dominate Media e tratto da Digital Marketer. Contrariamente all'opinione comune, non tutti gli annunci su Facebook devono avere un copy ridotto, come mostrato invece dalla lunghezza del testo di questo annuncio. Vediamo se siete in grado di cogliere quali obiezioni l’inserzione cerca di affrontare. Per concludere Spero che quest'articolo sui 7 fondamenti riguardanti gli annunci su Facebook vi sia stato d’aiuto. Di seguito qualche altro esempio di inserzioni su Facebook di successo. Provate a vedere se riuscite ad identificare quale dei 7 elementi è stato incorporato nel design e nel copy. Scopri come implementare gli strumenti offerti dalla digital transformation nella tua azienda partecipando ai nostri eventi ed entra a far parte della nostra community.
Dopo il successo delle prime due edizioni, il 19, 20, 21 novembre torna “Become a Digital Leader”, questa volta ospite della Fiera di Verona. L’idea di mettere in piedi un evento interamente dedicato ai temi della Digital Transformation nasce proprio dall’esigenza di fornire a Manager e Imprenditori (su questo argomento leggi l'articolo Da digital manager a Chief Digital Officer, perchè devi evolverti) quella knowledge e quegli strumenti indispensabili per rimanere sulla cresta dell’onda in un’epoca di cambiamento esponenziale, che per citare le parole di Peter H. Diamandis, è forse la più straordinaria in cui vivere. La principale difficoltà che si trova infatti oggi ad affrontare la maggior parte delle aziende, è proprio l’incapacità di innovare. Manca di fatto una strategia alla base dei processi aziendali che consenta di gestire in modo funzionale la trasformazione digitale in atto e che oggi rappresenta il driver essenziale di competitività per resistere alle sfide e alla velocità di crociera del mercato. Basti pensare che, secondo alcuni risultati di Forrester, nota società di ricerche di mercato americana, solo il 27% delle aziende attuali ha una Digital Strategy coerente con gli obiettivi di business che sia in grado di generare valore per il cliente. Proprio perché noi di Digital Building Blocks siamo consapevoli che la Digital Transformation (per un approfondimento leggi l'articolo Cos'è la Digital Transformation) diventerà sempre di più un elemento strategico chiave, un’opportunità incredibile per chi vuole diventare l’attore principale del cambiamento, abbiamo deciso di dedicare 3 giornate di formazione, per un totale di 20 ore, ai pilastri del digital e nel farlo abbiamo coinvolto i migliori del settore tra cui nomi importanti come Google e LinkedIn. A “Become a Digital Leader” si affronteranno quegli argomenti la cui conoscenza e padronanza da parte del manager digitale è imprescindibile. Si parlerà di Inbound Marketing & Sales, della Gilda rinascimentale rivisitata in chiave moderna e verticale sul settore del manufacturing, di E-commerce, Software Integration e tanto altro. Ma la vera novità di quest’anno sono i contributi sul mercato cinese in particolare per quanto riguarda le strategie di ingresso e negoziazione verso quella nazione che nel 2049 aspira a diventare la prima potenza al mondo, l’attività di lead generation e di e-commerce, essendo quello cinese, il più sviluppato al mondo (se sei interessato al topic delle opportunità di business in Cina, leggi l'interessante articolo Popolazione Cina 2019: non solo numeri, ma anche opportunità). Il tutto seguendo un approccio strutturato che vede l’alternarsi di tre diverse tipologie di contributi: Knowledge: gli argomenti trattati sono una selezione di quello che dovrebbe rappresentare il bagaglio culturale indispensabile di un manager che vive nell’era digitale Execution: è prevista l’applicazione pratica di quanto illustrato dagli speaker perchè i processi possano essere assimilati dal pubblico prima ancora di essere replicati nel proprio business Case Study: portiamo direttamente sul palco storie di successo di chi ha saputo sfruttare il digital a proprio vantaggio senza venire travolto dall’onda della trasformazione Come nelle precedenti edizioni, anche in questa, ci sarà un party di networking a chiusura della prima giornata del 19 novembre, occasione questa importante per scambiare con gli altri partecipanti, riflessioni a caldo a fine giornata e magari assistere alla nascita di nuove collaborazioni future. Anche gli stessi relatori saranno felici di interagire in prima persona con il pubblico di partecipanti ed approfondire alcune tematiche di maggiore interesse. Molto più che un evento, Become a Digital Leader, è un’esperienza completa di arricchimento professionale, umano e di ampliamento della propria rete di contatti. Esperienza positiva, relatori di qualità, Continuate così, bravi! sono soltanto alcuni dei feedback ricevuti dai partecipanti della scorsa edizione di febbraio a Milano. Se pensi che il cambiamento nella tua realtà sia ormai urgente e necessario, ma non sai da dove iniziare, perchè tutto sembra complicato e incomprensibile, ti aiuteremo a capire come fare. Vieni a scoprire come il 19, 20, 21 novembre alla Fiera di Verona.
Scopriamo insieme quali sono le funzionalità più particolari che un utente di Google Data Studio deve conoscere Per chi ancora non lo sapesse, Google ha lanciato un nuovo strumento di business intelligence chiamato Data Studio nel maggio 2016. È uno strumento di reporting davvero utile che consente la creazione rapida di dashboard potenti e interattive da più origini dati di Google. È un'ottima opzione per le piccole e medie imprese che già utilizzano gli strumenti di Google e che desiderano creare dashboard su misura per avere una visione globale della loro attività. Quali sono le tecniche avanzate da padroneggiare su Data Studio In questo articolo entriamo in dettaglio nell'analisi della piattaforma e vediamo insieme 6 tecniche da padroneggiare per la creazione di report dashboard usando Google Data Studio: lavorare con le pagine, aggiungere e filtrare i dati a livello di pagina, aggiungere filtri di tipo Date Range, aggiungere i filtri di controllo, elementi a livello di Report e a livello di Pagina, creare campi calcolati. Ti invito anche a vedere il webinar gratuito Data Visualization 101: le dashboard per il Management! Clicca qui sotto per accedere al webinar: Lavorare con le pagine su Google Data Studio Le pagine consentono di visualizzare più report in una singola dashboard di Data Studio. Sono utili e semplici da implementare in Data Studio. È possibile utilizzare le pagine per eseguire il drill-down dei dati, iniziando da un foglio di riepilogo generale e passando poi a dettagli più specifici nei fogli successivi. Ci sono due menu per i funzionamenti con le pagine, uno nella barra degli strumenti principale: e uno nel widget di controllo della pagina nell'angolo in alto a sinistra della dashboard: Il menu della barra degli strumenti è più esteso, ma entrambi consentono di navigare tra le pagine e aggiungerne di nuove. Il menu principale della barra degli strumenti consente di duplicare le pagine, una funzione utile se si imposta la prima pagina con gli stili di report, che possono quindi essere facilmente replicati. L'opzione Impostazioni pagina corrente consente di specificare l'origine dati (vedere il punto 2 di seguito) per la pagina e controllare la combinazione di colori di sfondo: Come aggiungere e filtrare i dati a livello di pagina su Google Data Studio Puoi specificare origini dati a livello di pagina, piuttosto che individualmente per ciascun grafico (anche se è perfettamente accettabile). Il vantaggio di questo approccio a livello di pagina è che puoi applicare filtri che verranno quindi implementati su tutti i tuoi grafici in quella pagina. Ad esempio, in questa GIF, aggiungo la mia fonte di dati web e quindi la limito solo ai dati per “iPhone” creando un filtro sulla dimensione Modello dispositivo mobile: Se usi i filtri a livello di pagina, ma poi ti accorgi di voler aggiungere un grafico della scorecard KPI su dati non filtrati, puoi attivare l'opzione Eredita filtri nella parte inferiore delle opzioni del grafico corrente nella barra laterale. Ciò rimuoverà il filtro a livello di pagina solo da quel grafico specifico. La seguente GIF mostra come funziona: Aggiunta di filtri per l'intervallo di date su Google Data Studio Il filtro Intervallo di date si trova nella posizione in alto a destra della barra degli strumenti principale: e l'icona del filtro per l'intervallo di date è quella a forma di calendario. Il filtro Intervallo di date viene aggiunto selezionando quell'icona e trascinando una forma nell'area del rapporto in cui si desidera posizionare il filtro di date. Per impostazione predefinita, il filtro verrà applicato a tutti i grafici, le tabelle e le scorecard della pagina. E se non vuoi quel comportamento? Bene, puoi limitare un filtro in modo che funzioni solo con un singolo grafico o solo con specifici grafici selezionati. Raggruppando gli elementi del grafico insieme al filtro Intervallo di date, evidenziandoli tutti contemporaneamente, il filtro verrà applicato solo a quegli elementi raggruppati: raggruppa gli elementi selezionandoli tutti, quindi facendo clic con il pulsante destro del mouse e selezionando Raggruppa, oppure andando nel menu Disponi e selezionando Raggruppa, oppure premendo Comando + G, ⌘G. La seguente GIF mostra questo processo: Prima di raggruppare gli elementi principali, il filtro data viene applicato a entrambi i grafici. Tuttavia, dopo aver raggruppato il grafico superiore e il filtro data, viene applicato solo a quel grafico superiore: il grafico inferiore rimane invariato anche se il filtro cambia. Aggiungere filtri di controllo su Google Data Studio L'opzione Controllo filtro è l'icona finale del filtro di controllo della barra degli strumenti principale, la seconda delle due icone evidenziate qui: Un controllo filtro è un controllo che consente all'utente di restringere i dati da visualizzare nei grafici nel report. Nell'esempio seguente, ti mostrerò come aggiungere un controllo filtro per la categoria del dispositivo, in modo che un utente possa selezionare tra i dati desktop, tablet e/o mobile nel rapporto. I controlli filtro vengono aggiunti allo stesso modo di un filtro data, selezionando l'icona e trascinando la forma richiesta nel report. Ci sono opzioni di menu Dati e Stile aggiunte alla barra laterale, come segue: I numeri rossi evidenziano alcune delle funzionalità specifiche, in primo luogo nel menu Dati: 1. L'origine dati: puoi modificarla se necessario, ma dovrebbe essere uguale all'impostazione della tua pagina, che è molto probabilmente ciò che desideri. 2. La dimensione del filtro di controllo, ovvero la dimensione che viene presentata all'utente come scelta e restringe i dati mostrati nei grafici e nei report. Nell'esempio è stato scelto Categoria dispositivo, che consentirà a un utente di selezionare dati desktop, tablet e/o mobile nel rapporto. 3. La metrica da visualizzare. Se non si desidera veramente vedere tale elemento nel filtro, lo si può deselezionare. 4. L'ordinamento e il numero di opzioni da visualizzare. In questo caso, le opzioni nel mio controllo filtro verranno ordinate dal più alto al più basso, in base al numero di sessioni: quindi il desktop è in cima perché aveva il maggior numero di sessioni. Nel menu Stili abbiamo: 5. La casella di controllo per rendere espandibile o meno il filtro di controllo. In generale, probabilmente vorrai impostare questo come espandibile a meno che tu non abbia solo un numero molto piccolo di opzioni nel controllo. Le restanti opzioni nel menu Stile sono formattazione per elementi come bordi e sfondi, quindi sentiti libero di esplorare. Come il filtro Intervallo di date, il filtro di controllo viene applicato a tutti gli elementi del grafico in una pagina in base alla stessa origine dati, quindi se si desidera applicare solo agli elementi selezionati, è necessario raggrupparli (guarda l'immagine sopra). Elementi a livello di Report e a livello di Pagina in Google data Studio Per i report con più pagine, qualsiasi elemento nel report può essere impostato come Livello report o Livello pagina. Gli elementi a livello di report sono duplicati su tutte le pagine del report, nella stessa posizione su ciascuna pagina. Quindi questo potrebbe essere usato per intestazioni e piè di pagina, o magari un importante KPI che vuoi mostrare su ogni pagina. Per accedere a questa opzione, fare clic con il tasto destro del mouse sull'elemento che si desidera duplicare tra le pagine e selezionare l'ultima opzione Crea livello di report. Nella seguente GIF, il grafico a punti è duplicato su tutte e 3 le pagine: Da notare: la creazione di un elemento a livello di report fa sì che non sia governato da tutti i filtri presenti in quella pagina. Creare i campi calcolati in Google Data Studio Infine, il suggerimento più tecnico dei sei. È possibile definire nuovi campi di dati da utilizzare nei grafici e nei rapporti. Cosa si intende con questo? È possibile aggiungere nuovi campi al set di dati, che si crea mediante un calcolo personalizzato con campi di dati esistenti. Ti mostrerò due esempi, un semplice esempio e un KPI che è un po' più utile. Innanzitutto, creando un campo calcolato per mostrare la dimensione Media in maiuscolo, piuttosto che il mix di lettere minuscole e formato corretto del valore predefinito. Questo viene fatto applicando una formula di base alla dimensione Media. Ecco come appare la tabella con la dimensione media standard: Guarda come le diverse categorie nella colonna Medium mostrano alcuni valori con maiuscole, altri senza. È disordinato, quindi cerchiamo di dare più ordine ai dati. Sotto l'origine dati nelle impostazioni della pagina, fai clic sull'icona di modifica a destra dell'origine dati: Questo apre il riquadro dei dati, mostrando tutti i campi correnti nel nostro set di dati.È qui che possiamo aggiungere un nuovo campo calcolato, che sarà quindi disponibile per l'uso nei nostri grafici. Fai clic sul piccolo simbolo + in blu sopra l'elenco corrente di campi per aggiungerne uno nuovo: Dai un nome significativo al campo calcolato in modo da poterlo trovare facilmente in seguito: in questo esempio, lascio il campo ID da solo. Inserisco una formula nella casella di input Formula: La formula è: UPPER(Medium) Fai clic su Crea campo sul lato destro e Data Studio aggiungerà questo nuovo campo calcolato al lungo elenco di campi nel set di dati: La piccola fx accanto al nome del tuo campo calcolato indica che il campo è calcolato, basato su una formula; ora questo campo sarà disponibile per l'uso nei grafici. Crea una nuova versione della tabella originale, ma sostituisci Medium con Upper Medium (il nuovo campo calcolato). La nuova tabella sarà simile alla seguente: Sembra molto più coerente, giusto? Questo esempio illustra un campo calcolato di base, anche se esistono altri casi di applicazione più semplici. Notate anche qualcosa di diverso? Ci sono meno voci, perché gli elementi diversi (ad es. Newsletter e newsletter nel nostro originale) sono stati aggregati poiché ora sono identici, come ad es. “NEWSLETTER”. Facciamo un altro esempio di campo calcolato: creiamo un utile KPI che possiamo visualizzare nella nostra dashboard. Vogliamo capire la qualità del traffico proveniente da ciascuna fonte, in termini di quale percentuale effettua una conversione (un'azione specifica che vogliamo che l'utente faccia, ad esempio effettuare un acquisto o iscriversi a una nesletter). Creiamo un nuovo campo calcolato che mostri i completamenti degli obiettivi divisi per il numero di sessioni e lo mostri in percentuale. Seguendo i passaggi precedenti, con la seguente formula, si ottiene: Dopo aver fatto clic su Crea, questa nuova metrica CQI viene aggiunta al nostro elenco di campi nel set di dati: Se sei interessato ad approfondire i campi calcolati puoi anche consultare la documentazione ufficiale di Google al link support.google.com/datastudio/answer/6299685?hl=it&ref_topic=6370331 . Se l'argomento Digytal Analytics ti interessa, visita anche la nostra pagina dedicata facendo clic qui sotto:
Se fai qualcosa – qualsiasi cosa – per ottimizzare il tuo lavoro, prendendo scorciatoie o accrescendo l’« efficienza» di ciò che fai (e della tua vita), finirai per disamorartene. Gli artigiani ci mettono l’anima. (...) I Chief Digital Officer sono degli artigiani che padroneggiano le nuove arti Artigiani Se fai qualcosa – qualsiasi cosa – per ottimizzare il tuo lavoro, prendendo scorciatoie o accrescendo l’« efficienza» di ciò che fai (e della tua vita), finirai per disamorartene. Gli artigiani ci mettono l’anima. Primo, gli artigiani lavorano per ragioni innanzitutto esistenziali, e solo secondariamente finanziarie e commerciali. Le decisioni che prendono sono finanziarie, ma non sono mai solo finanziarie. Secondo, gli artigiani portano nel loro mestiere una qualche forma di «arte»; si tengono alla larga da quasi tutto ciò che ha a che fare con l’industrializzazione; coniugano arte e business. Terzo, nel proprio lavoro mettono un po’ della propria anima. Non sono disposti a vendere un prodotto scadente, e tanto meno di qualità compromessa, perché ne va del loro orgoglio. Infine, hanno dei tabù: ci sono cose che, per quanto redditizie, non saranno mai disposti a fare. Compendiaria res improbitas, virtusque tarda: «il male preferisce la via breve, la virtù quella lunga». Detto altrimenti, prendere scorciatoie non è onesto. Provo a fare un esempio legato alla mia professione. Non è difficile capire che uno scrittore, di fatto, è un artigiano: vendere libri non è la sua motivazione ultima, ma al massimo un obiettivo secondario. E per tutelare la sacralità del prodotto, è assolutamente vietato fare certe cose. Nel 2001 la scrittrice Fay Weldon ricevette un compenso da Bulgari per reclamizzarne il brand inserendo nella trama di un romanzo alcuni riferimenti sui suoi splendidi gioielli. Fece un’esperienza da incubo, e si attirò lo sdegno di tutta la comunità letteraria. Ricordo anche che negli anni ottanta qualcuno provò a distribuire gratuitamente libri, inserendo messaggi pubblicitari all’interno del testo, come fanno le riviste. Fu un fiasco. Il lavoro di scrittura non si presta a essere industrializzato. Se ingaggiassi uno staff di scrittori per farmi «aiutare», il mio lavoro sarebbe più efficiente, ma rimarreste sicuramente delusi dal risultato. Alcuni autori, come Jerzy Kosinski, hanno provato a scrivere libri subappaltandone alcune parti, ma una volta scoperti hanno subito un totale ostracismo. L’opera di questi scrittori-con-subfornitori raramente è sopravvissuta loro. Un’eccezione è costituita da Alexandre Dumas padre, che sembra gestisse una bottega con (quarantacinque) ghost-writers, grazie alla quale riuscì a espandere la propria produzione letteraria, pubblicando ben centocinquanta romanzi e ritrovandosi nella paradossale situazione di leggere alcuni dei suoi stessi libri. Ma, in generale, la produzione di libri (a differenza della vendita) non è espandibile. Dumas si direbbe l’eccezione che conferma la regola. E ora, un’osservazione pratica. Uno dei migliori consigli che io abbia mai ricevuto lo devo a Yossi Vardi, un imprenditore di successo (e felice) con qualche anno più di me, che mi ha raccomandato di fare a meno di assistenti. Il semplice fatto di avere una persona che ci aiuti ci porta a sospendere la nostra naturale azione di filtro, mentre se nessuno ci aiuta siamo costretti a fare solo ciò che ci interessa davvero, e progressivamente tutta la nostra vita viene incanalata in quella direzione (naturalmente quando parlo di assistente non mi riferisco a chi viene assunto per un compito specifico, tipo ordinare le carte, tenere la contabilità o innaffiare le piante, ma solo a quella sorta di angelo custode che dovrebbe tenere sotto controllo tutte le nostre attività). È un approccio di via negativa: noi non desideriamo lavorare di più, ma avere più tempo libero, ed è questo il criterio su cui dobbiamo valutare il nostro «successo». Se abbiamo un assistente finiremo per doverlo assistere a nostra volta, o per dovergli «spiegare» come deve fare le cose, il che ci richiederà uno sforzo mentale superiore a quello che serve per fare quelle stesse cose da soli. Oltre che nella mia attività di scrittore e studioso, ne ho guadagnato da ogni punto di vista: ora ho più libertà e più flessibilità, e sono molto più selettivo nel decidere che cosa fare, mentre i miei colleghi hanno giornate piene di «incontri» inutili e di corrispondenza inutile. Avere un assistente (al di là dello stretto necessario) ci impedisce di metterci l’anima. Se andiamo in Messico, pensiamo alla differenza tra crearci un nostro bagaglio di parole in spagnolo parlando con la gente e usare un traduttore istantaneo portatile. Farci aiutare ci allontana di un altro passo dall’autenticità. Anche gli accademici possono essere artigiani. Lo sono perfino gli economisti che, fraintendendo Adam Smith, dichiarano che gli uomini «puntano a massimizzare» il proprio reddito: essi esprimono gratuitamente queste idee e si vantano di non essere alla vile ricerca del profitto. Non si rendono conto della contraddizione. Nassim Taleb - Rischiare Grosso - 2018 Chi sono i Chief Digital Officer? I Chief Digital Officer sono degli artigiani che padroneggiano le nuove arti: crowdfunding, programmatic advertising, internet of things, 3D printing etc. Non solo perchè ci mettono l’anima, ma anche perchè lo fanno in primis per ragioni esistenziali e solo secondariamente per il beneficio economico che ne hanno. Non potrebbero occuparsi di altro nella loro vita. Non ci sono scorciatoie per farlo. Diventare Chief Digital Officer Non esistono Master o corsi abilitanti. Il loro connubio con un Digital Tailor non è avere un assistente bensì è più simile al rapporto di un giovane jedi con il proprio maestro: un legame tra pari, ma di età ed esperienze diverse, legati da un guanxi indissolubile. La scelta che consigliamo noi è di far parte di una community di pari ed evolvere dal confronto con gli altri, cercando il vostro Digital Tailor. Sei vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, corri insieme a qualcuno. (Proverbio Africano) Clicca qui per conoscere l'esperienza di Alessandro Melegari e scoprire cosa significa essere un Chief Digital Officer!
Dopo aver visto cos’è una landing page oggi vedremo quali sono i 10 migliori strumenti per creare una pagina di destinazione. Sfortunatamente, le pagine di destinazione non si costruiscono da sole, ma la buona notizia è che ci sono molti strumenti utili per rendere il processo più facile per te. Per ogni strumento andremo ad analizzare le caratteristiche principali con relativi punti di forza. Unbounce Questo è sicuramente uno degli strumenti per creare landing page più completi. Il suo servizio ultra-completo è rivolto a programmatori esperti che cercano di risparmiare tempo e agli imprenditori che vogliono creare rapidamente una o più landing page personalizzate a piacere. Unbounce utilizza un'interfaccia drag-and-drop. È uno dei publisher più completi che troverai sul mercato e include numerose funzionalità avanzate per aggiungere opzioni di contatto e personalizzare la tua pagina. Hai anche la possibilità di aggiungere il tuo codice HTML e CSS se ne hai bisogno. Unbounce offre una galleria di modelli reattivi adatti a tutta una serie di settori di attività. LeadPages LeadPages è una soluzione molto richiesta dai creatori di pagine di destinazione per una buona ragione: è uno degli strumenti di landing page più convenienti sul mercato, e offre molte funzionalità e una vasta gamma di template su cui gli imprenditori possono basare le proprie pagine. Funziona utilizzando un'interfaccia drag-and-drop che non richiede conoscenze approfondite di programmazione e consente di aggiungere molti elementi: titoli, immagini, video, moduli, pulsanti, ecc. GetResponse GetResponse è una soluzione di marketing completa che, oltre a un modulo di email marketing, offre anche un creatore di landing page. Il builder GetResponse assume la forma di un'interfaccia drag-and-drop intuitiva ed efficace. Tuttavia, alcune numerose funzionalità sono disponibili solo negli abbonamenti Pro e Max. Instapage Instapage come si può intuire dal nome, si distingue dagli altri strumenti in virtù della velocità e della facilità con cui può essere utilizzato. È un potente software per imprenditori e professionisti del marketing che cercano di costruire landing page in pochi minuti. Utilizzando la stessa interfaccia drag-and-drop, gli utenti possono aggiungere la loro scelta di moduli, titoli, immagini e video. Wishpond Wishpond è un'altra soluzione abbastanza completa con cui è possibile creare (oltre alle landing page) contenuti e pop-up social e aggiungere una serie di funzionalità di marketing automation alle proprie landing page. Con il builder Wishpond, puoi modificare i modelli preselezionati utilizzando un’interfaccia drag-and-drop. Non è completo come Instapage e Unbounce, ma le funzionalità principali ti consentono di creare pagine di destinazione professionali. Ucraft Ucraft va oltre la semplice creazione di landing page offrendo una suite di altri strumenti come un logo maker gratuito, un'opzione di e-commerce, strumenti di progettazione e un'app per articoli. Ucraft utilizza un builder di siti web drag-and-drop facile da usare che non richiede competenze di codifica, webmaster o designer. Tutto ciò che costruisci è ospitato su Google Cloud e ha una velocità di server piuttosto elevata. MailChimp MailChimp è un servizio di email marketing e piattaforma di marketing automation. Oltre alle funzionalità mail offre anche modelli di landing page che sono personalizzabili, quindi puoi aggiungere o rimuovere blocchi di contenuti e modificarli per adattarli all'aspetto del tuo marchio. Gli strumenti di reporting tengono traccia di visitatori, clic, conversioni ed entrate. Hubspot Hubspot è un marchio noto che aiuta le aziende ad automatizzare i loro processi di marketing online fornendo una serie di strumenti, tra cui un generatore di Landing page efficiente e facile da capire. Le pagine di destinazione di Hubspot sono altamente personalizzabili, quindi puoi aggiungere moduli, immagini e altri layout che aiutano il tuo sito. Inoltre la soluzione di marketing e CRM all-in-one offre funzionalità per la gestione dei contatti, la pubblicazione sul tuo blog, creazione di email, ricerca di nuovi lead e altro ancora. Con Hubspot avrai molto di più di un semplice tool per creare Landing Page. Landingi Landingi ti consente di creare e ottimizzare le tue pagine di destinazione personalizzate senza alcuna abilità di programmazione. Landingi offre una vasta selezione di modelli predefiniti e ti fornisce tutti gli strumenti necessari per progettare e personalizzare le tue pagine di destinazione, in modo da poter convertire i visitatori in lead. Landing fornisce un editor drag & drop intuitivo, quindi non hai bisogno di alcuna abilità di codifica per utilizzare correttamente l'editor. Lander Lander è un altro generatore di landing page che ti aiuta a progettare landing page ad alta conversione in pochi minuti. Ha tutte le caratteristiche necessarie per creare pagine di destinazione, tra cui editor di facile utilizzo, strumento di A/B test e moduli di compilazione automatica. Puoi anche accedere a centinaia di modelli di pagine di destinazione già pronti. I modelli presenti in Lander sono ben pensati e progettati per aiutarti a convertire i visitatori in clienti, abbonati e fan appassionati. Ora che sai quali sono i principali tool per creare una landing page, abbiamo creato una guida che ti aiuterà a creare pagine che convertono! Scaricala gratuitamente! Sei interessato all'Inbound Marketing e vuoi saperne di più, non esitare a contattarmi:
Hai deciso di vendere online i tuoi prodotti ma non sai se creare un ecommerce o vendere sui Marketplace come Amazon? Negli articoli precedenti abbiamo affrontato le differenze tra Marketplace e ecommerce e quali sono i Pro e i contro di vendere sui Marketplace. Facciamo adesso un confronto diretto tra queste 2 piattaforme per vendere online e scopriamo insieme perché e quando conviene davvero vendere su Amazon. Iniziamo da un po’ di numeri: Il mondo dei marketplace online, attualmente conta più di 75 portali che gestiscono il 90% del mercato. Se si guarda al valore della merce venduta online, Taobao e Tmall, di proprietà di Alibaba, sono i primi player al mondo, seguiti da Amazon e Ebay (Fonte: DigitalCommerce360). Tra le motivazioni che spingono gli italiani ad acquistare online, troviamo la possibilità di trovare prezzi più vantaggiosi rispetto all’offline, la possibilità di confrontare facilmente i prodotti tra loro, leggere le recensioni degli altri utenti, un servizio clienti sempre performante e la consegna del prodotto in tempi rapidi. Questi fattori, hanno profondamente le abitudini di acquisto: gli acquirenti online possono cercare e trovare tutto ciò che desiderano, quando e dove vogliono e alle migliori condizioni di pagamento e spedizione possibili. Vendere su un proprio ecommerce è impossibile? Se vuoi vendere online con un proprio ecommerce dovrai essere pronto ad affrontare una sfida molto difficile da vincere. Il tuo potenziale cliente è già abituato ad acquistare su Amazon e si aspetta di trovare la stessa esperienza di acquisto su tutti i siti che visita per il suo shopping online Non basta infatti costruire un bel sito e inserire i propri prodotti, chi inizia oggi a lavorare su questo settore deve considerare diversi fattori: l’analisi del mercato e dei competitor Il posizionamento del Brand e del sito web sui motori di ricerca la gestione della fatturazione la gestione del magazzino e delle scorte la gestione dei corrieri e dei costi di spedizione il Customer Service la gestione delle promozioni le campagne advertising l’inbound marketing per la fidelizzazione del cliente In poche parole, se non hai le giuste risorse è davvero difficile riuscire a creare un ecommerce di successo. Ecco perché la scelta migliore, soprattutto all'inizio, ricade su Amazon. Sfrutta il posizionamento di un Marketplace o di un altro sito web già attivo e con un pubblico pronto ad acquistare. Impara a vendere online, a gestire i clienti e le spedizioni, utilizzando una piattaforma molto semplice e con costi di gestione ridotti, rispetto all’investimento che dovresti sostenere per un ecommerce. Vendere su Amazon è facile? Riuscire a vendere davvero su Amazon non è però scontato. I tuoi competitor probabilmente stanno già vendendo su questa piattaforma e la stessa Amazon è il tuo concorrente diretto. Per questo motivo, occorre prima di tutto predisporre una corretta strategia, dotandosi ad esempio degli strumenti giusti per monitorare i prezzi della concorrenza. In caso di brand, è importante farsi supportare da professionisti che possono aiutarti a: configurare correttamente l’account e il catalogo digitale tutelare il brand creare delle schede prodotto corrette e migliorare il posizionamento su Amazon avviare delle campagne advertising su Amazon. Spero di aver chiarito i tuoi dubbi. Per qualsiasi approfondimento o supporto, puoi contattarmi direttamente.
Il Customer Relationship Management (CRM) è l'insieme delle attività, delle strategie e delle tecnologie che le aziende utilizzano per gestire le loro interazioni con i clienti attuali e potenziali. Il CRM aiuta le aziende a costruire una relazione con i loro clienti che, a sua volta, crea fedeltà e soddisfazione del cliente. Dal momento che la fedeltà dei clienti e le entrate sono sono direttamente proporzionali. Al suo centro, uno strumento di CRM crea una semplice interfaccia utente per una raccolta di dati che aiuta le aziende a riconoscere e comunicare con i clienti in modo scalabile. Leslie Ye, redattrice del Sales Blog di HubSpot, descrive un CRM nel modo seguente: Oltre alle informazioni di contatto, i CRM registrano i punti di contatto dei rappresentanti con i loro potenziali clienti potenziali, tra cui e-mail, telefonate, messaggi vocali e riunioni di persona. Alcuni CRM offrono la possibilità di tracciare le fasi dell'affare e le ragioni per le offerte chiuse perse e vinte. Secondo Gartner, il software CRM ammontava a 26,3 miliardi di dollari nel 2015 e prevede che questa cifra continuerà ad aumentare fino al 2018. Al suo centro, la gestione delle relazioni con i clienti è semplice. Tuttavia, può essere implementato in una vasta gamma di metodi: siti web, social media, chiamate telefoniche, chat, e-mail e vari materiali di marketing possono essere tutti integrati in un unica soluzione di CRM avendo un sistema di vendita e marketing scalabile. Qualsiasi azienda trarrà beneficio dal mantenimento di un registro in cui conversazioni, acquisti e materiale di marketing possono essere associati a lead e clienti. Il CRM è necessario, al fine di ottimizzare e rendere competitiva la tua realtà. Anche le piccole imprese e anche i liberi professionisti possono beneficiare dei processi di CRM. I vantaggi del CRM significano non doversi mai preoccupare di dati incompleti. La raccolta e l'organizzazione dei dati dei clienti perseguibili è un lavoro a tempo pieno, e non è molto tollerante nei confronti degli errori. Come tale, investire in uno strumento di alta qualità per la gestione delle relazioni con i clienti CRM è un must per qualsiasi azienda che voglia portare la soddisfazione del cliente ad un livello superiore. Il CRM offre una serie di vantaggi che vi aiuteranno a identificare, comprendere e assistere i vostri clienti, in modo che non dovrete mai preoccuparvi di perdere entrate a causa di dati incompleti. Qui ci sono sei vantaggi del software CRM che può aiutare la vostra azienda a trovare il successo. Il CRM aiuta a trasformare l'azienda in una migliore organizzazione informativa. Più si conoscete i vostri clienti, meglio sarete in grado di fornire loro il tipo di esperienza positiva che ripaga davvero. Tutto ciò che fanno, e ogni interazione che hanno con la vostra organizzazione, deve essere identificato, documentato e registrato. Per fare questo, è necessario andare oltre le note adesive e gli schedari disorganizzati, e iniziare ad utilizzare una tecnologia organizzativa avanzata che non solo può quantificare e classificare accuratamente i dati per un facile riferimento futuro, ma può anche rendere disponibili i dati in tutti i reparti. Grazie al CRM, tutto questo diventa una possibilità, permette di memorizzare una vasta lista di clienti e tutte le informazioni importanti che li riguardano. L'accesso ai loro file è ancora più conveniente di prima, grazie al cloud. Quindi, indipendentemente da chi è che sta aiutando il cliente in questione, avranno gli stessi dati immediatamente disponibili. Questo si traduce in meno tempo sprecato per i clienti e i dipendenti. Elevate la vostra comunicazione con il CRM. Come accennato in precedenza, il CRM consente a qualsiasi dipendente di fornire lo stesso alto livello di servizio, avendo accesso agli stessi dati dei clienti. Dopo tutto, anche se i vostri clienti hanno un unico, principale punto di contatto, c'è una buona probabilità che ad un certo punto quel contatto potrebbe non essere disponibile, e il cliente potrebbe essere costretto a lavorare con qualcuno di nuovo. Quando ciò accade, molti clienti affrontano la prospettiva infelice di dover ricominciare da capo con qualcuno che non capisce le loro preferenze e problemi specifici. Il CRM elimina questa preoccupazione, rendendo le informazioni dettagliate sui clienti comunicabili a chiunque ne abbia bisogno. Come tale, non importa chi è che sta attualmente assistendo il cliente, perché lavoreranno con le stesse informazioni. E dato che il CRM è basato su cloud e accessibile da qualsiasi dispositivo con una connessione internet, i vantaggi della comunicazione del CRM mobile non sono limitati all'ufficio. CRM significa migliorare il servizio clienti. Il vostro tempo è prezioso, ma anche il tempo dei vostri clienti. E, se i vostri clienti dovessero riscontrare un problema da risolvere, saranno infelici, a meno che il problema non possa essere risolto rapidamente. Con CRM, non appena un cliente contatta la vostra azienda, i vostri rappresentanti saranno in grado di recuperare tutte le attività disponibili riguardanti acquisti passati, preferenze e qualsiasi altra cosa che possa aiutarli a trovare una soluzione. In molti casi, i vostri rappresentanti più esperti, armati di informazioni e storia passata, saranno in grado di trovare una soluzione nei primi minuti, grazie ad un database accessibile di potenziali problemi. E, qualora una soluzione non fosse facilmente individuabile, l'inserimento di altri rappresentanti, o addirittura il crowdsourcing per le risposte attraverso i portali per i clienti, è una cosa semplice. Con il CRM, l'assistenza clienti diventa una passeggiata nel parco. Il CRM può aiutare ad automatizzare le attività quotidiane. Completare una vendita non è mai facile come far sì che un cliente accetti di impegnarsi. Insieme ai dettagli di superficie di ogni vendita, ci sono centinaia di piccole attività che devono essere completate affinché tutto funzioni correttamente. I moduli devono essere compilati, i rapporti devono essere inviati, le questioni legali devono essere affrontate - queste faccende accessorie sono un aspetto che richiede tempo ma che è vitale nel processo di vendita. I migliori sistemi di CRM sono progettati per togliere l'onere di molti di questi compiti dalle spalle dei vostri dipendenti, grazie alla magia dell'automazione. Ciò significa che i vostri rappresentanti saranno in grado di concentrare maggiormente i loro sforzi verso la chiusura dei contatti e la risoluzione dei punti critici per i clienti, mentre il sistema CRM automatizzato si occupa dei dettagli. CRM significa maggiore efficienza per i tuoi team di lavoro. La comunicazione memorizzata automaticamente consente di visualizzare e-mail, calendario e dettagli delle chiamate telefoniche in un unico luogo facilmente accessibile. Aggiungete questa caratteristica alla possibilità per più squadre di accedere alle stesse informazioni e la quantità di progressi raggiungibili è semplicemente alle stelle. I team di vendita, marketing e servizio clienti possono condividere informazioni preziose sui clienti per continuare a incanalarli per ottenere il risultato desiderato dalla chiusura di una vendita, la conoscenza di nuovi prodotti o un eccellente servizio clienti. Ogni reparto può ora etichettare il team per ottenere le informazioni giuste per l'individuo giusto. Con questa nuova facilità trovata, i team possono lavorare insieme senza soluzione di continuità per migliorare i profitti. Il CRM di porta ad avere delle Dashboard per migliorare tuoi processi ed a evidenziare quali sono i tuoi colli di bottiglia, all'interno dei tuoi processi d'azienda. I sistemi CRM memorizzano le informazioni in un unico luogo, il che porta a una migliore analisi dei dati nel loro complesso. Facilmente integrabile con diversi strumenti o plugin, è possibile generare report automatici per massimizzare il tempo. Personalizza le visualizzazioni del cruscotto per individuare rapidamente le informazioni necessarie, come le informazioni sui clienti, gli obiettivi di vendita e i report sulle prestazioni per raggiungere le opportunità non sfruttate. Grazie a dati di reporting migliori, è possibile prendere decisioni intraprendenti ed efficaci per raccogliere i frutti della fedeltà dei clienti e della redditività a lungo termine. Scopri come implementare gli strumenti offerti dalla digital transformation nella tua azienda partecipando ai nostri eventi gratuiti ed entra a far parte della nostra community.
L’advertising su LinkedIn risulta essere uno strumento con molte potenzialità e altrettanti limiti: all’interno della piattaforma sono presenti soltanto 7 spazi pubblicitari nei quali possono essere visualizzate le inserzioni ed i post sponsorizzati. Unito alla competizione data dal numero elevato di inserzionisti sulla piattaforma, questa situazione ha generato un aumento del costo per clic (CPC) per quanto riguarda le classiche campagne Display all’interno della piattaforma. Quindi è costoso e non remunerativo fare advertising su LinkedIn? Non è del tutto vero, in primis dipende sempre dall’obiettivo della campagna stessa e quindi sarebbe poco utile fornire una risposta universale alla domanda. Ma oggi vorrei soffermarmi su una tipologia di campagna che permette di ridurre i costi sulla piattaforma: la Campagna InMail Sponsorizzata. La campagna InMail Sponsorizzata permette di mandare un messaggio che raggiunge la Inbox su LinkedIn della tua target audience. Il contenuto del Messaggio InMail sponsorizzato dovrebbe partire dalla presentazione dell’immagine del tuo brand e puntare sulla valorizzazione del Job- to be Done. Andiamo a vedere in maniera più dettagliata i differenti elementi che vanno a comporre il tuo Messaggio InMail Sponsorizzato: Mittente: colui dal quale parte il messaggio InMail Soggetto: non deve superare i 60 caratteri di lunghezza. Summary/Descrizione: è un campo opzionale che appare nella sidebar della pagina dell'anteprima. Puoi usare questo spazio per aggiungere un po' di contesto o per scrivere una nota sul tuo messaggio. Testo della InMail Banner: puoi inserire un'immagine nella parte destra della tua InMail Bottone con call to action Footer proprietario: opzionale, puoi aggiungere i tuoi termini e condizioni e il tuo Unsubscribe link proprietario. Footer standard di LinkedIn: appare in automatico,con unsubscribe Link, per non ricevere più InMail sponsorizzate Chiusura, saluti con la firma e i riferimenti del mittente Soffermandosi sulla Call to Action, si può essere ricondotti a due differenti situazioni: Modulo di acquisizione contatti: permette di non fare uscire l’utente dalla piattaforma e di far sì che possa lasciare il contatto tramite un modulo interattivo creato sulla stessa. Landing Page o Sito Web: reindirizza l’utente su un URL esterno facendolo uscire dalla piattaforma. Il vantaggio della prima situazione è quello di ridurre gli step della user experience e permettere all’utente di convertire non uscendo dalla piattaforma. Tuttavia, sono limitati i contenuti che possono essere visualizzati dall’utente: il copy dell’inserzione e il copy del modulo di acquisizione dei contatti. Nella seconda situazione, il trade-off si gioca proprio su quest’ultimo punto: seppur si fa uscire l’utente dalla piattaforma, lo si fa atterrare su una Landing Page nella quale possono essere gestiti i differenti tipi di contenuto che si vogliono far visualizzare all’utente. I costi di tale campagna sono mediamente più bassi rispetto alle altre tipologie di campagne che vengono attivate sulla piattaforma: il costo per invio del singolo messaggio si aggira sui 0,10€ e si ha quindi la possibilità di raggiungere in maniera più diretta e meno costosa l’utente finale. Vuoi sapere come utilizzare Linkedin per aumentare le tue vendite? Scarica l'e-book gratuito che abbiamo preparato per te e scopri le best practices del Social Selling su questa piattaforma: Per concludere, vi vorrei lasciare un ultimo suggerimento operativo qualora vi si presentasse la seguente situazione: può capitare che, nonostante sia stata fatta la richiesta al mittente di accettare tale ruolo, lo stesso non riceva l’email di conferma su LinkedIn. In tale caso, si rischia di rimanere in una situazione di stallo poiché senza l’accettazione di tale richiesta non può essere inserito il mittente e quindi fatta partire la campagna. Per risolvere tale situazione basta girare al mittente tale link e chiederli di flaggare in on la richiesta inviata: https://www.linkedin.com/ad-beta/accounts?destination=sponsored-inmail-sender-permissions Che cosa aspettate a creare la vostra prima campagna InMail Sponsorizzata?
Facebook ADS è il programma per generare inserzioni pubblicitarie sulla piattaforma e permettere ad aziende e business di portare traffico sui propri contenuti e siti web. Con il termine in questione intendiamo quindi tutte quelle attività tecniche capaci di programmare delle campagne di sponsorizzazione a pagamento in base alla diverse esigenze ed obiettivi da raggiungere. Poiché al giorno d'oggi la visibilità organica su piattaforma Facebook/Instagram è in continuo calo, sfruttare le Facebook Ads può portare grande notorietà e risultati al tuo brand anche con piccoli budget. Nel corso dell'articolo vedremo come funzionano e quali sono i benefici di questo strumento. In un primo momento la più grande difficoltà per chi inizia a fare pubblicità su Facebook è capire quale risulta essere la soluzione più adatta. La prima cosa da fare quando si crea una campagna è selezionare l'obiettivo: Facebook mette a disposizione diversi obiettivi di tipo Notorietà, Considerazione e Conversione in base alle proprie esigenze in quanto attività differenti andranno a generare frutti diversi. Ci sono tante buone ragioni per iniziare ad utilizzare Facebook Ads, ma la principale risulta sicuramente essere la possibilità di andare a targettizzare con estrema precisione la audience di riferimento. Tra i tanti criteri con la quale andare a profilare il nostro pubblico troviamo: Location Età Genere Lingua Interessi Comportamenti Connessioni Scopri subito come sfruttare la famiglia di app e servizi di Facebook per creare campagne B2B di successo scaricando il nostro ebook gratuito! Clicca qui per scaricare la tua copia! Ipotizziamo per esempio di organizzare un evento per Startupper e giovani imprenditori: avremo la possibilità di segmentare nel dettaglio il pubblico di interesse e ottenere una stima della audience stimata. Una volta stabilito il pubblico di interesse, sarà necessario andare a stabilire il budget (giornaliero o totale) ed il periodo di schedulazione della campagna, che potrà essere un periodo stabilito (come per esempio per la durata di un concorso) o senza una data di scadenza definita. Una volta definito il targeting, l'ultimo step sarà quello di creare le inserzioni che appariranno direttamente agli utenti intercettati. Facebook mette a disposizione diversi posizionamenti dove far apparire le nostre Ads sponsorizzate. Sarà possibile scegliere Modifica posizionamenti per escludere determinati posizionamenti, in caso contrario la scelta di default sarà Posizionamenti Automatici. Immagini Per creare un'esperienza migliore per pubblico e inserzionisti, le inserzioni che vengono pubblicate su Facebook, Instagram e Audience Network sono sottoposte a un processo di analisi che esamina la quantità di testo presente nell'immagine usata nell'inserzione. Sulla base di questa analisi, le inserzioni con quantità di testo dell'immagine superiori potrebbero non essere mostrate. Carosello Il formato carosello ti consente di mostrare due o più immagini e/o video, titoli e link o call to action in un'unica inserzione. Chiunque veda la tua inserzione può scorrere le unità carosello passando il dito su cellulari o tablet o cliccando sulle frecce sullo schermo di un computer. Il formato carosello è ideale per diverse aziende ed esigenze. Gli inserzionisti hanno usato questo formato per servizi immobiliari, offerte di manutenzione, eventi e altro ancora. Raccolta Il formato Raccolta include un'esperienza interattiva e consente alle persone di scoprire, visualizzare e acquistare con più facilità prodotti e servizi dal proprio cellulare tramite un'esperienza visiva e immersiva. La tua inserzione nel feed mostrerà quattro prodotti sotto un'immagine banner o video che si apre in un'esperienza interattiva a schermo intero quando qualcuno interagisce con la tua inserzione. Esperienza interattiva Un'esperienza interattiva è un'esperienza a schermo intero che si apre dopo che una persona clicca sulla tua inserzione su un dispositivo mobile. Crea un'esperienza interattiva per evidenziare visivamente il tuo brand o i tuoi prodotti e servizi. Video e slideshow Le inserzioni video ti permettono di mostrare il tuo prodotto, servizio o brand con un video. Puoi creare inserzioni video in Gestione inserzioni o mettere in evidenza un post contenente un video da una Pagina Facebook. Le inserzioni video sono pubblicate su Facebook, Instagram, Audience Network e Messenger. Cataloghi Un catalogo contiene le informazioni del tuo inventario, ad esempio immagini, prezzi, descrizioni e tanto altro. A seconda del tipo di inventario, puoi creare diversi tipi di catalogo. Stories Stories è un formato delle creatività immersivo che consente alle persone su Facebook, Instagram e Messenger di vedere e condividere momenti della vita di tutti i giorni tramite foto e video che non sono più visibili (se non vengono salvati) dopo 24 ore. WhatsApp ha una funzione simile chiamata Stato di WhatsApp. Stories può essere migliorato con strumenti creativi divertenti come gli adesivi, le emoji e le GIF, nonché con effetti della fotocamera integrati come Boomerang e Hyperlapse. Se hai dubbi o vuoi approfondire questo argomento scrivimi o prenota una call con un nostro consulente.
Al giorno d’oggi sempre più aziende decidono sfruttare le potenzialità del digitale per allargare la propria rete di vendita online, trovandosi inizialmente di fronte ad una scelta ben definita: Marketplace o E-commerce? Nonostante entrambi i modelli siano ovviamente utilizzati per raggiungere obiettivi di business online, ci sono alcune sostanziali differenze da tenere in considerazione tra queste due modalità. Un marketplace risulta essere una piattaforma online che abilita rivenditori di terze parti a vendere i propri prodotti direttamente ai consumatori, svolgendo dunque una funzione di intermediazione commerciale. Il proprietario del marketplace dunque non sarà in possesso dell’inventario nè fatturerà direttamente al cliente finale. E’ una piattaforma rivolta sia buyers che ai sellers: quest’ultimi avranno dunque la possibilità di aprire un proprio store online senza avere necessariamente un proprio sito web. Al contrario, un sito e-commerce viene gestito da una sola entità commerciale, ovvero un solo venditore: questo potrà essere sia punto vendita di un singolo produttore (come un negozio monomarca) sia essere rivenditore di prodotti di più fornitori (generalmente specifici di un particolare settore o categoria). L’inventario è di proprietà del owner, che in questo caso fatturerà direttamente al cliente pagando dunque la tassa sul valore aggiunto. Sui siti e-commerce, non c’è la possibilità di registrarsi come seller e sono customer-centric. Come vedremo nel corso dell’articolo, vendere online comporta una serie di benefici e vantaggi tra cui: Allargare l’area geografica in cui è possibile raggiungere clienti; Abbattere i costi di gestione derivanti da un negozio fisico; Svalutazione ridotta dei prodotti invenduti e alto grado di rivendibilità; Disponibilità per i consumatori di acquistare 24 ore su 24, evitando dunque perdite di tempo; Una maggiore varietà di prodotti e articoli per gli utenti, anche di nicchia; Sfruttare strategie di marketing online. Ecco in seguito alcune differenze significative da tenere in considerazione quando bisogna decidere quale canale utilizzare: Marketing e Targeting E’ molto importante avere in mente una precisa strategia al fine di raggiungere e profilare il pubblico stabilito: mentre per gli e-commerce bisogna focalizzare il target sui buyers, nei marketplace bisogna tenere in considerazione anche i sellers. Poichè sui Marketplace quest’ultimi risultano essere molteplici, pubblicizzeranno l’esistenza del proprio store generando indirettamente awareness per la piattaforma stessa. Più i buyers saranno felici dei propri acquisti, più diffonderanno l’autorevolezza della piattaforma stessa. Negli e-commerce i proprietari del sito dovranno invece spendere di più per dirigere traffico verso la propria pagina. Scalabilità Un Marketplace non compra o vende alcun prodotto, quindi può essere considerato finanziariamente meno rischioso dei siti web e-commerce, che deve costantemente investire in stock che potrebbe richiedere anche molto tempo per essere venduto. I marketplace godono di economie di scala più facilmente, espandendosi dunque con velocità superiore rispetto agli e-commerce. Quando il traffico cresce molto velocemente, potrebbe essere necessario ingaggiare nuovi merchant per andare incontro alla domanda, senza però preoccuparsi di investire nell’inventario. Tempo e Soldi Per costruire un tuo sito web e-commerce sarà necessario investire risorse per il set-up e la manutenzione di questo; nei marketplace invece sarà possibile vendere i propri prodotti senza ingenti spese. Ne consegue, che i siti e-commerce impiegano tipicamente più tempo per raggiungere il break-even point, ma funzionano bene per prodotti e clientele di nicchia con le quali si può instaurare un rapporto di fidelizzazione. Volumi di Vendita Nei marketplace, a causa della fee riservata alla piattaforma, i margini per ogni vendita sono ovviamente inferiori rispetto a quelli derivanti da e-commerce proprietario. Ne consegue, che sui marketplace risulta necessario focalizzarsi su un grandi volumi di prodotti venduti: è una pura vendita a performance. Coinvolgere il Pubblico Portare traffico e aumentare l’engagement risulta operazione necessaria per qualsiasi business online. I marketplace sono sempre stati transaction-oriented e l’obiettivo è quello dunque di far matchare rivenditori e compratori, focalizzandosi su un effetto di network: maggiori buyers attraggono maggiori venditori e viceversa. Crescere invece l’audience per quanto riguarda i siti e-commerce risulta essere più difficile e costoso, specialmente al momento del lancio. Piattaforme come i social media possono essere di grande aiuto. Fai clic qui per scaricare la nostra guida gratuita per scoprire 5 strategie che ti aiuteranno ad essere più competitivo nelle tue vendite online, senza abbassare il prezzo o ridurre i tuoi margini! Nonostante i siti e-commerce proprietari risultino essere indispensabili in una strategia di lungo periodo, i Marketplace risultano essere una soluzione consigliata a cui vuole affacciarsi al mondo delle vendite online per la prima volta. Se hai dubbi o vuoi approfondire questo argomento scrivimi o prenota una call con un nostro consulente.
Letteralmente il termine workflow significa “flusso di lavoro”: un insieme di azioni, task, eventi e interazioni che costituiscono un processo lavorativo, coinvolgono due o più persone e creano o forniscono valore aggiunto alle attività aziendali. Questa definizione sembra troppo astratta? Ci riprovo con parole più semplici: con workflow ci si riferisce a una serie di azioni, che avvengono in sequenza, scaturite a partire da un trigger iniziale (ovvero, che avvengono a seguito dell’avvenimento di un evento precedentemente stabilito). Oggi voglio parlarti dell’importanza che ricoprono i flussi di lavoro nelle attività di marketing (e non) di un’azienda e di come sfruttarli al meglio. La marketing automation: time is money Con il termine marketing automation ci si riferisce a un software che permette di automatizzare le attività ripetitive di marketing, che fanno parte dei processi di demand generation di un’azienda. In poche parole, un software di marketing automation è in grado di registrare le attività svolte dall’utente, dal momento in cui questo entra in contatto con la nostra azienda (solitamente tramite la compilazione di un form), e di renderle visibili nella timeline delle attività del contatto in questione. Perché è importante automatizzare le attività di marketing? Automatizzare le attività di marketing, soprattutto le più semplici e ripetitive, è estremamente importante, in quanto permette di: risparmiare tempo, che non verrà più dedicato all’operatività, ma alla definizione della strategia e dei processi interni, volti a far crescere veramente il tuo business; ridurre il margine di errore sulle singole attività: dal momento in cui il lavoro viene impostato dall’uomo e svolto da un software, è meno probabile, se non impossibile, che avvengano errori; ottenere nuovi insight di valore. Quale miglior strumento dei workflow per fare automation e marketing automation? Come funziona un workflow e quali sono le sue potenzialità? Come detto precedentemente, un workflow, o flusso di lavoro, può essere descritto come una serie di azioni che avvengono in sequenza, a seguito dell’avvenimento di un’azione specifica definita a priori. Se usati con buon senso e intelligenza, i workflow possono davvero farci risparmiare moltissimo tempo, e salvarci dalla possibilità di dimenticare di svolgere o assegnare compiti a terze persone. Hai mai pensato, ad esempio, a quando ricevi mille email di invito a un evento o, dopo la partecipazione a un evento, a quando ricevi le email di follow up? Ecco, spesso e volentieri, dietro all’invio di queste email non c’è una persona fisica, ma un bellissimo workflow. I software di Marketing Automation sono costituiti da un insieme di strumenti che automatizzano attività ripetute eseguite da professionisti del marketing. Sai gia qual è la piattaforma di Marketing Automation perfetta per te? preparato un e-book gratuito da scaricare che ti aiuterà nella scelta, scaricalo qui! Uno strumento per mille utilizzi Vediamo adesso alcuni esempi specifici di impostazione e potenzialità di un workflow: workflow per invitare i contatti a un evento: è possibile impostare workflow per invitare una cerchia di contatti (o tutto il database, in base alle esigenze) a un evento. A seguito dell’invio della prima email di invito, sulla base delle iscrizioni all’evento e sull’apertura o meno delle email, è possibile scegliere quando e a chi inviare nuovamente un’email di invito; workflow per la gestione del follow up: dopo lo svolgimento di un evento, è importante non abbandonare gli utenti, ma continuare a fare nurturing sui partecipanti e a coccolarli, per accompagnarli lungo il percorso verso la conversione. È possibile, ad esempio, inviare email con contenuti premium scaricabili e informazioni aggiuntive, differenziandole per gli utenti che si sono iscritti all’evento e hanno partecipato e per gli utenti iscritti, ma che non hanno potuto partecipare; workflow incentrati su una data: è possibile programmare l’invio di email automatiche, basate su una determinata data. Ad esempio, questa funzionalità è utile per comunicare ai contatti che ci seguono l’inizio dei saldi, il lancio di un nuovo prodotto o di una promozione. Oppure, si può impostare un workflow incentrato su una data e una proprietà: è questo il caso delle email e dei messaggi di auguri che riceviamo da Trenitalia il giorno del nostro compleanno; workflow per l’assegnazione di proprietà: sulla base di un trigger di attivazione, scelto e impostato secondo le nostre esigenze, è possibile assegnare o modificare le proprietà dei nostri contatti; workflow per l’invio di email interne: questo strumento è utile anche per inviare email interne ai nostri collaboratori, ad esempio per informarli sulle attività svolte dai contatti; workflow per l’assegnazione di task: sulla base delle azioni svolte dagli utenti, possiamo assegnare task ai nostri collaboratori. Ad esempio, se un contatto compila un form per essere contattato dal responsabile vendite, possiamo impostare il workflow in modo che, a seguito della compilazione del form, venga assegnato un task al responsabile vendite; workflow per la creazione di deal sulla pipeline: è possibile fare in modo che, a seguito di un’azione specifica svolta dall’utente, si generi un deal nella pipeline, in modo da tenere traccia del percorso dell’utente dopo essere entrato in contatto con il team delle vendite. Sei ancora sicuro di potere, o meglio, volere gestire i processi interni e le attività di marketing senza automatizzarli? Vuoi sapere come impostare un workflow davvero efficace?
Quali sono i principali tool sul mercato per l'elaborazione e la visualizzazione dei dati, e quali sono le principali caratteristiche di questi tool. Dopo aver visto come scegliere un tool per la Data Visualization passiamo in rassegna una selezione dei 30 migliori strumenti di visualizzazione dei dati nel 2019, con le recensioni che coprono le loro principali funzionalità. Li abbiamo divisi in due categorie principali: strumenti che non richiedono alcuna programmazione e strumenti solo per gli sviluppatori. In queste due categorie, gli strumenti di visualizzazione dei dati sono anche classificati in base alla loro specializzazione. Alcuni strumenti come Tableau sono molto potenti e puoi creare una varietà di grafici con esso, alcuni strumenti come Infogram sono famosi per creare infografiche e alcuni strumenti si concentrano sulla presentazione di mappe interattive come Gephi. L'elenco dei tool di visualizzazione dei dati da conoscere assolutamente Tool di Data Visualization che non richiedono programmazione: RawGraphs ChartBlocks Tableau Power BI QlikView Datawrapper Visme Grow iCharts Infogram Visual.ly InstantAtlas Gephi Wolfram|Alpha Tool di Data Visualization per sviluppatori: ECharts D3.js Plot.ly Chart.js Google Charts Ember Charts Chartist.js Highcharts FusionCharts ZingChart Prima di approfondire l'argomento, ti invito a vedere questo webinar gratuito, riguardo Data Visualization 101: le dashboard per il Management. RAWGraphs RAWGraphs è uno strumento web open-source e un framework di visualizzazione dei dati. Mira a fornire un collegamento mancante tra le applicazioni del foglio di calcolo (ad esempio Microsoft Excel e Apple Numbers) e gli editor di grafica vettoriale (ad esempio Adobe Illustrator e Sketch). Puoi semplicemente inserire i tuoi dati in RAWGraphs e personalizzare i tuoi grafici ed esportarli come immagini vettoriali (SVG) o raster (PNG). Inoltre, i dati caricati su RAW verranno elaborati solo dal browser Web, garantendo la sicurezza dei dati. ChartBlocks ChartBlocks è un semplice strumento di creazione di grafici online e la procedura guidata per l'importazione dei dati può guidarti passo-passo per mostrarti come importare i dati e progettare i grafici. A differenza di RAWGraphs, puoi condividere facilmente i tuoi grafici sui social media. È anche possibile esportare grafici come grafica vettoriale modificabile o incorporare grafici in siti Web con l'account personale gratuito. Sono inoltre offerti account professionali e account elite. Tableau Tableau è lo strumento di visualizzazione dei dati più famoso in tutto il mondo, che consente alle persone di trasformare i dati in una visualizzazione efficace (grafici, grafici e persino mappe). Tableau è una piattaforma di analisi molto potente, sicura e flessibile, e puoi semplicemente trascinare i dati in Tableau e rappresentarli graficamente con i tuoi colleghi. È inoltre possibile visualizzare report generati tramite desktop, browser, dispositivi mobili o incorporati in qualsiasi applicazione. Power BI Power BI è una suite di strumenti di analisi aziendale sviluppata da Microsoft e quindi ben integrata con Microsoft Office. Gli utenti possono importare qualsiasi dato come file, cartelle e database e visualizzare i dati ovunque tramite software, editor Web online e app mobili. Power BI è gratuito per i singoli utenti e addebita solo $ 9,9 per ogni utente del team al mese. Chiunque nel team può analizzare i dati e prendere decisioni in qualsiasi momento. QlikView Lo strumento QlikView è uno strumento di business intelligence che si concentra principalmente sugli utenti aziendali nelle organizzazioni e gli utenti possono facilmente analizzare i loro dati e utilizzare le funzionalità di analisi e reporting aziendale di QlikView per supportare il processo decisionale. QlikView fornisce anche un'edizione personale in modo che i singoli utenti possano apprezzarne le potenti funzionalità. È sufficiente digitare le parole chiave da cercare all'interno del set di dati e QlikView può aiutarti a trovare informazioni e associazioni di dati inaspettate. Datawrapper Datawrapper è uno strumento online facile da usare per creare grafici o mappe completamente reattivi, rivolto principalmente a giornalisti e altri creatori di contenuti. Con Datawrapper, i giornalisti possono creare ricchi grafici per attirare l'attenzione dei lettori e illustrarne meglio il contenuto. Inoltre, è creato da una squadra di giornalisti, e quindi offrono molti articoli divertenti che ti dicono come creare i migliori grafici e storie a supporto dei grafici nel loro blog. Visme Visme fornisce un'enorme quantità di foto, icone, modelli e caratteri per consentire agli utenti di creare presentazioni, grafici e report. I grafici dei social media (ad esempio Instagram, LinkedIn, YouTube) possono essere creati in 3 passaggi con immagini dinamiche e dati in tempo reale. Con Visme, puoi visualizzare e presentare i tuoi contenuti in qualsiasi momento da qualsiasi luogo su qualsiasi dispositivo. Inoltre, Visme offre sconti per aziende che operano nei settori dell'istruzione e non profit. Grow Grow è uno strumento di business intelligence solo per utenti business. Con Grow, tutti in azienda possono tenere traccia di dati significativi e creare le proprie dashboard specifiche per prendere decisioni informate, supportando oltre 150 integrazioni. Grow afferma che offre la possibilità di analizzare 8 volte più velocemente dei concorrenti con un processo continuo e oltre 300 report predefiniti; gli aggiornamenti dei dati in tempo reale sono supportati anche a fini commerciali. iCharts iCharts è uno strumento di reporting di Business Intelligence per gli utenti NetSuite e Google Cloud. iCharts può analizzare i dati e aggiornare automaticamente i report settimanali aggiungendo iCharts BI alla dashboard NetSuite. Per gli utenti di Google Cloud, iCharts offre un'interfaccia intuitiva e la possibilità di eseguire il drill dei dati con modalità drag-and-drop. Infogram Infogram ti consente di creare infografiche, grafici e mappe con molti modelli gratuiti che puoi scaricare o incorporare in siti Web. Tutti questi processi potrebbero essere eseguiti nel browser Web con facilità. Infogram è molto potente e popolare e gli utenti hanno creato oltre 1,5 miliardi di visualizzazioni quali grafici, report e infografiche. Fatta eccezione per il piano di base gratuito, offre anche il piano professionale, il piano business e così via. Visual.ly Con Visual.ly, puoi facilmente creare infografiche, video, report ed ebook per le tue campagne di marketing. Ci sono un sacco di infografiche da cui trarre ispirazione e infografiche caricate dagli utenti in Visual.ly, e puoi avere le tue infographiche dei social network generatieautomaticamente tramite Visual.ly, che è molto popolare tra gli utenti attivi dei social network. InstantAtlas InstantAtlas è un SaaS che fornisce report visivi con servizi di supporto professionali. Consente agli analisti e ai ricercatori di informazioni di creare report con mappe dinamiche interattive che combinano dati statistici e cartografici per ottimizzare la visualizzazione dei dati. Gephi Gephi è il principale software di visualizzazione ed esplorazione open source per tutti i tipi di grafici e reti. Gephi elabora i dati relazionali: ad esempio, nei social media come Twitter, chi segue chi; nelle elezioni, chi ha votato per chi; in un'organizzazione, che ha una relazione di cooperazione con chi. Wolfram|Alpha Wolfram | Alpha è noto come motore di conoscenza computazionale: esegue calcoli dinamici e restituisce il grafico visivo pertinente. Wolfram | Alpha è basato su Mathematica, che gestisce le operazioni e l'elaborazione dei dati sottostanti in background. Mathematica supporta calcoli geometrici, numerici e simbolici e ha potenti visualizzazioni grafiche di grafica scientifica e matematica. Pertanto, Wolfram | Alpha può rispondere a un'ampia varietà di problemi matematici e presentare le risposte all'utente in grafici chiari e visivamente accattivanti. È inoltre possibile eseguire l'aggiornamento a Wolfram | Alpha Pro e caricare i dati e le immagini per l'analisi. ECharts ECharts, originariamente abbreviazione di Enterprise Charts, è una libreria di visualizzazione open-source implementata in JavaScript. Molte funzionalità innovative come la ricomposizione dei dati tramite drag-and-drop, visualizzazione dati, roaming del dominio e altre funzionalità migliorano notevolmente l'esperienza utente, offrendo agli utenti la possibilità di estrarre e integrare i dati. D3.js D3.js è una libreria JavaScript open source per la manipolazione di documenti basati su dati, utilizzando HTML, CSS e SVG ed è considerata la principale soluzione tra i framework di visualizzazione JavaScript. Iniziare a imparare D3.js è complicato, ma D3.js è davvero potente e flessibile e vale la pena di conoscere profondamente lo strumento. Ricorda che D3.js non può visualizzare grafici nelle versioni precedenti del browser IE. Plot.ly Plotly è un framework di visualizzazione dei dati ben noto e potente che visualizza le informazioni costruendo grafici interattivi basati su browser Web, creando dozzine di bellissimi grafici e mappe. Offre alcuni grafici che non è possibile trovare nella maggior parte dei pacchetti, come grafici di contorno, grafici a candele e grafici 3D. Il team di Plotly gestisce le librerie di visualizzazione open source in più rapida crescita per R, Python e JavaScript. Offrono anche moderne e ricche app di analisi in Python per l'Enterprise. Chart.js Chart.js è una libreria di grafici JavaScript open source per designer e sviluppatori, che fornisce 8 visualizzazioni dinamiche personalizzabili per i tuoi dati. La qualità più distintiva di chart.js è che può disegnare grafici molto reattivi usando Canvas HTML5. Chart.js ti consente di combinare diversi tipi di grafici e quindi di tracciare date, logaritmi o dati su scale personalizzate. È inoltre possibile applicare l'animazione fuori frame quando si modificano i dati o si aggiornano i colori. Google Charts Google sviluppa anche la sua libreria di creazione di JavaScript. Google stesso utilizza gli stessi strumenti grafici e lo fornisce il tool agli sviluppatori in modo completamente gratuito con la garanzia di una retrocompatibilità di tre anni. Con il semplice JavaScript incorporato nella tua pagina web, puoi scegliere tra una varietà di modelli di grafici e personalizzarli per creare i tuoi grafici interattivi. Ember Charts Ember Charts è una libreria di grafici open source creata con i framework Ember.js e d3.js ed è molto semplice da estendere. Ember Charts disegna principalmente diagrammi delle serie temporali, istogrammi, grafici a torta e grafici a dispersione. Insieme al team di sviluppo Ember.js, Ember Charts si concentra sull'interattività grafica. Ha una capacità di gestione degli errori molto forte e il sistema non si arresta in modo anomalo quando si incontrano dati errati. Chartist.js Chartist.js è il prodotto di una comunità che è rimasta delusa dalle possibilità offerte da altre librerie di grafici. Chartist.js è open-source, semplice da usare, e puoi usarlo per creare grafici responsive altamente personalizzabili. Highcharts Highcharts è una libreria di grafici open source scritta in JavaScript che semplifica l'aggiunta di grafici interattivi a siti Web o applicazioni Web ed è disponibile gratuitamente per l'apprendimento personale, i siti Web personali e l'utilizzo non commerciale. Inoltre, Highcharts è più compatibile di D3.js e può essere utilizzato su tutti i dispositivi mobili e browser del tuo computer, utilizzando SVG nei browser moderni e VML nelle versioni inferiori del browser IE per il disegno grafico. Se si desidera eseguire Highcharts su un sito Web commerciale o governativo, su una rete Intranet o su un progetto, è necessario acquistare licenze insieme all'assistenza premium. FusionCharts FusionCharts fornisce servizi a pagamento con una potente libreria di grafici JavaScript e supporto tecnico diretto. FusionCharts può ridurre l'onere per gli sviluppatori generando splendidi grafici e mappe attraverso visualizzazioni di dati interattivi, e le sue integrazioni sono disponibili anche per tutti gli stack tecnologici più popolari. ZingChart ZingChart è una libreria di grafici a pagamento implementata in JavaScript principalmente per SaaS e aziende. Fornisce grafici di grandi dimensioni che possono elaborare 100.000 punti dati in meno di 1 secondo. Sono supportati anche grafici reattivi e interattivi che si adattano a qualsiasi dimensione del dispositivo. Un singolo utente può utilizzare la versione gratuita di ZingChart mentre la filigrana deve essere visibile su tutti i grafici in ogni momento. Leaflet Leaflet è la principale libreria JavaScript open source per mappe interattive ottimizzate per dispositivi mobili. Sebbene Leaflet sia semplice nel design e facile da usare, è piccolo e completo, gli effetti e le funzioni che si possono ottenere non vengono persi in altri complicati frame di mappe front-end. Funziona in modo efficiente su tutte le principali piattaforme desktop e mobili e può essere esteso con molti plugin. OpenLayers OpenLayers è una libreria JavaScript lato client open-source per la creazione di mappe web interattive e queste mappe possono essere visualizzate in quasi tutti i browser. OpenLayers non richiede uno speciale software lato server o alcuna configurazione e può essere utilizzato senza scaricare nulla. Essendo uno dei motori di mappe più utilizzati nel settore, OpenLayers è stato adottato dai maggiori distributori GIS e dalla maggior parte degli sviluppatori di Web GIS. Kartograph Kartograph è un framework semplice e leggero per la creazione di applicazioni di mappe interattive senza Google Maps o altri servizi di mappatura. È stato creato pensando alle esigenze di designer e giornalisti di dati. Kartograph è composto da due librerie: Kartograph.py, una potente libreria Python, genera mappe SVG belle e compatte; Kartograph.js, invece, è una libreria JavaScript ti aiuta a creare mappe interattive che funzionano su tutti i principali browser. CARTO CARTO (precedentemente CartoDB) è una piattaforma open source, potente e intuitiva per la scoperta e l'analisi automatica dei dati di localizzazione. Con CARTO, puoi caricare i tuoi dati geospaziali e visualizzarli in un set di dati o su una mappa interattiva. CARTO può essere installato sul proprio server e vengono offerti servizi hosted e software per Enterprise. Sigma Sigma è una libreria JavaScript di visualizzazione interattiva dedicata al disegno grafico. Una volta che usi Sigma, non ti sentirai mai annoiato con il grafico a linee. Sigma ha lo scopo di aiutarti a visualizzare le reti sulle pagine web, da semplici pubblicazioni interattive di reti a ricche applicazioni Web con esplorazione dinamica della rete, e quindi è molto utile nella visualizzazione di reti di dati di grandi dimensioni. Se esporti un grafico da Gephi, puoi visualizzarlo sulle pagine web usando Sigma. dygraphs Dygraphs è una libreria di grafici JavaScript open source veloce e flessibile utilizzata principalmente per grafici azionari e finanziari. Produce diagrammi di serie temporali interattive e scalabili, consentendo agli utenti di esplorare e interpretare insiemi di dati densi. Dygraphs è altamente interattivo con i tag mouse-over predefiniti, zoom e pan, e ha anche altre utili funzionalità interattive, come la sincronizzazione e il selettore di intervallo. Ad eccezione degli strumenti di cui sopra, ci sono ancora molti strumenti utili per noi da provare ed esplorare. Tuttavia, la cosa più importante è: iniziare subito con uno di questi. Solo quando inizi a conoscere questi strumenti di visualizzazione dei dati, sei in grado di dire qual è il più adatto a te. Ricordiamo sempre che la raccolta dei dati è la premessa dell'analisi dei dati e solitamente i dati sono suddivisi in dati esterni e dati interni: i dati interni appartengono a te o alla tua organizzazione, mentre alcuni dati esterni sono disponibili online per il download, ma potrebbero essere necessari dati esterni speciali che non possono essere recuperati direttamente, come i dettagli del prodotto su Amazon o alcuni tweet su Twitter. Se hai bisogno di dati web esterni e non hai abbastanza tempo per raccoglierli, un servizio di scraping dei dati è un'ottima scelta poiché i tecnici possono carpire i dati e pulirli per poterli visualizzare e analizzare. Se l'articolo ti è piaciuto, visita anche la nostra pagina dedicata al Digytal Analytics cliccando qui sotto:
La SEO permette di far trovare i tuoi contenuti agli utenti, ma effettivamente come rimani in contatto con le persone che hai raggiunto? Il funnel della metodologia dell’inbound marketing, come ben sai, non si ferma solo al primo contatto. Il lead deve essere costantemente alimentato perché diventi un promoter della tua azienda. Hai mai pensato ad un’efficace strategia di email marketing che si sposi bene con i tuoi obiettivi? La domanda sorge spontanea: qual è la strategia di email marketing più efficace? La risposta è che puoi scoprirlo solo in un modo: facendo dei test e monitorando i risultati. E, soprattutto, quali sono i tuoi obiettivi? Hai bisogno di acquisire lead? Perché non farli iscrivere alla tua newsletter? Vuoi attirare e guidare l’attenzione dell’utente all’acquisto del tuo prodotto o a richiedere un contatto con te? Perché non utilizzare una strategia di lead nurturing? Monitora il comportamento e gli interessi dei tuoi utenti Se hai profilato al meglio il tuo lead saprai già quali sono i suoi interessi e le sue preferenze. Sai quali pagine ha visitato e quante volte? Ha compilato un form per ricevere uno specifico contenuto? Una strategia di email nurturing basata su questo ti permetterà di inviare email personalizzate agli utenti in base ai loro gusti. Ricorda: non tutti i clienti sono uguali. Conoscere, segmentare e profilare al meglio potrebbe essere il segreto per un’efficace strategia di email marketing. Sarà poi fondamentale guidarlo verso lo scopo ultimo, fornendo nelle email video, webinar, articoli, contenuti di valore e sconti speciali per determinate ricorrenze che rispecchino e alimentino gli specifici interessi. Fai attenzione all’oggetto dell’email Secondo i dati di Direct Marketing Association pubblicati a febbraio 2019, il 47% percento degli utenti legge regolarmente l’oggetto dell’email ma poi non la apre. Dunque scrivere un oggetto accattivante che possa far aprire l’email all’utente e cliccare la CTA non è banale, anzi. Molto spesso - e in questo pecco anche io - cancelliamo rapidamente le email della nostra casella di posta perché l’oggetto non ci interessa, o semplicemente non l’apriamo. Sii creativo, breve, diretto. Cattura l’attenzione con oggetti personalizzati, in modo da creare una conversazione individuale e instaurare un rapporto di fiducia. Informa cercando di essere il meno commerciale possibile. Testa e analizza Nel mondo digitale puoi misurare tutto, e di conseguenza anche nell’email marketing. Analizza e misura per capire cosa funziona e cosa migliorare. Ecco alcuni KPI da tenere d’occhio: Delivery rate: la percentuale delle email che vengono effettivamente recapitate nella casella di posta. Open rate: il tasso di aperture unica sul totale delle email recapitate, indipendentemente dal numero di volte in cui il singolo lettore ha aperto e chiuso il messaggio. Click rate: la percentuale dei destinatari che clicca su uno o più link contenuti all'interno dell'email. Bounce Rate: la percentuale delle email inviate complessivamente ma che non sono state consegnate con successo. Esistono due tipi di bounce: un hard bounce, causato da indirizzi email non esistenti o non validi; un soft-bounce che indica un problema temporaneo di consegna, spesso dovuto ad una casella di posta piena o altre criticità legati al server del destinatario. Tasso di Unsubscribe: la percentuale di utenti che decide di cancellarsi dalla lista di destinatari di una newsletter o di una mailing list. Monitora i risultati. Solitamente un bounce rate che si avvicini al 90% potrebbe indicare che c'è qualcosa che non va nella tua email. Ma come fai davvero a sapere quale possa essere il problema? Il contenuto? La grafica? L'oggetto? Dunque se le percentuali non ti convincono fai degli A/B test per avere un quadro completo della capacità di engagement. L’email marketing è uno strumento capace di mantenere un legame di fiducia con il tuo target, raggiungendoli con messaggi tagliati su misura. Ma la verità è che non esiste una giusta strategia di email marketing, se non quella che è adatta al tuo business e ai tuoi obiettivi. Tu li hai già definiti? Scarica il template che abbiamo creato per te e crea il tuo piano editoriale con l'aiuto di un tool altamente professionale! Scarica la copia gratuita. La trasformazione digitale è arrivata Una strategia efficace di email marketing è solo uno dei tanti tasselli che compongono un’ottima strategia di marketing digitale. Scopri come implementare la digital transformation nella tua azienda partecipando ai nostri eventi gratuiti ed entra a far parte della nostra community. Partecipa al nostro prossimo evento e scopri di più su Digital Building Blocks e su come entrare a far parte della community dei Chief Digital Officer, un gruppo esclusivo di professionisti in ambito Digital con cui confrontarsi e generare opportunità di business.
Poiché le persone, il business e le “cose” sono sempre più interconnesse nell’economia digitale, i modelli di business esistenti subiscono cambiamenti radicali. Di conseguenza, manager ed imprenditori sono sempre più chiamati a lavorare su ciò che è necessario per trasformare l’azienda in modo che diventi digitale e intelligente per poter sfruttare le opportunità dell’era della connessione proposte dalle nuove tecnologie come il mobile di ultima generazione, il cloud, i Big Data, l’Internet of Things (IoT), l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale, ecc... La necessità di migliorare la capacità di adattamento delle aziende ai cambiamenti costanti delle condizioni di mercato appare sempre più chiara, soprattutto nell’area delle vendite e del marketing, per soddisfare le condizioni di successo necessarie allo scopo di ottenere i risultati aziendali desiderati in modo costante e prevedibile. Il cliente del futuro non è lo stesso cliente del passato e le organizzazioni marketing e sales correlate, devono impegnarsi in modo diverso perché l’acquisizione del cliente, l’esperienza del cliente e la sua fidelizzazione sono diventati una sfida costante. In tale contesto, le aziende devono necessariamente cambiare il loro modo di fare affari e interagire con i clienti, riconsiderando il loro modello di business basato su un progetto che le introduce a come vendere prodotti e servizi in un mondo trasformato digitalmente. Il nuovo progetto deve contenere una strategia che guida le organizzazioni a definire il profilo del cliente ideale, a comprendere le necessità impellenti del suo business (business pains), a costruire ed espandere le relazioni, nonché a come creare e comunicare valore per il cliente. Il nuovo framework a cui fare riferimento oltre a prevedere i vari passaggi per la trasformazione digitale dell’azienda, deve descrivere la tecnologia da utilizzare nei vari processi, sia che si tratti dell’esecuzione del marketing basato sull’account, sia l’esecuzione e la gestione delle vendite. A dimostrazione di questi nuovi trend, le principali società nel settore del software come Microsoft, Adobe, Oracle, Autodesk, ecc.. hanno già implementato in diversi paesi dei piani che prevedono la digitalizzazione dei sistemi di vendita offrendo ai propri clienti, esperienze avanzate e personalizzate. Per fare un esempio, i loro nuovi piani prevedono la creazione di “HUB”, ovvero centri di vendita digitalizzati e localizzati in posizioni geografiche strategiche in tutto il mondo, l’assunzione di professionisti che attraverso le loro skills sono in grado di soddisfare la crescente domanda delle varie soluzioni SaaS, PaaS, ecc… In pratica, i loro “digital team” sono ben preparati per utilizzare i moderni strumenti di vendita, le tecniche e le tecnologie per cambiare l’esperienza di acquisto del cliente e fornire soluzioni e servizi personalizzati per rispondere rapidamente alla crescente domanda di trasformazione digitale che c’è nelle imprese. Il grande cambiamento nel mondo digitale può sembrare coraggioso, ma i vari studi, i trend e le intuizioni per le future preferenze dei compratori lo rimuovono come facoltativo. L’ascesa dei nuovi canali social e dei big data, offrono enormi opportunità per la creazione di valore e la crescita delle vendite, tuttavia ci sono molte sfide da affrontare lungo il percorso della trasformazione digitale. Qualunque società che pianifica di essere in affari tra cinque anni dovrebbe già prepararsi a una profonda revisione del modo in cui si propone per la vendita di beni e servizi, nessun business e nessuna industria è immune dall’imminente cambiamento.
Le persone utilizzano computer, smartphone e altri dispositivi elettronici per navigare in internet e per le aziende è importante rimanere sempre aggiornati per andare ad intercettare tutti gli utenti che ricercano determinati interessi riguardanti i prodotti e servizi. Per perseguire questo obiettivo, si può scegliere di utilizzare la Lead Generation che è un'azione di marketing che consente di generare una lista di possibili prospect interessati ai prodotti o servizi offerti da un'azienda. Il Lead, infatti, è un potenziale cliente che è entrato in contatto lasciandoci i propri dati. Stilare una lista di contatti è possibile attraverso un’attenta strategia di lead generation, che può utilizzare strumenti di advertising ed acquisizione. I motori di ricerca permettono di generare lead tramite la ricerca organica (con i relativi algoritmi di ranking) e tramite l’advertising a pagamento (o annunci sponsorizzati Pay-Per-Click). Acquisire contatti con la Lead Generation è costruire relazioni e guadagnare fiducia di nuovi clienti mese dopo mese, per far sì che questi scelgano e continuino a scegliere il prodotto e/o servizio dell’azienda. Per ottenere i risultati sperati dalle campagne di lead generation è necessario adoperare gli strumenti più utili. Nel mondo digital stiamo parlando di SEO (Search Engine Optimization), SEM (Search Engine Marketing), Content Marketing, Social Media Marketing e Email Marketing. La SEO è l’attività di ottimizzazione di un sito rispetto agli intenti di ricerca degli utenti, che lavora sul miglioramento del posizionamento su Google e gli altri motori di ricerca in funzione degli obiettivi strategici dell'azienda. Il sito web è una fonte quotidiana di visitatori che cercano informazioni su prodotti e servizi. Attraverso azioni SEO è possibile condurre gli utenti a compilare un form di contatti direttamente dal sito, grazie ad una landing page e il form di contatto, per richiedere informazioni e registrarne i contatti. La Search Engine Optimization è una delle componenti del Search Marketing e include, oltre all’attività SEO tecnica, anche una nuova visione dei contenuti, orientati a rispondere alle domande degli utenti attraverso l’analisi della Query di Google e della User Intent. Per aumentare il traffico e le conversioni tramite la SEO bisognerebbe: Individuare il target ideale: rivolgendo ad un target molto specifico di utenti aumenteranno le possibilità di ottenere lead anche prendendo in considerazione i competitor; Individuare le keyword più adatte: parole chiave e tematiche di riferimento per il target in questione per poter raggiungere un miglior posizionamento sul motore di ricerca. La best practice indica anche le keyword long tail aumentando così la pertinenza e posizionarsi ancora meglio; Individuare le keyword anche correlate: per capire a quali altre ricerche viene associata la tua parola chiave e creare dei contenuti adeguati; Landing Page e Call-to-Action: dovranno attirare, catturare e mantenere viva l’attenzione del potenziale cliente per il tempo sufficiente a farlo registrare, a lasciare i suoi dati affinché si possa ricontattare. La Landing Page è una pagina web realizzata con il principale obiettivo di trasformare gli utenti in lead, raccogliendo i dati di contatto. Durante la creazione delle landing page per la campagna di Lead Generation bisogna prestare la massima attenzione nel coinvolgere e convincere i visitatori a compiere un'azione che li farà diventare clienti. Questo si chiama CTA (Call To Action o chiamata all’azione) ed è ciò che motiva le persone ad agire, e nel nostro caso a generare un lead. Fornendo agli utenti un contenuto di valore (es. ebook, video-tutorial, ecc…) in cambio dei propri dati personali (come per esempio il nome, cognome e e-mail), si può iniziare a costituire il proprio database profilato di potenziali clienti. Per creare una Call To Action in grado di ottenere lead bisogna indicare chiaramente il beneficio che gli utenti riceveranno quando rilasceranno il contatto, frasi come Ottieni adesso uno sconto o Download E-Book rendono facile capire che cosa succederà dopo il click: Collocare la Call To Action in una zona ben visibile della landing: deve essere ben distinta dal resto dei contenuti della pagina. Usare font più grandi, pulsanti o testo colorato per rendere la tua Call To Action più evidente. Usare verbi forti e chiari, come Scarica ora o Iscriviti qui come parte della Call To Action: questo facilita l'interpretazione e favorisce l'azione diretta. La strategia SEO Le strategie SEO sono in continua evoluzione e non tendono solo a incrementare le visualizzazioni intervenendo sul posizionamento, come qualche tempo fa, ma anche ad aumentare le conversioni. Marketing e SEO, una volta settori separati, sono sempre più indotti a collaborare per raggiungere l’obiettivo dell’azienda, aumentare le vendite e la brand awareness. La SEO può dunque svolgere un ruolo importante nella lead generation contribuendo a sviluppare i risultati di business. Migliorare il posizionamento e la struttura del sito, introdurre landing page e call to action, segnalare ai copywriter quali sono i contenuti da implementare e le parole chiave di maggiore utilità sono il risultato di una SEO non distante dalle strategie dell’azienda, per la quale la maggiore visibilità sul web contribuisce a rafforzare i canali del proprio business. Gli utenti visiteranno un sito ben posizionato e con contenuti utili e in target e saranno disponibili a lasciare i propri contatti in cambio di contenuti di valore e offerte personalizzate. La parte di digital marketing avrà come obiettivo la massimizzazione del numero di lead raccolti, ottimizzando la qualità delle stesse relativa alla potenzialità di conversione. Ma sarà poi vano se la gestione del team vendite non sarà altrettanto efficace, non curando quindi un follow up del potenziale cliente e abbandonandolo nel processo di vendita. Gli step possibili di un processo di vendita passeranno quindi dall’acquisizione della lead alla sua presa in carico da parte di un addetto alle vendite che dovrà efficacemente capire le esigenze del potenziale cliente e rispondere alle sue domande. A quel punto compilare un’offerta e iniziare una fase di trattativa fino a portare il lead all'effettiva conversione attraverso la firma di un contratto, o alla sua perdita di potenziale. Infine, bisogna tenere sempre presente che: I vantaggi di una campagna di Lead Generation sono facilmente individuabili perché rappresentano il consenso ad essere contattato dato da un visitatore fortemente in target. Fare Lead Generation è possibile anche attraverso la SEO, basta individuare le chiavi che rispondono alle specifiche esigenze manifestate dai visitatori. Creare Landing Page per gli argomenti più significativi in modo che siano semplici ed accattivanti e che possano fornire una buona User Experience. Curare le Call To Action perché sono in grado di vincere le ultime resistenze del visitatore. È bene sottolineare, inoltre, che non esistono regole universali per la lead generation: ogni strategia va strutturata caso per caso, perché ogni azienda ha le sue caratteristiche specifiche e soddisfa bisogni diversi per i consumatori. Se vuoi conoscere lo stato attuale delle piattaforme di SEO nel mercato, conoscere le statistiche di settore, le tendenze e nuovi profili dei fornitori, abbiamo creato un report che fa al caso tuo! Clicca qui e scarica la tua copia gratuita! Insomma, senza una strategia di lead generation a 360 gradi non sarà possibile massimizzare i propri investimenti di business e riuscire a convertire i lead in clienti. Ogni azienda dovrebbe comprenderlo il prima possibile ed iniziare ad approfondire questa tematica. Scopri come implementare la digital transformation nella tua azienda partecipando ai nostri eventi gratuiti ed entra a far parte della nostra community.
Dagli articoli precedenti, abbiamo visto che la digital transformation non si riferisce ad una problematica tecnologica, bensì ad una sfida culturale che combina molteplici energie digitali al fine di ridisegnare e migliorare un business secondo nuove soluzioni tecnologiche e sistemi evoluti ed integrati quali: l’automazione, I‘intelligenza artificiale, i big data, il cloud, le Business Platform, l’IoT, la blockchain e altro ancora. Si tratta di un approccio che promuove nuovi business model che a loro volta creano disruption, ovvero rottura col passato, con i vecchi modelli, proponendo quindi nuovi paradigmi per fare business. In pratica è il cambiamento che avviene quando le nuove tecnologie digitali e i modelli di business sviluppati grazie ad esse influenzano il valore aggiunto, la value proposition di prodotti e servizi esistenti. Di fatto i vecchi modelli vengono letteralmente annientati, destabilizzati e soppiantati da nuovi modelli digitali sicuramente più performanti anche in termini economici. Per comprendere meglio il fenomeno a cui tende l’universo digitale, pensiamo a digital disruption entrate a far parte del nostro quotidiano come il biglietto aereo che un tempo acquistavamo in agenzia viaggi e che ora compriamo online, oppure alle applicazioni Skype e WhatsApp che hanno impattato significativamente il settore della telefonia. Ma il fenomeno è appena iniziato perché nuove tecnologie di rottura sono all’orizzonte come quelle che riguardano il settore dell’automotive; la connettività consentirà una moltitudine di servizi per l’utente finale e creerà nuove opportunità di business per i costruttori. Sarà possibile analizzare il comportamento e lo stile di guida e offrire al cliente servizi aggiuntivi, come una manutenzione personalizzata, vendita di software per funzionalità aggiuntive, oppure intrattenimento contestualizzato. Ancora, sarà possibile sviluppare business con assicurazioni e network pubblicitari attraverso i dati raccolti e la geolocalizzazione, e molto altro ancora. La digital transformation quindi, non riguarda solo la tecnologia ma riguarda il cambiamento delle organizzazioni e non è una questione di “Se”, ma una questione di “Quando e Come”. Questa necessità di cambiamento è generata dalle aspettative dei clienti, a seguito di un cambiamento di cultura delle nuove generazioni e più in generale dallo stile di vita delle persone. Ad esempio, le società di vendita al dettaglio ora cercano di introdurre velocemente l’innovazione nei loro punti vendita, ed estendono anche la loro offerta a un nuovo tipo di clientela con negozi online poiché preferiscono un’esperienza di acquisto semplice e conveniente simile all’offerta che propone Amazon. Un altro aspetto della trasformazione digitale è innescato dalle leggi e dai regolamenti dei governi come ad esempio l’introduzione della fatturazione elettronica dove il cambiamento è inevitabile per rispondere ai requisiti di legge ed evitare la perdita di entrate o eventuali spiacevoli sanzioni. Aziende ed amministrazioni pubbliche stanno pensando a come trasformare il modo in cui forniscono prodotti e servizi esistenti e stanno ragionando a come crearne di nuovi. Le realtà che interagiscono direttamente con i consumatori sono più avanti su questa strada, mentre altri settori industriali come quello del manifatturiero, delle costruzioni, dell’oil&gas, dei trasporti etc. si stanno adeguando attraverso politiche mirate che favoriscono la trasformazione digitale come la cosiddetta “Industry 4.0″. Il digitale collega in modo intelligente persone, cose ed imprese e quando la trasformazione viene implementata correttamente si presentano alle aziende numerose nuove possibilità per reimmaginare i loro modelli di business, il loro modo di lavorare e il modo di competere favorendo il passaggio da un modello tradizionale basato sul prodotto ad un modello digitale focalizzato sul cliente. Finalmente il cliente è tornato ad essere al centro dell’attenzione! Una visione innovativa del business, un mindset e una cultura di tipo differente, preparata ad abbracciare le nuove tecnologie e i nuovi paradigmi del fare impresa, porteranno i CEO ed imprenditori ad avere organizzazioni agili, pronte per l’era digitale, capaci di beneficiare dei diversi vantaggi riassumibili in maggiore efficienza, miglioramento dell’operatività e riduzione dei costi, con contesti innovativi per inventare e fornire la migliore customer experience.
In questi ultimi anni, il dropshipping sta crescendo rapidamente e diventando, sempre più, la soluzione più diffusa per chi costruisce il proprio business online. Vediamo nel dettaglio che cos’è il dropshipping e quali sono i vantaggi per il venditore e il fornitore. Che cos’è il Dropshipping e quali sono i vantaggi? Con il termine dropshipping si intende quel modello di business per e-commerce, per il quale il venditore (detto anche Reseller) vende online prodotti di altre Aziende e Brand, senza possederli veramente nel proprio magazzino. Si tratta a tutti gli effettivamente di esporre online, tramite il proprio sito e-commerce o account sui Marketplace come Amazon, eBay o Social, ad esempio, al fine di generare una vendita online. Quando un potenziale cliente visita le pagine del sito e-commerce e acquista il prodotto, il venditore non deve fare altro che trasmettere l’ordine al produttore, che si occuperà di spedire dal proprio magazzino e consegnare direttamente a casa del cliente. In questo caso, il Reseller svolge il ruolo di intermediario e permette l’incontro tra il cliente finale e l’azienda produttrice. Non deve preoccuparsi dunque di reperire e consegnare il prodotto. Tra venditore e fornitore si creano specifici accordi per i quali il venditore riceve una commissione in percentuale per le vendite generate. Il fornitore, detto anche dropshipper, mette a disposizione il suo catalogo digitale (immagini dei prodotti, descrizioni, prezzi, quantità, ecc) tramite formato .csv, .xml, ecc. i suoi prodotto, le immagini e il materiale descrittivo e il venditore dovrà occuparsi di: pubblicare per poi vendere i prodotti del fornitore sul suo sito e-commerce o sui marketplace (Amazon, Ebay solo per citare i più conosciuti); vendere il prodotto ed incassare dal cliente finale; inviare l’ordine al fornitore con dati del cliente e indirizzo di spedizione per la consegna dell’ordine; fatturare ed incassare l’importo complessivo dell’ordine; saldare il fornitore per l’importo pattuito, al netto della propria commissione. Quali sono i vantaggi di vendere online tramite il dropshipping? Per parlare realmente di vantaggi è bene fare una distinzione e analizzare nel dettaglio i ruoli dei due soggetti coinvolti: il venditore e il fornitore. Vantaggi per i venditore in dropshipping Con il dropshipping, il venditore può concludere la vendita online senza preoccuparsi di una serie di incombenze che portano via tempo ed energie: l’imballaggio, la spedizione e la sottoscrizione delle garanzie. Eliminate queste preoccupazioni, al venditore resterà esclusivamente l’onere di pubblicizzare i prodotti e prendere contatti con i potenziali acquirenti. Grazie a questo sistema, è possibile intraprendere un’attività imprenditoriale senza dover prevedere grandi investimenti: non serve un magazzino per la merce, non servono collaboratori in più dedicati alla logistica. Qualsiasi imprenditore può, in questo modo, vendere online con la propria partita IVA. Per iniziare, si può scegliere di non costruire un sito e-commerce, ma rivendere su piattaforme online come Amazon, eBay, Facebook, ecc. Vantaggi per il fornitore o il dropshipper Parliamo adesso del fornitore che, ad esempio, potrebbe essere proprio l’azienda produttrice del prodotto. Vorrei concentrarmi un po’ di più su questo attore nella speranza che, tra i lettori di questo post, qualcuno possa trovare un reale vantaggio. Grazie al dropshipping, infatti, i brand e soprattutto quelli emergenti, hanno la possibilità di costruire o allargare la propria rete di vendita online. In questo articolo ti ho parlato dell’e-commerce partner program e dei vantaggi di sfruttare la rete per vendere online, ed è proprio questo che il dropshipping consente di realizzare. Al pari della vendita tradizione, il dropshipping, permette al brand di vendere in mercati e a clienti che altrimenti farebbero molto fatica raggiungere. Inoltre, questo sistema di vendita elimina il problema delle scorte di magazzino, che sono sempre una voce pesante nel budget aziendale. La vendita tramite il dropshipping, rappresenta un vero vantaggio per il produttore, poiché rispetto alla vendita tradizionale tramite grossisti o clienti b2b, l’azienda ha il contatto diretto con il consumatore finale e, eliminando più anelli della catena, può riservargli un’offerta sicuramente concorrenziale, rispetto al mercato. Come iniziare a vendere in dropshipping? Per quanto riguarda il venditore, per iniziare a vendere in dropshipping è necessario: scegliere un buon fornitore, affidabile e che rispetti gli accordi sui prodotti e sulla politiche di spedizione dotarsi di una piattaforma e-commerce per il dropshipping di facile installazione e mantenimento. Ad esempio Shopify e tra le soluzioni ecommerce più diffuse e integrata con i Marketplace. aprire uno store sui più i importanti Marketplace, tra i quali Amazon o moltissimi altri siti di nicchia, adatti alla categoria merceologica dotarsi di uno strumento di monitoraggio dei prezzi della concorrenza, per sapere in tempo reali a quale prezzo e su quale canale stanno vendendo altri competitor dotarsi di una strategia di marketing completa, che garantisca traffico e vendite costanti. Per quanto riguarda il fornitore, sarà necessario, trovare Reseller interessati a rivendere i propri prodotti. Questa non è sicuramente un’attività semplice, esistono però moltissimi strumenti che possono aiutare il brand a costruire la propria rete di vendita online e a monitorarla nel tempo. Se hai dubbi o vuoi approfondire questo argomento scrivimi o prenota una call con me.
Davide Letterman è tornato con un nuovo programma, trasmesso da Netflix, dove propone una serie di interviste chiamata “Non c’è bisogno di presentazioni” (link Netflix: https://www.netflix.com/it/title/80209096). Ho sempre ammirato l’umorismo, la capacità di persuasione, la leggerezza del presentatore. Nel primo episodio, David Letterman, ha intervistato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Una lunga intervista, intensa, divertente (la barba biblica di David), di storie interessanti (il senatore John Lewis e la sua marcia per ottenere il diritto di voto), belle da sentire nella loro profonda intensità ma anche una geniale semplicità di esposizione, di dialogo. Un’ammirazione reciproca tra i due interlocutori, conclusa da David che si rivolge al Presidente con la seguente frase: “Without a question of a doubt, you are the first president I really and truly respect.” Ma, tornando all’argomento principe dei nostri articoli, il Digital, alla domanda sui rischi che corre la democrazia con l’avvento dei Social e della comunicazione mobile, Obama ha messo in guardia gli ascoltatori (aveva già affrontato diverse volte questo argomento, anche in una recente intervista alla BBC), contro il pericolo del trasferimento di tutte le informazioni tramite gli algoritmi, approvvigionandoci solo sui Social e i motori di ricerca, attraverso il nostro smartphone. Obama ha ricordato che deve il suo successo delle elezioni presidenziali del 2008 ai social media. E’ stato il primo presidente a sfruttare i social e il digital come canale di comunicazione principale per trasmettere il suo messaggio, raccogliere fondi dalla crowd (e non da investitori istituzionali o lobby), e fare propaganda elettorale. Online trovate tantissimo materiale informativo e formativo sulla campagna presidenziale del 2008 e la successiva del 2012, ottimizzata dagli insegnamenti della prima. Obama era inizialmente molto ottimistico sulla tecnologia, ma continuando nell’intervista, dice: “I think that what we missed was the degree to which people who are in power … special interests, foreign governments, etc., can in fact manipulate that and propagandize.” Racconta di un esperimento scientifico (“non propriamente un esperimento scientifico, ma solo un esperimento fatto da qualcuno durante la rivoluzione che si stava evolvendo in Egitto”) dove un ricercatore liberale, un conservatore e un moderato sono stati invitati a cercare su Google Egitto e il motore di ricerca ha presentato a ciascuno di essi risultati molto diversi, in funzione dei pregiudizi. Sappiamo benissimo che motore di ricerca e social archiviano infinite informazioni sulle nostre abitudini, interessi, spostamenti, credenze, pregiudizi, e col tempo gli algoritmi tendono a supportare i nostri pregiudizi, a rinforzarli, a polarizzare le idee verso il nostro punto di vista, che ci viene riproposto sul nostro smartphone dalle fonti di informazione che consumiamo: social e motore di ricerca. Viviamo in una bolla. In un altro articolo, avevo parlato della strana sensazione che ho vissuto quando ho usato per un giorno l'account Facebook di una persona completamente distante dai miei interessi. Navigando costantemente siti, gruppi, pagine social di aziende tecnologiche, guru del marketing, esperti digital, ero convinto che ormai tutti fossero a conoscenza di come sta cambiando il mondo. Non immaginavo alcuna persona che non conoscesse alcune tendenze, strumenti, piattaforme, strategie di sales e marketing digitali. Ma quando incontro nuovi Prospect, manager che visitano i nostri eventi, o mi confronto con manager e imprenditori di altri mondi, capisco che il digital è ancora un altro mondo. Che il mio news feed digitale (inteso come fonti di notizie in generale, che comprende anche il new feed di Facebook o Linkedin) mi parla di quello che sono i miei interessi, ma automaticamente mi allontana da quello che dovrei sapere per affrontare i problemi del mio target, inteso come Prospect o Manager / Imprenditori interessati alla digital transformation. Viviamo in una bolla. Obama conclude con un offerta ottimistica: “I think it is a solvable problem, but I think it’s one that we have to spend a lot of time thinking about.” Sull’utilizzo dei Social, le aziende stanno secondo me perdendo un’occasione per costruire un rapporto di tipo esclusivo con i prospect. La digital transformation passa anche tramite l’utilizzo delle tecnologie per creare una relazione più efficiente ed efficace con il mercato, ottimizzando i canali distributivi, il modello di revenue (freemium, saas, etc), i contenuti (affrontando i problemi e non proponendo un prodotto), aggiornando i prodotti in funzione della domanda proveniente dalla crowd (marketplace, ricerche, crowdfunding), ascoltando il mercato (social listening, iperpersonalizzazione), etc. Il nuovo paradigma dell’abbondanza delle informazioni ha reso scarsa una risorsa fondamentale per far prosperare alcuni modelli: L’ATTENZIONE! Il marketing tradizionale, che si occupava di prendere in affitto l’attenzione che altri avevano costruito, fallisce la sua missione con i nuovi paradigmi. Serve creare un’attenzione di proprietà, ad uso esclusivo, personale, istantanea, di valore. Questo è il principio fondante su cui si base la metodologia di Marketing chiamata INBOUND. Un esempio pratico con un esperimento, poco scientifico, ma significativo? L'ESPERIMENTO La scorsa mattina ho visitato il sito del brand di automobili Land Rover Italia (https://www.landrover.it). Ho cliccato su un annuncio sponsorizzato sulla SERP di Google, atterrato su home page, visitato la pagina di prodotto della nuova Range Rover e poi della più piccola e modesta Discovery. Entro su Facebook dal mio smartphone, e naturalmente parte il retargeting (dal sito di Facebook: con il retargeting per le inserzioni, puoi ricordare alle persone i prodotti che hanno visto, ma che non hanno acquistato, sul tuo sito web o nella tua app mobile). Ma chiaramente sono ormai targettizzato, il mio interesse è chiaro e a quel punto l'algoritmo mette “l’interesse a disposizione degli altri inserzionisti. Ed ecco il risultato!!!! Importante: da notare, in alto a destra, l’orario di ciascun screenshot, acquisito durante la mia prima visita al newsfeed, circa 50 minuti dopo aver visitato il sito di Land Rover. Prima di lasciarvi alle immagini, da consulente digital, non posso dire che sia errato lavorare sulla fase di Decision del Prospect con queste tipologie di campagne. Se non sono presente come brand, con il mio prodotto, non parteciperò al mercato. Ma essere presente solo in fase di Decision, solo con offerta, senza aver considerato un nuovo modello relazionale, di proposta di valore, di canali e contenuti di acquisizione, significa perdere la sfida del mercato, concorrere sul prezzo, combattere per la sopravvivenza, comprare ancora la nostra attenzione (lead) a pochi euro, con una resa ridicola (un sales rate medio sotto le due cifre percentuali), ma soprattutto senza valutare lo sforzo necessario per gestire quell’utente, “motivare i venditori a perseverare, vendere sempre sul prezzo o l’offerta senza valore aggiunto e quindi senza margine per la filiera (e senza margini non si sviluppa prodotto, innovazione, mercato, etc). Oggi la risorsa scarsa è l’attenzione. Tutto è cambiato. Attenti alla bolla! Con affetto, Massimo TO BE CONTINUED…...
“Quanti abitanti ha la Cina?” è sicuramente una delle domande più frequenti che mi rivolgono amici e conoscenti, riguardo la Terra del Dragone. Effettivamente, gli abitanti cinesi soni moltissimi e spesso l’enorme numero viene associato solamente al problema della sovrappopolazione, senza considerare, invece, le opportunità che la popolazione e il mercato cinese possono offrire. Uno sguardo al passato Agli inizi degli anni ‘50, la popolazione cinese contava circa 600.000.000 abitanti; in data 12 giugno, secondo le statistiche di Worldometers, la popolazione cinese ha raggiunto i 1.419.805.558 abitanti. Questo dato significa che, nel corso di 70 anni, la popolazione cinese è più che raddoppiata. I dati statistici evidenziano che fino al 1962, anno in cui il fenomeno del baby boom ha iniziato a essere visto come un problema, la popolazione ha subito un andamento crescente; tra il 1973 e il 1979, considerando la sovrappopolazione e il fatto che la società cinese fosse costituita prevalentemente da giovani, un ostacolo allo sviluppo del Paese e alla modernizzazione, il governo cinese lanciò una politica di controllo delle nascite. Ancora, poiché nel 1979 la popolazione cinese costituiva il 25% dell’intera popolazione mondiale, il governo di Deng Xiaoping emanò ufficialmente la politica del figlio unico. Tale politica rimase in vigore per 35 anni, evitando la nascita di circa 400 milioni di bambini. Ovviamente, come spesso accade, il rovescio della medaglia fu il seguente: la drastica diminuzione delle nascite causò il rapido invecchiamento della popolazione, la mancanza di forza lavoro, lo squilibrio di genere a sfavore del gentil sesso e la difficoltà per gli uomini di trovare moglie. Ma non è finita qui: i genitori, potendo fare un solo figlio, iniziarono a concentrare tutte le loro forze nel poter garantire al proprio unico figlio un futuro il più prospero possibile, dando vita alle cosiddette famiglie bambino-centriche. Per porre rimedio a questo problema, nel 2016 il governo di Xi Jinping ha abolito definitivamente la politica del figlio unico; tuttavia, in una popolazione ormai sostenitrice della politica del figlio unico, l’abolizione di tale politica non ha portato grossi miglioramenti rispetto al passato. Attualmente, l’età media della popolazione cinese è di 37,3 anni; i dati prevedono che la popolazione continuerà ad aumentare, con un tasso di crescita decrescente, fino al 2030, quando raggiungerà le 1,441,181,813 di unità, per poi iniziare a diminuire, raggiungendo entro il 2050 le 1,364,456,723 unità. Se ancora non dovesse essere chiaro cosa significano questi numeri, questi dati potranno schiarirvi ulteriormente le idee: la popolazione cinese costituisce il 18,41% dell’intera popolazione mondiale; la Cina è il primo paese al mondo per il numero di abitanti; il 60,4% del totale sono abitanti dei centri urbani, mentre il 39,6% sono abitanti dei centri rurali. Quanti abitanti hanno le città cinesi? La Cina è costituita da: 102 città con più di 1 milione di abitanti; 18 città che superano i 5 milioni di abitanti; 6 città che superano i 10 milioni di abitanti (tra queste, Shanghai con 22.685.000 e Pechino con 20.390.000 abitanti). Più semplicemente: Roma conta circa 2 milioni e mezzo di abitanti, perciò la Cina possiede 42 città più grandi di Roma. Opportunità e sfide per i brand occidentali L’aumento della middle class cinese, il passaggio da una politica a favore degli investimenti e del risparmio a una politica che incentiva i consumi personali e l’evoluzione dei gusti delle persone che diventano sempre più sofisticati e orientati a una qualità elevata, stanno creando interessanti opportunità di business per le aziende estere. In particolare, queste ultime possono trovare nel mercato cinese un bacino di clienti potenzialmente enorme, in un mercato non ancora saturo. Il consumatore cinese si rivolge sempre più frequentemente a brand internazionali, alla ricerca di prodotti di qualità elevata in settori quali cura della pelle e della salute, abbigliamento e calzature, prodotti elettronici, cibi e bevande. Vuoi sapere come iniziare a sfruttare le opportunità offerte dal mercato cinese? Fai clic qui sotto e scarica gratuitamente la nostra guida, pensata appositamente per i rivenditori internazionali che vogliono affacciarsi al mondo cinese:
La trasformazione digitale non è un’opzione ma è una necessità di cambiamento per fare diversamente business mediante una “visione’’ che conduce ad un nuovo modello operativo che si fonda sulla profonda integrazione tra piattaforme digitali, persone, luoghi e strumenti, e che si caratterizza per il sostanziale ripensamento dei processi aziendali, dei modelli di business e dell’intera customer experience che diventa il focus principale dell’azienda. Su questa scia di cambiamento, è necessaria la consapevolezza che l’innovazione non si limita all’integrazione della tecnologia in tutte le aree aziendali, ma alla significativa crescita culturale per superare tutti gli ostacoli che possono generare delle resistenze nel processo di trasformazione. Si tratta di cambiamenti che ci portano fuori dagli schemi che abbiamo seguito fino ad oggi e che riscrivono nuove regole, che partono dalle persone, passano per i processi per poi arrivare alle tecnologie. Con cambiamenti così rapidi e dirompenti come quelli che si stanno verificando in questi ultimi anni, le aziende si devono necessariamente adattare se vogliono sopravvivere; ogni settore industriale e ogni azienda si dovrà trasformare in ogni modo se non vuole rischiare di sparire. Prendiamo il caso di Kodak che nel 1975 inventò la fotocamera digitale e nonostante tale innovazione non ha saputo cogliere il cambiamento e l’opportunità che il digitale poteva dare al suo settore. Nel caso specifico è stato dato spazio ad un mindest riluttante ad abbandonare il mercato tradizionale delle pellicole e non si è favorito il passaggio alla fotografia digitale. Avrebbe avuto senso una vision illuminata, di rottura, pronta a trasformare il paradigma del modello di business corrente, con un cambiamento che avesse previsto internet, l’intelligenza artificiale, i robot, i big data e tutto quello che noi oggi siamo portati a definire come “il digitale”. Nessuno avrebbe impedito a Kodak di riconfigurarsi come grande azienda di condivisione sociale di fotografie come ha fatto Instagram. La notizia della bancarotta di Kodak è arrivata nel 2012, ovvero pochi giorni dopo l’annuncio che “l’applicazione dell’anno” per iPhone era Instagram, il nuovo social network di condivisione di fotografie destinato a far parlare di sé. Le due notizie non possono (se non forzatamente) essere tra loro collegate, però dicono molto di come si è evoluto il concetto di fotografia nella percezione delle persone. Un’era digitale in cui essere reattivi e rapidi rappresenterà un aspetto sempre più cruciale poiché il cambiamento riguarda tutte le aziende di qualunque settore e di ogni settore industriale. La trasformazione di un settore derivante dalla digitalizzazione accade all’improvviso e rapidamente, determinando il cambiamento dello status quo delle aziende di riferimento, spingendo il Business verso nuove dimensioni, mutando i confini tradizionali delle aziende rendendoli a tratti indefinibili e paralizzando i competitor che non hanno saputo adattarsi. Clicca qui per scaricare gratuitamente il primo capitolo del libro Guida per Manager nell'era Digitale, il libro che guida manager ed imprenditori nell'adozione delle tecnologie digitali in azienda! Per far sì che il proprio business continui a essere sostenibile e competitivo nel mondo digitale, le aziende devono lavorare sull’implementazione di strategie di trasformazione concrete, in grado di migliorare i processi e rafforzare le competenze necessarie a soddisfare i bisogni di un cliente sempre più evoluto e connesso. Questo diventa possibile quando i dirigenti manager e gl’imprenditori sviluppano il proprio mindset per avere una visione più ampia nell’ambito di un cambiamento del proprio business proiettato verso il futuro, ma soprattutto quando in azienda c’è una cultura e un ambiente di lavoro che facilitino le sinergie tra le persone che possono essere la svolta per la nascita di nuove idee e la diffusione di una cultura digitale.
Una Landing page (Pagina di destinazione) è una pagina del web che consente di acquisire le informazioni di un visitatore tramite un modulo. Di solito l’utente atterra su una landing page dopo aver fatto clic su un invito all’azione online. Una buona pagina di destinazione sarà indirizzata a un particolare flusso di traffico, ad esempio da una campagna di lead generation che pubblicizza un particolare prodotto, e offre ai clienti dopo aver compilato il form un codice sconto per l’acquisto. Le landing page sono importanti perchè sono delle pagine mirate a fare una determinata azione. Troppe aziende inviano il loro traffico pubblicitario, email o social media alla propria home page. Questa è un'enorme opportunità mancata. Quando sai che un flusso di traffico interessato ad un determinato argomento arriverà sul tuo sito web, puoi aumentare la probabilità di convertire tale traffico in lead utilizzando una pagina di destinazione mirata. Una Landing page può coprire qualsiasi argomento, ma il suo obiettivo finale è la conversione. Con una landing page di successo, converti il visitatore da passivo ad attivo. La tua pagina di destinazione è uno strumento di generazione di lead. È spesso il secondo passaggio nella canalizzazione di vendita. Il primo passo solitamente è creare una campagna di social media, e-mail o di search engine marketing. Un esempio Facciamo un esempio, hai un sito di prodotti per capelli e decidi di pubblicizzare un nuovo prodotto pubblicando una campagna pubblicitaria su Facebook. Il tuo annuncio sarà collegato a una Landing Page all’interno della quale hai deciso di inserire un coupon speciale per acquistare il nuovo prodotto. Quando gli interessati fanno clic sul link fornito nel tuo annuncio, arriveranno su questa pagina di destinazione. Dopo aver inserito i dati richiesti tramite un apposito form, riceveranno lo sconto speciale promesso e quindi convertiranno da visitatore a lead, se non cliente. La tua home page è più simile a un contenitore di informazioni generali. Dovrebbe introdurre i visitatori al tuo marchio. La tua homepage si collegherà a diverse pagine correlate al brand, tra cui il tuo chi siamo, i tuoi servizi , le tue testimonianze, le tue informazioni di contatto, ecc. Mentre come già detto la tua pagina di destinazione è estremamente focalizzata su un messaggio: la conversione del visitatore. Infatti in una landing page non sono presenti link che portano a pagine esterne (es. Pagine Social) per evitare di far distrarre il consumatore dal nostro obiettivo finale. Vantaggi delle pagine di destinazione Le pagine di destinazione offrono l'opportunità di aumentare la specificità del contenuto, che può anche contribuire ad aumentare le prestazioni di ricerca organica (o SEO), diventando una risorsa molto ricercata per argomenti di nicchia. Le prestazioni Pay Per Click (PPC) possono anche migliorare perché puoi abbinare esattamente la descrizione di un annuncio direttamente con ciò che i visitatori vedono sulla tua pagina. In una Landing puoi fornire materiale di supporto come immagini o video, in cui mostrerai il prodotto o il servizio in uso. Le pagine di destinazione dedicate ti offrono anche la possibilità di sperimentare. Puoi creare un A/B test in cui testare vari messaggi per vedere quali sono i migliori per il tuo pubblico o cambiare la posizione di un determinato elemento (es. Form di contatto). La struttura di una Landing Page Una landing page generalmente può possedere varie sezioni al suo interno. Detto questo, tutte le landing page, indipendentemente dal target a cui sono indirizzate o quale sia il loro obiettivo, avranno i seguenti elementi: Un titolo: Questa è la prima cosa che la gente vede e solitamente delinea esattamente ciò che offri. Un'offerta: Devi dare agli utenti un motivo per agire. Ciò si ottiene evidenziando ciò che offri e in che modo potranno trarne beneficio. Un Form di contatto: Questo è l'elemento in cui gli utenti inseriranno i loro dati. Tipicamente si tratta di un modulo ma potrebbe essere un collegamento o una CTA. Ora che hai visto cos'è una Landing Page sfrutta anche tu le sue potenzialità. Se vuoi approfondire l’argomento ti invito a scaricare la nostra guida gratuita per creare Landing page che convertono:
Con il termine Big Data s’intende un quantitativo enorme di dati che arrivano in tempo reale da una varietà di fonti completamente eterogenee tra di loro: Volume, Velocità, Varietà. La raccolta di grandi strutture di dati (come telemetria, tracce GPS, sensori, banche dati, testi, blog, Web, commenti, video, fotografie, chat IM, notizie feed e altro ancora) e il loro successivo processo di analisi permette di ricavarne valore tramite la scoperta di modelli nascosti, correlazioni sconosciute, tendenze di mercato, preferenze dei clienti, spunti per ottimizzare i processi produttivi e altre informazioni utili a prendere decisioni sempre più efficaci. È dunque fondamentale per le organizzazioni saper acquisire, categorizzare ed analizzare l’enorme mole di dati disponibile per ottenere poi le informazioni utili a prendere le migliori decisioni. I Big Data & Advanced Analytics, sono quindi un fattore chiave e di abilitazione per l’Industrial Internet of things – IIoT – in quanto forniscono analisi storiche, predittive e prescrittive, che possono dare informazioni su ciò che accade realmente all’interno di una macchina o di un processo. In combinazione con la nuova generazione dei dispositivi auto-consapevoli e auto-predittivi, l’analisi può fornire accurati piani di manutenzione predittiva per macchinari e beni, mantenendoli più a lungo in servizio produttivo e riducendo le inefficienze e i costi di manutenzione non necessaria. Ciò è stato accelerato dall’avvento del cloud computing nell’ultimo decennio, dove fornitori di servizi come Amazon Web Service forniscono vaste capacità di elaborazione, storage e networking efficaci e a basso costo che sono necessarie per i Big Data. Come già evidenziato, dalle complesse analisi di enormi quantità di dati, grazie ad algoritmi potenti e raffinati, si possono raccogliere informazioni che i manager possono trasformare in conoscenza. Per questo prima di investire in sistemi di Analytics, le aziende devono progettare un percorso strutturato che identifichi quali sono i dati chiave da raccogliere e le analisi da effettuare al fine di ottenere i risultati sperati. I vantaggi ottenibili attraverso tale raccolta e analisi dei dati sono numerosissimi, di seguito un elenco dei più significativi: migliore gestione operativa attraverso processi efficaci, efficienza del processo produttivo e della manutenzione predittiva, riduzione dei fermi macchina e dei costi connessi, riduzione degli scarti e del time-to-market dei prodotti, miglioramento della qualità della produzione, marketing più efficace e un servizio clienti personalizzato, vantaggi competitivi rispetto alle organizzazioni concorrenti, nuove opportunità di guadagno e migliori rendimenti, maggior soddisfazione delle risorse umane e tanti altri ancora. Nonostante gli evidenti vantaggi, in molte aziende non si è ancora diffusa la cultura della raccolta strutturata e organizzata dei dati con conseguente carenza di tali fonti di informazione o di un loro parziale utilizzo o di una scarsa focalizzazione sugli obiettivi. Tutto ciò richiederà nei prossimi anni uno sforzo culturale delle aziende per assorbire e implementare il tema dell’industry 4.0 e una vasta diffusione di precise informazioni circa gli aspetti tecnici su cui puntare per sfruttare appieno i vantaggi che ne possono derivare. Abbiamo realizzato una guida per supportare le aziende che desiderano sfruttare al meglio le proprie risorse online per utilizzare alla massima potenza l’universo Digital. Clicca qui sotto per scaricare la tua copia gratuita:
Una rapida analisi dei principali tool free per le attività di Digital Analytics Man mano che le aziende e le organizzazioni si concentrano maggiormente sui dati, l'importanza di tracciare, misurare e analizzare ogni interazione sta passando sempre più in primo piano. Questo ha permesso agli utenti di ottenere più dalle loro analisi quotidiane; tuttavia, una sovrabbondanza di dati può essere una responsabilità se non viene sfruttata o utilizzata correttamente. In risposta, il mercato è stato inondato di software e strumenti di Data Visualization: questi strumenti consentono alle organizzazioni di illustrare idee e dati e condividere analisi significative con azionisti, clienti e la più ampia comunità globale. La visualizzazione dei dati è parte integrante di qualsiasi strategia di analisi e ci sono molti strumenti potenti con funzionalità ad ampio raggio nel modo in cui visualizzano ed elaborano i dati. Per ridurre il disordine, abbiamo assemblato un elenco di strumenti di visualizzazione dei dati gratuiti e di facile utilizzo che aiuteranno a trasformare i tuoi dati in insight di valore. 5 dei migliori tool di Data Visualization disponibili gratuitamente Charted Charted è uno strumento che mira a trasformare i tuoi dati in visualizzazioni nel minor numero possibile di passaggi: crea automaticamente visualizzazioni di dati utilizzando file collegati e trasformandoli in grafici eleganti e condivisibili. Focalizzato esclusivamente sulle visualizzazioni, Charted è perfetto per i set di dati preparati in forma di semplici righe o in colonne: mentre Charted non memorizza o manipola alcun dato, si aggiorna ogni 30 minuti in modo che i tuoi grafici siano sempre aggiornati. WebDataRocks WebDataRocks è una tabella pivot web che fornisce analisi e visualizzazione dei dati integrando ed elaborando dati complessi. Caratterizzato da una moderna interfaccia utente, la tabella pivot aggrega rapidamente i dati e mostra le intuizioni in tempo reale: dopo aver caricato un file CSV o JSON, gli utenti possono immediatamente vedere, comprendere e interagire con i propri dati grazie a campi di trascinamento e selezione facili, strumenti di ordinamento e filtraggio. Information is Beatiful Information is Beautiful è una libreria curata di visualizzazioni predefinite. Le visualizzazioni, basate su fatti e dati reali, sono costantemente aggiornate, riviste e ruotate per riflettere l'accuratezza e il clima attuale. La mission di Information is Beautiful è aiutare il pubblico a prendere decisioni più consapevoli e, di conseguenza, tutto è scaricabile: queste visualizzazioni sono un modo semplice per aggiungere immagini sorprendenti e ricche di informazioni a presentazioni interne. Assicurati di controllare i loro accordi di licenza, però, perché mentre danno libero accesso alle persone, fanno pagare per gli utilizzi commerciali. Google Charts Google Charts è un'applicazione online facile da usare che consente agli utenti di visualizzare visivamente i dati sul proprio sito web. Utilizzando un semplice JavaScript incorporato nella pagina Web, gli utenti hanno il controllo completo sull'aspetto dei propri dati. I grafici sono altamente personalizzabili e possono essere ovunque, da semplici strutture a treemap estremamente gerarchiche, possono persino essere sostenuti da elementi interattivi come le animazioni. C'è una vasta libreria di esempi per trarre ispirazione, quindi è estremamente facile iniziare. Come puoi vedere, esistono diverse soluzioni per cominciare a prendere dimestichezza con l'analisi e la visualizzazione dei dati, ma la domanda fondamentale da porsi è sul perché abbiamo bisogno di visualizzare i dati, e soprattutto per quale motivo e per quali decision maker o stakeholder. Se vuoi approfondire l'argomento di invito a vedere il webinar Data Visualization 101: le dashboard per il Management.
La nascita dell'Inbound Marketing La nascita dell'Inbound Marketing viene fatta risalire al 2009 quando Brian Halligan, co-founder e CEO di HubSpot, software CRM per la gestione integrata delle funzioni Marketing, Sales e Service, coniava per la prima volta questo termine. Nello stesso anno veniva pubblicato il libro Inbound Marketing: Get Found Using Google, Social Media and Blogs scritto dallo stesso Halligan, Dharmesh Shah (founder e CTO di HubSpot) e David Meerman Scott. Ben presto questo nuovo approccio di fare marketing sarebbe stato adottato da numerose aziende tanto da segnare l'inizio di una nuova era incentrata su tecniche di tipo pull, mirate cioè ad attrarre in maniera spontanea il visitatore grazie alla creazione di contenuti di valore prodotti nel momento giusto e nel luogo appropriato. E' evidente che il marketing tradizionale, di tipo push, con le sue interruzioni pubblicitarie non richieste, le email e le chiamate a freddo, doveva cedere il passo ad un nuovo modo di intendere il business che meglio si adattava alle nuove esigenze dil mercato. Sulle differenze tra inbound e outbound marketing ti consiglio di leggere l'articolo Inbound e Outbound: Quali sono le differenze? Il mondo è cambiato, così come il modo di fare acquisti e le esigenze dei consumatori. Le fasi dell'Inbound definite da HubSpot L'Inbound non è solo una metodologia, intesa come insieme di tecniche di marketing, ma soprattutto una filosofia che pone al centro delle strategie di business i bisogni e gli interessi del consumatore, verso il quale tutti gli sforzi in termini di creazione di valore sono rivolti. HubSpot identifica quattro fasi principali alla base di questa metodologia: ATTRACT: il fondamento della metodologia Inbound è quello di attrarre possibili prospect prononendogli i prodotti e i servizi offerti dalla tua azienda nel momento in cui stanno cercando una soluzione ai loro problemi. Vediamo quali sono gli strumenti a disposizione in questa fase per attrarre uno sconosciuto e convertirlo in visitatore: Blog: il blog è il primo passo verso l'Inbound e il miglior strumento per attrarre nuovi visitatori al tuo sito. Per farsi trovare dai giusti prospect è fondamentale creare contenuti in grado di rispondere alle loro domande nel momento in cui sono in cerca di soluzioni ai loro bisogni. SEO: il processo d'acquisto moderno inizia online. Per questo è fondamentale scegliere con attenzione le parole-chiave in modo da indicizzare le pagine web e farsi trovare nel momento in cui i tuoi ideali customer stanno cercando quello che tu puoi offrire loro. Pubblicazione sui Social: una strategia Inbound di successo si basa sulla condivisione e promozione di contenuti di valore sui social media. Ma non solo. Anche l'interazione con i tuoi ideali clienti non deve essere tralasciata. CONVERT: in questa fase, se avremmo davvero prodotto contenuti di valore utili ai visitatori in cerca di soluzioni alle loro esigenze, inizieremo a raccogliere i primi frutti dei nostri sforzi di marketing. In questa fase ci preme convertire i visitatori in lead, ossia in persone interessate ai nostri prodotti e servizi. Pertanto quello di cui abbiamo bisogno adesso sono delle informazioni di contatto come Nome, Cognome, Email e Numero di Telefono in modo da inserire i lead nel database e segmentarli in base alla tipologia di profilo. In questa fase possiamo beneficiare di tre strumenti in particolare: Form: per convertire un visitatore in lead è indispensabile catturare i suoi dati attraverso un form. Assicurati che i form siano ottimizzati in modo da rendere questo passaggio il più agevole possibile evitando di scoraggiare l'utente chiedendogli di compilare troppi campi, molti dei quali non necessari. Call-To-Action: le call-to-action (abbreviato cta) sono dei bottoni o link che invitano gli utenti a compiere delle azioni come Registrati ora o Scopri di più. Assicurati che le CTA siano accattivanti abbastanza da poter generare il maggior numero di lead. Per sapere quali caratteristiche deve avere una call-to-action ideale, leggi l'interessante articolo Tutto quello che devi sapere sulle Call-to-Action. Landing Page: un visitatore che clicca su una call-to-action atterrerà su una landing page dove gli/le verrà richiesto di compilare un form. A quel punto si potrà parlare di lead a tutti gli effetti. Il team di Sales sarà ora in grado di iniziare una conversazione con il potenziale acquirente. CLOSE: è questa la fase più critica della metodologia Inbound in quanto si tratta di portare un lead a diventare vero e proprio cliente. Ecco di seguito alcuni strumenti che possono aiutarti a raggiungere questo obiettivo: CRM: un software CRM ti consente di tenere traccia di tutte le informazioni relative ai tuoi contatti e interagire con loro attraverso ogni canale: dalle email, alle chat e i social media. Email: l'attività di Direct Email Marketing (DEM) ti consente di stabilire la fiducia con i tuoi potenziali clienti e di nutrire (nurturing) relazioni di lungo periodo. Workflow: il pregio della Marketing Automation è quello di porre in essere azioni di Email Marketing e Lead Nurturing automatizzate e in linea con le esigenze del tuo potenziale cliente e del lifecycle stage in cui esso si trova. Se ad esempio un utente ha partecipato ad un webinar su un determinato argometo in passato, potrebbe essere interessato ad approfondire quell'argomento e quindi desidererà ricevere email che trattano quel topic. DELIGHT: la metodologia Inbound non si preoccupa soltanto di convertire lead in customer ma, anche e soprattutto, di soddisfare quei clienti per trasformarli in promoter dei tuoi prodotti e servizi ed attrarre a loro volta nuovi prospect. Gli strumenti di cui avvalersi in questa fase, oltre a strategie di upsell, includono: Questionari: i feedback dei clienti, attuali e potenziali, sono il principale strumento per capire se stai facendo centro nella risoluzione delle loro richieste. Persino i feedback negativi possono essere un'occasione per capire cosa non sta funzionando all'interno della tua strategia. Citando una frase pronunciata da Bill Gates, i tuoi clienti più insoddisfatti sono la maggiore fonte di apprendimento. Smart Content: i contenuti dinamici si adattano alle fasi del buyer journey e alla tipologia di Customer Persona (su questo argomento leggi anche l'articolo La Customer Persona è una questione di fiducia) presentando all'utente contenuti di volta in volta diversi in funzione del profilo a cui si rivolgono, in linea con gli interessi e i bisogni di determinate categorie di consumatori. Social Monitoring: ricordati di tenere sempre d'occhio le conversazioni degli utenti sui social e le loro interazioni con la tua azienda. Questo ti aiuterà ad ascoltarli più da vicino e a raggiungerli con contenuti che non deludano le loro aspettative! Per concludere.. l'inbound non è solo una metodologia! Come già detto all'inzio del precedente paragrafo, l'Inbound non è solo una metodologia ma anche una filosofia, un nuovo modo di fare marketing basato sull'essere trovati da potenziali clienti nel momento in cui questi sono alla ricerca di soluzioni ai loro problemi. L'Inbound segna quindi il passaggio dall'Interruption al Permission Marketing in cui l'audience deve essere conquistata attraverso contenuti di valore e non interrotta con annunci pubblicitari indesiderati. Potremmo quindi concludere che la differenza rispetto al marketing tradizionale consiste nel creare un marketing che le persone amano, una sorta di love marketing, in cui il vero protagonista delle strategie di business non è più l'azienda con i suoi prodotti ma il cliente, con i suoi bisogni, i suoi interessi e le sue aspirazioni. La gente non vuole un trapano, vuole un buco nel muro, Philip Kotler. Sei interessato all'Inbound Marketing e vorresti saperne di più su questa nuova metodologia?
Il modello di marketing S.A.V.E. è un metodo proposto per la prima volta sulla rivista Harvard Business Review con l’articolo “Rethinking the Four P’s“, ad opera di Richard Ettenson, Eduardo Conrado, Jonathan Knowles, come risposta alla necessità di dare nuovo valore al modo di fare marketing. Per più di mezzo secolo gli addetti ai lavori hanno servito i mercati dei consumatori con il modello tradizionale delle 4P “Product, Place, Price e Promotion”, ma oggi in un contesto sempre più digitale come quello attuale dove è fondamentale comprendere i comportamenti del cliente e il modo in cui i consumatori scelgono i brand questo approccio, produce strategie limitanti e focalizzate sul prodotto che sono sempre più in contrasto con l’imperativo di fornire soluzioni. Le 4P pongono maggiormente l’accento sugli aspetti e le specifiche dei prodotti rispetto a quelli unici che evidenziano i differenziatori e il valore che si offre. I clienti però, si aspettano esperienze straordinarie con offerte personalizzate, contenuti validi, prodotti su misura, comunicazioni chiare e in tempo reale sui prezzi, condizioni, servizi postvendita, etc. e soprattutto una volta presa la decisione di acquisto, si attendono una soddisfazione immediata con consegne rapide. In tale contesto dove i prodotti si assomigliano tutti da un punto di vista prettamente funzionale, non c’è dubbio che la Customer Experience rappresenti la nuova arena competitiva, spostando di fatto la sfida verso dimensioni diverse. Con gli evidenti mutamenti generati dalle aspettative dei clienti, a seguito di un cambiamento di cultura delle nuove generazioni e più in generale dallo stile di vita delle persone, l’esistenza dell’impresa che si propone con una customer experience deludente è a rischio. La buona notizia è che, indipendentemente dal fatto che si stia facendo marketing direttamente ai consumatori (B2C) o alle imprese (B2B), per aggiornare efficacemente il proprio marketing mix la strada è abbastanza accessibile. Piuttosto che vedere le 4P come un metodo obsoleto, il framework può essere ripensato e quindi innovato per arrivare all’obiettivo di focalizzare l’offerta alla straordinarietà dell’esperienza del cliente. L’evoluzione sta nel passaggio verso il modello S.A.V.E., acronimo dei termini, SOLUTION, ACCESS, VALUE ed EDUCATION, che in termini pratici implica l’adozione di un diverso business model incentrato maggiormente verso una customer experience unica. Il senso del framework può essere chiarito nel seguente modo: SOLUZIONE – Focus su Solution anziché su Product : Molte aziende stanno passando a modelli orientati alla customer experience per accedere alla soluzione offerta anziché a modelli basati solo sul prodotto. Nella maggior parte dei casi, la pratica delle compagnie è focalizzarsi solo sulle caratteristiche e le funzioni del prodotto / servizio e in che modo competono con i concorrenti. Questo però non è determinante perché ciò di cui i clienti si preoccupano maggiormente durante il percorso che li conduce all’acquisto è la risoluzione dei loro problemi. In pratica, il prodotto o il servizio non ha senso a meno che, non lo si posiziona intorno ai bisogni e ai desideri dei propri clienti comunicando i benefici e vantaggi derivanti dalle funzionalità. ACCESSO – Focus su Access anziché su Place: Oggi, la posizione geografica non è più un deterrente quando si tratta di acquistare prodotti o servizi. Internet ha da tempo preso il sopravvento e abbattuto la maggior parte delle barriere fisiche, rendendo accessibile qualsiasi prodotto o servizio. Ciò significa che chiunque può esaminare e acquistare, sempre, ovunque e su qualsiasi dispositivo. L’accortezza sta nell’assicurarsi che, il proprio sito web o piattaforma tecnologica sia il fulcro dell’azienda per le comunicazioni digitali e che abbia un design eccellente, reattivo ed una ottimizzazione per i dispositivi mobile. VALUE – Focus su Value anziché Price: Quando si tratta di prendere la decisione di acquistare il prodotto / servizio, il cliente ha una percezione del valore molto più significativa rispetto al prezzo effettivo. Con un accesso più istantaneo alle informazioni e con una selezione più ampia da cui scegliere, il concetto di valore gioca un ruolo ancora più critico per i consumatori di oggi. Concentrandosi sui vantaggi da offrire, i clienti apprezzeranno di più il brand e aiuteranno a identificare il giusto posizionamento di valore sotto forma di benefici in relazione al costo. A differenza dei prezzi più costosi, i prezzi basati sul valore funzionano meglio quando si costruisce un brand forte e un prodotto con caratteristiche di grande valore, in termini pratici una soluzione con una customer esperience unica. In caso contrario la proposta diventa indistinguibile dai concorrenti. EDUCATION – Focus su Education anziché Promotion : In Generale il metodo tradizionale per far conoscere il prodotto è attraverso la pubblicità e le promozioni. Oggi invece, nell’era in cui l’informazione è così diffusa, accessibile e a costo zero, diventa impensabile che prima non si vada su internet, nei vari blog e siti web specializzati a cercare le informazioni sul tema d’interesse. Quindi, perché non produrre materiali i cui contenuti sono delle informazioni rilevanti per i clienti, ai quali le persone scelgono di sintonizzarsi? La condivisione di contenuti educativi non solo ci consente il posizionamento come esperto e leader di pensiero nel proprio settore, ma creerà anche fiducia in quanto il pubblico acquisirà una sensazione di affidabilità e familiarità dal brand. Ingredienti chiave questi, necessari per ottenere la fedeltà dei clienti. In conclusione, il framework SAVE consente di abbracciare e affrontare in modo più efficace i propri obiettivi di marketing nel mondo moderno: identificare, anticipare e soddisfare i maggiori bisogni e desideri dei consumatori informati di oggi. L’utilizzo del metodo SAVE come framework per lo sviluppo della strategia go-to-market darà un fondamento più incentrato sul cliente e un modo di pensare più mirato per offrire una customer experience straordinaria – una pietra miliare per avere successo oggi.
La creazione di asset digitali per attirare l’attenzione degli utenti online e portare traffico verso le nostre proprietà web può sfociare in un lavoro “poco utile”, se questi asset non vengono sfruttati a dovere. Nello specifico, gli asset che creiamo, quali landing page, articoli del blog, pagine del sito..., devono sempre (o quasi) contenere uno strumento indispensabile: le Call to Action (CTA). La Call to Action, letteralmente “chiamata all’azione”, può essere un bottone, un’immagine o una stringa di testo cliccabile, inserita all’interno di una pagina web, che invita l’utente a compiere un’azione ben chiara e specifica. In questo modo, dopo aver attirato l’utente sulle nostre proprietà web, sarà possibile invitarlo a compiere un’azione specifica, in linea con la fase del buyer journey in cui si trova. Perchè le Call to Action sono importanti? Una chiamata all’azione è una “chiave di volta”, che permette di fare atterrare gli utenti su pagine specifiche, e invitarli a compiere azioni mirate e precise. Immagina il seguente percorso: l’utente effettua una ricerca su Google, digitando “viaggi in Oriente” e atterra organicamente su un nostro articolo del blog che parla di viaggi in Oriente, alla fine dell’articolo clicca una Call to Action con scritto “Scarica la mini guida sui 10 migliori itinerari in Oriente”; cliccando, atterra su una landing page, in cui trova un form di contatto, lascia i suoi dati e scarica la mini guida. In questo modo, l’utente è soddisfatto perché trova esattamente ciò che sta cercando, e noi abbiamo acquisito informazioni sulla sua persona. The easier the better Le Call to Action non sono altro che frasi testuali, o inserite all’interno di creatività grafiche, che invitano l’utente a compiere un’azione. Considerando la pigrizia e la scarsa attenzione degli utenti internet, l’invito all’azione deve essere diretto, chiaro e conciso: chi legge non deve avere il minimo dubbio su quali saranno le conseguenze nel cliccare l’invitante bottone. In particolare, il testo dovrebbe contenere un verbo al modo imperativo, accompagnato da un oggetto che rende chiaro l’obiettivo dell’azione, ad esempio “Scarica la brochure”, “Prenota subito il tuo posto”, “Iscriviti al corso”, “Guarda il webinar”, “Acquista il tuo biglietto”. È preferibile, al contrario, evitare l’utilizzo di aggettivi o rendere il testo troppo pomposo, per non appesantirlo e renderlo meno intuitivo e diretto per l’utente. Dove inserirle? Come non esiste la ricetta per una strategia di inbound marketing perfetta, allo stesso modo non esiste la posizione perfetta per una Call to Action all’interno di una pagina. Quello che sappiamo (lo dicono i dati) è che per gli utenti online vale l’effetto Primacy e Recency: il lettore presta maggiore attenzione agli elementi che si trovano all’inizio e alla fine di un contenuto. Per questo motivo, due buone posizioni per inserire le CTA sono la parte iniziale e la parte finale della pagina. Nel caso del blog, è anche possibile sfruttare la side bar per inserire gli inviti all’azione. Nulla però vieta di inserirli anche nella parte centrale del contenuto: testa ciò che più piace al tuo lettore e sbizzarrisciti. Scarica la nostra guida gratuita e scopri anche tu come creare Landing Page che convertono! Come creare CTA accattivanti? Per creare chiamate all’azione che attirino realmente l’attenzione dei tuoi utenti, in primo luogo assicurati che l’invito all’azione sia chiaro e diretto. In secondo luogo, fai attenzione che il bottone, l’immagine o il testo cliccabile rispetti le seguenti caratteristiche: deve essere distanziato dal resto, in modo da richiamare subito l’attenzione dell’utente; deve essere grande, ma non troppo; ottimizzato per la visualizzazione e l’utilizzo da mobile; di un colore che ispiri fiducia e che, soprattutto, sia in contrapposizione con il colore dello sfondo. All’interno di una stessa pagina, è importante non inserire troppe CTA che invitano a compiere la stessa azione, né tanto meno, che invitano a compiere azioni diverse. Non trascurare mai l’importanza della coerenza tra: la fase del buyer journey in cui si trova l’utente che deve cliccare il bottone, la pagina in cui si trova il bottone, il testo di invito all’azione e l’azione vera e propria che l’utente può compiere dopo aver cliccato la CTA. Gli inviti all’azione rientrano sicuramente tra i must have tool digitali, sei ancora convinto di poterne fare a meno?
Quali sono gli elementi da valutare nella selezione di un software di Data Visualization I dirigenti, i data analyst e gli altri stakeholder riconoscono la necessità di comunicare in modo rapido e preciso informazioni approfondite. Man mano che il numero di fonti di dati e le richieste di rapporti da parte di uffici interni crescono, gli analisti possono facilmente passare la maggior parte delle loro giornate a estrarre numeri invece di offrire informazioni utili alle parti interessate. La data visualization, l'interattività e l'automazione fornite dagli strumenti di visualizzazione dei dati risolvono molti di questi problemi: tuttavia, una rapida ricerca di strumenti di visualizzazione dei dati (o data visualization tools) offre centinaia di soluzioni diverse. Alcune considerazioni da fare nel momento in cui si valuta un software di data visualization, ad esempio, sono relative a: dove i dati siano presenti, quali informazioni debbano essere visualizzate, chi possa visualizzare e creare report, i costi della soluzione. Vediamo dunque più in dettaglio su cosa bisogna concentrarsi quando si sceglie uno strumento di visualizzazione dei dati o si decide se sia necessario, per aiutare la propria organizzazione a valutare obiettivamente diversi strumenti e trovare la soluzione migliore. Quali sono i requisiti che un software di Data Visualization deve avere? Li possiamo catalogare a seconda che siano relativi a: utilizzo dei dati, condivisione delle informazioni, sviluppo dei report, costi e budget. Le funzionalità di uno strumento di Data Visualization relative all'utilizzo dei dati Chi ha bisogno della capacità di creare report? La complessità e la facilità d'uso degli strumenti di Data Visualization variano: più funzioni e funzionalità possiede il tool, più la curva di apprendimento è ripida. Se l'obiettivo della tua azienda è quello di collegare tutti i soggetti interessati ai dati, creare visualizzazioni ed estrarre insight per il decision making, uno strumento con un'interfaccia più semplice e forse completamente online è l'opzione migliore. Tuttavia, se solo alcuni gruppi specifici, come gli analisti, sono responsabili dello sviluppo di report, investire in uno strumento più complesso darà loro maggiore flessibilità nella visualizzazione e nell'analisi. È necessaria la flessibilità per creare tipologie di grafici personalizzati? Grafici a barre, grafici a linee, grafici a torta e tabelle sono le caratteristiche di base di ogni strumento di visualizzazione dei dati. Tuttavia, i tipi di grafico pronti all'uso non offrono sempre la migliore visualizzazione dei dati, specialmente quando si tratta di più dimensioni o variabili. Alcuni strumenti consentono agli utenti di caricare tipi di grafici personalizzati, mentre altri hanno community di persone dedite alla creazione e alla condivisione di soluzioni personalizzate. Quale livello di interattività e filtraggio è necessario? La maggior parte degli strumenti offre un certo tipo di interattività. Ciò consente agli utenti di interagire con il report e personalizzare ciò a cui sono interessati, ad esempio un determinato intervallo di date o segmento. Alcuni strumenti consentono di fare clic su un elemento di un grafico per filtrare altre aree di una dashboard. Ad esempio, puoi fare clic su Ovest in un grafico a barre delle vendite per regione per filtrare la linea di tendenza delle vendite giornaliere per quella regione. Un'altra caratteristica di dati comuni è quella dei tooltip, che appaiono quando si passa sopra determinati punti di un grafico. I tooltip funzionano come mini-legende rilevanti dal punto di vista della situazione, fornendo ulteriori informazioni sui punti dati in un grafico. Sono utili per mostrare numeri esatti o definizioni di metriche diverse. Tuttavia, ogni strumento consente di visualizzare diversi tipi di punti dati nelle descrizioni comandi. Devono essere incluse funzionalità statistiche? Strumenti di dati più sofisticati consentono integrazioni con strumenti statistici avanzati come R e Python per consentire l'esecuzione di script statistici all'interno dello strumento di visualizzazione dei dati. Questo apre opportunità per aggiungere analisi del sentiment, test di ipotesi o modelli di punteggio direttamente nello strumento di visualizzazione. Alcuni strumenti, inoltre, hanno funzionalità statistiche come il clustering, la correlazione e le previsioni già incorporate nello strumento. Le domande da porsi sul budget Quanto budget è disponibile? Uno dei maggiori fattori coinvolti nella scelta di uno strumento sta nel confronto tra benefici e costo. Rispondere alle domande di cui sopra aiuterà a matchare il budget aziendale con i requisiti necessari, massimizzando il ritorno sull'investimento in strumenti di Data Visualization. Basando la tua selezione sui criteri sopra elencati, troverai una soluzione che soddisfa le esigenze dei tuoi utenti finali senza investimenti molto onerosi o richiedere significative risorse di sviluppo. Se vuoi approfondire l'argomento ti invito a vedere il webinar Data Visualization 101: le dashboard per il Management.
Per Parlare di Business Intelligence noi del Team di Digital Building Blocks abbiamo deciso di partire dallo studio realizzato da Gartner “Magic Quadrant”. Lo studio che da anni rappresenta uno strumento vantaggioso per le aziende che fanno dei dati e delle informazioni la loro forza. Il Magic Quadrant vuole essere una guida spirituale all’interno di un “Crowded Analytics and BI market” da dove provengono molteplici player mondiali, come le più innovative startup della Silicon Valley e Software Vendors Internazionali. Ed in questo mercato saturato da più fruitori dello stesso servizio, Gartner tira le somme di una profonda e costante battaglia all’innovazione digitale ed alla valenza del dato estratto dalla BI. Cos'è la Business Intelligence: BI è un modello di analisi, composta da Dati e Informazioni provenienti da ambiti differenti che vengono interconnessi fra di loro da software, fornendo così alle informazioni ed ai dati una vera e propria vita, in una dashboard o in altri strumenti di visualizzazione. La BI aiuta la connessione e la visione tra due aspetti (dati ed informazioni) facilitandone lo studio e l’analisi. La Business Intelligence è oggi alla base di ogni attività di analisi delle performance aziendali. È uno strumento che porta a una maggiore di efficienza aziendale, serve a racchiudere più informazioni e dati in un unica visualizzazione d’insieme. Le BI sono dei software digitali di sviluppo grafico di dati, sono considerate come dei moderni strumenti per unire più informazioni provenienti da fonti diverse in una stessa visione d'insieme. In pratica uno strumento di ottimizzazione aziendale in grado di poter fornire, anche ad un occhio non così analitico, la possibilità di andare a fare ricerche profonde ed accurate su un macro insieme di dati ed informazioni. La BI oggi offre un vantaggio competitivo e di netta efficienza rispetto ad altri sistemi di analisi e di accorpamento di dati e di informazioni come il Machine Learning. La differenza tra BI e Machine Learning è nella modalità in cui operano, come si evince dall’attenta analisi mostrata da Educba. Ora vediamo come la piattaforma di e-Learning ci spiega le due differenze graficamente: The Body Work Crux of Technology Operation of Data Usage of Algorithm Dopo il case study di Educba all’interno dell’analisi Gartner che stiamo compiendo definendo e valutando le funzionalità del prodotto nei seguenti cinque casi d'uso: BI Agile e centralizzato: supporta un flusso di lavoro agile abilitato dall'IT, che permetta di gestire centralmente tutto, dai dati ai contenuti delle analisi, utilizzando le funzionalità di gestione dei dati autonome della piattaforma. Analytics decentralizzata: supporta un flusso di lavoro dai dati alle analisi self-service e include analisi per singole funzioni aziendali e utenti. Scoperta dei dati con Governance: supporta un flusso di lavoro dai dati alle analisi self-service al sistema di record (SOR), contenuti gestiti dall'IT con governance, riusabilità e promozione dei contenuti generati dagli utenti a dati certificati e contenuti di analisi. Analisi OEM o integrata: supporta un flusso di lavoro dai dati al contenuto BI incorporato in un processo o un'applicazione. Implementazione Extranet: supporta un flusso di lavoro simile a quello presente nel primo punto dell'elenco (BI Agile e centralizzato) per il cliente esterno o, nel settore pubblico, l'accesso dei cittadini ai contenuti analitici. Il Magic Quadrant nel dettaglio dei Software Nel Magic Quadrant siamo entrati nei casi specifici dei più visionari. Portando l'attenzione a come le due piattaforme di BI siano oggi in grado di dominare la vetta dell'analisi Gartner. Microsoft: Power BI e la sua piattaforma di Business Intelligence. Tale piattaforma, da anni, viene identificata come la più all'avanguardia nel mondo delle Business Intelligence per le sue grandi prestazioni all’interno dell’analisi dei dati e nella loro visualizzazione. Rappresenta anche un successo della piattaforma la visualizzazione grafica, la quale mantiene una forte concretezza, ma al contempo una grande semplicità di visualizzazione dei dati. Tableau: è per Gartner anch'essa un vero e proprio Visionaries - Leader nelle BI. È una piattaforma che si distingue per l’unicità del servizio che offre e per la facilità di utilizzo e leggibilità dei dati, anche per chi non ha un occhio analitico. La piattaforma di Seattle nel 2018 ha anche integrato un nuovo assessment di business dove offre un servizio personalizzato agli utenti. Abbassando notevolmente il costo di acquisizione della BI per aumentare la fruibilità del servizio non solo per le grandi corporation ma anche per i piccoli business. La tecnologia deve essere sempre al servizio dell'azienda e mai viceversa Guarda il nostro webinar per saperne di più sul tema di Big data, machine learning, deep learning e AI!
In un mercato così competitivo come quello in cui ci troviamo oggi, una delle chiavi per il successo è il modo in cui vendiamo i nostri prodotti. Chi già vende online, sa quanto è importante essere sempre presenti nel percorso decisionale degli utenti, accompagnandoli in ogni fase della Customer Journey. Da questo punto di vista, un ruolo di fondamentale importanza, viene svolto dai “motori di ricerca”: infatti la più grande sfida dei Brand è diventata ormai quella di intercettare in ogni momento la domanda espressa dagli utenti. A questo punto mi sorge spontaneo fare una domanda: quanti di voi hanno cercato almeno una volta un prodotto su Amazon? …sono quasi certo che in questo momento la maggior parte starà pensando “io si”... ...Ecco.. sapete perchè? Perchè oggi Amazon non è più un semplice Marketplace, bensì è diventato a tutti gli effetti un vero e proprio motore di ricerca per prodotti. A testimoniarlo è il fatto che la piattaforma ospita oltre il 44% delle richieste dirette degli utenti che esprimono un bisogno per i loro acquisti. Pensate solo che il tempo trascorso su Amazon al mese è cresciuto del 42% negli ultimi due anni, e che il 92% degli utenti che iniziano il proprio percorso di acquisto su questa piattaforma effettua l’acquisto finale direttamente su Amazon. Quindi capite quanto sia importante presidiare questo canale nella propria rete di vendita online. A tal proposito, come fatto qualche tempo fa da Google, anche Amazon ha definito una Marketing Solution Platform (Amazon Marketing Services), consentendo di fare Advertising direttamente sull’e-commerce di Jeff Bezos. Quindi.. cos’è AMS? Amazon Marketing Services (AMS) è la piattaforma pubblicitaria di Amazon che offre ai venditori “Vendor” diverse soluzioni per portare traffico alle pagine prodotto e, di conseguenza, aumentare le vendite. Questa soluzione consente agli inserzionisti di mettere in evidenza i propri prodotti e il proprio brand quando le persone sono più propense ad acquistare online, ossia quando si trovano su Amazon. Non è un caso, infatti, che sul Marketplace più famoso della rete ci sia un tasso di conversione medio del 12,3%, quando i valori di benchmark per un buon e-commerce si aggirano intorno all’1,5%. Ma vediamo come funziona.. La prima cosa da sapere è che esistono diverse tipologie di annunci pubblicitari da poter utilizzare su Amazon come soluzioni di Advertising: Annunci Sponsored Product: permettono di sponsorizzare i vostri prodotti con un targeting basato su keyword, attraverso le quali gli annunci compariranno nelle pagine dei risultati di ricerca. Annunci Sponsored Brands: permettono di aumentare la brand awareness posizionando gli annunci sopra i risultati di ricerca, sempre attraverso un targeting basato su keyword. Annunci Product Display: permettono di massimizzare la visibilità dei vostri prodotti nelle ultime fasi del processo decisionale dell‘utente. Gli annunci vengono visualizzati sulla “rete display Amazon” attraverso dei metodi di targeting basati su prodotti o interessi. La filosofia alla base di AMS è esattamente la stessa che si trova alla base di Google Ads, ovvero quella del Pay Per Click (PPC) Advertising. Ma adesso vi starete chiedendo.. Cos'è la pubblicità basata sul cost-per-clic? Semplice: si pagherà solo in relazione alle performance con modalità “costo per clic”, cioè ogni qualvolta un utente fa clic sul vostro annuncio. E cosa sono le impressions? Le impressioni si registrano nel momento in cui il vostro annuncio viene visualizzato da un utente, e in questo caso non sono previsti costi. Quanto pago? Per ciascuna keyword fate un'offerta che rappresenta il massimo cost-per-clic che siete disposti a pagare. Più competitiva è la vostra offerta, più probabilità ha il vostro annuncio di essere visualizzato quando un utente Amazon cerca una delle vostre keywords. L’importo che pagherete per la singola interazione non sarà mai superiore al costo per clic massimo da voi impostato. Per capirne meglio il funzionamento, immaginatela così: ogni volta che un utente effettua una ricerca, inizia una vera e propria ASTA, che si basa sull’offerta fatta da parte degli advertiser sulle keyword (CPC massimo) per vincere e aggiudicarsi quindi il posizionamento disponibile su una pagina. A questo punto, se l’utente cliccherà sul vostro annuncio, pagherete un certo importo: Amazon Marketing Services usa un modello di second price auction, ovvero a seconda della qualità del vostro annuncio e dell’offerta dei vostri concorrenti, pagherete un importo vicino alla seconda offerta più alta. Chiaramente è molto importante non abbandonare le campagne a se stesse, ma monitorarne le performance in modo costante e dettagliato. A tal proposito, infatti, la piattaforma prevede la possibilità di visualizzare e scaricare dei report per fare delle analisi sulle vendite e capire qual è l’andamento di ogni singola campagna attiva. Non fosse ancora chiaro voglio ribadirlo ancora una volta: se già vendete i vostri prodotti online o state pensando di iniziare a farlo, prescindere da questo canale nella definizione della propria Digital Strategy è impensabile! Se non stai ancora utilizzando Amazon Marketing Services, o ritieni che ci sia ancora spazio per migliorare... cosa aspetti? Scopri di più sul tema Lead generation! Visita la nostra pagina dedicata cliccando qui sotto:
Quante volte ti è capitato di dover fare un acquisto, entrare in un negozio, andare dritto verso il prodotto che stai cercando, afferrarlo con decisione e andare in cassa senza alcuna minima esitazione? Mai, vero? Neanche a me! In quest’epoca dalle infinite possibilità, dalle centinaia di variabili e possibilità di personalizzare il prodotto o il servizio che stiamo cercando, non possiamo più pensare che il processo di acquisto assomigli ad una linea retta La maggior parte delle volte, che si tratti di una nuova auto o di un paio di scarpe, il nostro processo di acquisto è molto più complesso, e assomiglia più ad un giro sulle montagne russe. Awareness Partiamo da un’idea, a volte molto vaga. Stiamo guidando e vediamo qualcuno che sta attraversando la strada davanti a noi con un paio di scarpe che attira la nostra attenzione e ci viene in mente che ci servirebbe proprio un nuovo paio di scarpe per una certa occasione. Ma mentre siamo fermi al semaforo, valutiamo l’ipotesi di un nuovo acquisto: meglio un paio di scarpe più formali, o un po’ più casual per andare anche al lavoro? Ma sei poi sono scomode? Forse meglio delle sneakers? Ma ne ho già 4 nell’armadio… Siamo ancora in auto che cerchiamo parcheggio, che già abbiamo cambiato idea una ventina di volte. Tutto sommato però l’idea ormai si è infilata nella nostra testa, e allora, posata la borsa del lavoro prendiamo subito in mano il cellulare e cerchiamo online qualche idea per un nuovo paio di scarpe: ultime tendenze, cosa indossano i nostri influencer preferiti, come abbinare un certo modello con determinati outfit etc etc. Questa è quella che i marketers chiamano fase di Awareness: quel momento in cui il possibile cliente inizia ad avere una vaga idea del suo bisogno, ma non sa ancora quale soluzione possa soddisfarlo veramente. La sua è una ricerca discontinua, a volte molto lontana dall’oggetto che poi finirà per acquistare. Ad esempio può partire da un paio di sneakers e finire ad acquistare una giacca o uno zaino. Consideration Quando iniziamo a chiarirci un po’ le idee e ad avere maggiore consapevolezza di ciò che stiamo cercando, è probabile che inizieremo a comparare vari modelli o prodotti di uno stesso marchio. Inizieremo ad esempio a valutare materiale, colori, pro e contro, opinioni di altre persone che hanno acquistato lo stesso prodotto, e ovviamente il prezzo. Vi diamo ufficialmente il benvenuto nella fase di Consideration: in questo momento se siamo online probabilmente apriremo 12 finestre nel browser per guardare tutte le schede prodotto delle scarpe che ci potrebbero interessare. Se ci troviamo in un negozio, malauguratamente per i commessi, inizieremo a provarne 12 paia diverse, e puntualmente, più di tutte, ci piaceranno quelle di cui non c’è il nostro numero. Decision Ok, deciso, vorremmo proprio questo modello qui - quello di cui in negozio non c’è il numero. Nessun problema, lo cerchiamo online e proviamo a guardare se lo hanno in un altro negozio qua intorno o se possiamo acquistarlo online. In tal caso, abbiamo bisogno di sapere quando arriverà, quanto costa la spedizione, quali metodi di pagamento sono accettati… e se poi non mi stanno bene? posso restituirle? come funziona il reso? Può anche essere che io abbia già le risposte a queste domande, perché abituato ad acquistare su quel sito/marketplace. Ma la fase di decision può includere diversi tipi di approfondimento, in base a ciò che ognuno di noi ritiene necessario sapere prima di acquistare, e che ci rassicura della scelta che stiamo facendo. Ad esempio conoscere i principi etici dell’azienda produttrice, o il processo di lavorazione, la resistenza del prodotto per il tipo di “lavoro” che deve svolgere per me, o se la spedizione è ecosostenibile… Non è detto che avere il prezzo migliore sul mercato sia la leva giusta per tirar fuori la carta di credito. È il job to be done che deve essere coerente con la buyer persona che sta interagendo con il prodotto/servizio. Attenzione, il fatto che ci troviamo nella fase di decision, non vuol dire che non posso tornare indietro in una fase precedente: “ effettivamente ho già tante scarpe, forse mi servirebbe una scarpiera…” Ma a cosa mi serve conoscere questi termini tecnici? Che me ne faccio? Mi servono a vendere di più o meglio il mio prodotto? Negli ultimi 10 anni il processo d’acquisto è radicalmente cambiato. Pensare di poter acquistare un prodotto che mi sarà spedito dall’altra parte del mondo, con un semplice comando vocale senza neanche tirare fuori il portafoglio, in meno di 30 secondi, solo 10 anni fa era davvero fantascienza. Domani, probabilmente, sarà la norma. Se voglio continuare a vendere il mio prodotto non posso non avere consapevolezza di come il mio prospect si muove prima e dopo un acquisto. Scarica il nostro e-book gratuito per sapere come il processo di vendita è cambiato negli ultimi anni a seguito dell'avvento di Internet! La maggior parte dei brand si posizionano abbastanza bene per i propri prodotti - decision - ma raramente si preoccupano di produrre contenuti per le fasi precedenti. Sembra uno spreco di tempo e di risorse partire da tanto lontano per spingere un prodotto, che non è detto che riuscirò a vendere. La verità è che in questo modo lasciamo che altri si posizionino con altri contenuti in queste fasi, orientando la scelta del prospect verso altre soluzioni e altri brand. Anche quando non sembra che sia così, come nel caso dei micro-influencer che seguiamo tutti i giorni sui social. So what? cosa posso fare? Intanto una buona idea è iniziare ad avere una conoscenza approfondita della/e propria/e customer persona e analizzare i dati per capire quali sono i touch point tipici del percorso decisionale con cui queste customer personas interagiscono. E poi sviluppare gli asset necessari per influenzare e condizionare in modo positivo le scelte dei prospect, facendoli approdare alle nostre soluzioni. Ad esempio avere un buon piano editoriale può aiutare molto, soprattutto se ottimizzato lato SEO. Anche attivare una rete di referral può essere una buona idea… insomma, avere una strategia è la base da cui partire. Oramai ti è chiaro che in un contesto in cui l'attenzione degli utenti è una risorsa sempre più scarsa, gli approcci di Marketing tradizionali non sono più efficaci; per questo è necessario mettere al centro delle proprie strategie il cliente ed essere presenti nelle diverse fasi che compongono il Customer Journey. Sai identificare la customer persona nel modo giusto? Abbiamo preparato un template per la definizione della customer persona B2C, scaricalo subito:
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito all’abilità delle startup di successo di sfruttare le tecnologie esistenti in modi non precedentemente immaginati grazie all’applicazione di strategie e modelli di business innovativi cui le grandi aziende si sono avvicinate timidamente e con colpevole ritardo. Perfino alcuni modelli di business esistenti che prima erano ritenuti non applicabili perché non economicamente sostenibili, come la “sharing e la gig economy”, ora sono in trend a seguito dei cambiamenti socio-culturali e grazie alle startup che hanno saputo interpretare questo cambiamento rispondendo in modo agile e tempestivo. In pratica, le grandi aziende dette anche Incumbent (organizzazioni con un passato pressoché monopolista che oggi si trovano a competere con startup e nuovi modelli di business), grazie alle loro ricerche e grandi investimenti hanno fornito la base di tecnologie rivoluzionarie (Internet, Cloud, Intelligenza artificiale, etc…) che le startup hanno saputo sfruttare e utilizzare per creare soluzioni per le loro nicchie di riferimento. Tali innovazioni hanno fornito quindi la spina dorsale per l’innovazione e la crescita dei nuovi arrivati che così hanno potuto concentrarsi sull’identificazione dei problemi e la creazione di soluzioni senza dover costruire le basi tecnologiche su cui fondare la loro esistenza. Creare un’innovazione da zero richiede grandi capitali e lunghi tempi di sviluppo e questo è il vantaggio che le grandi aziende hanno ancora rispetto alle startup. Analizzando i modelli di business differenti con cui i player operano sul mercato, gli osservatori evidenziano come la forza delle nuove imprese innovative sia essere svincolate da prodotti, processi e sistemi IT legacy. Il vantaggio di entrare nel mercato senza il peso di un’infrastruttura organizzativa e tecnologica ed il relativo carico di scelte ed investimenti che avevano un senso in un contesto passato, permette ai nuovi entranti di progettare processi, prodotti e sistemi digitali basandosi solo sulle tecnologie di ultima generazione e trend attuali. Di fatto le startup di successo, piuttosto che sviluppare tecnologie disruptive, competono cercando di fare la differenza su aspetti chiave e di valore, focalizzandosi sulla customer experience, su investimenti mirati e scelte tecnologiche che le rendano più flessibili, rapide e funzionali. In pratica, liberate dai sistemi legacy e dalle pesanti burocrazie, le startup si adattano e si muovono rapidamente con un accesso più facile al capitale e una rapida acquisizione dei clienti. Le grandi aziende dal canto loro, sono conservatrici e spesso guardano al business in modo difensivo cercando di limitare le perdite il più possibile e, sebbene meno agili o innovative, possono contare su solide basi patrimoniali, brand consolidati e rapporti profondi e duraturi con la propria clientela e altri partner della loro filiera. In sintesi, possiamo affermare che i principali vantaggi per le startup sono: la capacità di innovare più velocemente, il possesso di una vasta cultura di sperimentazione e assunzione di rischi, la presenza di prodotti e servizi altamente digitalizzati, nonché la visione dei leader dell’azienda. Al contrario, i vantaggi delle grandi aziende sono: un maggiore accesso al capitale, brand che ispirano grande fiducia al consumatore, una grande base di clienti, un’alta qualità delle relazioni con i clienti e capacità di innovazione. Osservando la prima ondata di innovazione digitale è possibile fare un’ulteriore riflessione evidenziando gli ambiti dove le startup sono prevalentemente attive con un ruolo di digital disruptor, e sono state in grado di sfruttare Internet per creare prodotti e servizi che hanno trasformato settori come trasporti, commercio, banche, viaggi e tempo libero, ma anche media ed entertainment, beni di consumo, telecomunicazioni, etc. Tuttavia, ci sono altri settori come quello sanitario, farmaceutico, dei servizi pubblici, dell’istruzione, dell’edilizia, dell’oil&gas, della produzione e della sicurezza che hanno ancora bisogno di “disruption” e che sosterranno la prossima ondata d’innovazione. Ma perché questi settori non sono stati impattati come gli altri fino ad ora? E’ probabile che la causa principale sia da addebitare alle elevate barriere all’ingresso, ma anche al fatto che questi settori sono altamente regolamentati dai governi e richiedono ingenti investimenti. Per spingere i necessari cambiamenti occorrono sforzi significativi che solo le grandi aziende possono affrontare per influenzare cambiamenti nelle politiche e interventi istituzionali e normativi. In questo scenario di cambiamento e di digital transformation, startup ed incumbent sebbene diversi negli approcci al business, risultano essere complementari e potrebbero generare opportunità per entrambi, unendo le loro forze per il raggiungimento di un obiettivo comune. Gli incumbent che decideranno di prendere ispirazione dalle startup potranno reimmaginare digitalmente il proprio business usando le nuove tecnologie, definire nuove linee di servizi e di business, attraverso una visione chiara che anticipa il cambiamento, intervenendo sulle aree migliorabili della catena del valore oppure acquisire aziende che stanno facendo la differenza in un certo ambito; potrebbero anche decidere di percorrere una strada intermedia avviando una collaborazione con una startup che mira alla partnership. Non esiste una soluzione universale e ogni strategia dipende dal contesto specifico, dall’ambizione aziendale e dall’area più critica che una azienda tradizionale ha deciso di provare a risolvere. Di sicuro le startup presentano nuovi paradigmi che stanno ridefinendo inesorabilmente l’ecosistema delle grandi industry di prossima generazione. Nel frattempo, come in ogni rivoluzione industriale o cambiamento di tendenza, alcuni attori saranno spazzati via, altri riusciranno a sopravvivere ma solo i più adattabili verranno premiati dal successo.
La tua azienda ha bisogno di SEO & Inbound Marketing e ti spiegherò perché in questo articolo, mettendo in luce le metodologie e le fasi dietro queste due strategie digitali che all’apparenza possono sembrare parallele. L’ottimizzazione SEO per posizionare la tua azienda Il termine SEO è un acronimo che deriva dall’inglese Search Engine Optimization e la relativa ottimizzazione riguarda tutte quelle attività che hanno come obiettivo migliorare il posizionamento organico di un sito web, tramite la ricerca di determinate keyword sui motori di ricerca come Google, Yahoo! o Bing. Se il tuo sito è ottimizzato in ottica SEO, in base al topic, nel tempo si posizionerà in cima alla pagina dei risultati del motore di ricerca - detta anche SERP (Search Engine Results Pages). L’ottimizzazione SEO è composta da diverse fasi: Indicizzazione: la prima cosa da fare è avviare un processo di indicizzazione, con lo scopo di inserire un sito o una pagina web nel database del motore di ricerca in modo da essere riconosciuto. Da non confondere con l’ottimizzazione stessa, che, come già spiegato, mira a portare un determinato sito più in alto possibile nella SERP. Analisi delle keyword e definizione dei contenuti: analizzare le parole chiave con più volume di ricerca e con i giusti strumenti è il principio alla base di tutte le attività legate al mondo SEO. In questo modo si possono identificare i “temi” più pertinenti dal punto di vista SEO e sviluppare una strategia di content marketing adatta per poter posizionarsi bene e aumentare il traffico sul proprio sito. Ottimizzazione on-site: una volta identificati i contenuti, essenziale è l’intervento sugli elementi interni del sito per un’associazione tra le keyword individuate nella fase precedente e le diverse pagine che compongono il sito. Per migliorare il proprio ranking (posizionamento) le keywords devono risultare all’interno dei testi e del Tag Title ed essere riprese, se possibile, anche nella Meta Description. Altri fattori chiave da considerare sono il nome del dominio, che deve dare pertinenza e credibilità al sito; il contenuto del sito deve essere interessante e ottimizzato con inserimento di anchor text o rich media files, il bounce rate (frequenza di rimbalzo) e il tempo di caricamento della pagina. Inoltre, non bisogna dimenticare l’utilizzo di link interni, in grado di creare traffico tra una pagina e l’altra all’interno del proprio sito. Il tuo occhio attento potrebbe aver già notato che ho considerato la maggior parte di questi fattori anche nella struttura di questo articolo. La costanza nella pubblicazione dei contenuti e l’aggiornamento continuo del proprio sito web sono indispensabili per permettere al motore di ricerca di posizionare il sito sempre più in alto. Ottimizzazione off-site: altrettanto importanti sono le attività di posizionamento off-site, attraverso strategie finalizzate ad un aumento della quantità e della qualità dei link in entrata tramite attività di referral, link building, gestione della reputazione online, social media engagement. Monitoraggio dei risultati: una volta messa in atto la strategia è necessaria una continua analisi dei dati e dei risultati che va dal comportamento degli utenti sul sito, dal volume degli accessi al sito dai motori di ricerca al tasso di conversione. Grazie alla SEO è possibile raggiungere un numero elevato di utenti, portando traffico al proprio sito web ed essere competitivi online. A questo punto spero che ti stia già ponendo alcune domande e considerazioni. Il tuo sito è già tanto efficace da portare l’utente all’acquisto in poco tempo? Hai solo bisogno che sia posizionato meglio nei motori di ricerca? Allora l’attività SEO fa al caso tuo. Se fai bene la SEO inizierai a ricevere molte visite, ma le visite non diventano automaticamente contatti, o clienti. Per trasformare le visite in clienti, ecco che entra in gioco l'inbound. Abbiamo creato un report per aiutarti a capire quali sono le funzionalità e i vantaggi delle piattaforme SEO: dalla ricerca di keyword e rank-checking all'analisi ed acquisizione dei backlink! Scarica subito la tua copia gratuita! Inbound Marketing & SEO a confronto L’inbound Marketing pone il cliente al centro, attraverso le fasi della buyer’s journey: Nella prima fase, attract, l’obiettivo è portare il maggior traffico possibile sul sito, tramite un’attenta analisi delle parole chiave, la definizione delle Customer Persona e dei contenuti pertinenti. Il secondo step, convert, prevede la conversione dell’utente in lead. Questo avviene, per esempio, con la compilazione di un form nelle landing pages così da poter ottenere i primi dati dell’utente. Nella fase close, si instaura un rapporto di fiducia tra il team aziendale e il lead, confrontandosi e intuire se i servizi o i prodotti che vengono offerti possono soddisfare i suoi bisogni e raggiungere l’obiettivo ultimo: la vendita. il processo di Inbound Marketing non si conclude con la vendita nella fase delight, con una serie di attività volte a fidelizzare il cliente fino a farlo diventare “promotore” dell’azienda. Alla luce di quanto detto finora, è chiaro che la fase attract dell’Inbound Marketing comprende anche l’ottimizzazione SEO ed è facilmente intuibile che queste due strategie non sono parallele, ma una fa parte dell’altra. L’ottimizzazione SEO è fondamentale nella prima fase della strategia di Inbound Marketing e a guidare l’utente lungo le ulteriori fasi della buyer’s journey. Inbound Marketing e SEO: la coppia vincente Non ha senso costruire un albergo lussuoso in un luogo irraggiungibile e sconosciuto a chiunque, non credi? In questo articolo ho messo in luce due concetti che molto probabilmente a volte possono confondere le idee: SEO & Inbound Marketing. Definendo l’obiettivo del primo, è stata sottolineata l’importanza di portare maggiore traffico al sito mentre, con l’Inbound Marketing, si passa a convertire gli utenti che atterrano sul sito web in potenziali clienti. Insomma, una coppia vincente. Se la tua azienda necessita di una strategia Inbound, quest’ultima ha bisogno dell’attività SEO e di conseguenza la tua azienda ha bisogno di SEO & Inbound Marketing. Vuoi approfondire l’argomento? Scopri gli asset e gli strumenti di entrambe le metodologie per una strategia digitale efficace nella tua azienda.
Avendo raggiunto i 154 milioni di utenti attivi mensilmente, Douyin, conosciuta anche come Tik Tok, è stata la sesta App più scaricata al mondo nel 2018, analizzando i dati combinati di iOS e Android. Per quanto riguarda iOS nello specifico è stata l’app più scaricata in assoluto escludendo la categoria dei giochi, battendo nomi importanti come YouTube, Instagram, Facebook e WhatsApp. Considerando che gli utenti Android in Cina devono scaricare l'app da negozi di terze parti (dato che PlayStore è vietato), Douyin ha stabilito con successo una forte presenza internazionale, con i paesi asiatici come la Thailandia, il Giappone, l'Indonesia e il Vietnam che hanno fatto da traino. Il target di utilizzatori di Douyin è prevalentemente composto dagli under 24 con particolare focus sulla fascia d’età 20-24 (grafico 1). Il sesso femminile risulta il predominante nell’utilizzo dell’app triplicando il numero di utilizzatori di sesso maschile (grafico 2). Scarica il nostro e-book se sei interessato a conoscere le best practice per il Facebook Advertising! Abbiamo creato questa guida per fornirti le risorse fondamentali per la creazione di campagne di successo! Clicca qui e scarica la guida gratuita! Pubblicità: ufficiale o guidata dagli Influencer? Douyin prevede due differenti strategie di utilizzo principali lato marketing, simili a quelle proposte da Instagram. Un brand può scegliere se lanciare una campagna pubblicitaria di advertising, acquistando il servizio direttamente dalla piattaforma, oppure se collaborare con gli influencer di riferimento in base al settore. Una campagna lanciata direttamente da Douyin prevede la presenza di banner grafici, sfide sponsorizzate con hashtag e filtri personalizzati. Pare che l’utenza dell’app sia particolarmente aperta nei confronti delle sponsorizzazioni dei brand, oltre il 70% degli utenti, infatti, si dichiara favorevole a inserzioni commerciali pertinenti, una percentuale che quasi va a doppiare la stima riferita al principale social network di casa Zuckerberg. Case Study - Michael Kors Il principale case study da citare è sicuramente quello riguardante la celebre etichetta di moda Michael Kors. L’azienda americana oltre ad ingaggiare 3 importanti influencer di moda del sol levante, con una base collettiva di follower che tocca i 6 milioni, ha promosso una sfida chiamata “The Walk” ricondividendo i video degli utenti che si riprendevano mentre sfilavano, per gioco, per le vie della propria città vestendo abiti Michael Kors. La competizione prevedeva la vittoria dell’utente che fosse riuscito a girare il video più virale e popolare. La campagna ha raggiunto l’adesione di 30.000 utenti per un totale di 6 milioni di visualizzazioni complessive. La lunghezza del video doveva non eccedere i 15 secondi e doveva essere ben in evidenza l'hashtag ufficiale della sfida. In questo caso l’idea è stata quella di coinvolgere direttamente gli influencer senza passare dalla piattaforma quindi utilizzando la sola portata organica del fenomeno. In conclusione Douyin ha dimostrato di confermarsi anche dopo la fase di Hype, dimostrando di avere un potenziale non indifferente lato marketing, soprattutto per quanto riguarda la diffusione del Brand. Sicuramente un canale da tenere d’occhio non solo per quanto riguarda il target orientale! Se l'articolo ti è piaciuto e vuoi approfondire il tema della lead generation, clicca qui sotto:
Quando si parla di trasformazione digitale, è piuttosto comune la confusione tra Digitization – Digitalization e Digital Transformation (DT) in quanto tutti e tre i termini, che hanno un significato ben preciso, definiscono un ambito specifico del generico “digitalizzazione”. Ancora, concetti come cloud, intelligenza artificiale, blockchain, big data, machine learning, IoT, cybersecurity, sono dei termini che raffigurano le nuove basi di un mondo basato sui dati; ma più creiamo termini per descrivere il mondo digital, meno comprendiamo ciò che il cambiamento in atto significhi realmente per le imprese e le persone. Nel cuore della questione, c’è un approccio limitato alla trasformazione in corso poiché spesso viene affrontato solo un aspetto parziale della tematica che invece ha anche importanti sfumature da considerare. Proviamo quindi a fare un pò di chiarezza: COS’È LA DIGITIZATION? La digitalizzazione si riferisce alla creazione di una rappresentazione digitale di oggetti fisici. Ad esempio, scansioniamo un documento cartaceo salvandolo come un documento digitale (ad es. PDF). In altre parole, la digitalizzazione consiste nel convertire qualcosa di analogico, in una rappresentazione digitale. COS’È LA DIGITALIZZATION? La digitalizzazione si riferisce all’abilitazione, al miglioramento o alla trasformazione dei processi aziendali sfruttando le tecnologie digitali e i dati digitalizzati. Ciò significa che la digitalizzazione presuppone la digitalizzazione come descritto nella sezione precedente. COS’È LA TRASFORMAZIONE DIGITALE? La trasformazione digitale è un cambiamento nel modo di condurre un business attraverso la profonda trasformazione delle attività aziendali, delle competenze e dei modelli di business, sfruttando appieno le opportunità delle tecnologie digitali affinché si riesca ad offrire una “customer experience” rilevante, capace di lasciare il segno. Si parte dalla cultura aziendale e dal mindset imprenditoriale/manageriale, ovvero l’apertura della mentalità per adottare un approccio diverso in risposta alle esigenze del mercato di oggi, per proseguire con la revisione dei processi, adattandoli sulla base dei desideri del cliente moderno e sulla base delle possibilità offerte dalla tecnologia. La trasformazione digitale dunque, non è una semplice integrazione della tecnologia digitale in tutte le aree di un’azienda, ma un allargamento dei confini che include una serie di innovazioni organizzative, sociali, culturali, creative e manageriali con conseguenti cambiamenti fondamentali sul modo in cui le imprese operano e su come forniscono valore ai clienti. In conclusione, la DT non è un opzione ma è fondamentale per restare rilevanti sul mercato e naturalmente profittevoli. Le aziende in ritardo su quest’area di miglioramento, rischiano di perdere terreno nei confronti dei nuovi entranti i quali, attraverso moderni business model e prodotti e servizi innovativi, saranno in grado di trasformare i mercati offrendo una customer experience magistrale. Vorresti imparare ad adottare le tecnologie digitali nella tua azienda? Clicca qui sotto per scaricare gratuitamente il primo capitolo del libro Guida per manager nell'era Digitale e scoprire soluzioni tecnologiche e strategie digitali per mantenere un vantaggio competitivo:
Considerazioni sulla causa intentata da Hertz contro Accenture Prendo spunto da una notizia che nell’ultimo mese ha conquistato l’attenzione degli addetti al lavoro nella consulenza, web agency e digital consulting firm, pubblicato dalla rivista online Skift del 26 aprile, col titolo: “Hertz Wanted a Cool Website: It Ended up With a 32 $ Milion Legal Nightmare, scritto da Isaac Carey (qui l’articolo completo: https://skift.com/2019/04/26/hertz-wanted-a-cool-website-it-ended-up-with-a-32-million-legal-nightmare) per fare qualche riflessione sui motivi che possono causare il fallimento di un progetto digitale. Ne abbiamo parlato anche all’interno della community DBB dei Chief Digital Officer Italiani (http://digitalbuildingblocks.it). Andiamo con ordine, partendo dal contenuto dell’articolo. Il gigante del noleggio veicoli, Hertz, ha intentato in USA, presso lo stato di New York, una causa milionaria contro la società di consulenza Accenture, a cui aveva affidato nell’agosto del 2016 il progetto di ridisegnare il sito web e l’applicazione mobile. Il progetto, che aveva l’obiettivo di migliorare la user experience del cliente intenzionato ad usare il servizio di noleggio online della società in tutto il mondo, ha subito continue posticipazioni delle scadenze concordate con il fornitore, Accenture, senza riuscire, a maggio 2018, data in cui Hertz ha licenziato l’azienda di consulenza, a raggiungere gli obiettivi definiti. Hertz richiede il rimborso di quanto pagato, 32 milioni in 21 mesi di progetto, più quanto necessario per assegnare ad un'altra società l’incarico di riparare quanto fatto da Accenture, e completare finalmente il progetto e andare online con le nuove proprietà web che, sicuramente, visto l’impatto mediatico di questa causa, conquisteranno l’attenzione, oltre dei clienti che potranno finalmente vivere una UX unica, visto quanto l’azienda ha pianificato di investire, anche di molti web marketer e developer spinti dalla curiosità di scoprire le formidabili innovazioni sviluppate. Hertz contesta inoltre il mancato rispetto dei requisiti funzionali definiti in fase di progettazione. La struttura web doveva essere flessibile (che significa???) in modo da essere applicata a tutti i marchi di noleggio (compreso Dollar e Thrifty) e per tutte le località; mentre la consegna ha riguardato solo il sito North America”. Le pagine dovevano essere responsive (RWD: responsive web design), ovvero capaci di adattarsi alle differenti dimensioni dei dispositivi. Altro punto il non rispetto delle Visual Style Guide. Il malcontento di Hertz si è accentuato soprattutto in seguito alle continue richieste di ulteriore budget da parte di Accenture per completare le attività o risolvere eventuali criticità, nonostante, a detta del committente, i ritardi del fornitore e la promessa di non consuntivare costi aggiuntivi per il go-live del progetto. Quindi, in definitiva, vengono contestati tre tipologie di mancanze contrattuali: requisiti di progetto, ritardi sulle scadenze di progetto costi aggiuntivi non previsti a budget Accenture, da parte sua, ritiene che la causa sia “senza merito”. Non voglio entrare nel merito della discussione e non mi interessa sapere chi ha ragione e chi torto. Penso che la questione sia più complessa di quello che emerge dai vari articoli online e anche dalla denuncia depositata da Hertz (qui il link per approfondire https://regmedia.co.uk/2019/04/23/hertz-accenture-website.pdf). Visto l’ammontare del progetto, penso non si tratti di un semplice sito web o applicazione mobile. Ma la discussione mi è utile per fare alcune riflessioni sulla gestione dei progetti digitali. Un progetto di Digital Transformation corrisponde, nella maggior parte dei casi, all’introduzione di una nuova struttura organizzativa che crea valore e lo trasferisce efficacemente al contesto interno o esterno con cui interagisce. Questa è proprio la definizione di “innovazione”, fornita dall’economista J. Schumpeter. E’ proprio l’innovazione che accomuna tutte le aziende oggi: => La necessità di innovare => La difficoltà di innovare Ma innovare richiede la capacità di generare, gestire e sopportare una discontinuità organizzativa. Anche i progetti di Digital Marketing, in moltissime organizzazioni, rientrano nella sfera dell’innovazione, in quanto richiedono l’inserimento di nuove tecnologie, di nuove metodologie e processi, di nuove risorse in grado di creare e gestire una discontinuità organizzativa e, probabilmente più importante, farle comprendere al “cliente” interno. Nuove figure capaci di gestire la complessità. Ed è proprio la COMPLESSITÀ l’elemento maggiormente sottovalutato in questa trasformazione digitale. Complesso non significa difficile. Ma piuttosto che richiede la conoscenza e la comprensione, o la capacità di orientamento, su una molteplicità di elementi, variabili e aspetti. Anche quando si parla di DIGITAL MARKETING & SALES, facendo riferimento ai processi che incidono sulla parte destra del Business Model Canvas, la complessità spesso viene SOTTOVALUTATA, causando distorsioni nel mercato, poca attenzione dell’Executive aziendale, scarsa pianificazione strategica e allocazione di risorse, emergere di Guru e metodologie non testate, fragili, non allineate con gli obiettivi di business (ed ecco la comparsa di grandi fenomeni senza un giorno in azienda, l’inseguimento di Hype comunicativi, l’introduzioni di metriche della vanità, etc), e causando il fallimento dei progetti (vedi esempio Hertz vs Accenture). Le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo. Il Digital non è un settore, una funzione aziendale, un business. E’ un ELEMENTO, come l’energia elettrica, la carta, la ruota, il fuoco. Un elemento che tocca ormai tutte le Nostre attività, abilita nuovi processi, nuovi modelli di business, genera innovazione. La tecnologia sta cambiando il mondo ad una velocità di crociera mai vista prima. Un’accelerazione della velocità del cambiamento con una transizione da scala lineare a scala esponenziale. L’elemento distintivo in questo processo trasformato non è il “cambiamento, che può essere definito una variabile costante del processo evolutivo delle organizzazioni (sociali e aziendali), ma la velocità del cambiamento. Abbiamo imparato come scalare la tecnologia (principalmente il cloud computing, la mobilità, le reti, … ). Ora è tempo di scalare nelle organizzazioni, la strategia, la struttura, i processi, la cultura, i KPIs, le persone e i sistemi. Fino al 1800 la maggioranza degli individui lavorava in agricoltura. Durante la rivoluzione industriale gli abitanti dei paesi sviluppati abbandonarono i campi e cominciarono a lavorare nell'industria. Nel 2010 solo il 2% degli Americani lavorava nell'agricoltura, il 20% era occupato nell'industria, mentre il 78% era costituito da insegnanti, dottori, consulenti e cosi via. Quando algoritmi privi di mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare malattie e progettare meglio degli umani, la capacità di definire processi creativi, di integrare metodologie e tecnologie diverse per raggiungere determinati obiettivi; la capacità di sfruttare competenze e abilità acquisite in determinati contesti, modificarle, correggerle, ridefinerle, adattarle ad altri contesti generando valore o incrementando le performance, sarà una caratteristica (“Learning Transfer Model”) solo umana. Una caratteristica di successo dei cosiddetti “Expert Generalist”, persone capaci di apprendere da diverse fonti, capaci di combinare metodologie e tecnologie in modo nuovo, che si interessano ad argomenti che appartengono a campi diversi. Elon Musk, visionario imprenditore fondatore di SpaceX, Tesla, PayPal, SolarCity e ideatore di Hyperloop, ci fornisce la sua opinione sull’argomento in un suo intervento: “Dovete considerare la conoscenza come una sorta di albero semantico. Inizialmente, assicuratevi di aver capito i principi fondamentali dell’argomento: il tronco e i rami di un albero. Una volta fatto questo passerete poi ai dettagli, se necessario, ovvero le foglie dell’albero”. Si diceva “sei un pozzo di conoscenza”, in un’epoca nella quale si credeva che specializzarsi fosse logico, naturale e anche auspicabile. Ma si può scegliere di osservare il mondo dal bordo del pozzo, avere una visione globale, valutare le idee di business applicabili in ambiti e contesti diversi, con una visione da principiante esplorando nuove possibilità e abilitando l’intuizione. Queste nuove figure devono assumere il ruolo di Disruptive Leader, manager e imprenditori capaci di guidare il motore della trasformazione digitale, da Expert Generalist, abilitando i Digital Natives”, coloro che possono fare, e coinvolgendo i Business Native, coloro che posso abilitare il digital sul business. Il Chief Digital Officer Abbiamo chiamato queste figure Chief Digital Officer. Figura che sta evolvendo spesso verso Chief Growth Officer o Chief Innovation Officer o Chief Information Officer. Diversi nomi, che rappresentano la stessa missione: la necessità di innovare il modello di business, sfruttando la scalabilità della tecnologia. Le organizzazioni che stanno cambiando il mondo e che, oggi, sono leader di mercato (o community) hanno costruito un modello di business frutto dell’innovazione, abilitato dalle nuove tecnologie e sospinto dall’azione del marketing. Ecco la mia definizione del Massive Transformative Purpose del Chief Digital Officer, in generale del Digital Leader. Un leader capace, con umiltà e consapevole del contesto, di gestire la complessità e ridurre una situazione di incertezza, ovvero la situazione in cui non ho idea di come andarci, qualunque strada va bene” (praticamente tutto è ugualmente possibile, o impossibile), in un insieme discreto di situazioni rischiose: “ci sono tre strade più o meno rischiose che posso esplorare, da quale parto? Quindi non HA LA SOLUZIONE, ma comprende il sistema, il contesto, conosce metodologie, strumenti, processi, nuove culture, altri modelli di business, da testare con l’obiettivo di apprendere e validare nuove opportunità. D’altronde, come diceva Gandhi: “la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”.
La vendita online, i Marketplace e i Social Network, hanno permesso ad aziende, piccoli venditori anche non professionali in cerca di opportunità di guadagno, di sviluppare realtà imprenditoriali concrete e interamente online. Tuttavia, secondo le statistiche (non più aggiornate) della Camera di Commercio, il 90% degli e-commerce in Italia chiude entro i primi dodici mesi di attività. Quali sono le cause del fallimento degli e-commerce? Prima di avviare un progetto di business online, ogni imprenditore dovrebbe svolgere una serie di analisi e attività che, purtroppo però, non vengono spesso prese in considerazione. L’e-commerce, infatti, rappresenta una grande opportunità che molti stanno cercando di cogliere ma che pochi sanno effettivamente come affrontare. L’errore che spesso si compie è quello di pensare che basti sviluppare il sito web di tipo e-ecommerce, attraverso i cms più comuni come Magento, Prestashop, Shopify o Woocommerce, o inserire i prodotti su Amazon, per avere delle vendite assicurate. Gli imprenditori che limitano lo sviluppo di un progetto e-commerce a questo, stanno partendo con il piede sbagliato e si ritroveranno a dare la colpa del loro fallimento all’agenzia che si è occupata dello sviluppo del sito web. Mi piace sempre fare il paragone con l’offline: forse quando un imprenditore decide di aprire un punto vendita che fallisce, attribuisce la colpa a chi ha costruito il negozio? Sicuramente un negozio/shop online deve avere delle caratteristiche di accessibilità, deve conferire una buona visibilità ai prodotti e garantire un’esperienza ottimale ai clienti, ma non può certo essere la causa del fallimento di un progetto imprenditoriale. Uso spesso la parola PROGETTO, perché è di questo che si tratta e come tale deve essere costruito, grazie a una corretta pianificazione. Tra le altre principali cause di fallimento degli e-commerce, ritroviamo infatti: la mancanza di un business plan o di una pianificazione di breve e medio periodo la mancanza di competenze, che si traduce in: scarse conoscenze del mercato, livello di domanda e di offerta, analisi dei competitor scarse conoscenze sulla gestione della distribuzione e della logistica scarse conoscenze strategiche e tecniche per l’utilizzo degli strumenti e dei canali online la mancanza di differenziazione rispetto alla concorrenza, in termini di prodotti o di servizi offerti ai propri clienti la mancanza di una strategia multicanale. Soprattutto se si tratta di un nuovo brand, è impensabile pensare di raggiungere un reale successo, sfruttando solo in canali online o addirittura solo parte di questi la fretta: pensare che si tratti un progetto di breve periodo e sperare di ottenere risultati reali e concreti in poco tempo. Quali sono quindi i consigli per un e-commerce di successo? Come detto prima, per sviluppare un e-commerce di successo bisogna considerarlo come un reale progetto di business e quindi non partire sviluppandone solo una parte, senza prevedere tutte le fasi e gli asset necessari. Inutile, infatti, sviluppare un sito web e poi avviare attività di marketing online e offline a supporto del posizionamento del brand e del sito stesso, o non avere un team adeguato per la gestione rapida delle eventuali richieste dei clienti o della logistica. Per questo motivo, una corretta pianificazione è quello che può determinare il reale successo di un e-commerce o di qualsiasi progetto di vendita online. La pianificazione vale anche se non si realizza un e-commerce proprio, ma ad esempio si sfruttano i Marketplace come Amazon o altre piattaforme per vendere online. Vuoi conoscere le 5 strategie di prezzo per incrementare le tue vendite online? Clicca qui sotto per scaricare la tua copia gratuita: Cosa fare se non puoi avviare un e-commerce? Chi si approccia oggi alla vendita online, sa quanto sia difficile competere con la concorrenza che si è già posizionata e che ha già sviluppato delle competenze specifiche per vendere online. Per questo motivo, se vengono meno una serie di fattori, e quindi non si hanno le giuste competenze e le giuste risorse per avviare un progetto del genere, è bene sfruttare un’altra strategia. Ne ho parlato in questo articolo: e-commerce partner program: sfruttare le potenzialità della rete per vendere online. Se l'articolo ti è piaciuto e vuoi approfondire il tema e-commerce, clicca qui sotto:
In Italia, il numero di Chief Digital Officer sta salendo gradualmente, anche grazie alle azioni intraprese da Digital Building Blocks per portare cultura digitale sul territorio. Si parla di dati reali, che fanno comprendere l’avanzamento del mercato in questo settore. Si tratta di una figura molto importante per le aziende, in quanto è focalizzata nella risoluzione delle problematiche legate alla Digital Transformation ed è alla guida di processi di cambiamento tecnologici e culturali. Mi capita spesso di parlare con Senior Manager che desiderano formarsi per effettuare un avanzamento di carriera e ricoprire il ruolo di CDO: internamente alla propria azienda o rispondendo alle proposte di altre aziende. Una domanda che mi viene posta spesso in fase iniziale è relativa al compenso che percepisce questa figura. Scopriamolo. Chief Digital Officer: tutto quello che vorresti sapere Entrando in contatto con molte aziende quotidianamente, ricoprendo io il ruolo di Chief Digital Officer per diverse realtà e gestendo la community italiana dei Chief Digital Officer, ho avuto modo di comprendere il quadro generale. Infatti, il mio scopo con questo articolo è di rispondere alla domanda in modo esaustivo. Nello scorso articolo, che trovate nel mio profilo LinkedIn, abbiamo parlato delle competenze e delle aree di intervento che deve coprire il CDO. Sono azioni importanti, che permettono all’azienda di evolversi e, in molti casi, di continuare ad esistere. Si tratta quindi di portare un nuovo modo di fare azienda, stravolgendo completamente i mindset a cui si era abituati, ma soprattutto influenzando tutte le persone che lavorano in azienda. Premetto che il CDO può essere assunto come dipendente o può essere un consulente esterno a partita IVA. Il compenso, quindi, varia anche in base a questo fattore. Un altro punto determinante per la quantificazione del compenso, è il livello di seniority del manager. In linea generale, posso dire che il compenso annuo si attesta su cifre che vanno da 40.000 euro per una figura giovane, a 100.000 euro per una figura molto esperta. Questo dato è facilmente constatabile anche con una veloce ricerca online, quello che spesso non considerato, è la possibilità di aggiungere un bonus annuale al raggiungimento effettivo di KPI, definiti chiaramente con l’azienda in sede di trattativa. Questo permette al CDO di agire negli interessi della società, attuando quindi tutte le azioni possibili, e percependo un compenso anche importante. All’interno dell’area riservata della community italiana dei Chief Digital Officer, abbiamo messo a disposizione modelli e proiezioni testate, utili per aiutare a calcolare il compenso fisso e variabile rispetto ai KPI, così da facilitare il lavoro al candidato e all’azienda. La ricerca delle aziende verso la figura del CDO è sempre più alta e, ad oggi, è ancora in fase di espansione. La copertura di Chief Digital Officer italiani invece è ancora limitata, motivo per cui ci poniamo l’obiettivo di formare e supportare i soggetti che desiderano ricoprire questo ruolo. Si tratta di un’azione a duplice vantaggio: il CDO e le aziende per cui offrire consulenza, potranno contare sul supporto di un nutrito network di persone tra cui altri CDO, professionisti esperti di argomenti verticali, esperti di business. Se sei interessato a questo tema, ti consiglio di guardare anche il nostro webinar suI Digital Tailor! Clicca qui per accedere Sei interessato a scoprire di più a proposito di questa innovativa figura del mercato digital? Contattami e ti spiegherò come addentrarti in un mondo in evoluzione, dove la figura del CDO, diventerà centrale, e molto più rapidamente di quel che pensi oppure clicca il pulsante:
La paura è una delle forze più potenti nella vita. Influisce sulle decisioni che prendiamo, sulle azioni che poniamo in atto e sui risultati che raggiungiamo. Di fatto, chi siamo e cosa facciamo in qualche modo è influenzato dalla paura. Il ruolo principale della paura dovrebbe essere quello di proteggerci, perché ci mette in guardia dai pericoli, ci invia il segnale che in una determinata circostanza forse è meglio fermarsi. Quando diventa un ostacolo e blocca completamente il nostro procedere verso una meta, diventa non più funzionale in quanto diviene un impedimento significativo che si frappone tra noi ed i nostri obiettivi. Il successo dipende in gran parte dal sapere come sfruttare la paura. La paura si presenta in diverse forme e per una varietà di cose, alcune molto specifiche come ad esempio la paura dei ragni o dei serpenti, e altre sono più generiche, come avere paura del cambiamento, di provare cose nuove o di parlare in pubblico. Tra questi diversi tipi di paura, ce n’è uno che è molto limitante e può avere un impatto diretto sul nostro potenziale di successo: la paura di fallire detta anche “Atychifobia”. La scomoda verità è che è insita in tutti noi, da quando siamo bambini, ed è strettamente connessa con la paura del giudizio degli altri e con quella del rifiuto. La paura di fallire è la reazione emotiva, cognitiva e comportamentale alle conseguenze negative che prevediamo per il mancato raggiungimento di un obiettivo. È l’intensa preoccupazione, il pensiero negativo e la riluttanza a intraprendere azioni, che si sperimenta quando immaginiamo tutte le cose orribili che potrebbero accadere se manchiamo il raggiungimento di un obiettivo. La paura di fallire influenza i tipi di obiettivi che ci fissiamo, i tipi di strategie che usiamo per raggiungerli e il livello di standard che abbiamo impostato come indicatori di successo. Quando si scelgono gli obiettivi da perseguire, le persone con una dose maggiore di paura di fallire tendono a concentrare i propri sforzi più sulla prevenzione delle perdite che sul raggiungimento dei benefici che si possono ottenere. Ad esempio, pensiamo ad un giocatore di tennis, è difficile per lui mettere a segno il tiro giusto se continua a concentrarsi a non sbagliare. Le persone che temono il fallimento, di fatto sono intrappolate nella logica della profezia (nefasta) che si auto-avvera, bloccando sul nascere qualsiasi possibilità di vittoria spesso ancora prima di aver iniziato la partita. La paura di fallire ci tiene apparentemente al sicuro nell’area di comfort del “mantenimento dell’acquisito”, lontano dall’assumerci un qualche rischio, ci fa sentire privi di risorse e potenzialità, tuttavia non ci permette di provare cose nuove, di fare nuove esperienze, di affrontare nuove sfide e dunque acquisire nuove informazioni. Il timore di non farcela, di non essere all’altezza di un compito o un ruolo, spesso ci sovrasta. Il nostro vero nemico non è il fallimento, ma la paura di fallire che ci spinge a mantenere l’asticella sempre verso il basso, facendoci precludere la possibilità di acquisire una nuova consapevolezza e una maggiore esperienza, che chi non ha mai fallito non può avere. Gli errori fanno parte dell’apprendimento, aiutano a capire e ad andare avanti più velocemente grazie alle nuove informazioni acquisite che ci permettono di aggiustare il tiro. È molto più giusto considerare un fallimento come una prova che non è andata bene. Un giorno il CEO di un’azienda multinazionale per cui lavoravo, un manager di grande talento, durante uno speech dove ci spiegava del perché di un’acquisizione di un’altra compagnia, ci disse: “non so se questa acquisizione ci porterà tutti i vantaggi che ci aspettiamo, ma se è un errore, spero di sbagliare il più presto possibile affinchè possa avere questa informazione e migliorare la nostra strategia… C.B. cit.” Le persone di successo non sono quelle che non tentano mai, né quelle che non falliscono mai, sono quelle che da ogni errore ne traggono un’esperienza formativa. È vero, la nostra cultura ci mette piuttosto in guardia dal fallimento e come se non bastasse dà giudizi su chi fallisce o commette errori, con il risultato di occultare gran parte della saggezza che un fallimento è in grado di rappresentare. Però ci sono anche segnali incoraggianti come ad esempio nei college americani dove s’insegna ai propri studenti come affrontare il fallimento, oltre che a raggiungere il successo. Harvard ne è un esempio, infatti ha lanciato il Success Failure Project , ovvero una serie di iniziative per formare gli studenti ad accettare che a volte il fallimento ci può stare ed è inevitabile e che non è necessariamente una vergogna o un motivo per abbandonare i propri progetti, piuttosto un occasione di apprendimento per diventare grandi. Ti piacerebbe conoscere l'esperienza diretta di un CDO? Clicca qui per accedere alla testimonianza!
Stai valutando una consulenza specialistica per dare una spinta alla digital transformation nella tua impresa? Scopri i requisiti per usufruire dei Voucher digitali I4.0 2019. Cosa sono i voucher digitali I4.0? Le statistiche ISTAT sulla digitalizzazione delle PMI in Italia sottolineano ancora una forte arretratezza nel panorama europeo e mondiale: solo il 3% delle imprese con almeno 10 addetti, secondo i parametri europei DESI, possono ritenersi “digitalmente compiute”. Ma la cosa ancora più grave è che il 63% di queste imprese si dimostra indifferente alla trasformazione digitale. Eppure i dati dimostrano che le imprese sensibili al tema, sono anche quelle che fanno da traino per l’occupazione e lo sviluppo del Paese. In questo quadro si inseriscono alcuni interventi a sostegno di questo importante tema, per il mercato italiano e per le nostre imprese. Interventi come i voucher digitale I4.0 appunto, iniziativa in capo alla rete di Camere di Commercio italiane, che si inseriscono come milestones nei progetti di PID - Punto Impresa Digitale. I voucher sono un sostegno reale e tangibile a favore della digitalizzazione delle micro piccole e medie imprese italiane, erogati attraverso Bandi pubblicati dalle Camere di Commercio con scadenze variabili, che possono coprire mediamente fino al 50% dei costi sostenuti dall’impresa per consulenza e formazione in ambito digital, erogabili a singole imprese o gruppi di imprese. Ad esempio, la Camera di Commercio di Torino ha stanziato circa 570.000 € per il 2019, Roma 1.200.000 €, Napoli 1.058.971,78€. Questi sono solo alcuni esempi, ma l’elenco sarebbe ancora lungo. Gli obiettivi di questi bandi sono appunto quello di stimolare la domanda, da parte delle imprese del territorio verso l’introduzione o l’implementazione di soluzioni tecnologiche e modelli di business, con l’aiuto di aziende altamente qualificate nel campo delle tecnologie I4.0 Spese ammissibili Anche in questo caso i parametri possono subire leggere variazioni tra i diversi bandi, ma sommariamente possiamo dire che coprono una buona parte dei costi di consulenza e formazione nello sviluppo di competenze e tecnologie digitali. Gli importi possono variare in funzione dei bandi, ma parliamo di range molto ampi: generalmente partiamo da investimenti intorno ai 5000 € fino a importi superiori a 200.000 €. Requisiti per ottenere i voucher digitali I4.0 Per scoprire se si possiedono i requisiti per presentare la domanda, è possibile compilare un self assessement online, che darà riscontro sulla “maturità digitale” della propria impresa, in funzione di indirizzare meglio le richieste dei voucher stessi. Una volta valutato il proprio status si potrà procedere alla presentazione della domanda, entro le scadenze prestabilite dal bando di ogni singola camera di commercio Scadenze per presentare la domanda Ogni bando ha delle scadenze diverse, ma è possibile consultarle in modo molto semplice, collegandosi al sito Punto Impresa Digitale Davvero un’ottima opportunità per portare la tua impresa sulla strada della digital transformation. Consulta subito le scadenze e le modalità della tua camera di commercio.
Come digital manager sai di essere bravo, porti risultati all’azienda per cui lavori ma molti aspetti non ti tornano: la relazione con i decisori è difficile, il gap di conoscenza digitale tra te e il resto dell’organizzazione diventa sempre più ampio con il passare del tempo e senti di poter fare di più. Conosci bene le strategie da adottare in ambito digital per risolvere i mal di pancia della tua azienda ma non hai potere decisionale. Così capita che, spesso, ciò che serve e che hai proposto viene inghiottito da troppi passaggi e finisce per non vedere mai la luce. D’altro canto le aziende, in realtà, cominciano a comprendere quanto sia importante e profittevole stare dietro ai ritmi del digitale. Iniziano a capire che è necessaria una guida esperta, in grado di spostare le pedine tecnologiche giuste, guidando il team e colmando i possibili gap, prima che diventino pericolose voragini. Evolviti a Chief Digital Officer Ora è il momento di evolverti. Devi iniziare a pensare di guidare organizzazioni di medio - grande livello, nel eccitante e avvincente sfida verso la digitalizzazione. Come può accadere tutto questo? Con l’avvento di una nuova figura, quella del Chief Digital Officer - CDO. Le aziende stanno iniziando ad introdurre questa figura, ma come è tipico dei nostri giorni - lo stanno facendo in una situazione di urgenza. Infatti, se stai cercando un’opportunità lavorativa con i fiocchi, è questo il momento di coglierla, perché al momento le figure specializzate nell’ambito sono davvero poche. Da un anno, grazie al valido supporto di altri professionisti del settore, guido un gruppo ben strutturato di Chief Digital Officer Italiani. Con questo articolo ho intenzione di sciogliere i tuoi dubbi sulla figura del CDO e farti comprendere le potenzialità di crescita che il mercato ti sta offrendo. Chi è il Chief Digital Officer CDO - Chief Digital Officer. Si tratta di un altro dirigente, che siede alla destra del CEO ed visto come strumento essenziale per il futuro dell’organizzazione. Per molte aziende il digitale è il flusso di ricavi in più rapida crescita e un Chief Digital Officer è estremamente importante nel guidare tale implementazione economica. Il CDO deve essere qualcuno che non solo ha acume digitale, ma è anche un direttore generale esperto che può operare all'interno di un'azienda di grandi dimensioni, e influenzare in modo efficace tutta l'organizzazione. Questa figura è un leader, difficile da trovare, attrarre e conservare. Si tratta di un ruolo che il mercato sta plasmando giorno dopo giorno, abbastanza difficile da trovare già formato. Qual è il ruolo del Chief Digital Officer? Dall’esperienza dei Chief Digital Officer in attività del nostro gruppo abbiamo redatto una lista di responsabilità che questa figura deve essere in grado di affrontare. Essere in grado di mappare le capacità digitali dell'azienda; Amministrare egregiamente i progetti tecnologici e digitali; Misurare l'efficienza e il ROI derivati dalle strategie digitali; Sviluppare nuovi progetti con il team; Attirare, allenare e collocare in azienda nuovi potenziali talenti digitali; Coinvolgere i membri del board e i manager dell'azienda nei processi digitali; Svolgere attività di scouting su metodologie e tecnologie abilitanti per creare efficienza e risultati in azienda; Definire le dashboard di indicatori (KPIs) che ogni manager in azienda debba monitorare; Abilitare i team ad evolvere nella trasformazione culturale verso la Digital Transformation; Fare letteralmente da angelo custode dell’imprenditore; Essere anche quella figura che ogni tanto dice cose scomode; Far passare il messaggio che l’approccio al digital è forse la migliore occasione che l’azienda, tutta, ha di cambiare passo; Essere in grado di impostare una strategia specifica con il panorama digitale - continuamente in evoluzione. I CDO devono avere eccellenti capacità strategiche; Capacità di garantire ottimi risultati strategici, anche in situazioni complesse; Essere in grado di costruire solide relazioni esterne, essendo così capaci di prevedere i futuri cambiamenti del mercato; Ottime capacità di comando e individuazione di soggetti talentuosi, che possono dare una spinta in più all’azienda; Avere una spiccata sensibilità culturale, ovvero essere in grado di intuire i futuri strumenti digitali e come questi potranno essere utili all’azienda. Da queste caratteristiche - molto tecniche - avrai compreso che questa figura è come se fosse a metà tra: Tecnologia; Competenze umanistiche e relazionali; Leadership; Team Building. Non basta conoscere il digitale, per ricoprire questo ruolo. Bisogna avere una visione di insieme globale. Il ruolo è spesso trasformativo, quindi l'esperienza di gestione del cambiamento è importante, sia in situazioni di turnaround che di crescita rapida. Il Chief Digital Officer ideale è un senior, ovvero una persona che abbia già avuto esperienze in una grande azienda e che sappia quindi come muoversi all’interno. Il mercato richiede la figura del CDO: capiamo perché Il mercato diventa sempre più digitale, e le aziende hanno oggi più che mai necessità di adeguarsi a questo stile di business. In questo panorama di innovazione e cambiamento, la figura del CDO certamente sta diventando molto importante: se un’azienda vuole crescere si deve adeguare ai cambiamenti. In Italia, come sempre, siamo indietro con il concetto di evoluzione. Solo ora questa figura sta iniziando a comparire nelle discussioni aziendali. Questo è sicuramente uno dei momenti migliori per proporsi - naturalmente se la propria figura lavorativa è in linea con i concetti che ho citato poco più su. La richiesta di queste figure è aumentata di quasi un terzo negli ultimi 24 mesi. Si può dire che siamo realmente all’inizio di una nuova era: il business, sta diventando quasi tutto digitale. I leader stanno completamente re-immaginando e reinventando una nuova rete di persone e di luoghi: si va oltre il semplice sito web, si cerca di fondere gli strumenti del digitale nella strategia di business aziendale. Le aziende - se trovano uno di questi talenti - dovranno correre ad assumerlo il più in fretta possibile. Quanto guadagna un Chief Digital Officer? I CDO italiani con competenze eccelse oggi percepiscono cifre che si aggirano intorno a 80.000 - 90.000 € di RAL, giustificati dal possedimento di skill umanistiche e tecnologiche in grado di mettere i tasselli al posto giusto. La remunerazione e i benefici mettono il Chief Digital Officer alla pari o al di sopra degli altri dirigenti a livello di Board. Come si diventa Chief Digital Officer? La realtà, è che essendo questa una figura del tutto nuova, non esiste un percorso di formazione ben definito. Inoltre - se proprio vogliamo dirla tutta - nel frattempo che ci si sta formando, già il mercato del digitale ha adottato e fatto sua qualche novità. La soluzione? Entrare a far parte della nostra community: questo è un mondo in cui si corre, e solo facendolo insieme si cresce per davvero. La community si riunisce costantemente una volta al mese e la modalità è la seguente: 2 ore di formazione sui temi da conoscere 1 ora di cena di networking e confronto I membri hanno anche a disposizione un’area riservata online dove trovano: I video delle serate passate; Un video case study settimanale dove vengono mostrate nello specifico le modalità con cui sono state affrontate le sfide nelle varie industry; Modelli; Proiezioni; Strumenti di misurazione pronti all’uso. Oggi siamo più di 30 CDO nel gruppo e stiamo portando il cambiamento nelle aziende italiane. Unisciti a noi per diventare Chief Digital Officer. Dopo un colloquio conoscitivo diamo la possibilità di partecipare gratuitamente alla prossima serata della community, compila il form a questo indirizzo e ti ricontatterò personalmente entro 1 ora. Ti interessa l'argomento? sul mio profilo LinkedIn troverai ogni giorno nuovi post e notizie utili.
Stefania Montemurro: La figura del Chief Digital Officer è una figura che andrà sempre ad essere più richiesta e anche le aziende avranno necessità di questo ruolo all’interno, vogliamo un po’ capire e dare un’idea al nostro pubblico di quella che è questa figura e quali sono i vantaggi di averla in azienda. E anche per chi voglia ricoprire questo ruolo, cosa deve fare? Mirco Cervi: “Faccio parte di IDB: Italian Design Brands, un gruppo industriale attivo nel settore dell’arredamento. Nato nel 2015, IDB si costituisce con l’intento di diventare aggregatore di una parte delle industrie del design italiane. Al momento il gruppo è formato da 5 aziende, per un totale di 6 brand che operano nel settore top-level e con particolari eccellenze sia in termini di design che di modelli di business. Nel 2018 IDB ha superato i 100 milioni di euro di fatturato e prevediamo la quotazione in borsa entro il prossimo triennio. All’interno del gruppo abbiamo il più alto livello del bbf (bello e ben fatto) italiano e distribuiamo in più di 50 paesi nel mondo e, ovviamente, in tutti i continenti. IDB nasce con lo scopo di raggruppare in un polo queste eccellenze e mettere a loro disposizione capacità finanziarie e profili manageriali per facilitarne lo sviluppo. Uno di questi profili sono io, che ricopro la figura del Chief Digital e Transformation Officer. Sono una sorta di facilitatore all’interno delle aziende di IDB e divido il mio tempo all’interno delle diverse realtà del gruppo: faccio parte, infatti, di IDB ma lavoro principalmente a stretto contatto con i brands del gruppo (Meridiani, Gervasoni, Davide Groppi, Saba, ecc). SM: Dunque chi è il Chief Digital Officer? MC: Posso dirti più precisamente cosa fa il Chief Digital & Transformation Officer. L’aggiunta di Transformation non è banale ed è fondamentale, almeno per il nostro gruppo, per poter governare al meglio il cambiamento. Il Chief Digital & Transformation Officer dirige il processo di cambiamento e innovazione digitale, attraverso 7 dimensioni ben precise: Customer Experience,Cultura, Business Model,Organizzazione, Processi, Leadership, Infrastrutture. La prima dimensione, e anche la più importante, è la Customer Experience. L’analisi del cliente e del consumatore a tutti i livelli (non solo i clienti esterni ma anche quelli interni all’azienda), della customer journey e dei touch point con i brand è il primo step che deve essere fatto. La Digital Transformation ha come principale obiettivo quello di ridisegnare l’offerta del proprio business per renderla più competitiva e più aderente alle aspettative del proprio mercato, grazie alle tecnologie digitali. Per farlo è necessario poter accedere anche alle altre 6 dimensioni. Con Cultura, infatti, vista qui come interna all’azienda, si intende puntare a ingaggiare i colleghi e stimolare l’employer branding a tutti i livelli, lavorando però, allo stesso tempo, sulla consapevolezza delle evoluzioni di settore e dei comportamenti dei nostri clienti-consumatori. Ma la Cultura viene interpretata anche come rivolta all’esterno, ovvero al mercato, utilizzando tutto quanto il mondo digitale ci mette a disposizione per fornire al consumatore l’adeguata conoscenza, visto che molte volte il consumatore stesso è lontano sia geograficamente che culturalmente dal nostro mondo. Con il Business Model si vuole invece ridiscutere il modello di creazione del valore dell’azienda e adattarlo ai nuovi comportamenti digitali e non del cliente-consumatore e ai nuovi modi di fare acquisti. Mi riferisco soprattutto all’e-commerce e al social commerce, all’influencing marketing e a mercati (in primis, quello cinese) con modalità di acquisto e di consumo notevolmente distanti dalle nostre. Se si parla di Organizzazione e Processi, per un Chief Digital e Transformation, è necessario lavorare con team formati, da formare o da cambiare. Non solo, insomma, con un Team Digital (fondamentale) ma anche con “champions” all’interno delle altre aree aziendali. I champions sono gli sponsor che all’interno delle aree produttive, commerciali, marketing, amministrative ecc. credono nella digitalizzazione e facilitano i processi di cambiamento. Scovare i champions, conquistarli e portarli a bordo è compito del Chief. Leadership forse va messo all’inizio, ma ormai l’ho messo qui. Il Chief fa parte del comitato strategico e interviene nelle strategie di sviluppo del brand. Deve avere una visione futuristica sullo sviluppo del mercato e delle tecnologie future e deve guidare l’azienda passo dopo passo verso tale strada. Il cambiamento ha dei costi: espliciti (budget) e impliciti (cambiamenti e costi interni), ed entrambi vanno gestiti attraverso investimenti e calcoli sui ritorni. In riferimento alla dimensione delle Infrastrutture, il Chief Digital Officer deve avere competenze IT e tecnologiche elevate per potersi interfacciare direttamente con il CIO (se presente) o per poter aiutare l’azienda anche nell’evoluzione tecnologica. Senza infrastrutture (connettività, cloud, sicurezza, atuomation, ecc.) non se ne fa nulla. Tutto ciò poi si concretizza in attività reali e concrete che, almeno per quanto mi riguarda, sono nel campo del: - Marketing, Brand e Comunicazione: piani strategici di brand, di marketing e comunicazione - Management e piani editoriali dei contenuti in ottica di omnicanalità: creazione di contenuti allineati ai valori e all’identità del brand - Attività di supporto all’area commerciale in termini di mezzi, strumenti (CRM e non solo) e modalità operative - Creazione di sistemi di comunicazioni interni e di facilitatori per la collaborazione (sistemi per lo smart working, Enterprise Social Networks, Sistemi di collaborazione) - Progetti cross aziendali per miglioramento della gestione dei dati e delle informazioni sia interne sia da/verso l’esterno (Product Information Management tools, DAM e altri) - Gestione di risorse sia nella selezione che nell’affiancamento E poi, come sempre, il varie ed eventuali, ovvero tutto ciò che riguarda la tecnologia digitale. SM: Soprattutto nell’azienda dove lei lavora adesso, dove siete partiti dal punto di vista digitale e perché è stato importante inserire questa figura? Da dove siete partiti e dove siete arrivati? MC: “Anticipiamo che il settore dell’arredamento non è tra i settori più innovativi in area digitale. Il suo sviluppo è sempre stato molto (e anche correttamente) indirizzato al perfezionamento del prodotto, l’area dove si possono incontrare le più alte innovazioni in campo meccanico e tecnologico. Per ciò che riguarda invece il lato cliente-consumatore, il mondo digitale è sempre stato visto dall’arredamento come una finestra di comunicazione o al massimo come una finestra di dialogo, mai come un canale dove far vivere un’esperienza. Insomma, questo particolare settore si è approcciato al digitale in modo molto simile a quanto si faceva con la comunicazione tradizionale. Oggi il 45% della popolazione mondiale è rintracciabile nei Social Network e in alcuni paesi (Cina, per esempio) il 70% della popolazione online è attiva al loro interno. Il mondo interconnesso, o per così dire iperconnesso, vuole vivere un’esperienza di brand in tutti i canali con i quali entra in contatto. Noi siamo partiti dall’analisi della Customer Journey e dei touch point con i nostri clienti business (architetti, rivenditori, ecc.) e consumer (clienti finali). Da lì, abbiamo applicato una basica teoria, che spesso spiego a lezione di Strategia Digitale: le 3C, ovvero Chiarezza, Coerenza e Costanza. Definita la Value Proposition e la Brand Promise, queste devono essere condivise con Chiarezza, Coerenza e Costanza in tutti i touch point grazie ai quali il nostro cliente-consumatore entra in contatto con noi. Lo scopo è quello di far vivere ai clienti di oggi e di domani un’esperienza coinvolgente e in linea con il DNA del brand a qualsiasi livello. Da lì siamo partiti e non siamo ancora “arrivati”, ci stiamo continuamente lavorando, anche perché la Digital Transformation è un never-ending job. La figura del Chief Digital Officer è stata fondamentale, sia nella prima fase di analisi che oggi nell’implementazione. Serviva qualcuno che potesse far collimare le 6 dimensioni di cui abbiamo parlato precedentemente e che avesse le competenze e l’esperienza. SM: Cliente di domani, quindi in ottica di un futuro o state riscontrando dei cambiamenti o dei miglioramenti già da adesso? “Io sono entrato in azienda ormai tre anni fa. Ogni brand fa storia a sé. Uno dei punti principali è stato quello di far capire al brand che noi vendiamo esperienza e non arredo. Esperienze che sono legate al piacere, alla bellezza e al lusso di vivere. Quindi uno dei temi importanti era cercare di creare valore per chi compra oggi i nostri prodotti facendogli vivere sempre più un’esperienza che sia online-offline, offline-online, coerente con quello che è il posizionamento del brand. I punti di contatto abbastanza ovvi erano il sito, il social marketing in generale, i portali del settore e abbiamo cominciato non solo a pubblicare ma a governali. Governarli ha significato analizzare tutto, cosa piace e cosa non piace, come bisogna comunicarlo per essere in linea col brand ma anche piacevoli per il nostro consumatore. Ci siamo rivolti ai clienti e ai non-clienti: per i clienti abbiamo cercato di accrescere il valore, per i non-clienti abbiamo cercato di lavorare sul “sogno”, cioè cercare di far sì che loro ci vedano come un’opportunità di un valore futuro, non necessariamente di adesso. Quindi abbiamo comunicato in maniera un po’ diversa e abbiamo creato un piano di marketing digitale, un piano di marketing online e offline coordinato, un piano editoriale. Abbiamo presidiato tutti i canali digitali con risposte veloci, competenti e con colloqui e dialoghi con i nostri consumatori. Adesso ci potete contattare da qualsiasi canale e noi possiamo comunicare con voi; abbiamo teso le orecchie per cercare di stare accanto al cliente il più possibile e in ogni fase della sua esperienza con noi. Questo lo stiamo facendo su mercati europei ma ci stiamo affacciando a mercati un po’ più lontani, come quello cinese e americano dove, con politiche e strategie diverse, prestiamo altrettanta attenzione per entrare con sistemi e modi diversi, usando i canali di comunicazione in maniera, appunto, diversa. Per quanto riguarda le altre aree, abbiamo implementato in questo periodo sistemi di cloud computing, di CRM, di Social CRM, per migliorare l’efficienza nella cooperazione. Stiamo infatti collaborando in maniera diversa e più veloce internamente. Il nostro attuale obiettivo è di creare tanta cultura interna per passare da un’ottica di multicanalità – molte volte legata a silos interni non perfettamente collaborativi – a un’ottica di sistemi “liquidi” e più fluidi nello scambio di dati e informazioni. A tutti i livelli affianchiamo persone che contaminino i colleghi con nozioni e conoscenze di digitale, di social, di cloud, di AR e VR, di sicurezza, di dati, di hacking e di tutto quello che può aiutarci ad aumentare la consapevolezza interna! SM: Queste decisioni sono partite quindi da lei, dal comparto che riguarda la sua figura, o ci sono stati altri interlocutori o altri stakeholder? MC: “La Digital Transformation necessita di tre grandi elementi. Il primo è la Leadership: il Chief Digital Officer - o il Digital Transformation Officer - deve avere leadership, cioè avere potere, capacità decisionale e potere di budget. Se non si hanno questi non si fa trasformazione: la trasformazione digitale non arriva dal basso ma dall’alto, è mediata e concordata con consapevolezza verso il basso ma è comunque un tema di decisioni e budget. In IDB abbiamo un comitato che chiamiamo “D-Day” ovvero “Digital Day” dove tutti i membri del board, una volta ogni due/tre mesi, si trovano insieme a quelli delle aziende e condividono cambiamenti, progetti e innovazioni da mettere in atto. Al D-Day partecipano il board e le principali figure decisionali delle aziende. Il secondo elemento della Digital Transformation è la Customer Experience, di cui abbiamo parlato già all’inizio e che guida i nostri investimenti e le nostre strategie. Il terzo elemento è il Digital Team (anche questo già accennato all’inizio):non potremmo applicare nulla se non avessimo all’interno delle aziende e all’interno di ogni loro reparto qualcuno che viene formato e cresciuto in ambito digitale – i nostri champions! Queste sono le grandi aree della trasformazione digitale che consideriamo essere importanti per noi ogni giorno.” SM: Quali metriche misura l’azienda per valutare il lavoro di un CDO? Che cosa valuta per sapere se sta lavorando nel modo giusto o se sta portando valore all’azienda? Quali sono le KPI? MC: “La Digital Transformation viene misurata con le 5S! Sell, Save, Serve, Speak, Sizzle. Ogni operazione, attività o progetto, deve trovare giustificazione in una o più di queste voci: - Sell => portare ad acquisire più clienti, maggiori ricavi, più retention, ecc. - Save => risparmio ed efficienza - Serve => migliorare il servizio e accrescere il valore verso il cliente - Speak => brand awareness, company awareness, product awareness positiva all’interno del nostro target cliente - Sizzle => il cosiddetto effetto WOW (alcune cose non si misurano, semplicemente piacciono) All’interno di queste aree, i Kpi da considerare sono divisi in questi gruppi: Kpi di quantità => anche chiamati Vanity Kpi, ci servono per capire la crescita di un determinato fenomeno (es. la quantità di follower, la quantità di utenti, il tempo di utilizzo, la user adoption, ecc.) Kpi di qualità => che utilizziamo per misurare la qualità del fenomeno (es. l’engagement, la fedeltà dei clienti, ecc.) Kpi di attività => che ci indicano quanto lavoro c’è stato per ottenere i risultati prima (es. numero di post, lifetime value, ecc.) Abbiamo creato una sorta di Balance Score Card del digitale che stiamo applicando in modo “light” ma che ci permette di monitorare l’andamento delle nostre attività e capirne il ROI. SM: Rispetto a quelli che noi chiamiamo blocchi, quindi Digital Analytics, Inbound Marketing, Lead Generation, E-Commerce, User Experience - anche se di quest’ultima ne abbiamo già parlato - avete fatto qualcosa in particolare? MC: Certo! Nell’inbound marketing abbiamo lavorato, per esempio, nella parte di SEO, attraverso il miglioramento delle ricerche per brand (i nostri clienti non cercano “Letti”, ma cercano “Meridiani” o “Gervasoni”). Questo lo abbiamo fatto in Europa ma lo stiamo facendo attivamente anche in Cina con Baidu, in Russia con Yandex, e così via. Ci stiamo attivando nei temi del Digital PR, con la creazione di contenuti di valore in tutte le piattaforme presidiate dai nostri potenziali clienti. Fortunatamente le aziende del gruppo hanno molte storie da raccontare e quindi non ci mancano i contenuti! Per quanto riguarda la lead generation, stiamo implementando sistemi di raccolta, tracciamento e qualifica dei leads in modo tale da dare più lead di valore alla nostra forza vendita. Ma di questo non posso parlare, è una nostra chicca! Sul tema e-commerce, noi non facciamo e-commerce diretto ma monitoriamo quello indiretto. I nostri clienti, ovvero i negozi di arredamento, molto spesso fanno e-commerce, quindi monitoriamo il modo in cui i brand vengono proposti all’interno dei dealer online, onde evitare che vengano deturpati i principi fondamentali e il posizionamento del brand. Siamo partiti dalla user experience e dalla customer journey e continuiamo a monitorarne i cambiamenti. SM: Abbiamo parlato anche delle skills che deve possedere un CDO e le competenze trasversali che deve avere. Ce ne sono altre da indicare e, soprattutto, come si è formato e dove si informa per migliorare queste competenze e le capacità di aggregazione di concetti? MC: “Credo che oggi studiare digital sia un po’ come studiare inglese: puoi leggerne e comprenderne le basi ma è con la pratica quotidiana, la curiosità, l’impegno e le notti perse a fare tentativi che potrai capire realmente come funziona questo mondo. Inoltre è un mondo da vivere, non puoi capire cos’è TikTok se non hai mai fatto un video su Musical.ly, come non puoi non conoscere Ninja e Fortnite. Questo vale anche se ti rivolgi al mercato del lusso! TikTok non è certo un social dove comunichiamo, ma, al momento, ospita mezzo miliardo di utenti che un domani potrebbero essere nostri clienti. Per non parlare un “digitale maccheronico” devi viverlo, devi essere appassionato di tecnologia, devi aver investito i tuoi risparmi per comprarti gli ultimi Oculus Go, devi andare ai seminari di Digital, e devi aver perso nottate davanti allo schermo. Se sei digital addict allora hai qualche opportunità. Ma il digital non è tutto! Abbiamo bisogno di ingegneri più umanisti e di umanisti più ingegneri. Per partire è necessario capirne di marketing, di consumer behaviour, di scienze sociali. Poi devi formarti sugli economics, saper contare, ovvero saper contare ciò che conta. Devi conoscerne di IT e non puoi ignorare cosa c’è sotto la app che stai usando. Devi destreggiarti con i concetti di database, di SGL di sistemi, di privacy e di sicurezza. Ho conosciuto Chief Digital Officer che hanno studiato antropologia, sociologia, lettere e che non ne sapevano nulla di informatica, e altri che hanno studiato economia. La passione e l’impegno hanno colmato le lacune, e la provenienza da altri campi ha contaminato positivamente il loro modo di pensare. La passione può colmare quasi tutto, ovviamente la cultura di base è fondamentale tanto quanto la formazione continua (io faccio un master ogni 1,5 anni). Noi di IDB facciamo molte selezioni, continuamente, perché cresciamo noi e le aziende, e di conseguenza anche le nostre necessità. Abbastanza spesso, quindi, portiamo al nostro interno figure digital. Facciamo fare innanzitutto un test di battitura online, cioè controlliamo quante parole scrivono al minuto: se scrivi lentamente vuol dire che non hai scritto abbastanza nella tua vita, e quindi non sei digital addict (il minimo è 50 parole al minuto, ma le competizioni viaggiano sui 70-90 wpm). Il secondo step è l’inglese: deve essere almeno a un livello C1, semplicemente perché il 99% delle informazioni che noi leggiamo o scriviamo sono in lingua inglese. La creatività per noi è legata al business e all’execution, ed è necessario trovare il giusto equilibrio che possa dare un risultato secondo quanto prefissato. Poi ci vogliono competenze. Noi, per esempio, abbiamo bisogno di gente che sappia fare fotografia o montare video, o che abbia voglia e tempo di imparare a farlo (da solo e online). Io non sono un grafico o un video editor, eppure ho fatto corsi di notte per cercare di capire come si montasse un video moderno. Con la pratica ho imparato anche io.” SM: Un libro che vuole consigliare e che non deve mancare assolutamente nella libreria di nessun digital addicted o un CDO? MC: “Io sono sui “fondamentali”. Anche per coerenza per quello che ho detto prima, se devo consigliare un buon libro di marketing, beh, non potrei consigliarne uno solo. Io ho quattro, cinque, sei libri per ogni argomento che aggiorno ogni tre mesi. Il concetto fondamentale è che non c’è un libro. Se non leggi un libro ogni mese, sei fuori. Ci sono dei blog. Devi rimanere agganciato a blog, devi leggere di prima mano le informazioni, devi leggere e studiare continuamente e restare attaccato al mondo online. Ci sono dei personaggi che vanno seguiti. C’è il canale TED. Devi stare attendo a LinkedIn, cliccare i link e approfondirli. Devi ascoltarti Hubspot. Devi andare al Social Media Day. Devi studiare su Netcom, devi controllare We Are Social. Devi leggere le newsletter, che sono quelle che ci informano. E’ un po’ come leggere il Sole 24 Ore: se tu leggi il Sole 24 Ore oggi e non lo hai mai letto ci metti tre giorni per capire una pagina, perché il vocabolario e le storie sono nuove. Ma se tu lo leggi ogni giorno, arrivi al punto in cui è sufficiente leggere il titolo della prima pagina e hai già capito più o meno l’argomento. Acquisisci una capacità di comprensione incredibile. Il digital è uguale. Se cominci a diventare intelligente nel digital, ti basterà leggere i titoli push per capire cosa è successo e cosa considerare di interesse e di non interesse. Non occorre leggere continuamente libri. Leggete libri di storia, di antropologia, di management e di cambiamento. Guardate film e serie tv. Insomma, siate curiosi”. “Ho dimenticato di dire chi sono io e perché sono diventato un CDO. Quando mi chiedi cosa deve fare un CDO e come lo si diventa forse è importante dire come ci sono arrivato io. Io ho più di 40 anni, mi piace dire che sono “maggiore di 40”, così non aggiorno le slide di presentazione. Nasco ragioniere programmatore e nel 1993/94, quando avevo 16 anni, ero un nerd di Excel (per la precisione un MVP Microsoft dell’epoca). A 19 anni sono emigrato in Polonia e sono entrato come Operation Manager in Antonio Merloni Elettrodomestici. Lì, mentre lavoravo, ho studiato Ingegneria del Management e Data. Sono rientrato in Italia dopo 6 anni, e ho lavorato come direttore commerciale di marketing di una società del settore dell’arredo del design di lusso. Nel frattempo, da privatista, mi sono laureato in Marketing e Psicologia del consumo. Nel 2008, in piena crisi, ho deciso di provare la strada della consulenza e, grazie a preziosi consigli di colleghi consulenti, sono riuscito a trovare nel marketing digitale il mix giusto delle mie competenze. Da lì mi sono specializzato in tecnologie digitali e nel comportamento del consumatore online, e, in 8 anni di consulenza aziendale, ho avuto modo di collaborare con primarie società di consulenze, aziende di varie dimensioni (oltre che in svariati settori) e sono entrato a far parte del corpo docente della Business School del Sole 24 Ore. Nel frattempo, ho frequentato un Master in Direzione e Strategia, un Master in Innovazione e un MBA. Dal 2016, come avrete capito dall’intervista, faccio parte di Italian Design Brands.”
Ormai non puoi più mettere la testa sotto la sabbia. L’hai fatto negli ultimi mesi, ma ormai ne hai la certezza. La situazione è critica! Probabilmente l’azienda riuscirà ad andare avanti ancora per uno o due anni, ma inesorabilmente è destinata a scomparire (che probabilmente vorrà dire essere comprata a pezzi da qualche altra società). Il top management o gli imprenditori a capo dell’attività non avevano mai brillato particolarmente per la loro saggezza, ma tutto sommato non si navigava in cattive acque. E’ solo che ora il mercato è cambiato radicalmente e la concorrenza internazionale si è fatta molto più presente: non tanto dal punto di vista della supremazia qualitativa sui prodotti, quanto sulla migliore strategia di approccio al mercato anche grazie alle strategie digital. Sono ormai almeno due anni che la tua azienda perde quote di mercato e nulla lascia pensare che il trend cambierà. Anzi. Nessuno in azienda ha l’idea di come affrontare il cambiamento imposto dal nuovo contesto competitivo e se tu fossi a capo della baracca probabilmente non vorresti affrontare la sfida con questo team. D’altra parte la tua azienda è in buona compagnia: nell’ultimo anno hanno chiuso circa 35.000 aziende in Italia; ma questo non ti rincuora perchè devi comunque pensare a come fare arrivare tua figlia all’università, che non è così banale. Il tuo amico che si barcamena sempre ti ha suggerito di cambiare e scegliere un settore migliore, ma di questi tempi non è così’ facile. Quindi come potresti fare? Inviare una serie di curriculum alle persone che conosci da anni? Non sarebbe così un sputt…mento visto che il problema è determinato dalla tua azienda, non da te, ma comunque non sai nemmeno citare in quale azienda del settore vorresti andare a lavorare. Sarebbe solo come passare dalla padella nella brace... Prova a cercare il tuo Ikigai Facile a dirsi, ma sembra un po’ meno a farsi. Sì, perchè solo se riuscirai a capire davvero come si intersecano le cose che ti piace fare insieme a quelle dove sei bravo, potrai accorgerti come queste si possono incrociare con quelle di cui necessita il mondo e per cui sarebbero disposti a pagarti. Insomma quale sia la ragione per cui ha senso alzarsi alla mattina. Almeno una fortuna però ce l’hai: il Digital oggi ti permette di venire retribuito qualsiasi sia il tuo ambito di attività e di competenza, basta che tu abbia voglia di esplorare come questi contesti siano sottoposti oggi alla Digital Transformation. Questo sta succedendo solo perchè la maggior parte degli esseri umani è assolutamente restia al cambiamento e non ha voglia di adeguarsi a strumenti nuovi e questo succede tanto più quanto più si ha anzianità lavorativa (la sindrome del “ma io ho sempre fatto così”). Il suddetto fenomeno sta creando delle situazioni surreali e delle opportunità mostruose: proprio le persone che hanno più esperienza e potrebbero creare maggior beneficio all’azienda sfruttando le nuove efficienze e gli effetti moltiplicatori portati dai nuovi strumenti, sono quelle più restie ad utilizzarli. D’altra parte è indubbio il fatto che se i millenials (i ragazzini per i veterani in azienda) riescono ad essere così bravi ad utilizzarli, non è perchè siano tutti dei geni, anzi... E’ solo che si espongono naturalmente al “nuovo” e hanno la giusta mentalità aperta (meglio open mind all’inglese per rendere l’ìdea) per impararli e riescono molto velocemente perchè sono molto facili per chi si applica (altrimenti non si spiegherebbe il successo che hanno tra i giovani). Se deciderai di osare ad esplorare questo nuovo elemento (il Digital) scoprirai che puoi avere soddisfazioni economiche imbarazzanti continuando a fare quello che ti piace fare proprio per i risultati che riuscirai a portare (senza particolari innovazioni o magie, solo utilizzando i nuovi strumenti). E’ sotto gli occhi di tutti la quantità di benefici e ricchezza che sta portando alle aziende i cui manager sposano davvero i nuovi approcci metodologici portati dai nuovi strumenti. Ti piacerebbe avere un vero e proprio modello operativo in grado di guidarti nell'adozione delle tecnologie digitali all'interno della tua azienda? Scarica il primo capitolo del libro Guida per Manager nell'era Digitale! Ricomincia a seguire la tua curiosità. Investi su te stesso. D’altra parte non credo che vorrai ritrovarti nella stessa situazione ancora tra 3 o 4 anni: è questa la prospettiva che hai davanti se l’opportunità lavorativa nuova che troverai si rivelerà analoga alla precedente con dei top manager lontani dalle logiche della trasformazione digitale. Vorrebbe dire che anche la nuova azienda non sopravviverebbe indipendente e indovina un pò chi sarebbero le prime persone tagliate nella nuova acquisizione? Gli ultimi entrati e quelli più avanti negli anni perchè reputati più costosi (non quelli con più potenziale). Per andare verso il nuovo mondo devi innanzi tutto conoscerlo. Poi ha senso che inizi a considerare una serie di principi (ne parlavo in I 10 principi per il Manager nell'era Digitale e più diffusamente nel libro Guida per Manager nell'era digitale: Il metodo Digital Building Blocks) e a circondarti di persone di esperienza, come te, che stiano facendo il tuo stesso cammino: è più facile non abbandonare la strada se si fa con altri. «Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme» recita un adagio africano. Potrai però scoprire che puoi diventare il referente digitale del tuo network professionale e diventare un Chief Digital Officer di diverse aziende del tuo entourage beneficiando dei risultati della tua esperienza ventennale unita alla nuova competenza digitale sviluppata. Tu sai che non ci sono tanti manager così’ sulla piazza al momento. Non sarà sempre così però, le posizioni esistono e sono libere ora, ma ognuna delle persone che decide di intraprendere questo percorso riesce a lavorare con 5-10 aziende e lo farà con continuità nel tempo (non per particolari meriti, ma perché il Digitale porta risultati inattesi soprattutto all’inizio dell’adozione in azienda). Quindi bisogna cercare di essere tra i primi del proprio settore, meglio se in un ambito B2B se si vuole provare ad eccellere, cioè in aziende che lavorano con altre aziende e non con il pubblico finale (gli altri settori sono quasi tutti “partiti” ormai e chi non si adegua nei prossimi 2-3 anni è davvero a rischio di fallimento).
Cosa sono le dashboard? Le dashboard sono visualizzazioni di dati sul comportamento, la salute e le attività della tua azienda, che risultano particolarmente efficaci nel mostrare informazioni complesse in modo semplice. Visualizzano i dati in arrivo da molti programmi diversi (ad esempio Google Analytics, Google Ads, Bing Ads, Facebook Ads, LinkedIn Ads, CRM...) e sistemi di data warehousing. Le dashboard ben progettate raccontano sempre una storia e, se sei nel settore dell'analisi dati, sai quanto sia importante che la narrativa sia rappresentata in modo chiaro e visivo. Le dashboard mostrano dove possono esserci dei problemi e perché questi problemi esistono. Possono anche mostrare previsioni e aiutare a guidare il processo decisionale nella giusta direzione. Quando le dashboard sono completamente configurate e utilizzate come luogo centrale per la condivisione delle informazioni, mostrano approfondimenti sui tuoi dati e ti danno una panoramica circa il dietro le quinte sulla tua attività. Chiunque, dagli analisti ai manager, dovrebbe interagire con i dati dell'intera azienda in un unico luogo in modo da avere una visione più olistica della propria attività. Vantaggi dell'utilizzo di dashboard In passato, molte aziende utilizzavano i propri dati in Excel, ma con i big data questa non è più un'opzione. Ci sono molti motivi per cui le persone non digeriscono bene i dati in un formato Excel. Quando ci si trova in Excel, per la maggior parte, bisogna ricordare quali informazioni sono contenute in ogni blocco di celle per poter comparare e visualizzare. E nella maggior parte dei casi, è quasi impossibile ricordare tutti questi dati. Ad esempio, tutti sanno come capire un grafico a barre, ma con un foglio di calcolo di 1000 colonne, capire e ricomporre i dati sarebbe sicuramente più difficile. Questo è il motivo per cui, insieme ai vantaggi sottostanti, è essenziale utilizzare i dashboard. Ecco una ripartizione di alcuni dei vantaggi dell'utilizzo di dashboard: tutti i dati sono raggruppati per rappresentare i dati in modo più semplice; puoi interagire con i dati e capire cosa sta succedendo con la tua attività; assorbi più informazioni, tutte ad un ritmo più veloce; puoi identificare modelli e relazioni nei tuoi dati; è possibile individuare più facilmente i valori anomali, i picchi e altre incongruenze; gli approfondimenti possono essere raggiunti molto più velocemente; è possibile identificare e agire sulle tendenze emergenti. Chi può usare le dashboard? Le dashboard possono fornire informazioni vitali ai dipendenti a tutti i livelli. Esistono dashboard che possono concentrarsi su un reparto specifico anziché combinare i dati di tutti i reparti. Ad esempio, puoi avere dashboard per il tuo team finanziario, team di marketing, team di vendita, team IT e altro. Per i manager di tali team è fondamentale comprendere i dati in arrivo in modo che possano valutare il rendimento dei propri reparti. Queste dashboard possono essere utilizzate come strumento per la segnalazione e il monitoraggio di strategie e obiettivi a lungo termine a un livello più dettagliato. D'altro canto, i dirigenti traggono vantaggio anche dalla visualizzazione dei dati in arrivo. Con dashboard che mostrano tendenze, KPI e un po' di contesto, i dirigenti possono ottenere una panoramica di alto livello dell'azienda e valutare le prestazioni di ciascun reparto: questo aiuta a dare loro un quadro d'insieme e consente un controllo generale della loro attività. Anche i dipendenti che non svolgono un ruolo di leadership possono trarre vantaggio dai dashboard: avendo una fonte che visualizza visivamente i dati in arrivo, qualsiasi dipendente può analizzare le proprie prestazioni individuali e vedere dove possono migliorare. Possono anche confrontarsi con altri membri del team (se la competizione è importante) e vedere come si comportano gli altri. Le dashboard sono anche un ottimo modo per comunicare agli altri ciò che viene realizzato. Conclusioni Lo scopo di creare una dashboard è capire la tua attività e, in breve, comprendere cosa sta succedendo nella tua azienda. Anche se hai molti dati in arrivo, che possono essere difficili da capire, uno strumento di visualizzazione, come una dashboard, è lì per aiutarti a raccontare la storia dei trend e dei risultati delle tue attività. Puoi ottenere insight più approfonditi dalle visualizzazioni e puoi arrivare alle conclusioni molto più velocemente, tutto in un'unica fonte. È importante avere una buona conoscenza dei tuoi dati, in questo modo puoi prendere decisioni migliori per far progredire la tua azienda. Vuoi sapere come utilizzare in modo ottimale i dati come driver decisionali? Scarica la nostra guida gratuita! Abbiamo riassunto le 10 domande a cui i dati possono fornirti risposta. Clicca qui sotto per scaricare la tua copia:
Quando le persone mi chiedono che lavoro faccio, in genere faccio molta fatica a spiegarlo, perché subito si interpongono fra me e l’interlocutore parole difficili, specialistiche, caratteristiche del linguaggio tecnico che utilizzo tutti i giorni, come inbound, customer persona, funnel, KPI, lead. C’è un momento in cui sulla loro faccia si vede chiaramente la nebbia che gli sta offuscando il cervello. E più provo a spiegarmi e meno loro capiscono, perché ormai hanno attivato quelle barriere cognitive di difesa istintive “attacca o scappa” e semplicemente sono scappate. Non perché ne andasse della loro vita restare, ma perché semplicemente, lo sforzo richiesto era maggiore rispetto al beneficio che trarrebbero dal sforzarsi di capire che diamine faccio di lavoro. Questa cosa mi ha fatto riflettere più volte. Pensavo: come può essere che mi occupo di comunicazione, di contenuti, di marketing e non riesco a spiegare alla gente che lavoro faccio. È un paradosso. Ed è quello che rimproveriamo sempre anche ai clienti. Quando chiedi ad un cliente “di cosa si occupa la tua azienda?” di solito parte una tirata di 10 minuti su quanto il loro prodotto o servizio sia unico e inimitabile, su quanto sia difficile da spiegare perché è complesso, perché solo loro ce lo fanno in un certo modo, e così via. ALT. A questo punto è necessario capovolgere la prospettiva. La domanda non è più: “di cosa ti occupi?” ma “quale problema risolvi?” Messa in questo modo cambia tutto. Quale problema risolvi ai tuoi clienti. Perché loro vengono da te? E - solo dopo - perché non vanno da qualcun altro? Per rispondere a queste domande, certe volte bisogna fare delle analisi molto approfondite, perché troppo spesso, presi dai ritmi serrati e dalle liste di cose da fare, email a cui rispondere, progetti da gestire, ci dimentichiamo della cosa più importante, che deve essere sempre al centro dei nostri pensieri. Il cliente. E la sua felicità. unsplash-logoDominik Vanyi Questo è il primo passo per qualsiasi strategia di inbound marketing: sapere con chi stiamo parlando, chi è la nostra customer persona. I nostri sforzi devono essere tutti incentrati sul profilare il più possibile i nostri contatti, in modo da individuare tratti comuni, ricorrenze, comportamenti “seriali” che ci possano aiutare ad offrire al nostro lead la migliore soluzione possibile al suo problema e la migliore esperienza possibile di interazione con il nostro brand. Per fare questo, la massima platonica “conosci te stesso” deve immolarsi per la causa e trasformarsi in “conosci il tuo cliente”. E per conoscere il mio cliente ideale come faccio? Beh, prima di tutto devi sapere chi sono i tuoi clienti reali, quindi ti serve un CRM (noi ad esempio usiamo Hubspot, e qui ci sono 5 motivi per cui dovresti sceglierlo anche tu). Poi dovresti analizzare come si comportano, cosa fanno, cosa leggono, quali email aprono e quali cestinano, cosa piace loro, cosa ispira la loro fiducia. Quindi ti servono dei sistemi di digital analytics. E degli strumenti conversazionali. E dei contenuti. Perché sarebbe bello poter parlare con ciascuno di loro e chiederglielo di persona davanti ad un caffè, ma forse si rischierebbe di andare un po’ fuori budget. Pertanto si possono mettere in atto alcune strategie che sfruttano le leve dei loro interessi ipotetici per testare e profilare il più possibile i lead. Sì, perché per conoscere davvero i nostri clienti dobbiamo imparare ad instaurare con loro relazioni durature (in modo da aumentare il lifetime value e abbassare i costi di acquisizione), e per farlo bisogna partire dalla fiducia. Francis Frei, docente di Harvard, in questo Ted Speech spiega come la fiducia sia costituita sostanzialmente da 3 elementi: Autenticità, Logica, Empatia. Se siamo empatici possiamo comprendere le loro esigenze e cercare di colmarle per avvicinarci a loro. Se siamo anche logici, possiamo accompagnarli col ragionamento che li condurrà a valutare il nostro prodotto/servizio come soluzione al loro problema. Se siamo autentici, capiranno che stiamo offrendo loro la nostra soluzione perché davvero ci fa piacere aiutarli, perché è quello che abbiamo scelto di fare nella vita, lo facciamo con passione e ci teniamo che loro possano godere del nostro lavoro. Però dobbiamo essere davvero autentici, e non solo per facciata, altrimenti lo sentiranno, e il rapporto di fiducia traballerà. Se riusciamo a trasmettere ai nostri clienti questi 3 elementi, riusciremo ad instaurare con loro una relazione di fiducia, durevole nel tempo, e che quindi, ci porterà maggiore profitto. Quale problema ha il mio cliente e come posso aiutarlo a risolverlo? Questa è la domanda principale per definire la/e mia/e customer persona. È anche vero che devo chiedermi chi è il mio cliente: dati demografici, tratti psicologici, ruolo aziendale, reddito, sfide lavorative, obiettivi, fonte d’informazione. E tu, sai come identificare la buyer persona nel modo giusto? Scoprilo scaricando il nostro e-book: Trattandosi di una rappresentazione semi-astratta del cliente ideale, la sua definizione non potrà mai ritenersi finita e definitiva, ma dovrà continuamente essere rivista e corretta rispetto ai nuovi dati, ai nuovi canali, nuovi prodotti, nuovi competi. È un lavoro costante, che dovrebbe essere fatto a più mani dal marketing, dalle vendite, dal servizio clienti. Ma sapere con chi stai parlando, ti permette di usare il linguaggio giusto, di proporre i contenuti più attrattivi e personalizzati per il singolo cliente, di sviluppare prodotti/servizi più mirati, ottimizzando gli investimenti e aumentando i profitti. E io quale problema risolvo ai miei clienti? Aiuto le aziende a individuare i loro clienti ideali e a sviluppare strategie e automazioni per creare una relazione di fiducia tra loro e i propri clienti, che li porti ad avere più contatti e soprattutto contatti più interessati al proprio prodotto/servizio. Così loro possono vendere di più e meglio. Chiaro, no? Se l'articolo ti è piaciuto e vuoi saperne di più sul mondo dell'Inbound Marketing, clicca qui sotto:
Chi si occupa di business development in azienda è necessariamente un soggetto proiettato verso l'esterno e per questo percepisce prima degli altri (solitamente più chiusi nella mentalità aziendale) i cambiamenti in corso. Nel caso della Rivoluzione Digitale attualmente in atto questi soggetti si sentono spesso frustrati perché hanno percepito la potenzialità disponibile, ma non trovano corrispondenza al loro pensiero nel top management o nella proprietà delle aziende per le quali lavorano. Questo accade soprattutto negli ambiti industriali o comunque B2B dove il beneficio dell'utilizzo di strategie digitali per approcciare il mercato è massimo, ma questo fatto è assolutamente contro-intuitivo è quindi difficile da capire per i decision maker in azienda. Chi sono i Business Developer e qual è il loro ruolo nella Digital Transformation aziendale? I business developer sono però una risorsa chiave per far iniziare il processo di cambiamento (Digital Transformation) in azienda: sono loro le sentinelle in grado di percepire i segnali esterni. Altrimenti il sistema immunitario aziendale rischia di soffocare ogni elemento esterno che possa portare innovazione, come dice Samil Ismail nel suo Exponential Organization: The organization’s immune system will go on overdrive to attack and disarm any disruptive innovation or new element threatening to change how the organization’s body currently functions. When an organization’s immune system is triggered to drive out change or disruptive innovations, something very dangerous happens. The organization misses out on crucial new market opportunities transforming the industry, which inevitably leads to self-collapse. Questo normalmente succede perché nessuna delle altre aziende del settore prende in considerazione i nuovi trend, per cui il top management si sente tranquillo che il proprio sistema immunitario aziendale funzioni bene. E' successo ad esempio nella industry della musica dove gli operatori principali hanno inizialmente considerato la rivoluzione digitale come un fenomeno strano da combattere, salvo poi accorgersi che il cambiamento in atto non era controllabile e correre ai ripari cambiando radicalmente i modelli di business e collaborando strettamente con iTunes e Spotify per poter sopravvivere. I cambiamenti degli ecosistemi non sono arginabili, si possono solo comprendere e adattarsi velocemente oppure estinguersi. When climate change happens, it affects the whole population. It’s not just one species which needs to adapt to environmental change in order to survive. It’s every species. The same rule applies in the business environment. Every now and then something will hit the world which causes a meteor-like impact. The digital revolution is one of them, and the widespread change will not just affect one major industry — it will eventually reach into and affect all industries. Organizations that don’t adapt and evolve to the digital revolution will become extinct. I 6 suggerimenti che Samil Ismail dà a questi aspiranti change maker in azienda: Occuparsi solo di nuovi mercati (per evitare la risposta dei sistemi immunitari aziendali) Avere un supporto diretto (o comunque una dipendenza formale) dell'amministratore delegato Creare uno spin-off con il nuovo e non pretendere di cambiare la struttura esistente L'unica eccezione è se lavorate già per una Exponential Organization (ExO) Coinvolgere nel vostro esperimento in azienda gli altri ribelli che conoscete nell'organizzazione Costruire il vostro esperimento in azienda indipendente dai sistemi e dalle politiche aziendali esistenti Il suggerimento che mi sento di darvi io è di trovare soddisfazione alla vostra esigenza di crescita professionale ed esplorazione di nuove potenzialità in comunità professionali al di fuori della/e vostra/e azienda/e di riferimento (spesso questi professionisti non lavorano solo per una azienda) e trovare anche altri compagni di strada. Venite al nostro evento Become a Digital Leader dove ci sono gli altri ribelli che vi spiegheranno, con la loro esperienza, come sono riusciti a bypassare il sistema immunitario aziendale ed a realizzazione davvero la Digital Transformation.
Sia che tu sia un imprenditore sia che tu sia un manager di una media o grande azienda italiana, sai che non hai bisogno di innovatori nel tuo team. Sarebbero visti come corpi estranei e rigettati dal sistema immunitario dell'azienda (che tende a rifiutare tutto il diverso). Se tu invece sei un imprenditore di una micro o piccola azienda, il vero innovatore sei tu (e hai davvero tutta la mia ammirazione) perché in questo nuovo mercato pervaso dal Digital a tutti i livelli riesci a barcamenarti ad arrivare a fine mese utilizzando metodi e strumenti del secolo scorso senza avere né il tempo né le risorse per poterti fermare e aggiornarti professionalmente (e senza poterne sbagliare una a rischio di tirare giù la serranda). Nella media e grande azienda in italia (anche filiali di multinazionali) i manager non hanno neanche ancora la percezione del fatto che il nuovo cliente è sempre intermediato dal canale internet (chiunque sia in un processo di acquisto si informa per poter fare un acquisto consapevole e naturalmente il processo di ricerca di informazioni viene principalmente effettuato online, da lui o da chi per lui), figurarsi pensare che possano davvero essere latori di qualche approccio innovativo. Per cui se per caso qualcuno nel loro team volesse davvero approcciare l'innovazione (magari anche dopo aver letto di processi e metodologie per generarla sistematicamente e sistemi di accounting dell'innovazione per giudicarne la bontà), la risposta più probabile che otterrebbe sarebbe uno scetticismo ignorante. Meglio partire dall'utilizzo concreto degli strumenti e delle metodologie allo stato dell'arte del Digital per poi arrivare solo dopo al reale approccio all'innovazione, con tutte le carte per poter affrontare la sfida. Quindi il manager dell'azienda italiana dovrebbe invece cercare quantomeno di abilitare il proprio team all'utilizzo degli strumenti esistenti e delle nuove metodologie che le startup hanno abilitato e che il nuovo paradigma digitale ha sdoganato. Ma da dove ha senso partire? Per non rischiare di essere percepiti come gli innovatori di cui sopra (in azienda queste metodologie, seppure siano allo stato dell'arte, non si conoscono e vengono percepite come innovative) il manager dovrebbe iniziare dalla strutturazione di corretti sistemi di misurazione dei KPI (Key Performance Indicator) degli ambiti dove intende intervenire e solo dopo strutturare dei progetti pilota di utilizzo degli strumenti Digital in azienda, facendosi supportare da un Chief Digital Officer (interno o esterno all'azienda) competente del settore. Da mia esperienza avrebbe senso che partisse dalla parte destra del business model canvas (sales&markeing) perché poi sarebbe più facile avere l'interesse del top management (viene sempre data maggiore attenzione ai numeri che portano maggiori clienti e maggiori ricavi rispetto a quelli che agiscono sul risparmio di costi). Il progetto ideale da cui partire dovrebbe avere alcune caratteristiche: Poter portare i primi risultati entro 30 giorni Avere molta visibilità ed un legame diretto con i ricavi (meglio se con l'utile) Essere legato alla funzione Sales Avere poche dipendenze esterne all'azienda Avere il diretto interesse dell'amministratore delegato o dell'imprenditore Aver strutturato voi stessi il team delle persone coinvolte Se avrete avuto l'accortezza di misurare i risultati del progetto pilota potrete produrre una dashboard con numeri da sottoporre al top management (il Digital porta statisticamente risultati, altrimenti non si spiegherebbero i bilanci sempre in crescita dei colossi del settore per cui non sarà un gran merito vostro, ma per una volta l'asimmetria informativa sarà a vostro favore.. ) e contro l'evidenza risulterà difficile che il sistema immunitario aziendale continui a rigettarvi, a rischio di essere rigettato esso stesso. Però sarà naturale che vi siate creati dei nemici, quantomeno per invidia. Sarà necessario avere una rete di sicurezza di esperti (Digital Tailor e mentori) che possano supportarvi nelle risposte a tutte le domande scomode e nei tentativi di saltare sul carro del vincitore da parte dei diversi parvenu digitali aziendali che non mancheranno di cercare di accaparrarsi meriti che non hanno. I parvenus sono come le scimmie, delle quali hanno l'agilità: durante la scalata si ammira la loro destrezza, ma una volta che sono arrivati in cima non se ne vedono più che la parti vergognose. Honoré de Balzac Se avete la fortuna di lavorare in uno di quei settori in cui il Digital non ha ancora portato la disruption, potrebbe anche essere l'occasione per diventare voi stessi i referenti del Digital in azienda (Chief Digital Officer o Digital Leader che dir si voglia...) oppure l'occasione per diventarlo sia per la vostra azienda, sia per altre del settore, come consulenti esterni. Se avrete l'accortezza di legare la vostra retribuzione anche con una parte variabile, indicizzata sui risultati, penso seriamente che i prossimi 2-5 anni potrebbero essere quelli in cui guadagnerete di più nella vostra carriera (dopo lo capiranno anche altri e inizierà ad esserci concorrenza). Sì perché chi mi segue da un po' sa che sono fermamente convinto che il responsabile del Digital, che rimette all'amministratore delegato, debba provenire dal business, non dalla funzione Sistemi Informativi: è un manager di esperienza che padroneggia le logiche di business dell'industry, non un mangiabit. Il modo giusto di prepararsi a questo scenario consiste nell'effettuare le giuste letture (sia libri dove vengono spiegati gli approcci metodologici, sia blog e webinar dove essere costantemente aggiornati), imparare da chi ha già fatto il percorso frequentando eventi e community in cui intercettarli, ma soprattutto scegliere i giusti mentori (in ognuno degli ambiti) ai quali potersi riferire nei momenti di necessità. Ti piacerebbe conoscere un modello operativo che ti aiuti a guardare verso il futuro in ottica “digitale”? Clicca qui per scaricare gratuitamente il primo capitolo del libro Guida per Manager nell'era Digitale e capire come adottare le tecnologie digitali nella tua azienda!
La Digital transformation non è semplicemente un’onda che si autoalimenta e travolge tutto, ma è piuttosto un motore che necessita quindi di tre componenti fondamentali per mettersi veramente in moto. In passato abbiamo lavorato sui Digital enablers, ovvero su quei manager d’azienda che conoscono i rispettivi settori e diventano quindi fondamentali per implementare un approccio digitale innovativo. Per loro si parla soprattutto di cultural shift ovvero un cambiamento di mentalità che è stato già strutturato nel libro Digital Building Blocks. I Digital enablers sono coloro che conoscono il mercato specifico, i prodotti, la concorrenza, i clienti, le normative, e hanno quindi chiare le dinamiche specifiche che, anche nel digitale, si dovranno affrontare. Non è plausibile immaginare loro seduti dietro una «Google Consolle» a settare un Tag Manager o a progettare un workflow o a costruire una landing page. Loro devono sapere cosa significano quelle parole e cosa puoi farci, ma avranno bisogno di chi è poi in grado di sporcarsi realmente le mani ovvero «i makers». Il motore della Digital transformation necessita quindi di altri due componenti fondamentali, senza i quali non si riuscirà a percorrere molta strada. I Digital makers sono coloro che sapranno operare per conto dei Digital enablers, affiancandoli. Chi si muove con confidenza in questo mondo va inserito nel meccanismo al fianco di chi conosce il business dell’azienda. Molto del futuro si giocherà su questo affiancamento, chi conosce e guida la strategia fianco a fianco con chi opera su strumenti e legge dati. Abbiamo osato ricreare il concetto di bottega, di laboratorio: una struttura che ritagli addosso al garzone un modello professionale definito «Digital tailor» (il Sarto digitale) proprio pensato per i Digital makers. iI nostro non ha certo la pretesa di essere l’unico modello né tantomeno il modello vincente, ma sarà un modello che aiuta a fare ordine. Già questo serve come il pane. Mettere fianco a fianco Digital enablers e Digital makers non è un lavoro semplice. Ecco dove entriamo noi, i Digital disruptors. Ognuno di noi ha un ruolo specifico nel funzionamento del motore, quantomeno in questa fase iniziale di evoluzione. Ci chiamiamo Digital disruptors, e altro non siamo che «interpreti» capaci di far comunicare Enablers e Makers. Siamo Project manager, Analisti funzionali, formatori e consulenti che hanno competenze di Business ma anche di Digital. Siamo coloro che sono in grado di mettere attorno ad un tavolo le necessità di business con le opportunità di un mondo nuovo, tecnologico ma non solo. Come detto questo modello si rivolge ai nuovi Digital makers che noi chiamiamo Digital Tailors. Durante questo approccio ci facciamo accompagnare da un parallelismo che a molti potrà sembrare azzardato, ma che riteniamo sia indovinatissimo: il paragone tra un Digital manager ed un Sarto. Proviamo a spiegare. Ci sono stuoli di persone appassionate al mondo fashion. Moltissime di loro ambirebbero a ritagliarsi un ruolo in un settore trendy e ricco; moltissime sarebbero tentate a creare proprie linee e modelli per vederli sfilare su una passerella a Parigi o Milano. Sono però pochissimi coloro che hanno una reale consapevolezza di cosa significhi trasformare uno schizzo su carta in un abito. Lo stesso ci piacerebbe poter dire anche nel mondo professionale del Digital, eppure notiamo con sommo dispiacere che pochissimi si fanno remore ad auto-insignirsi del titolone «esperto, guru, illuminato…» anche lavorando per aziende importanti quali «me stesso» ed avendo studiato alla sempre valida «Università della vita». Forse è solo una nostra impressione ma soltanto in questo settore è ammessa una tale improvvisazione a fianco dell’accezione Digital, Web o Social media marketing. Tornando al nostro parallelismo infatti risulta evidente che la moda (fashion) sia un settore che negli anni si è dato una struttura ben definita. Ci sono corsi, scuole, istituti che offrono percorsi strutturati per avvicinarsi a questo mondo con ambizioni professionali. Ci sono istituzioni che vigilano e standard qualitativi. Esistono infine periodici mensili di grande reputazione in grado di separare qualsiasi vero professionista dall’improvvisato «wannabe». Eppure, ci sono percorsi delineati anche per chi vuole crescere e ritagliarsi il proprio spazio, percorsi in cui non ci si improvvisa, ma si impara sul campo, affiancando persone esperte, sbagliando per prepararsi al momento in cui il proprio talento ti regalerà la tua occasione. Nel mondo digital invece è tutta una questione di «auto-certificazione» e la reputazione basta comprarsela con qualche video ben assestato. In rete «gli schizzi su carta» diventano immancabilmente sinonimo di professionalità ed affidabilità. Per carità, c’è spazio per tutti, ma continuiamo a pensare che questo marasma finisca per rendere difficile ad un cliente valutare chi ha davanti. Non siamo mai stati preoccupato dalla concorrenza, neanche da quella di «disperati» ma se quella concorrenza mi «svacca il mercato», svendendo gli anni di esperienza a due lire, promettendo mari e monti per poi lasciare clienti paganti in mezzo al guado, quello è anche un problema nostro. Ci piace usare quindi questo strano paragone proprio per cercare di distinguere chi «fa schizzi su carta» e chi è in grado di confezionare un abito per un cliente pagante. Per un sarto padroneggiare l’arte per trasformare un’idea in un capo unico passa dal saper conoscere a fondo strumenti come macchina da cucire, forbice da tessuto, forbicina, spoletta per macchina, gesso per tessuto, metro, aghi, spilli e ditale. Per un sarto serve saper comprendere e scegliere tessuti, e soprattutto sperimentarne la tenuta del tessuto sul capo. Quella è la parte che non appare su Vogue magazine, la parte che non viene celebrata, ma che è la vera leva su cui si sviluppa il talento. Ancora, al sarto occorre «ascoltare» il cliente, capirne le reali esigenze, gli obiettivi, i fabbisogni espliciti, ciò che ti nasconde, intercettare i suoi bisogni latenti. Lavorare sui desiderata di persone che non conosci sembra facile, ma un sarto non può ignorare «la figura» che dovrà vestire, soprattutto visto il fatto che «la gravità vince sempre». Creare un sogno partendo da una evidente dose di realismo è l’arte che il sarto è in grado di sviluppare. Ogni promessa non mantenuta viene svelata di fronte ad uno specchio, e poi agli occhi perplessi di chi ti osserva. Questo paragone ci aiuta quindi a ragionare sulle competenze di un Social media manager, o un Digital strategist, in termini di «modelli», «strumenti» e «arte», tre termini che secondo noi caratterizzeranno questo lavoro in futuro. Tutti possono fare il sarto? No. Tutti possono fare il Chief Digital Officer? No, servono modelli chiari (basi, tecniche, metriche), strumenti di lavoro professionali abbinati ad un’arte frutto di esperienze e stimoli sempre nuovi… proprio come un sarto (tailor). Quando abbiamo pensato a «Digital tailor - modelli sartoriali per professionisti social e digital» ci siamo immediatamente convinti che un libro simile andasse condiviso e scritto a più mani. Nessuno poteva lavorarci in solitudine. Per far uscire un trattato del genere serve condivisione di esperienze e zero auto-celebrazione. Una cosa è fare emergere professionalità spiegandole simpaticamente durante un evento, un’altra cosa è strutturare un modello. Essendo quest’ultima la strada ambiziosa che abbiamo scelto, solo un libro scritto a più mani, da parte di professionisti veri del settore può funzionare. Professionisti che si mettono in gioco creando una guida pratica che aiuti chi c’è già a strutturarsi, e chi non c’è ancora, a dotarsi di un metodo professionale cui aspirare. Come spiegato, si sta lontano dagli strumenti, ma ci si focalizza sui «modelli» pratici, industrializzabili e abbinabili a qualsiasi cliente. L’ambizione è stata di provare a dare un framework di riferimento a quei professionisti che hanno già esperienza pluriennale nella gestione di strumenti, progetti e clienti in ambito Digital, ma forse non si sono trovati spesso a confrontarsi con «loro pari» o per mancanza di esigenza (era sufficiente il loro operato per portare a casa il risultato) o mancanza di opportunità (non venivano coinvolti in progetti di grandi dimensioni o di aziende strutturate). Nell’interazione con collaboratori è necessario avere un modello comune per potersi coordinare e raggiungere l’obiettivo. In una precedente pubblicazione abbiamo definito un metodo ad uso e consumo dei Chief Digital Officer che ha l’ambizione di modellizzare la parte destra del Business Model Canvas quando si voglia beneficiare dell’elemento Digital. Cosa è un modello? cosa è un metodo? Definiamolo: 1) un modello deve essere riproducibile, affidabile e condivisibile. Vedi il metodo scientifico, che è su base empirica; 2) il metodo è una procedura generale da applicare alla risoluzione di situazioni simili. Non dà tutte le risposte ma aiuta a farsi le domande giuste; 3) ogni volta che si applica un metodo a una nuova situazione, bisogna verificare che le determinanti la soluzione siano le stesse; 4) adattarlo alle circostanze e… di tanto in tanto, provarne altri. Più prospettive di vedute ci sono più sarà possibile poi migliorare quel metodo. Il metodo Digital Building Blocks consente una visione d’insieme dei vari elementi Sales&Marketing in ambito Digital. Il Digital tailor ha però l’esigenza di calarsi operativamente nelle singole attività per cui non è sufficiente un modello di alto livello. Proprio come in una bottega rinascimentale il novello sarto impara dal Maestro e dagli altri artigiani, apprendendo le procedure e le tecniche sul campo realizzando progetti, con l’ambizione di far evolvere il proprio operato nella creazione di capolavori unici. Per questo il modello è stata la base per dare origine alle Gilde del nostro progetto Guilds42. Se desideri essere l’artefice locale di questo Rinascimento Esponenziale contattami in privato per condividere il disegno e fare un pezzo di strada insieme per contribuire all’Evoluzione. Andrea Alfieri e Alberto Giusti
Come abbiamo visto nell’articolo Quali sono le tipologie di crowdfunding?, nelle campagne di Rewards-based Crowdfunding è previsto che il proponente riconosca all’investitore una ricompensa a fronte del finanziamento, non legata ai profitti o risultati derivanti dal progetto. Questa classe di crowdfunding è la più diffusa per numero di piattaforme e prevede per l’investitore una ricompensa commisurata con il contributo. Solitamente le piattaforme offrono due o più scelte di contributo, ordinate per entità e con ognuna associata la sua ricompensa. Le principali piattaforme di questa tipologia di Crowdfunding sono KickStarter e Indiegogo, che rispettivamente prevedono i seguenti modelli di finanziamento: All-Or-Nothing e Keep-It-All. AON: All-or-Nothing Il modello di raccolta All-or-Nothing (Tutto o niente) prevede che il progettista della campagna fissi un Fundrising Goal, cioè una somma minima che ritiene sia necessaria per realizzare il progetto della campagna di Crowdfunding. Come suggerisce il nome (Tutto o Niente), il progettista riceverà i soldi donati dai crowdfunders solo nel momento in cui questa verrà raggiunta; nel caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo, il progetto decadrà ed Il progettista non riceverà alcun denaro. I sostenitori potranno annullare il finanziamento prima della scadenza della campagna o aggiungere fino al dieci/quindici per cento dell’obiettivo totale per fare in modo che raggiunga il target. Se per esempio una campagna presenta un obiettivo di 10,000 €, il progettista riceverà i soldi solamente quando la somma raccolta sarà superiore a questo obiettivo target. I progetti lanciati tramite questo modello di finanziamente sono tipicamente caratterizzati budget più elevati, idee altamente innovative ed obiettivi di large scala. Poichè è previsto il progetto non partirà finchè non saranno raccolte le risorse economiche necessarie, questo i progettisti tendono a fissare obiettivi più alti, raccogliere più denaro e raggiungere più facilmente l’obiettivo prefissato, in quanto la folla sarà maggiormente invogliata e dunque propensa a donare importi più elevati. KIA: Keep-it-all Nonostante anche in questo caso il progettista fissi un Fundraising Goal, secondo il modello di raccolta Keep-it-all (Prendi tutto) i soldi raccolti tramite la campagna verranno trattenuti indipendentemente dal fatto che il target prefissato venga raggiunto oppure no. I crowdfunders saranno dunque tenuti a pagare qualunque sia l'importo raccolto e per questo gli obiettivi economici risultano generalmente essere più contenuti rispetto il modello alternativo. Se per esempio una campagna presenta un obiettivo di 10,000 €, il progettista riceverà la somma raccolta in ogni caso, indifferentemente dal fatto che questa sia pari a 1 € o 100.000 €. Di conseguenza questa modalità tende ad avere minori possibilità di successo in quanto può capire il progettista debba mettere in piedi un progetto non completamente finanziato. Sempre rimanendo nell’ambito del reward esiste inoltre un altro filone chiamato Enterprise Crowdfunding, che offre alle grandi aziende strumenti utili per entrare in contatto con creativi, appassionati di tecnologia e di prodotti innovativi al fine di permettere alle società di costruire una forte relazione con i nuovi consumatori. Sembra essere nato dunque un nuovo strumento che i manager di oggi non possono proprio ignorare. Vuoi capire come strutturare la tua prima campagna? Vuoi avere una guida per sapere tutti i passi necessari?
L’approccio Inbound capovolge il paradigma del marketing classico In un mondo iperconnesso l’Inbound marketing si rivela oggi il metodo più efficace di generare business per chiunque volesse intraprendere un’attività online (per saperne di più leggi anche Cos'è l'Inbound Marketing: definizione e guida pratica). L’approccio rivoluzionario dell’Inbound vede la centralità del cliente e non più del prodotto rompendo in tal modo il paradigma alla base del marketing tradizionale. Non è più il venditore in questo caso a procacciare il cliente ma sarà quest’ultimo a trovare i nostri prodotti o i nostri servizi perché l’avremo sapientemente guidato durante tutto il processo che dalla ricerca delle informazioni l’ha condotto all’acquisto dei nostri beni o servizi con contenuti di qualità prodotti nel luogo giusto, nel momento giusto. Perchè tutti dovrebbero adottare un approccio Inbound Considerando che ogni cliente potenziale è “always on” e che ogni giorno qualcuno sta effettuando ricerche su un determinato prodotto o servizio online perché mosso da un bisogno o da un desiderio, il metodo Inbound si rivela quindi la strada giusta da percorrere se si vogliono conquistare con successo nuove fette di mercato. Ma per comprendere l’efficacia di questa metodologia occorre prima partire da come avviene il processo d’acquisto oggi: Google definisce Zero Moment of Truth (ZMOT) la fase di ricerca delle informazioni che normalmente avviene online e che influenzerà la decisione d’acquisto da parte del consumatore che in quel preciso momento sta interagendo per la prima volta con un brand, un prodotto o un servizio. Chi ci sceglierà sarà dunque un cliente consapevole, già informato e sarà pertanto nostro dovere farsi trovare già là dove sorge il bisogno con un contenuto che possa sempre essere d’aiuto al soddisfacimento di una richiesta, secondo una filosofia always-be-helping. Inbound Vs Outbound Molti risultano essere i vantaggi del metodo Inbound rispetto a quello tradizionale o outbound: approccio pull (le persone preferiscono cercare le informazioni) VS push (si cerca di convincere il cliente a comprare con tecniche di tipo interruptive) una strategia Inbound comporta costi inferiori rispetto a quella outbound, non solo molto più costosa ma anche meno efficace l’Inbound consente la creazione di rapporti di lungo periodo basati sul rispetto ed è un marketing che piace, che le persone amano in quanto non invadente e ricco di contenuti di qualità E’ scalabile poiché consente di generare traffico e convertire nuovi potenziali clienti grazie a strategie basate sulla creazione di blog e ottimizzazione della SEO Produce un aumento significativo del ROI Consente la misurabilità dei risultati grazie all’introduzione della tecnologia digitale Per un confronto tra la metodologia Inbound e Outbound leggi anche l’articolo Inbound e Outbound: quali sono le differenze? Creare valore prima di estrarlo L’Inbound è quindi una nuova filosofia, un movimento culturale fondato sulla relazione umana, sul dialogo con il proprio audience al fine di creare valore facendosi trovare là dove qualcuno è alla ricerca di una soluzione al proprio problema. Un valore però, è bene precisarlo, che viene trasferito prima ancora di estrarlo dal cliente che ha appena scelto di acquistare un nostro bene o servizio. Vuoi saperne di più sull'inbound? Scarica una copia del nostro e-book gratuito per conoscere le strategie e best practices:
Da qualche mese è arrivato anche in Italia Amazon Business, un account pensato per le aziende che vogliono vendere online i propri prodotti ai clienti b2b, istituzioni, università e organizzazioni no-profit. Scopriamo come funziona e quali sono i vantaggi di Amazon Business per i rivenditori. Prima di entrare nel dettaglio sui vantaggi della piattaforma riservata alle aziende, vediamo insieme un po' di numeri. Amazon Business è stato lanciato negli Stati Uniti nell'aprile del 2015, servendo oltre 1.000.000 di aziende e generando un fatturato superiore a un miliardo di dollari nel suo primo anno. Amazon Business è stato lanciato in Germania nel dicembre del 2016, nel Regno Unito nell'aprile del 2017 e in Francia nel febbraio 2018, con centinaia di migliaia di clienti aziendali. Pìù di 10 miliardi di vendite generate grazie alle spedizione di 250 milioni di prodotti in più di 70 paesi e, in particolare, il 50% del fatturato risulta generato da venditori di terze parti, cioè quelli non gestiti direttamente da Amazon. Visto il successo ottenuto negli altri paesi, Amazon ha deciso di proporre tale opportunità anche alle aziende in Italia e in Spagna solo a giugno 2018. In soli pochi mesi, Amazon Business Italia ha raggiunto una rapida diffusione e consente facilmente, ai rivenditori professionali che ne fanno parte, di incrementare le vendite B2B su Amazon.co.uk, Amazon.de, Amazon.fr Amazon.it e Amazon.es. Quali sono i vantaggi di Amazon Business per i rivenditori? Come venditore, ogni azienda può accedere a diverse funzionalità aggiuntive riservate ai clienti business, inclusa la possibilità di applicare sconti sulle quantità o di generare offerte riservate, indicare i prezzi al netto dell’IVA e di generare automaticamente la fattura. Il programma Amazon Business non comporta costi aggiuntivi e permette di accedere anche alla Logistica di Amazon, attivando automaticamente la vendita in tutta l'UE. E poi ancora: Fatturazione automatica con IVA: Il nuovo servizio di calcolo dell'IVA di Amazon genera automaticamente fatture con IVA per conto dell'azienda Indicazione del prezzo al netto dell'IVA: lo stesso servizio gratuito permette di indicare i prezzi al netto dell'IVA per i clienti aziendali Maggiore visibilità delle offerte: le offerte dei venditori registrati ad Amazon Business ricevono un apposito logo e ottengono conversioni di vendita superiori Gestione dei prezzi dedicati ai clienti aziendali e sconti sulle quantità: ogni azienda può proporre prezzi esclusivi e sconti sulle quantità ai clienti aziendali Possibilità di utilizzare la logistica di Amazon, utile per rivenditori che non sono strutturati per gestire un magazzino e ordini su grandi quantità Possibilità di ricevere richieste di preventivi, il cliente di tipo business ha la possibilità di richiedere prezzi riservati per una determinata quantità di prodotti. Ma quali sono i requisiti per accedere alla piattaforma Amazon Business? Sono quindi moltissimi i vantaggi di cui possono beneficiare le aziende che aderiscono al programma Amazon Business e per farlo non sono richiesti particolari requisiti, se non quelli di: Registrarsi come venditori business Aggiungere i prodotti a catalogo (manualmente o massivamente) e creare le offerte su uno o più mercati europei scriversi al servizio di calcolo dell'IVA per generare automaticamente le fatture con IVA e per mostrare ai clienti aziendali i prezzi al netto dell'IVA Aggiungere prezzi dedicati ai clienti aziendali e sconti sulle quantità, personalizzando le offerte tramite i feed o con la gestione dell'inventario in Seller Central Gestire la spedizione dei prodotti direttamente o tramite la logistica di Amazon. Se sei già un rivenditore Amazon potrai usufruire delle nuove funzionalità B2B di Seller Central e le restanti funzionalità di Seller Central rimarrano invariate. Avrai la possibilità di scegliere quali prodotti rendere disponibili anche per Amazon Business e a quale prezzo. Non occorrerà quindi creare un account separato o, ad esempio, duplicare il catalogo. Come detto sopra, non ci sono costi aggiuntivi per accedere ad Amazon Business, il tutto rientra nel pagamento mensile da 39 euro per l'account PRO e i costi di commissione ad Amazon, che variano a seconda della categoria merceologica di appartenenza, sono i medesimi. Anche su Amazon Business, è possibile aumentare la propria visibilità grazie alle campagne pubblicitarie, sia di tipo Pay per Clic che di tipo Display. Inoltre è possibile usufruire dei vantaggi e dei contenuti personalizzabili grazie alla registrazione del proprio marchio sul Registro Marche di Amazon. Se hai dubbi o vuoi approfondire questo argomento scrivimi o prenota una call con me.
Il crowdfunding è una vera e propria rivoluzione a livello sociale, nella quale acquisisce potere il concetto di “crowd”, letteralmente “folla”: immaginatevi di avere un’idea, ma di non avere i mezzi per poter verificarne in maniera concreta la validità. Quale può essere la Soluzione Strategica? Esemplificando,il crowdfunding è un fenomeno concettualmente semplice: un individuo X con una sua idea, dispone della modalità per validare e sviluppare il suo progetto. Le modalità sono differenti e differiscono in base alla tipologia di piattaforma sulla quale si vuole lanciare la propria idea. Ma la base è sempre la stessa, si ha la possibilità di sottoporre la propria idea ad un Folla di potenziali Innovatori, con la possibilità d raccogliere finanziamenti per il progetto e dare la possibilità di vedere nascere l’idea agli stessi finanziatori. Si capisce da subito quanto valore possa avere tale fenomeno a livello sociale tramite l'aggregazione di una community, ma cerchiamo di iniziare a capirne le basi: come in molti altri blocchi digital, una delle principali sfide risulta attrarre e raggiungere un pubblico potenzialmente interessato alla campagna che, in maniera ormai risaputa, ha un livello di attenzione medio che sta pian piano diminuendo. Solitamente, per chi entra a conoscenza del mondo Crowdfunding, nel momento in cui si inizia a scoprire tale opportunità, si inizia a pensare che sia facile lanciare il proprio progetto su una piattaforma e ottenere i fondi che si desiderano, tuttavia non è così. Vi è una metodologia che sta dietro una campagna di successo: i finanziatori della campagna agiscono per diverse motivazioni. Non pensate che avere una metodologia per navigare in mezzo a tale mondo possa essere la soluzione? Per esempio si ha la possibilità di decidere il “come”, il “quanto”, il “quando” e il “cosa”. Se avete bisogno di 10.000 € per il vostro progetto, quanti ne richiedete? La strategia potrebbe essere richiederne una parte per poter poi puntare al raggiungimento del Goal nella prima fase della campagna e coprire i rimanenti con gli Strech Goals. E invece come pensate di conquistare la fiducia della vostra Crowd? e di mantenerla? Lo sapete che è possibile per un investitore togliere il finanziamento in qualsiasi momento in cui la campagna è attiva? Ci sono tutta una serie di fattori che bisogna tenere in considerazione quando si decide di lanciare una campagna di crowdfunding, ovviamente se si vuol far sì che la campagna sia di successo. La partita non si gioca soltanto nell’arco della campagna, ma si scende in campo prima: nel momento in cui si decide di lanciare e progettare la propria campagna. Nel momento in cui una campagna viene lanciata su una piattaforma, bisogna far sì che tutto sia programmato dal possibile avvio non desiderato fino all’ultimo sprint per poter raggiungere l’obiettivo. E come far questo? La possibilità c’è, basta soltanto iniziare a scaricare a terra le proprie idee e sviluppare un percorso di sviluppo per raggiungere i propri obiettivi.
Probabilmente se hai sentito parlare di marketing almeno a livello basilare saprai che ci sono due tipi di metodi: Inbound cioè il marketing in entrata e Outbound cioè il marketing in uscita. Ci sono però delle differenze fra di loro ma hanno un obiettivo comune cioè portare clienti. Vediamo insieme in cosa si differenziano Inbound e Outbound. Outbound Il marketing in uscita è invadente. Con l’outbound si cerca di convincere i clienti ad acquistare il prodotto con alcuni strumenti che vedremo di seguito: Stampa: Attraverso i quotidiani e le riviste molte aziende pubblicizzano il loro prodotti. Di solito queste aziende acquistano una pagina intera di un giornale per far conoscere il proprio prodotto. Annunci TV e radio: Accendendo l'autoradio è probabile che sarai sommerso da annunci pubblicitari tra una canzone e un altra. Gli inserzionisti sono diventati consapevoli della popolarità della televisione e hanno creato annunci creativi e innovativi per catturare l'attenzione (e i portafogli) degli spettatori. Telemarketing: Chi non riceve almeno una chiamata a settimana da un telemarketer che vuole venderci un nuovo contratto telefonico o presentare una nuova azienda fornitrice di elettricità. Cartelloni pubblicitari: I classici cartelloni che vediamo in ogni città per pubblicizzare eventi o ad esempio nuovi ristoranti. Che cosa hanno in comune questi metodi? Sono difficili da evitare. Certo, le persone possono cambiare canale quando arriva uno spot pubblicitario, sfogliare gli annunci nella rivista o buttare i giornali pubblicitari non appena entrano in casa, ma non possono fermarli del tutto. Con l’Outbound difficilmente saprai se il tuo annuncio TV ha portato un cliente e per questo mancano i dati necessari per adeguare le tue tattiche e il tuo budget. Di conseguenza l’outbound può essere molto costoso da attuare in una azienda. Inbound L’inbound è un metodo di marketing meno aggressivo ed è incentrato sull’essere trovato dai potenziali clienti. I clienti vengono conquistati nel tempo con contenuti interessanti e pertinenti in modo da creare relazioni durature e fiducia nell’azienda. Gli strumenti usati nell’Inbound sono: SEO (Search Engine Optimization): aiuta il tuo page rank a diventare più alto nelle ricerche su internet. Ogni giorno vengono fatte ricerche su Google ed è importante che il tuo sito web sia in cima all'elenco di risposte collegate a determinate parole chiave o frasi chiave. Content marketing: molte aziende stanno incorporando un blog nei loro siti web. Il content marketing offre alle aziende l'opportunità di informare ed educare i propri consumatori senza essere troppo invadenti a riguardo. Il consumatore troverà le risposte a una domanda nel momento in cui ne avrà bisogno. Detto ciò, è importante avere contenuti pertinenti in tutte le fasi del percorso dell'acquirente sul tuo sito web. In questo modo, puoi intercettare i tuoi clienti al momento giusto. Social Media: Grazie ai Social puoi interagire con i tuoi clienti e sviluppare una relazione, ad esempio su Instagram o Facebook, che ti farà guadagnare la loro fedeltà nel tempo. Inoltre, puoi ottenere informazioni importanti rivolgendoti direttamente ai clienti che hanno problemi con il tuo servizio o prodotto. E-mail marketing: Dovresti inviare e-mail accuratamente elaborate e nella fase giusta in cui si trova il tuo acquirente per diventare cliente. Queste e-mail devono offrire informazioni preziose e contenuti utili per il cliente, in modo da attirare la sua attenzione e portarlo a una determinata azione. Con l’Inbound l’acquirente non dipende più dal team di vendita che lo informa sul prodotto. Con internet può trovare tutte le informazioni di cui ha bisogno e risolvere i suoi problemi senza ascoltare informazioni superflue per lui in quel momento. Se vuoi sapere come le strategie di vendita sono cambiate negli ultimi anni a seguito dell'avvento di Internet, scarica il nostro e-book gratuito! L’inbound è meno costoso rispetto ai metodi di marketing dell’outbound. Con l’inbound puoi tenere conto dei risultati di ogni singola azione che fai come ad esempio il numero di persone che aprono la tua e-mail oppure fare un A/B test fra due landing page per scoprire quella che ha delle performance migliori. In base ai dati ottenuti puoi intervenire per migliorare il tuo approccio con il cliente. Ora che hai visto le differenze fra Inbound e Outbound, quale sceglieresti per attirare nuovi clienti? Vuoi saperne di più sull'Inbound? Clicca qui sotto!
Open House e BIMU Milano, le due fiere dedicate alla saldatura e alla macchina utensile, dimostrano come il digitale sia la nuova metodologia d’approccio al cliente. Le aziende cambiano pelle: dalla promozione dell’evento tramite link che rimanda alla landing page di registrazione alla profilazione dei partecipanti tramite un’app chiamata atEvent con la quale è possibile apporre una sigla digitale per l’autorizzazione al trattamento dei dati personali secondo la normativa GDPR e scannerizzare il biglietto da visita in modo che i dati dei partecipanti possano confluire direttamente nel CRM aziendale. L’edizione di BIMU appena conclusasi ha portato quest’anno ad un incremento della base clienti pari ad almeno l’80% in più per il Gruppo Arroweld, distributore industriale nell’ambito delle tecnologie di saldatura in Veneto. Ma come funziona questa nuova app? atEvent, dal nome della start-up californiana che l’ha ideata e prodotta, totalmente integrata con i sistemi di CRM e Marketing Automation largamente utilizzati come HubSpot e Salesforce supporta le aziende a catturare lead qualificati e a massimizzare il ROI. Al momento del check-in ai partecipanti viene richiesto di apporre una sigla digitale per l’autorizzazione al trattamento dei dati personali secondo la normativa GDPR e rilasciare altre informazioni utili ad arricchire il profilo del cliente quali “Canale cliente”, “Linea di Business”, “Prodotto d’interesse” etc. nel caso di utente già registrato tramite form sul sito web dell’azienda che ha deciso di prendere parte all’evento o alla fiera. Nel caso invece di nuovo cliente non registrato la app consente manualmente di creare un nuovo profilo con tutte le informazioni necessarie quali Nome, Cognome, Email, Numero di telefono, Società, Città etc.. oppure di scannerizzare un badge o un biglietto da visita i cui dati vengono sincronizzati con il CRM andando a popolare le liste dei contatti. Una volta che i leads sono entrati nel CRM viene attivato un ciclo di follow-up e lead nurturing ed è anche possibile gestire i deal sulle diverse pipeline. Il tutto sul palmo di una mano ed in un’ottica always-be-helping. E’ finito quindi il tempo delle schede clienti compilate a mano con i biglietti da visita graffettati che in modo confusionale si perdevano tra le carte. Le potenzialità del digitale sono dunque la nuova sfida del futuro. Non solo in termini di risparmio di tempo ma anche come nuova modalità di dialogare con i clienti e i rivenditori. L’idea rivoluzionaria di utilizzare una app per il check-in dei partecipanti all’evento è la dimostrazione di come le aziende stiano cercando sempre di più di cavalcare l'onda della digital transformation. Giambattista Borriero, responsabile dell’area saldatura del Gruppo Arroweld sopra citato parla con entusiasmo del fermento in fiera e di come la novità sia stata molto apprezzata dal pubblico dei partecipanti all’evento. Ma conclude anche dicendo che il digitale non è un gioco ma una forza su cui gli imprenditori devono fare leva per poter lavorare con sempre maggior efficacia, velocità e qualità.
Il crowdfunding (dall'inglese crowd=folla e funding=finanziamento) è un processo di raccolta fondi realizzato tramite portali online, mediante i quali un gruppo di persone finanziano lo sviluppo di un progetto che vogliono di sostenere, talvolta a prescindere da un ritorno economico. Un progetto di Crowdfunding dunque ha un’idea che vuole essere finanziata, un obiettivo monetario di funding ed una scadenza (tipicamente 60 giorni): risulta essere dunque una “nuova” formula per finanziare idee nuove e innovative. In tutte le campagne di crowdfunding troviamo sempre un progettista, cioè chi lancia il progetto da supportare, e una folla, ovvero molteplici sostenitori che offriranno denaro per realizzarlo. Ciò che contraddistingue le varie tipologie di Crowdfunding è quello che gli investitori otterranno in cambio del finanziamento. Le due macro-aree infatti differiscono per la presenza o meno di una remunerazione finanziaria: Financial Crowdfunding e Non Financial Crowdfunding. Non Financial Crowdfunding: Le due classi principali di Non Financial Crowdfunding sono la donation-based crowdfunding e la reward-based crowdfunding. Nella modalità di finanziamento donation-based crowdfunding non è previsto alcun tipo di ritorno (economico o in beni/servizi) per l’investitore. Per questo motivo, risulta essere preferita da organizzazioni non profit e di utilità sociale: l’obiettivo del donatore infatti è generalmente quello di partecipare per supportare una causa giusta di cui ne condividi i valori. E questo sottolinea l’alto valore sociale che il crowdfunding svolge a tutti i livelli della società. Il reward-based crowdfunding è un modello che prevede sia riconosciuta all’investitore una ricompensa (reward), non legata ai profitti o risultati derivanti dal progetto. Nonostante il valore di questa risulti inferiore al contributo monetario offerto, questo meccanismo incentiva ugualmente la donazione dell’investitore in quanto spesso quest’ultimo riconosce un valore maggiore al reward rispetto a quello economicamente effettivo. Questa tipologia di crowdfunding viene spesso assimilata ad una prevendita (pre-selling) di un prodotto/servizio del prodotto protagonista della campagna di raccolta fondi: il finanziatore interessato all’acquisto anticipa la somma che dovrebbe pagare per il bene in questione, finanziando così il progetto per la realizzazione dello stesso. Solitamente per incentivare i sostenitori ad offrire più somme di denaro si utilizzano diverse modalità di reward, alimentando così nei crowdfunders il desiderio di elargire più contributi in modo da collezionarli tutti. Financial Crowdfunding: Le principali alternative di financial crowdfunding sono la Lending-Based Crowdfunding e la Equity-Based Crowdfunding. La Lending-Based Crowdfunding è una forma di finanziamento mediante sottoscrizione di titoli di debito emessi dall’impresa finanziata a nome del soggetto finanziatore, al quale si assicura un ritorno economico mediante interessi e restituzione del capitale alla data pattuita tra le parti. I progetti di questa classe si suddividono a loro volta in due sotto-classi: i prestiti peer to peer (P2P), un rapporto diretto tra proponente e pluralità di investitori senza intermediazione di istituzioni finanziarie, ed il micro-prestito, cioè la fornitura di servizi finanziari a soggetti a basso reddito o che difficilmente potrebbero ottenere un investimento tramite i tradizionali canali di credito. In questo caso il prestito viene raccolto da un gruppo di crowdfunders e gestito da un intermediario, normalmente nominato dalla piattaforma di raccolta fondi. Per Equity-Based Crowdfunding si intende una modalità di finanziamento con la quale tramite l’investimento on-line si acquista un vero e proprio titolo di partecipazione in una società. La ricompensa in questo caso è rappresentata dal complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell’impresa. Attraverso questo modello, il finanziatore che vede valore nel progetto nel lungo periodo acquista una quota proprietaria del business. Risulta dunque uno strumento utile per Startup e le PMI innovative, le quale potranno ottenere i capitali necessari per avviare attività imprenditoriali. Oltre a queste classi di crowdfunding, troviamo modelli di finanziamenti più “ibridi” riconducibili a più categorie tra quelle descritte. Tra questi vanno menzionati: il social lending, modello simile al lending-based senza tuttavia che sia previsto il pagamento di interessi sul prestito, ed il revenue sharing o royalty-based, dove i sostenitori a fronte del proprio investimento andranno a ricevere delle royalties, ossia una quota parte dei profitti futuri generati dal progetto finanziato. Vuoi saperne di più su questo tema? Visita la nostra pagina dedicata cliccando qui sotto:
Perché per le aziende italiane i processi non sono importanti? Siamo ancorati a modelli obsoleti dove era sufficiente suddividere le funzioni aziendali per generare efficienza, controllare l’efficacia dei silos, generare crescita e performance durature. Sales, Marketing, Customer Care, Product Development, Engineering, Manufacturing, Network Development….tanti enti strutturati per garantire la massimizzazione delle performance, il controllo, l’ottimizzazione dei processi. Quello che stiamo osservando negli ultimi anni ci presenta paradigmi diversi, che i nostri modelli organizzativi faticano ad accettare e sostenere. Secondo una ricerca di Ray Wang del 2014, Costellation Research, “al tasso attuale, circa il 50% delle aziende dello S&P 500 sarà sostituito entro il 2027”. Secondo il report AEI del 2017 di Mark J. Perry, dal 2000, “il 52% delle aziende della Fortune 500 ha dichiarato bancarotta, è stata acquistata, è scomparsa completamente dalla scena economica”. La crescita e la diffusione di internet hanno completamente cambiato la società. L’informazione è essenzialmente liquida, quindi le principali attività commerciali possono essere esternalizzate, trasferendole agli utenti, fan, partner o al pubblico in generale. Siamo passati dal paradigma della scarsità delle informazioni, su cui i venditori (e di conseguenza le aziende) hanno fatto la fortuna nei 50 anni precedenti, all’abbondanza delle informazioni, rendendo l’attenzione la risorsa scarsa e limitando di conseguenza il potere del venditore. Secondo Mimi An, in un report di HubSpot del 2106, “più dell’80% degli acquirenti non vuole connettersi con un venditore durante l’iniziale fase di awareness (consapevolezza) del processo di acquisto”. Secondo Steve W. Martin, 2017, “Solo il 18% dei venditori è classificato dagli acquirenti come consulenti fidati, rispettati”. Il venditore è solo. Secondo Salesforce, Second annual state of Sales Report 2017, in media i venditori oggi investono solo il 36% del loro tempo in attività di vendita. Il 55% dei venditori pensa che gli strumenti che l’azienda mette a disposizione ostacola le performance di vendita. Il 59% pensa che ci sono troppi strumenti da usare. Un CRM ha l’obiettivo di raccogliere e organizzare tutte le informazioni relative alle diversi fasi della relazione col cliente, relative a tutte le aree aziendali: marketing, sales, post-vendita, area tecnica, direzione… Un software CRM è in grado di far confluire contatti, relazioni, informazioni e attività in un’unica base dati così da fornire una visione d’insieme del cliente completa. Quando si hanno tutte le informazioni in un luogo e quando tutti possono contribuire a migliorare la qualità delle stesse, si ottiene anche un miglioramento della collaborazione e della condivisione aziendale. Ma in Italia, secondo la stima dell’Osservatorio CRM 2018, solo il 19% riesce a gestire ogni punto di contatto della customer journey con strumenti adeguati. Mentre negli USA i processi partono dal CRM e si espandono verso l’organizzazione, con un allineamento circolare tra funzioni aziendali e cliente: il call center con copycat customizzati sul profilo sociale dell’utente, marketing e sales stabiliscono un service level agreement (SLA) sulle performance di business effettuando un reverse engineering partendo dagli obiettivi di business e via verso vendite, opportunità, sales ready lead, marketing qualified lead, lead, prodotti, offerte, servizi….innovazioni. Nella mia esperienza ho visto l’implementazione di diversi strumenti per la gestione della relazione con il cliente. Probabilmente sarò stato sfortunato, ma non ho mai percepito una completa sinergia tra le funzioni aziendali: raramente ho notato una reale mappatura dei processi difficilmente gli strumenti adottati sono stati implementati adeguatamente per raccogliere le informazioni relative al prospect / cliente in maniera completa, utile e condivisa raramente le risorse di vendita, marketing e customer service erano formate per sfruttare adeguatamente tali informazioni. Per molti il CRM è un software, uno strumento; spesso nemmeno ben definito nelle sue funzionalità. Diverse volte mi sono trovato a disquisire con manager incaricati di portare questa rivoluzione (purtroppo, spesso, così è percepita) in azienda, su quello che non deve fare un CRM piuttosto che sui processi che si intendevano formare all’interno dell’organizzazione. Si tralascia la reale definizione sottesa dall’acronimo CRM: gestione della relazione con il cliente. Si demanda ad una società di consulenza l’attività di selezione del software adeguato. Molto spesso si passa da uno stato in cui non esiste una reale condivisione delle informazioni relative al cliente, al desiderio / vincolo di progetto che il nuovo software deve sostituire tutto l’esistente e fare tutto il mancante: marketing, vendita, customer care, ordini, business intelligence, fatturazione, project management, gestione commessa, etc… Con queste premesse, il progetto CRM naufraga tra un mare di tante aspettative e un oceano di mancanza di processi, impegno, idee chiare, condivisione delle funzioni e visione customer oriented. Il porto sicuro per molti è sempre: i venditori non lo usano il software non era adatto il progetto implementativo non è stato adeguato alle aspettative. Un’infrastruttura deficitaria non permette di creare un’organizzazione moderna, capace di superare con successo (spesso sopravvivere) al cambiamento economico, tecnologico e sociale in atto. Non permette di creare un sistema di vendite e marketing integrato ed evoluto, adeguato al nuovo processo di vendita, al paradigma dell’abbondanza delle informazioni, della scarsità dell’attenzione, della poca fiducia che il buyer ha nei confronti del venditore tradizionale, del nuovo buyer journey. E’ cambiato il processo di acquisto, deve cambiare il processo di vendita: Il buyer si aspetta una comunicazione veloce, diretta, personalizzata il venditore è utile se porta valore (non informazioni generiche), in ogni step della buyer journey le proprietà web sono dei venditori instancabili, 24/7 il buyer vuole una esperienza self service Engagement e Community Il buyer si aspetta valore già prima dell’acquisto Vuole una relazione one to one E’ consapevole di avere Potere Sono tutti aspetti che minano l’organizzazione delle micro aziende italiane, abituate a sfruttare il network per generare clienti, difficilmente focalizzate, che hanno fatto della geolocalizzazione un principio difensivista piuttosto che un fattore chiave di successo, tecnologicamente impreparate, con un approccio al marketing non strutturato, incapaci di costruire reti di valore e delegare per competenze. La chiave per superare questi ostacoli nelle vendite di oggi è quello di creare un'organizzazione di vendita ad alta velocità. High-Velocity Sales Organization Un'organizzazione con i giusti esecutori, strategia e infrastruttura digitale, che consente di aumentare notevolmente le vendite convertendo più prospect in opportunità e a prezzi più elevati. Un’organizzazione ad alta velocità supera le sfide implementando un framework diffuso e condiviso che ha l’obiettivo di fornire ai giusti esecutori, la giusta strategia e la giusta infrastruttura tecnologica. Cambiare il modello di organizzazione delle vendite significa sopravvivere alle sfide del mercato di oggi. Richiede un giusto impegno; un impegno equilibrato tra gli elementi sopra menzionati: performer, infrastructure, strategy. E’ importante avere la capacità di sperimentare, razionalizzare i bisogni principali e muovere l’organizzazione passo dopo passo verso il cambiamento. Identificare e comprendere i punti di debolezza dell’organizzazione e fare i giusti passi, misurando l’efficienza dei cambiamenti. L’efficienza è la gallina dalle uova d’oro, il rapporto tra produzione, le uova d’oro, e le risorse, la gallina. Se spingo troppo sulla produzione, possibilmente comprometterò la risorsa. Importante che questo processo sia guidato dal top level dell’organizzazione, perché la cultura di vendita è guidata dal top. Non basta l’impegno del sales manager o del marketing manager. Mentre i manager possono implementare la strategia, la decisione di effettuare i cambiamenti deve provenire dal CEO aziendale. In molte realtà d’oltreoceano è presenta la figura del CRO (Chief Revenue Officer) ovvero un Director che ha come obiettivo primario la crescita del fatturato aziendale. A lui riportano le varie funzioni Marketing e Sales. Il CRM come strumento di Digital Marketing HubSpot propone un CRM gratuito che ti consente di gestire le pipeline e velocizzare il lavoro dei tuoi venditori. E' indispensabile per organizzare e tracciare le tue lead, e propone metodi efficaci per il nurturing dei tuoi clienti. Vi lascio con un Webinar per approfondire: Vuoi supporto per la tua organizzazione? Pianifica una call con me.
Abbiamo parlato con Salvatore Cobuzio, CEO & Founder to Martha's Cottage, siciliano, che ha appena lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma italiana: Mamacrowd. Piattaforma in ambito di Equity Crowdfunding, nella quale gli investitori entrano nel capitale sociale (“equity”) di una società, condividendo in tal modo il “rischio d’impresa” con il socio o i soci già esistenti. Il progetto unisce due ambiti a noi molto cari: crowdfunding e ecommerce. “Sposarsi non è mai stato così divertente” Fondata a fine 2013, Martha’s Cottage è il più grande e-commerce a livello europeo dedicato alla vendita dei prodotti accessori per i matrimoni, a differenza di molti altri ecommerce, i prodotti di questo settore non hanno il MARCHIO. Martha’s Cottage ha ben chiaro come impostare una Brand Strategy ed è per questo che oltre 40 mila sposi si sono già serviti sul portale e ad oggi il sito vende prodotti per più di 150 matrimoni al giorno in tutta Europa. Salvatore ci dice Lavoro solo per progetti che hanno il coraggio di essere ambiziosi e innovativi fin dalla creazione e con aziende che mettono il proprio cliente al centro della loro attenzione. Il fatto che tale settore sia ancora poco digitalizzato risulta essere uno dei principali punti di forza, ed ecco che la migliore strategia è puntare su una campagna crowdfunding per coltivare il fattore esponenziale della start up. L ’obiettivo che si vuole raggiungere è di quasi 200 mila euro, obiettivo non così impensabile se si pensa che ad oggi la start-up ha già raggiunto due seed per il valore di 800 mila euro che gli hanno permesso di mostrare la scalabilità a livello internazionale e di convalidare i differenti modelli di Business. Quali sono i differenti Modelli di Business del Progetto? La decisione di voler puntare su una campagna di crowdfunding per un valore inferiore ai seed raggiunti ne fa capire il valore strategico: non bisogna mai dimenticarsi che quando si lancia una nuova campagna, di qualsiasi tipologia, oltre ad avere il controllo sul “cosa” lo si ha anche sul “quando” e sul “quanto”. In questo caso, Martha’s Cottage è un esempio di come il “quanto” possa essere sfruttato a livello strategico: a pochi giorni dal lancio della campagna sono già stati raggiunti 50.000 euro, ovvero un quarto dell’obiettivo finale e rimangono ancora 79 giorni per poterla finanziare. Molto probabilmente, l’obiettivo verrà raggiunto ed a livello di impostazione della campagna sono state fatte le dovute considerazioni per poter gestire il rapporto con i finanziatori nel momento in cui verrà superato l’obiettivo iniziale. Il fine è chiaro, Martha’s Cottage vuole diventare l’e-commerce italiano leader a livello mondiale nel settore dei matrimoni. Negli ultimi due anni il suo fatturato è cresciuto dai € 560 mila del 2016 ai € 1,1 milioni del 2017. Nel 2018 il fatturato estero sarà superiore al 20%, con proiezione dell’85% entro il 2020. A livello di potenzialità del progetto, il fattore della scalabilità a livello internazionale e la mancanza di competitor diretti è uno stimolo per raggiungere i potenziali investitori. Conquistare un cliente è un’impresa ardua, e una volta conquistato, un cliente deve generare vendite ripetitive massimizzando il life time value. Salvatore dice: Non solo futuri sposi, in questi anni i clienti acquisiti tramite il matrimonio stanno continuando ad utilizzarci anche per altre ricorrenze: nascita, battesimo, compleanno, party, etc..” Questi sono i punti di forza del progetto che sono stati efficacemente sottolineati a livello del video di presentazione sulla piattaforma dove si gioca la vera partita di una campagna crowdfunding: si hanno pochi minuti per riuscire a convincere un potenziale utente ad investire nel proprio progetto. Bisogna riuscire a creare le basi per un rapporto di fiducia che verrà successivamente coltivato qualora l’utente decidesse di diventare investitore. Per poter creare un video di successo, bisogna identificare inizialmente il proprio brand e posizionamento, il fine successivo è creare una storia tramite la metodologia dello Storytelling, un importante strumento per poter trasmettere il proprio messaggio. Il punto di partenza è sempre definire il proprio scopo. Infine, un altro fattore importante è la decisione della modalità comunicativa che si vuole avere con il proprio utente, in questo caso si può facilmente notare come il tono scelto sia molto informale e voglia trasmettere i valori condivisi a livello aziendale. Riassumendo, Il video è una forte CTA per vedere il progetto, partecipare e finanziare il progetto. Investire in un progetto di Equity Crowdfunding significa scommettere e credere in un’idea di start up; significa diventare socio della start up. Tale tipologia di crowdfunding deve puntare in un maggior grado di fiducia instaurata con il finanziatore proprio per questa ragione. Quali sono le principali metriche che si possono analizzare? Guardando i dati relative alle metriche per i Marketplace, si può notare come il tempo medio di permanenza sul sito sia molto elevato e parallelamente anche il livello di acquisto medio. Relativamente al tasso di conversione pari a 1,8%, si possono fare differenti considerazioni: sicuramente il tasso potrebbe essere maggiore essendo un marketplace, si pensi ad Amazon (anno 2016) con un tasso di conversione del 13% per gli utenti non Prime, tuttavia data la tipologia di prodotti venduti, per effettuare un’analisi completa si dovrebbe andare ad analizzare quale sia la durata del processo di acquisto e quali siano i principali percorsi di conversione. Confrontando due diversi canali di acquisizione, traffico organico e a pagamento, si nota come sia il primo a portare maggiore traffico a livello di sessioni, in media 30k al mese, e come il sito sia ben posizionato a livello di keyword, sia brand che generiche. Inoltre, il sito risulta aver un buon profilo di link che gli ha permesso di acquisire autorevolezza e traffico organico. Analizzando la pagina all’interno della piattaforma, sono vari gli spunti tecnici che si possono analizzare e dai quali si può capire come dietro il lancio di una campagna di queste portate sia stato fatto un grande lavoro a livello di pianificazione, ma dall’intervista è emerso come non ci sia soltanto questo: la pagina sulla piattaforma è soltanto quello che si vede, ma dietro a tale progetto è stata implementata una strategia digital che ricopre i differenti blocchi che affrontiamo all’interno di Digital Building Blocks. Adesso, non ci resta che aspettare di vedere quale sia lo sviluppo della campagna. Augurando a Martha’s Cottage di poter tranquillamente superare e raggiungere l’obiettivo prefissato così da poter mettere ulteriori tasselli che le permetteranno di diventare il più grande e-commerce a livello mondiale dedicato alla vendita dei prodotti accessori per i matrimoni. Vuoi conoscere tutti gli elementi da definire per realizzare una campagna di crowdfunding? 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Lead o Prospect ? Quando si parla di web marketing diventa sempre più difficile identificare i termini giusti. Per poter spiegare la differenza tra Lead e Prospect bisogna prima fare un breve zoom sulle varie fasi del percorso di conversione standard di un utente. Utente Sconosciuto : In questa fase l’utente entra in contatto per la prima volta con il nostro percorso di conversione, questo può avvenire tramite vari servizi di Adv come SEM ( search engine network ) a pagamento, SEO ( search engine optimization ) che può portare traffico in maniera organica e quindi gratuita e Social Media ( facebook,Linkedin,Instagram,Pinterest,Twitter ecc.. ) Visitatore : L’utente è atterrato sul nostro sito, form, landing page o, comunque, sulla destinazione scelta dalla nostra campagna o dai nostri posizionamenti organici. In questa fase il visitatore si trova di fronte i primi contenuti del nostro funnel di conversione , lo scopo, è quello di attrarre l’utente fino a trasformarlo in lead tramite, solitamente, la raccolta dei suoi contatti personali ( nome,cognome, mail ecc.. in base alle necessità ) Lead : In questa fase l’utente si è trasformato in una lead, cosa significa ? Vuol dire che abbiamo raccolto con successo i suoi dati e possiamo cominciare a comunicare con l’utente in maniera più diretta e personalizzata. In questo momento il nostro visitatore ha già mostrato un interesse parziale per il nostro prodotto/servizio/contenuto aprendoci la strada, come già detto, ad una comunicazione più mirata alla conversione vera e propria Prospect : Nel momento in cui l’interesse di un lead diventa certo abbiamo un Prospect, ovvero, un utente che è certamente interessato ai nostri servizi/prodotti/contenuti e potremo quindi cominciare a comunicare con l’utente in maniera “commerciale” andando a mostrargli offerte o altro che, per noi, rappresenta la conversione. In questo stadio è importante utilizzare le informazioni raccolte precedentemente per proporre all’utente il prodotto/servizio/contenuto per lui più interessante tra quelli che abbiamo a disposizione e trasformarlo quindi in un cliente Cliente : Questa fase rappresenta quella direttamente successiva alla conversione, l’utente ha convertito ( solitamente tramite acquisto ) e bisogna da questo momento in poi puntare a mantenerlo vicino al nostro brand e stimolare la sua attenzione con varie soluzioni come, ad esempio, newsletters, eventi per clienti , contenuti realizzati appositamente ecc.. Mentre molto spesso si lascia il cliente a se stesso post acquisto è estremamente importante continuare a coltivare la relazione con lui e, con i giusti metodi, fidelizzarlo per future conversioni. Qual’è quindi la vera differenza tra Lead e Prospect ? Tornando al punto possiamo dire che la vera differenza sta nel grado di interesse che l’utente ha mostrato verso ciò che per noi rappresenta la conversione ( prodotto/servizio/contenuto ). In molti casi non si fa distinzione tra questi due stadi in quanto , a volte, l’utente dallo stadio di Lead diventa direttamente cliente, questo può variare in base a come è costituito il funnel di conversione che abbiamo impostato. Sicuramente avere un funnel più definito che si prende cura dell’utente in ogni fase con metodi specifici può portare ad avere un tasso di conversione più alto, richiede però un impegno maggiore nello strutturare sia il percorso di conversione che Adv, Mail e tutti gli altri strumenti che abbiamo a disposizione. Vantaggi della divisione Lead/Prospect ? Come già detto strutturare un funnel che agisce in maniera specifica in ogni fase che l’utente affronta può aumentare il tasso di conversione ma, nello specifico , come possiamo trarre vantaggio da questa divisione ? Gli utenti sono spesso restii nel dare subito molte informazioni ed è il motivo per cui si cerca sempre di ridurre i campi obbligatori nei form di iscrizione ( registrazione del lead ) per evitare la sfiducia da parte dell’utente e, proprio in questo caso , la divisione tra Lead e Prospect può aiutarci andando a richiedere in primis ( Lead ) le informazioni di base per ricontattare l’utente e , solo in un secondo momento ( Prospect ) andare a raccogliere le informazioni più utili in ambito business e quindi legate, ad esempio, ai prodotti che possono interessare l’utente ecc.. Altro Vantaggio è sicuramente quello di poter mostrare al Prospect messaggi commerciali/promozionali più diretti e specifici essendo già consapevoli del suo interesse verso il nostro “prodotto”, questo farà si che CTR ( click through rate ) e CR ( Conversion Rate ) siano più elevati.
Sin dalla sua ideazione, che viene fatta risalire al 2006, l’Inbound Marketing è considerata la metodologia più efficace per fare business online. A differenza dell’outbound marketing, orientato al mercato, l’approccio Inbound trova le sue fondamenta nella relazione umana, nella conversazione con il proprio target definendo i processi, le tecnologie e i contenuti alla base di ogni fase del buyer’s journey. Il cliente è quindi posto sempre al centro, è prosumer, al tempo stesso consumatore (consumer) e protagonista (protagonist) dell’intero processo di crescita del business. HubSpot definisce l’Inbound Marketing analizzando tre fasi: Attract, Engage e Delight. Nella prima fase di Attract è importante attrarre i lead giusti con contenuti rilevanti al momento giusto. I tools su cui fare leva in questa fase riguardano content strategy, social media e advertising al fine di generare brand awareness nella nostra target audience. Nella fase di Engage il nostro commitment è quello di instaurare relazioni durature con i prospects attraverso email, forms, live chat o chatbots rendendo il più agevole possibile il processo di acquisto. E’ in questo stage che si costruisce la brand loyalty e si nutrono relazioni di lungo periodo. Ma è nella fase di Delight che i nostri clienti potrebbero diventare potenzialmente i nostri promotori e contribuire alla creazione di nuovi business. Se i nostri sforzi si riveleranno dunque good-for-the-customer risulteranno altrettanto good-for-the-business. Come già affrontato nell’articolo Il Marketing è cambiato. I nuovi paradigmi della Digital Transformation i modelli di valore a cui fare riferimento oggi sono cambiati. Vuoi approfondire come è cambiato il concetto di vendita a seguito dell'avvento di Internet? Abbiamo preparato un e-book da scaricare gratuitamente! Clicca qui per scaricarlo! Non si parla più di Business Value bensì di Customer Value. Il Customer Value a sua volta si traduce in Customer Lifetime Value ad indicare il valore economico-monetario che può essere generato da una relazione di lungo periodo con il nostro cliente. Ma il prodotto o servizio non basta a creare valore. Solo se l’esperienza che saremo in grado di offrire sarà davvero rilevante allora si potrà parlare di Relationship. Vuoi saperne di più sull'Inbound? Clicca qui sotto!
In questi ultimi anni gli e-commerce sono cresciuti molto, ormai possiamo trovarne di ogni tipo e quasi tutti hanno acquistato almeno una volta un prodotto su una piattaforma online per riceverlo direttamente a casa. Ma sapevi che esistono più tipologie di e-commerce? Ebbene si, esistono diversi modelli di business per il commercio elettronico. Possiamo trovare flash sales e-commerce, subscription e-commerce, e-couponing, social media e-commerce, marketplace e se ne potrebbero elencare ancora altri. Oggi vi parlerò dei Flash Sales E-commerce. I flash sales e-commerce, letteralmente in italiano vendite veloci, sono delle piattaforme online che vendono prodotti a prezzi scontati per un breve periodo. Quando la quantità dei prodotti venduti è limitata, in pratica la maggior parte delle volte, gli sconti sono più alti. I flash sales offrono i prodotti per un periodo di tempo limitato che di solito si aggira intorno alle 24 ore. Vente Privee, e-commerce nato nel 2001, è stato il pioniere del modello di business flash sales. Questo modello di e-commerce può essere applicato a molti settori, dall'abbigliamento fino a prodotti elettronici. Molti hanno deciso di provare ad aprire un flash sales, uno dei più famosi è Zalando, che ha deciso di lanciare il suo Privè. Zalando Privè avvisa ogni settimana i suoi clienti sulle offerte che ci saranno ogni giorno sul sito per un periodo di tempo limitato, a prezzi veramente scontati. Il limite di tempo e la disponibilità limitata invogliano i consumatori a comprare subito, ovvero a fare i così detti acquisti d'impulso . Di solito sui siti flash sales, vicino ai prodotti, viene inserito un timer che indica il tempo rimanente per acquistare e il numero di articoli disponibili in quel momento, proprio per invogliare il cliente all’acquisto. In che modo le vendite flash possono aiutarti a far crescere la tua attività Le vendite flash possono essere un metodo estremamente efficace per scaricare rapidamente l'inventario in eccesso, trasformando un saldo negativo in positivo in poche ore. Sono anche un ottimo modo per vendere articoli che sono fuori stagione, per liberarsi delle vecchie collezioni. Infine rappresentano una grande opportunità per aumentare la consapevolezza del brand. I flash sales possono mettere il tuo negozio nel mirino di siti di deal e blog in tutto il Web, espandendo notevolmente la tua notorietà. Ora che hai capito cosa sono e come funziona questo modello di business per gli e-commerce, ti lascio con alcuni consigli su come aprire un flash sales di successo: Determina l'obiettivo del tuo flash sales, che ad esempio, potrebbe essere eliminare l'inventario in eccesso o aumentare la visibilità del brand. Fai risaltare il tuo sconto. Una “vendita lampo” dovrebbe offrire risparmi significativi rispetto a ciò che i clienti potrebbero trovare altrove. Promuovi la vendita di prodotti scontati utilizzando marketing, social e SEO. Assicurati che i termini di servizio siano chiari. Non lasciare il cliente da solo, fornisci un servizio clienti per tutto il ciclo di vendita. Questo tipo di e-commerce è significativo solo se lasciano ai clienti una percezione positiva della tua azienda.
Prima di analizzare il conversion rate come metrica della performance di una campagna online occorre soffermarsi innanzitutto sul concetto di conversione nella lead generation, ossia definire cosa sia un lead, e poi chiarire lo stesso concetto nell’e-commerce ovvero approfondire il significato di transazione. Un lead in un contesto di vendita si riferisce al contatto con un cliente potenziale detto anche “prospect”. Il significato di lead può variare a seconda del tipo di organizzazione: per alcune aziende un lead è un contatto già determinato ad essere un potenziale cliente, mentre altre società considerano lead qualsiasi contatto di vendita. Ciò che ad ogni modo resta uguale tra le varie definizioni è che un lead potrebbe potenzialmente diventare un futuro cliente. Se ci spostiamo invece nel panorama dell’e-commerce una transazione costituisce invece un trasferimento di denaro a fronte dell’acquisto di un bene o di un servizio da parte di un cliente. Il tasso di conversione dunque rappresenta uno dei KPI digitali fondamentali in quanto misura del successo di una campagna o di un sito web nell’ottenere da parte dei visitatori un’azione desiderata che sia più di una semplice visita. Ciò ad esempio può riguardare la compilazione di un modulo online, l’iscrizione ad una newsletter, il download di un software, l’attivazione di una trial etc.. In uno scenario di vendita calcoliamo il tasso di conversione come l’ammontare delle vendite sul totale delle visite: Conversion rate= Number of sales/Number of visits Quindi un conversion rate del 5% sta ad indicare che su 100 visite di un online store 5 si sono convertite in acquisti. Ma è veramente questa una metrica esaustiva? Così come tante domande “easy to ask” la risposta è tutt’altro che semplice da dare. Un valore ragionevole per un tasso di conversione è difficile da stabilire. Se stiamo creando un business plan e vogliamo che questo sia convincente allora indicheremo un conversion rate maggiore del 50% Se invece ci interessa mostrare una valore ottenibile con il minimo sforzo e che superi le aspettative allora in questo caso la percentuale sarebbe del 10%. Ma facciamo qualche altro esempio. Ipotizziamo il seguente caso: Giorno 1: tasso di conversione del 4% (equivalente a 5000 visite e 200 acquisti) Giorno 2: tasso di conversione del 10% (equivalente a 1000 visite e 100 acquisti) Da una prima lettura dei risultati notiamo un conversion rate nel giorno 2 pari a più del doppio di quello che si osserva nel giorno 1. Tuttavia se consideriamo le cifre dietro tali percentuali nel giorno 1 il numero delle visite e degli acquisti è di gran lunga superiore a quello che si verifica nel giorno 2 pertanto potremmo concludere che il business scenario che si prospetta nel giorno 1 è sicuramente migliore di quello del giorno 2. Appare evidente quindi che il conversion rate non è l’unica metrica su cui focalizzarsi. Gary Vaynerchuk, imprenditore americano esperto di social media marketing, alle continue richieste da parte di un CMO “conservative” su quale fosse il ROI dei social media risponde “What is the ROI of your mother?” a significare che il pregio del digital consiste nel fatto che è possibile misurare tutto - non solo il ROI quindi. “Il ROI non c’entra con lo strumento (in questo caso i social media), ma è legato al tempo e agli sforzi investiti per utilizzarlo in maniera corretta”, precisa Gary. L’investimento non ha niente a che fare col denaro ma riguarda l’esecuzione. “Se vuoi fare i soldi facendo qualcosa devi essere molto bravo in quel qualcosa per vederne i ritorni attesi”. Quindi per quanto riguarda i social occorre prima conoscere bene le piattaforme, trovare la giusta combinazione di creatività, copywriting e strategia. Capire le intuizioni, iterare ed eseguire contro di esse. Solo a quel punto allora è possibile parlare di ROI dei social media.
La vera differenza tra il digital marketing e il marketing tradizionale è la misurabilità dei risultati. Se dovessi investire in pubblicità tramite un cartellone in metropolitana sapresti solo a spanne quante persone abbiano visto la tua comunicazione, ma sarebbero sempre e solo ipotesi. Al contrario, destinando un budget alla sponsorizzazione della tua attività sul web sapresti con precisione quali sono stati i risultati ottenuti da quella campagna. Ma come capire se le tue campagne stanno andando bene o male? 1) Costo per Conversione Quanto sto pagando per ogni conversione? La metrica del Costo per Lead (CPL) o Costo per Acquisizione (CPA) ci permette di capire quanto stiamo pagando un lead, ossia un contatto che decide di compilare il form sulla nostra Landing Page. Questo valore, rapportato al nostro Customer Lifetime Value, ci permette di capire se le nostre campagne sono sostenibili o meno. 2) Click-through rate Ho selezionato il target giusto? Il CTR o Click-through rate misura il rapporto tra i click e le impressioni che ha ricevuto un dato annuncio. Quando questo valore è troppo basso, generalmente sotto l'1%, significa che probabilmente il target è da rivalutare, andando a testare nuove keyword o nuovi metodi di targeting in generale, a seconda del fatto che parliamo di rete di ricerca o rete display. 3) Conversion Rate La Landing Page che sto usando è funzionale al mio obiettivo? Il CR o Conversion Rate rappresenta il rapporto tra conversione ricevute e click, quindi sessioni sulla tua Landing Page. Un valore sotto l'1% potrebbe indicare qualche problema sul tuo strumento di conversione principale, ossia la Landing Page. Un messaggio poco chiaro o un form troppo corposo in relazione alla fase del Customer Journey che stai andando a curare, potrebbero essere possibili elementi da mettere in discussione, come anche un contenuto premium debole o poco efficace. E tu presti attenzione a queste metriche? Come misuri l'efficacia delle tue campagne? Se sei interessato a rispondere alle domande più comuni circa lo stato di salute del tuo business ed il comportamento dei tuoi clienti, abbiamo creato per te una preziosa guida! Scaricala gratuitamente
Ok, va bene. Il titolo è provocatorio, ma ti voglio spiegare perché questa affermazione è concettualmente vera. Per farlo mi dovrò appoggiare sulle spalle di qualche gigante (così se sei davvero interessato potrai anche approfondire l’argomento leggendo i libri che citerò) e condurti in un piccolo excursus di pensiero. Non sto a tediarti raccontandoti nuovamente che il mondo è cambiato (se te lo fossi perso ti invito a leggere Ma nel mio settore è diverso…), ormai lo sai. In questo articolo voglio parlarti di informazioni e conoscenza, nei vari sensi del termine e di come svilupparla. Per questo inizio il percorso dal primo libro che consiglio: La quarta rivoluzione di Luciano Floridi (uno dei pochi filosofi che si interessano di informatica e che ha subito colto l'opportunità di strutturare una filosofia dell'informazione). La prima rivoluzione è quella di Copernico. Copernico ha teorizzato l'universo non più con la terra al centro, ma con il sole. La terra viene spostata in periferia. Con questo metodo viene spazzata via una certa concezione antropocentrica dell'universo. La seconda rivoluzione è quella di Darwin. Darwin scopre che gli animali di oggi derivano da un processo di evoluzione che segue la logica della selezione naturale. Anche l'uomo è un animale come gli altri da questo punto di vista, un animale che si è evoluto a partire dai primati. Con questo rovesciamento la specie umana smette di avere qualche forma di privilegio rispetto alle altre specie. La terza rivoluzione è quella di Freud che ha dimostrato che l’essere umano è diviso tra coscienza e inconscio. La nostra mente non è completamente trasparente a se stessa. L'uomo è soggetto all'inconscio e non è più quell'animale capace di controllare sé stesso e il suo desiderio. La quarta rivoluzione è quella di Turing. Turing ha costruito una macchina intelligente che costituisce il primo modello di computer (A.C.E. - automatic computer engine). Con questo passo l'intelligenza non sembra essere più un privilegio dell'uomo (il cartesiano “Cogito ergo sum”), visto che è contesa da altre macchine. Per cui l’uomo viene a perdere tutti le sue prerogative di “centralità”. Nel libro Floridi tratta anche il tema dell'educazione e dell'insegnamento. Oggi i computer sono molto più usati nelle scuole di una volta, anche se in molti casi troviamo sempre i classici alunni dietro ai banchi con carta e penna. Ci sono sempre più MOOC disponibili (Massive Open Online Courses; in italiano, “Corsi online aperti su larga scala” - sono dei corsi pensati per una formazione a distanza che coinvolga un numero elevato di utenti) e un sacco di tutorial su Youtube. Le possibilità di apprendere sempre più cose si sono moltiplicate moltissimo. Ovviamente bisogna stare attenti alle modalità, soprattutto quando ad insegnare non sono dei professori, ma utenti “qualunque” che generano contenuti su siti internet o social media. All'interno dell'ambito della conoscenza l’autore distingue quattro componenti: La conoscenza come informazione che si possiede su qualcosa o come un sapere far qualcosa. La conoscenza andrebbe divisa, come faceva Gilbert Ryle, in know that (sapere che) e know how (sapere come). L'insipienza come un sapere di non sapere, un sapere di non avere una data informazione, la quale è oggetto di ricerca. L'incertezza come non sapere se, non sapere se una data informazione è corretta o se quel che si sa è sufficiente ad un dato scopo. L'ignoranza come non sapere di non sapere qualcosa, come non sapere di non essere a conoscenza di una data informazione. L'insegnamento, secondo Floridi, deve lavorare su questi quattro punti, ma il CDO può sviluppare la conoscenza anche autonomamente a partire da corsi o tutorial online. L’insipienza è la molla che lo spinge in questo percorso, magari a partire da un framework che gli faccia avere una visione di insieme dell’ambito (in questo ti può essere utile rileggere Il mondo è cambiato, il marketing anche e/o scaricare il libro Guida per Manager nell'era Digitale. Il metodo Digital Building Blocks. ). L’incertezza è propria dell’approccio metodologico nel mondo Digital, sempre fatto di test e sviluppo di nuova conoscenza a partire dall’evidenza dei dati (Data is the New Oil ). È molto importante però il criterio di interpretazione e sapere cosa si sta cercando. I dati in sé non danno origine a conoscenza se non legati dall’esperienza e dalla reale conoscenza di persone con esperienza e visione, più facili da trovare in un manager con anni di saggezza lavorativa nel settore (consiglio la lettura del libro di Christian Madsbjerg Sensemaking: The Power of the Humanities in the Age of the Algorithm). Ma è l’ignoranza il vero nemico da combattere. Un nemico insidioso perché non si conosce e per averne coscienza bisogna avere l’aiuto di qualcuno che faccia da maestro o da mentore e se è vero che “Quando il discepolo è pronto, il maestro arriva” come recita un detto egiziano, è anche vero che saperlo riconoscere non è banale nell’affollamento odierno di “guru digitali”. Quindi?! Questo cosa c’entra con i quarant’anni del CDO del titolo?! Qui mi viene in aiuto un altro “gigante”: Stephen R. Covey con Le 7 regole per avere successo. Nel libro cita un interessante esperimento per spiegare che “la mappa non è il territorio” e che ognuno di noi è influenzato dalle proprie mappe mentali. Se guardi la figura di seguito riconosci un’immagine ambigua: Figura ambigua Donna Giovane-Anziana (da Boring, 1930) Se non la conosci a primo impatto potresti vedere: o una donna anziana con un gran naso, un collo di pelliccia, un foulard in testa con piuma oppure il profilo di una giovane donna, elegante, dai lineamenti aggraziati, vista di tre quarti da dietro, con una collana nera al collo, un cappotto di pelliccia e un copricapo bianco con tanto di piuma anche lei. Se conoscevi già la figura o se ti soffermi per qualche istante in più riesci a scorgere entrambe le donne. Si tratta infatti di una figura ambigua, che a seconda di che cosa metti a fuoco, ti porterà a vedere la donna giovane piuttosto di quella anziana e viceversa. La cosa interessante però è l’esperimento raccontato dall’autore in cui un professore dell’Harward Business School era solito dividere i suoi allievi in due gruppi dando questa istruzione:– Tra poco vi mostrerò due figure, in sequenza. Dopo averle guardate vi chiederò di confrontarvi solo sulla seconda figura che vedrete. Quindi, in contemporanea, al primo gruppo faceva passare un cartoncino con raffigurata la figura di seguito mentre al secondo un cartoncino con la figura seguente (ogni gruppo ignorava cosa si faceva vedere all’altro). Successivamente mostrava ad entrambi i gruppi la figura della donna giovane-anziana e chiedeva ai due gruppi di confrontarsi sulla figura ambigua ponendo loro qualche domanda: – L’immagine raffigura una donna, giusto? Fin qui, tutti d’accordo. Si trattava di una donna. – È giovane o anziana? – domandava. – Anziana! – rispondeva un gruppo. – Giovane! – rispondeva di rimando l’altro. Di solito cominciava una discussione, prima con toni attenuati poi più accessi. – Ma come fate a vedere una giovane, quella avrà minimo 80 anni! – dicevano alcuni. – Macché – ribattevano gli altri. – Ne avrà 20, 25. Al massimo 35, ma portati molto bene. – Ma che state dicendo? È più vecchia di mia nonna! Prima che la discussione degenerasse, interveniva e prima che passassero alle mani, bloccava la discussione, attendendo che facessero silenzio e chiedeva loro: – Cosa sta succedendo? Perché non trovate un accordo? I partecipanti di solito si zittivano e fissavano la figura finché qualcuno battendosi la fronte se ne usciva con – Ho capito, ma di donne ce ne sono due! Gli altri lo fissavano estraniati. – Che stai dicendo, sei pazzo? Ma dopo tutti riuscivano a scoprire l’arcano, ecco che ridiventavano amici come prima scambiandosi sorrisi, pacche sulle spalle, scuse e strette di mano. Questo esperimento dimostra quanto sia forte l’effetto del condizionamento sulle nostre modalità di percezione, sui nostri paradigmi. Se dieci secondi di condizionamento (mostrare la figura prima) possono avere quel tipo di impatto sul nostro modo di vedere le cose, che dire del condizionamento di una vita intera? Le influenze che subiamo durante le nostre vite – famiglia, scuola, chiesa, ambiente di lavoro, amici, colleghi, paradigmi sociali - esercitano su di noi il loro inconscio e silenzioso impatto e contribuiscono a formare i nostri schemi mentali, i nostri paradigmi, le nostre mappe. Se agli studenti fosse stato chiesto di aiutare la donna ad attraversare la strada, la metà di loro avrebbero avuto difficoltà ad immaginare la scena ed il comportamento nei confronti della donna sarebbe stato funzionale a come la vedevano. Il cambiamento avviene quando si ha un “salto di paradigma” (da Thomas Kuhn in La struttura delle rivoluzioni scientifiche) e si riesce a vedere l’altra immagine nella stessa figura. Se vogliamo condurre cambiamenti relativamente modesti nella nostra azienda possiamo focalizzarci su atteggiamenti e comportamenti (piccoli progetti con componenti digitali), ma se vogliamo operare un cambiamento importante, rivoluzionario, dobbiamo lavorare sui paradigmi fondanti, nostri e delle persone che li hanno come noi. E qui veniamo al punto: solo chi è riuscito ad effettuare questo salto di paradigma può pensare di condurre altre persone a farlo e guidare così i propri colleghi nella trasformazione culturale della Digital Transformation (Trasformazione digitale o trasformazione culturale? Il manager è l'ago della bilancia ). Necessariamente questo “illuminato” è un manager che ha una forte esperienza nel proprio settore, nella propria industry di riferimento e ne conosce a fondo sia i business model sia la “cultura lavorativa dominante” ed è poi riuscito a capire a fondo il paradigma del cambiamento epocale portato dal Digital e ad avere la visione d’insieme dei benefici che la fusione dei due contesti può portare: Disruption del settore. Inoltre i colleghi devono potersi sia fidare sia identificare nel manager in questione, per cui è molto più improbabile che un brillante nativo digitale o Digital Tailor possa avere gli stessi risultati in termini sia manageriali del processo, sia carismatici di guida rispetto ad un soggetto che abbia almeno una ventina di anni di esperienza nell’industry. Che quindi necessariamente ha più di quarant’anni… Ti piacerebbe scoprire di più sulla figura del Chief Digital Officer? Clicca qui per guardare la testimonianza di un CDO di Digital Building Blocks!
Questo video, prodotto dal Ministero e ICE, evidenzia i nostri punti di forza e vuole servire per sfatare alcuni dei principali luoghi comuni sull'Italia, cioè che il Made in Italy sia in grado di esprimere solo prodotti della moda e del design, oltre che naturalmente agroalimentari. Il video “ITALY THE EXTRAORDINARY COMMONPLACE” confuta gli stereotipi sull'Italia e la racconta dunque quale essa è, cioè un grande produttore di beni tecnologici, secondo esportatore europeo nel settore meccanica e automazione. Video emozionante, che mostra un'Italia che molti, ormai, non percepiscono. Viviamo in un nuovo rinascimento tecnologico, esponenziale. La crescita e la diffusione di internet hanno reso l’informazione, e tutto ciò che è basato sull’informazione, esponenziale: digitale, intelligenza artificiale, nanotecnologie, internet of things, etc. Innovare, cogliendo l’ispirazione di Sir Tim Berners-Lee, non significa adottare chissà quali tecnologie avveniristiche, bensì, più spesso, significa “semplicemente” saper fare una sintesi originale tra un’intuizione squisitamente manageriale e imprenditoriale sul proprio business (che cosa vuole davvero il mercato) e la corrispondente migliore combinazione possibile tra i tanti strumenti digitali già pronti per l’uso. Serve formazione, condivisione, capacità di innovare, di abbattere le barriere che spesso abbiamo costruito intorno alle nostre organizzazioni. Secondo Steve Johnson, nel suo libro Dove nascono le grandi idee, le nuove tecnologie e il web hanno la capacità di moltiplicare le nostre connessioni in modo da influire sul processo che porta alla creazione di un'idea. Le idee eccezionali non vengono in un momento di grande comprensione con un'ispirazione improvvisa. Le idee più importanti impiegano un grande tempo per evolvere, passando molto tempo dormienti. Le buone idee sono causate dalla collisione di piccole intuizioni che formano qualcosa di più grande del loro insieme. Bisogna creare un sistema, un modello, che permetta alle intuizioni di unirsi e trasformarsi in una cosa più grande della somma delle parti. Siamo distratti da internet, dai social, da una velocità di crociera insostenibile. Ma abbiamo la possibilità di accedere a informazioni, modelli, persone che ci possono fornire i pezzi mancanti per completare le idee su cui stiamo lavorando. L’opportunità favorisce la mente connessa. Questo probabilmente è il fine ultimo di Digital Building Block e della comunità che, successivamente alla pubblicazione del libro, ha dato vita all’associazione, agli eventi, al blog e al percorso che stiamo costruendo. A presto, Massimo
Trovare il cliente ideale non è come cercare un ago in un pagliaio, anzi, con l’account-based marketing è come costruire un magnete per attirare tutti gli aghi da sotto la paglia! Dopo aver determinato il mercato e la dimensione delle aziende più adatte al tuo business, come descritto nell'articolo su Come selezionare i Migliori Account per la Tua Azienda B2B, puoi raggiungere un livello superiore tramite la creazione del profilo del tuo cliente ideale. Ecco come fare: Determina il profilo del tuo cliente ideale Essere coscienti dei clienti a cui dovresti vendere aiuta immensamente nell’account-based marketing. Per trovare i clienti più adatti al tuo prodotto o servizio considera i seguenti fattori che delineano un profilo ideale: Mercato: la verticalizzazione a cui stai mirando. In questo esempio utilizziamo i “servizi finanziari”. Dimensione aziendale: considera l’ideale dimensione dell’azienda con cui lavorare: potrebbe essere una media impresa con circa 50 impiegati e meno di 10 milioni di entrate ricorrenti annuali. Dipartimento: scelgo ad esempio il marketing, poichè che le figure professionali in questo ambito possono trarre beneficio dal mio prodotto. Responsabilità: attribuita ai membri del team di marketing che hanno la task di fare display advertising su vari canali, come mobile, social media e video. Ruolo: i professionisti di marketing ricoprono diversi ruoli all’interno dell’azienda, da coordinatore a manager, da direttore fino a vice presidente o CMO. Siccome abbiamo scelto le medie imprese, i ruoli variano a seconda del numero di componenti del dipartimento di marketing. A questo punto esamina il tuo CRM per trovare i titoli dei contatti che sono già tuoi clienti, poichè conoscere i titoli dei clienti che si sono dimostrati un successo col tuo prodotto è utilissimo per definire il profilo del cliente ideale. Questo fantomatico profilo diventa il criterio di qualificazione per identificare i contatti più adatti per l’account based marketing e d’ora in poi, per semplicità, lo chiameremo Carl. In genere il contatto ideale (Carl) ricopre il ruolo di marketing technologist, vale a dire che si occupa di tutti i tool necessari allo svolgimento delle operazioni di marketing (CRM, sistemi di marketing automation e gestione dei social media). Possiamo dire anche che il suo compito è quello di scoprire e acquistare questi tool per favorire il successo del marketing nella sua azienda. Quindi se il tuo business ha intenzione di raggiungere Carl, devi conoscere bene il suo ruolo e le sue responsabilità all’interno della sua azienda, in modo da scoprire se rientra nel profilo del cliente ideale. Crea la tua customer persona Dopo aver costruito il profilo ideale, aggiungi dei livelli che definiscano meglio la persona in questione. Questi dettagli possono anche essere molto specifici (come informazioni demografiche). Per condurre l’account-based marketing devi conoscere alcuni dettagli importanti: Definisci la persona: tieni conto del profilo ideale nel mercato di riferimento, della dimensione aziendale, del dipartimento in cui lavora, delle responsabilità che ricopre e del ruolo che riveste. Carl, per esempio, è un manager delle operazioni tecnologiche del dipartimento di marketing di una media impresa che vende software di marketing B2B. Il suo ruolo è la gestione degli strumenti tecnologici di marketing (MarTech tools). Individua cosa importa al tuo personaggio: conoscendo il ruolo di Carl nel dipartimento di marketing, prova a pensare quali possano essere le difficoltà che incontra nello svolgimento del suo lavoro. Supponiamo abbia bisogno di un modo per registrare e mantenere tutti i suoi dati, di un tool che l’aiuti a identificare i target di marketing e di un modo per ottenere metriche e misurazioni per capire quali attività di marketing funzionano e quali no. Carl ha bisogno di prodotti e soluzioni che rendano il suo lavoro più facile! Capisci come il tuo prodotto possa aiutare: la soluzione per alleviare i problemi di Carl in questo caso è la combinazione tra strumenti MarTech come un CRM (per registrare e tenere insieme tutti i dati), un sistema di marketing automation per gestire le attività e una piattaforma di account-based marketing per misurare il ROI delle attività di marketing. Siccome stiamo parlando di una decisione d’acquisto in ambito B2B, saprai che Carl non è l’unica persona alla quale devi vendere, ma si confronterà con un superiore, come un VP (vice presidente) o un CMO, oppure potrebbe anche avere qualcuno che faccia riferimento direttamente a lui, come un coordinatore di marketing. Ogni persona coinvolta nella decisione d’acquisto avrà responsabilità diverse, è quindi importante creare diverse situazioni d’uso per il proprio prodotto/servizio in modo da garantire benefici a tutte queste persone che si rapportano con la tua azienda. Capisci le motivazioni della customer persona Prendendoti il tempo di capire le motivazioni dei tuoi interlocutori, potrai essere molto più efficace nelle conversazioni, infatti quando riesci a capire cosa li motiva, puoi premere di più su quegli argomenti con il tuo messaggio di marketing. Ecco alcune importanti considerazioni di cui tener conto per capire le motivazioni della tua customer persona: Obiettivi: utilizzando Carl come esempio, sappiamo che vuole essere un MarTech manager innovativo che vuole contribuire al successo del suo team di marketing tramite l’utilizzo di tool e software specifici per il marketing. Necessità: Carl ha bisogno di tecnologia che gli permetta di fare il suo lavoro più facilmente. Il tuo prodotto dovrebbe rendere il lavoro di Carl molto più facile, non più complicato, altrimenti è un prodotto inutile. Carl non ha bisogno di prodotti inutili. Problemi: il problema più grande di Carl è che non ha abbastanza tempo per fare tutto quello che vuole o quello che i superiori gli chiedono di fare. Paure: cosa tiene Carl sveglio tutta la notte? Lo stress derivante dal suo lavoro. Siccome Carl punta in alto, vuole vincere e ha paura di fallire. Quando riesci a capire cosa motiva ognuna delle tue customer persona, sei posizionato correttamente per avere successo col tuo messaggio di marketing. Crea una proposta di valore Una proposta di valore si può intendere come una frase di marketing che racchiude i motivi che spingono ad acquistare il tuo prodotto/servizio o ad entrare in business con la tua azienda. Siccome hai speso tempo per identificare le customer persona con cui vuoi entrare in business, puoi creare una proposta di valore personalizzata in base alle loro reali responsabilità. Per creare queste proposte in base al ruolo della persona, bisogna considerare le sfide o i problemi che essa incontra nel suo lavoro e le soluzioni per superarli. Ricordati che ognuno è diverso Riconoscere come ogni persona sia diversa è molto importante. I messaggi personalizzati in base alle motivazioni personali avranno molto più impatto di un messaggio apatico che dice: “dovresti comprare il mio prodotto!”. Ricordati questi punti chiave per personalizzare le tue attività di marketing: Cosa: le responsabilità e le task di cui questa persona si occupa ogni giorno. Carl è molto impegnato. Dove: Il miglior posto o canale dove entrare in contatto con Carl; forse la maggior parte del tempo lo passa in ufficio, ma potrebbe anche capitargli di andare ad una conferenza annuale. Quando: se Carl è occupato a lavorare, magari il miglior tempo per raggiungerlo è al di fuori dell’orario di lavoro. Se partecipa ad eventi, prova a cercare quando si svolgono. Perchè: entrare in contatto con Carl in base alle sue esigenze, nel tempo e modo giusto è molto più efficace piuttosto che sommergerlo di email. Come: qui risiede la premessa dell’account-based marketing. Stai usando una combinazione delle giuste tecniche di marketing per entrare in contatto con Carl? L’account-based marketing ti dà la possibilità di accelerare la sales pipeline: siccome sei concentratissimo sugli account migliori per la tua azienda, entrerai in contatto con prospect qualificati per entrare in un processo di vendita. Dal punto di vista del marketing, inoltre, ti consente di mirare i giusti contatti che rappresentano la tua customer persona (Carl). Per il tuo team vendite questo processo contribuisce a velocizzare di molto il ciclo di vendita e ad aumentare la percentuale di chiusura dei contratti.
Se stai leggendo questo articolo, probabilmente sei alla ricerca di una soluzione efficace per vendere online e ad esempio per introdurre il tuo brand o i tuoi prodotti in nuovo mercato. Come sicuramente saprai, le soluzioni offerte oggi dal web sono davvero tantissime: gli strumenti e i canali a disposizione hanno permesso una maggiore diffusione della vendita online e il cambiamento radicale del comportamento di acquisto da parte degli utenti. In questo scenario, a farla da padrone sono indubbiamente i Marketplace e, parlando dell’Italia e in generale dell’Europa, ci riferiamo soprattutto ad Amazon e eBay. Nei precedenti articoli, abbiamo approfondito le caratteristiche dei due colossi del commercio online e i pro e i contro di vendere attraverso queste piattaforme. Nonostante alcuni “contro”, e chi vende su Amazon li conosce bene, si è stimato che ad oggi più del 55% di chi effettua un acquisto online passi da Amazon. Come mai? Proviamo a fare un breve elenco: Ottimo posizionamento organico Vastità di scelta e presenza di numerose categorie merceologiche Possibilità di comparare velocemente prodotti simili Possibilità di leggere le recensioni di altri utenti Politica dei resi chiari Supporto costante Rapidità di consegna Abbonamenti (Amazon Prime) e spese di spedizione gratuite Fiducia. Non ho elencato questi vantaggi, che probabilmente conosci già, per parlare di Amazon e convincerti che sia la strategia migliore per vendere online, ma per farti una domanda. Se stai pensando di sviluppare un tuo sito e-commerce, sei sicuro di poter competere con questi fattori? Eccoci arrivati al punto. I tuoi principali competitor diretti e indiretti (rivenditori multi brand, piattafome e-commerce secondarie e i Marketplace) probabilmente sono già posizionati sul mercato, hanno sviluppato e affinato nel tempo le loro strategie di vendita online, conquistato e fidelizzato la loro fetta di consumatori. In poche parole, se inizi oggi, hai sicuramente tanto lavoro da fare per emergere nel mercato. Perché allora non sfruttare direttamente questi canali (già attivi) per vendere online i tuoi prodotti o anche solo per presentarli al grande pubblico, invece di partire da zero con un proprio e-commerce? Ecco cos’è l’e-commerce partner program e come puoi sfruttarlo davvero per vendere online L’e-commerce partner program si basa su un concetto molto semplice, che chi già vende sia offline che online, ritroverà come elemento comune nelle proprie strategie: costruire e sfruttare una rete di vendita online fatta di reseller che possano, attraverso i loro canali, rivendere prodotti di altri Brand. Gli obiettivi di chi persegue questo progetto possono essere diversi: Aumentare la conoscenza del Brand o dei prodotti Introdursi in nuovo mercato Ridurre i costi di posizionamento e gestione di una propria piattaforma e-commerce Testare e integrare i processi della rete di vendita offline con quella online Imparare dagli altri, per strutturarsi internamente al meglio. Guarda il nostro webinar e scopri di più su come l'e-commerce partner program può aiutarti ad ampliare il tuo business online, in Italia e all'estero! Clicca qui per registrarti ed accedere gratuitamente al webinar. Quali sono le fasi per lo sviluppo dell’e-commerce partner program? Trovare i reseller giusti e sviluppare la propria rete di vendita online richiede, però, un importante lavoro sia strategico che operativo e, soprattutto delle fasi di analisi che accompagneranno l’intero progetto: dalle fasi preliminari al monitoraggio costante dell’attività svolta dai reseller. Come prima cosa, occorrerà effettuare le opportune analisi per valutare il mercato, le attività svolte dai competitor e la loro rete di vendita online. Successivamente e grazie ai dati raccolti, sarà opportuno definire e predisporre gli strumenti necessari per avviare il progetto e quindi, ad esempio, costruire un proprio catalogo digitale e definire i principali canali di vendita dai quale partire (Amazon, e-Bay, Marketplace secondari o di nicchia, e-commerce di rivenditori terzi). Parallelamente si procede con la vera e propria attività di Vendor Scouting, che in seguito all’analisi del mercato e dei competitor, sarà opportuno qualificare per trovare i migliori reseller con i quali stringere delle vere e proprie partnership di vendita. Sono tanti poi gli aspetti da valutare e definire per avviare davvero l’e-commerce partner program, ad esempio: prezzi, scontistiche, percentuali di commissioni (da riconoscere ad Amazon o al singolo reseller) gestione della logistica (completo controllo da parte del reseller o di Amazon o dropshipping) gestione del cliente finale e customer service ulteriori attività a supporto della rete. Infine, il monitoraggio costante dell’intera attività svolta dai reseller e dai principali competitor. In un recente articolo, ad esempio, ti ho parlato di come è possibile monitorare i prezzi dei competitor o dei reseller sui Marketplace o sui propri siti e-commerce. Svolgere quest’attività significa avere il pieno controllo della propria rete di vendita online, conoscere su quali canali stanno vendendo i tuoi prodotti o a quello prezzo. Oppure, semplicemente, monitorare l’attività svolta dai competitor e prendere le giuste decisioni per il proprio brand relativamente ai prezzi, ai mercati e ai prodotti venduti. Tuttavia, i tool sono solo tool e i dati sono solo dati se non si sanno sfruttare e integrare strategicamente nelle proprie attività di business. Spero di averti fornito una chiara presentazione delle opportunità che hai oggi per vendere online nel modo giusto, soprattutto se non puoi o non vuoi “disturbare” la tua rete di vendita offline o se non sei ancora pronto per vendere direttamente. Se l'articolo ti è piaciuto e sei interessato ad approfondire questo argomento, clicca qui sotto:
Il riferimento ad una lista ideale di account è il fondamento dell’Account-based Marketing, poichè si parte dalla conoscenza della tua audience, per conoscere le giuste aziende e le persone che all’interno di esse sono le più adatte per il tuo prodotto o servizio. Come già sottolineato nell’articolo sul Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B Marketing, attraverso il lead-based marketing si mandano email a 10.000 persone senza però identificare quelli con la probabilità più alta di successo. Identificare i migliori prospect invece è la chiave per avere risultati reali e in questo articolo parleremo proprio di come identificare i migliori business con cui entrare in contatto. Concentrati sul giusto mercato Come puoi determinare quali aziende o mercati siano i più adatti per adottare il tuo prodotto o servizio? Che tu abbia una manciata di clienti oppure un centinaio, hai sicuramente un punto da cui partire, analizzando i loro dati per scoprire quali siano i clienti più adatti. Per farlo, segui questi criteri: Quanto il cliente paga la tua azienda: le entrate ricorrenti annuali (ARR) o mensili (MRR) sono un buon punto d’inizio. Anche qua è ricorrente la regola che afferma che l’80% delle entrate deriva dal 20% dei clienti, e proprio l’ammontare di queste entrate costituisce il punto d’inizio per gli affari che speri di chiudere in futuro. Tempo richiesto per servire i clienti: se un cliente rappresenta una piccola parte delle tue entrate e ha bisogno di molta attenzione, probabilmente non è adatto per il tuo business. Tenere continuamente per mano un cliente impedisce al tuo team di servire gli altri, soprattutto se poi le entrate provenienti da quell’account sono basse. Risolvere il problema del tuo cliente: il motivo primario che sta alla base dell’acquisto del tuo prodotto o servizio da parte di un’azienda è il fatto che rappresenta una soluzione a un loro problema. Capire quel bisogno originale aiuta a trovare altri mercati o aziende che possono beneficiare della tua “soluzione”. Dopo aver analizzato questi punti assieme al database dei tuoi clienti puoi cominciare a identificare un tipo preciso di cliente che sia adatto ad entrare in business con la tua azienda. Da lì si può anche identificare il mercato di riferimento. Specifica il mercato Identificare il mercato giusto è una task che si differenzia per ogni team di marketing B2B. La parte più importante di questo processo è capire quali industrie o categorie beneficeranno di più dalla tua soluzione di business. Ci sono due criteri usati dai marketer B2B per specificare quale mercato selezionare: Verticalizzare: si riferisce al mercato in generale. Un mercato verticale è il tipo di industria da cui è rappresentato, come “moda, gaming, immobiliare…”. Segmentare: all’interno di queste verticalizzazioni sono presenti dei segmenti, definiti generalmente dalla grandezza delle aziende. Identificare l’industria target è importantissimo perché il tuo messaggio deve essere fatto su misura, quindi hai bisogno di un linguaggio diverso a seconda che tu interagisca con un’azienda di gaming o con una di servizi finanziari. Determina la dimensione delle aziende Dopo aver determinato l’industria target, bisogna capire la grandezza delle aziende presenti in queste verticalizzazioni che sono più adatte al tuo prodotto o servizio. Due numeri in particolare descrivono la grandezza di un’azienda: Revenue: le entrate ricorrenti annuali (ARR). Numero di dipendenti: più dipendenti ci sono, più grande è l’azienda. Il processo di vendita dipende dalla dimensione dell’azienda con cui si ha a che fare. Secondo il decreto del Ministro dello Sviluppo economico del 18 aprile 2005, si suddividono in micro, piccole, medie e grandi imprese: Le microimprese hanno meno di 10 occupati e realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro. Le piccole imprese hanno meno di 50 occupati e realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. Il numero di stakeholders nelle micro e piccole imprese è limitato, dato il basso numero di dipendenti. Le medie imprese hanno meno di 250 occupati e realizzano un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. Queste aziende differiscono molto in termini di struttura; la gerarchia dipende dal numero di dipendenti. In questo caso il ciclo di vendita si allunga perchè ci sono più stakeholders coinvolti. Le grandi imprese sono quelle che superano tali limiti. Siccome queste aziende sono molto grandi, il contratto sarà più importante e il ciclo di vendita si allungherà ulteriormente e bisognerà sviluppare una strategia per coinvolgere tutti gli stakeholders coinvolti nella decisione d’acquisto. Segmentare per industria e dimensione aziendale Dopo aver identificato l’industria (verticalizzazione) e la dimensione delle aziende reali, è ora di segmentare. Questo processo è essenziale per l’account-based marketing, dato che il tuo prodotto o servizio potrebbe risultare inadatto per certe imprese: ad esempio una piccola o media impresa può richiedere più assistenza per meno revenue, perchè le mancano le risorse per implementare efficacemente il tuo prodotto. Può anche essere vero però che essa sia più veloce a comprare, poichè i dipendenti generalmente godono di più autonomia. Il prezzo rappresenta un’altra parte fondamentale nel determinare le aziende a cui dovresti vendere: Se la tua struttura di prezzo è più transazionale (ordini online piuttosto che lunghi contratti), saresti più adatto per le piccole o medie imprese. Nel caso di un processo di vendita che conta su un team di venditori e appuntamenti, sei adatto generalmente alle medie imprese. Se invece il tuo prodotto è costoso e richiede un lungo contratto, non perdere tempo con le piccole imprese, bisogna contattare quelle più grandi. Devi avere consapevolezza del valore della tua efficienza operativa, che puoi massimizzare nel momento in cui constati che l’azienda target può pagare per il tuo prodotto. Per le piccole o medie imprese, il ciclo di vendita può durare anche meno di una settimana, ma per le grandi aziende sarà molto più lungo e quindi anche molto più di valore. Infine, ricorda che il prezzo del tuo prodotto determina quanto una vendita possa essere imponente, e quindi condiziona le tecniche di vendita, che devono essere le più adatte. Le piccole o medie imprese infatti richiederanno tecniche simili, collegate anche ai tipi diversi di persone con cui avrai a che fare durante la decisione d’acquisto.
Un passo da non sottovalutare, nel caso di implementazione dell'account-based marketing e non, è quello dell'allineamento del team marketing e vendite. Si tratta di un processo complicato che non va preso alla leggera, e, seguendo questo articolo, troverai sicuramente ottimi spunti per attuare questa trasformazione con successo. Se non hai ancora sentito parlare di Account-based Marketing, ti consiglio prima di leggere il mio articolo di introduzione sul Perchè l'Account-based Marketing è il futuro del B2B Marketing. Se sei già pratico dell'argomento troverai sicuramente più semplice destreggiarti tra gli argomenti successivi. Quindi, senza ulteriori indugi, ecco come creare uno Smarketing team! Crea il tuo miglior team Per eseguire correttamente l’account-based marketing, i team del marketing e delle vendite devono essere allineati. Infatti nelle aziende B2B moderne non si assiste più allo scontro vendite/marketing, ma si avverte la necessità di un singolo team: sales + marketing = smarketing. Questo team deve avere degli obiettivi comuni da tenere bene a mente: bersagliare i tuoi clienti ideali: i tuoi account; comunicare con i contatti appartenenti ai tuoi account nei canali dove sono più attivi; spostare velocemente questi account nel buying process attraverso contenuti e attività. Per avere successo col tuo smarketing team devi però mettere in campo i giocatori giusti. La buona notizia è che non devi per forza assumere un gruppo di nuovi impiegati, ma puoi riqualificare il tuo personale. Questi sono i ruoli chiave in creare il tuo miglior smarketing team: Business/Sales development representative (BER/SDR): questa figura è importantissima nel successo dell’ABM, poichè il team di sviluppo deve essere allineato col marketing nei processi di outbound e inbound. Sales database administrator: un guru dei dati che si occupa di aggiornare i contatti e le informazioni sugli account nel tuo CRM. Marketing operations/technology manager: un esperto che gestisca i tuoi sistemi automatici di marketing, allineando i contatti con le attività di marketing basandosi sulla fase in cui si trovano nella purchase decision. Content manager: questa persona lavora con il marketing, le vendite e il customer success per fornire garanzie, attività e media digitali in ogni fase dell’account’s journey. Account executive: il venditore che eventualmente chiuderà l’affare. Sales leader: il manager che gestisce tutto il reparto vendite. Customer success manager: esperto dei clienti, che aiuterà a trasformare l’account in un cliente sostenitore (se vuoi saperne di più scoprilo in Come trasformare i tuoi clienti in fan tramite l'Account-based Marketing). Executive stakeholder(s): il leader della tua azienda. Dipende dalla grandezza dell’azienda stessa e può essere il CMO (Chief Marketing Officer), VP of sales (Vice President), oppure il CEO (Chief Executive Officer). Uno di loro o tutti possono partecipare allo smarketing. Rinnovare il giuramento tra marketing e vendite Per anni marketing e vendite hanno faticato a collaborare. Le responsabilità appartengono ad entrambe le parti e causano ovunque gli stessi problemi: Il marketing crea campagne e contenuti per attrarre molte lead e si lamenta quando il team vendite non chiude affari. Il team vendite si lamenta a sua volta che non chiude affari perché il marketing non fornisce le giuste lead. Questo disallineamento avviene quando gli obiettivi sono differenti. Ma poichè entrambe le parti contribuiscono alla stessa azienda, con l’account-based marketing lo smarketing team avrà finalmente come obiettivo quello di generare revenue. Connettersi al marketing Il marketing è finalizzato all’accelerazione delle vendite e le vendite sono strettamente collegate al marketing. Ogni account e le attività di marketing associate ad esso sono concentrati sul ROI: per superare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi, i tuoi team di marketing e vendite dovrebbero mettere in pratica i seguenti consigli: parlarsi: mantenere una comunicazione aperta e positiva, utilizzare email, telefonate e meeting settimanali. Una migliore comunicazione è la chiave per l’efficienza aziendale; condividere gli obiettivi: creare un piano strategico finalizzato ad aumentare le revenue per la tua azienda; sfruttare le potenzialità individuali: conoscere e orientare le potenzialità di ogni individuo e combinarle per formare un team è il miglior modo per creare un ottimo smarketing team! Parlare al team vendite La seguente formula aiuterà la tua azienda ad implementare con successo l’account-based marketing. E’ raccomandato seguire questo processo per la creazione del primo piano strategico in modo da raggiungere un ideale gruppo di consumatori: Riunisci i team di marketing e delle vendite nello stesso posto: includi i leader dei due team e i dirigenti interessati per una sessione di “smarketing brainstorming”. Redigi un elenco di aziende che rappresentano delle opportunità per il tuo team delle vendite: ci dovrebbero essere almeno 10 o 20 account da chiudere per i tuoi salesmen. Controlla le attività di ogni account: osserva le informazioni del tuo CRM e marketing automation system riguardo al record di interazione con i contatti negli account target. Questo aiuta ad identificare le attività e i contenuti che riscuotono più successo. Rivedi le campagne di marketing: osserva cosa ha funzionato o meno nelle tue attività di marketing, come le email o l’online advertising, in modo da rafforzare la tua presenza verso i tuoi contatti. Sviluppa un piano di marketing per il mese successivo: crea una lista di attività, contenuti e pubblicità che il tuo marketing team svilupperà nelle prossime quattro settimane. Fai in modo di fornire ai tuoi contatti attività o contenuti diversi ogni settimana: questo aiuterà a determinare se è stata creata un’accelerazione nel muovere un account più velocemente verso una decisione d’acquisto. Mentre il marketing si occupa di queste campagne, il reparto vendite chiama gli account per controllare la situazione. Partendo da qui, potrai essere sicuro di avere una base per condurre l’account-based marketing. Tutto comincia da un processo manuale: si analizza strategicamente ogni contatto dell’account in questione per scoprire quali tipi di attività hanno più successo nel coinvolgere e creare accelerazione per il reparto vendite. Poi quando il tuo programma ABM cresce, puoi sfruttare la tecnologia giusta per effettuarlo in scala. Definire aspettative realistiche Purtroppo i soldi non piovono dal cielo sul tuo smarketing team, quindi bisogna definire delle aspettative realistiche, che saranno poi trasmesse ai manager, al vice presidente o al dirigenti. A tal fine ti consiglio di applicare questa guida SMART per definire gli obiettivi dell’account-based marketing: Specific (Specifici): a cosa porterà l’obiettivo definito? Nell’account-based marketing l’obiettivo è di allineare il marketing e le vendite in un unico smarketing team che: interagisca con i clienti più adatti per generare revenue; trasformi i tuoi clienti attuali in clienti sostenitori. Measurable (Misurabili): quali metriche determinano se l’obiettivo è stato raggiunto? Nell’ABM la metrica principale riguarda le revenue. Quando il tuo smarketing team lavora per accelerare gli account verso l’acquisto e trasformarli in revenue, la prova arriva sotto forma di denaro. Achievable (Realizzabili): il tuo smarketing team è provvisto delle risorse necessarie, degli strumenti e del talento per raggiungere l’obiettivo? Assegna dei ruoli a ogni membro dei tuoi team di marketing e vendite, ad esempio: creazione di contenuti; lancio di campagne di advertising per coprire le vendite; invio di email; interazioni sui social media. Result (Risultato): qual è il beneficio primario di raggiungere questo obiettivo? La risposta è sempre la stessa: generare revenue. Timely (Tempestivi): quanto tempo ci vorrà per raggiungere l’obiettivo? La velocità del tuo account-based marketing può essere influenzata dalla dimensione dell’azienda. Per esempio, una piccola impresa che non ha un contratto da comprare vedrà i risultati molto più in fretta di un’azienda che è in business con aziende quotate. Impostare questi obiettivi SMART ti permetterà di identificare potenziali problemi prima ancora di cominciare la tua prima campagna ABM col tuo smarketing team, partendo innanzitutto dall’elencare le pietre miliari raggiunte, come ad esempio: Riduzione della spesa Aumento delle impressioni Espansione degli account Aumento nelle interazioni coi contatti La creazione di uno smarketing team porta sicuramente innumerevoli vantaggi a un'azienda. Se sei interessato all'argomento e vorresti approfondire, ci rivedremo sicuramente a parlare di account-based marketing nei prossimi articoli!
Grazie alla tecnologia di cui disponiamo oggi è semplicissimo raggiungere migliaia di lead in poco tempo e in modo personalizzato. L’account-based marketing diventa quindi un argomento da non prendere alla leggera, visti i risultati che riesce a portare, specialmente nelle aziende B2B. Se ancora non conosci l’account-based marketing puoi partire dal mio articolo sul Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B Marketing, sennò continua pure a leggere per scoprire i 10 motivi a favore della sua implementazione nella tua azienda! La matematica non è un’opinione Per raggiungere i risultati desiderati bisogna partire da dati certi e pianificare il budget secondo le entrate potenziali, quindi, prima di implementare l’account-based marketing, osserva i dati sugli account conclusi recentemente dal CRM e considera quali attività hanno svolto i contatti di questo account durante la buyer’s journey. Poi controlla la quantità di risorse che il marketing team ha investito in queste attività, in modo da verificare se la spesa è giustificata. Per esempio: se hai impiegato risorse per ospitare webinar , quanti affari chiusi hanno partecipato? Il marketing deve allineare i suoi sforzi agli account, ai venditori e alle azioni che sono più probabili ad aumentare la crescita, poi deve eseguire la strategia in modo da rispettare ed interagire con gli account secondo i loro bisogni, preferenze e tempistiche. Comincia con la matematica, definisci e quantifica da dove arriva la crescita! Quando lo sai, sei sulla strada giusta per condurre l’ABM. L’importanza della strategia Una squadra di calcio non entra in campo senza un piano per riuscire a segnare. Allo stesso modo, un marketing team non dovrebbe sprecare risorse in attività che non aiutano le vendite a riportare revenue. Come già detto, se “la matematica non è un’opinione” sai dove risiede il potenziale di crescita: avrai identificato le attività che hanno aiutato a chiudere gli affari nella tua “customer base” esistente. Tu dunque conosci le tattiche e le attività di marketing che ti aiutano a chiudere gli affari. Se sai sviluppare e organizzare queste tattiche in una strategia, allora sei sulla buona strada per interagire e mirare i giusti account e portare più revenue nella tua azienda. Concentrati sulla produttività del reparto vendite Per rendere il tuo team vendite più produttivo, i tuoi venditori devono concentrarsi su un singolo obiettivo: concludere affari per generare revenue. Il marketing deve fornire supporto per abilitare le vendite. Quello che deve fare il marketing team è aiutare i venditori ad ottimizzare i tempi su cose importanti, davanti ai clienti, in modo da chiudere affari ed instaurare relazioni. Sfrutta il tuo arsenale tecnologico Quando hai deciso quale tool utilizzare durante il ciclo d’acquisto, secondo il marketer B2B moderno dovresti anche considerare il ciclo di vita del cliente. CRM significa Customer Relationship Management per questo motivo: contiene informazioni sui tuoi prospect (profili) e sui clienti che stanno attualmente pagando la tua azienda. Una delle fasi più importanti dell’account-based marketing funnel è definire dove si creano customer advocates (clienti sostenitori o portavoce della tua azienda): perchè ciò avvenga, non devi mai smettere di rafforzare il legame con i tuoi clienti nella stessa maniera in cui lo rafforzi attivamente con i tuoi prospect (futuri clienti). Puoi anche sfruttare la marketing automation per inviare ai prospect email finalizzate a rafforzare il rapporto coi clienti. Per esempio, se stai promuovendo un nuovo case study e l’hai inviato ai tuoi prospect, considera di inviarlo anche ai tuoi clienti. Se utilizzi una tecnologia di display advertising per circondare i tuoi migliori prospect di messaggi sul perché dovrebbero acquistare il tuo prodotto/servizio, allora dovresti farlo anche per i tuoi clienti. Pensa ai MarTech tools che usi per relazionarti con i prospect e identifica come puoi rafforzare ancora di più la relazione con i tuoi clienti (ecco una guida su come utilizzare le Migliori Tecnologie per l'Account-based Marketing nella Tua azienda B2B). Prioritizza gli investimenti nella tecnologia Secondo un sondaggio recente di SiriusDecisions, il 61% delle aziende B2B afferma di stare pianificando un investimento in tecnologia per aiutarsi con l’account-based marketing. MarTech è un’ottima risorsa per eseguire campagne di digital marketing, ma bisogna definire le metriche per misurarne il successo. Ci sono molte aziende che implementano una buona tecnologia, ma non vedono alcun risultato. Per sbloccare la situazione devi chiederti: Qual è il mio obiettivo? Cosa speravo di guadagnare dall’implementazione di questa nuova tecnologia? Cosa pensavo funzionasse? Ricordati che è importante capire il motivo percui stai acquistando una nuova tecnologia e fare in modo che i tuoi marketer sappiano utilizzarla. Se la tua azienda conclude investimenti in nuove tecnologie di marketing, come piattaforme di account-based marketing che ti permettono di mirare i tuoi account tramite il display advertising, diventa quindi essenziale formare i componenti del tuo team su come utilizzare efficacemente la nuova tecnologia. Molti team di B2B marketing comprendono un “tecnico di marketing” il cui lavoro è gestire questo tipo di tool. Se non hai nessun addetto MarTech, coglila come una buona opportunità di crescita per te o un altro membro del team per sviluppare nuove abilità. Sviluppa nuove competenze Circa il 47% delle aziende che svolgono account-based marketing affermano che i propri marketers non hanno le skill necessarie per avere successo (secondo SiriusDecisions). Questo non va bene: fai in modo che al contrario i tuoi marketer imparino cosa fa la differenza e sappiano metterlo in pratica. Hai bisogno di due piani per aiutarli a sviluppare queste nuove competenze: un piano per comunicare la tua strategia ABM all’upper management; un piano di formazione per educare te stesso o i membri del tuo team. Per realizzare con successo l’account-based marketing, devi focalizzare la formazione verso queste competenze: identificare le lead migliori per il tuo business dal tuo CRM; creare dei contatti e profili per queste lead e trasformarli in account; entrare in relazione attraverso il marketing di contenuti, eventi sui social media, email e advertising; misurare il successo di queste attività. Fai leva sulla customer experience La customer experience costituisce la leva più importante nelle decisioni B2B: quindi bisogna organizzare sulla base di questa le attività di marketing. Nel sondaggio di SiriusDecisions è presente la domanda: “Qual è stato il driver di decisione più importante per selezionare il venditore? Ecco alcune statistiche derivanti dal questionario: la customer experience è generalmente il 71% dei motivi per cui acquistano da una determinata azienda; solo il 18% degli intervistati afferma che la decisione d’acquisto si basa sulla promessa del prodotto di incontrare i loro bisogni; solo il 9% degli intervistati sostiene che la decisione si basa sul prezzo. Per scoprire come approcciare i clienti nel mondo tecnologico di oggi, puoi seguire qualche consiglio su come connetterti con i tuoi clienti sui Social Media. Tratta i clienti diversamente I tuoi clienti sono i tuoi migliori marketer. Se a loro piace lavorare con la tua azienda, allora sicuramente parleranno bene di te tramite passaparola. Dovresti pianificare le attività di marketing per i tuoi clienti nello stesso modo in cui pianifichi le attività per i tuoi prospect, ma con contenuti differenti, in modo che i tuoi clienti continuino a trovare vantaggioso lavorare con la tua azienda (creazione valore). I compratori cercano qualcosa da comprare, mentre i clienti l’hanno già fatto. Loro vogliono valore. La buyer’s journey e il customer lifecycle sono due cose diverse: pensa come se la buyer’s journey fosse un episodio, che comincia e si conclude, mentre il customer lifecycle una soap opera che non finisce mai. Allo stesso modo, aiutare i compratori B2B ad arrivare a una decisione è diverso dall’aiutare un cliente a trarre valore dalla sua relazione con la tua azienda. Questo rende l'account-based marketing particolarmente importante, perché le attività di marketing si muovono continuamente verso account di clienti o compratori (per approfondire l’argomento, scopri come trasformare i tuoi clienti in fan tramite l'Account-based Marketing). Sviluppa delle relazioni ABM Con l’account-based marketing ci sono un buying cycle e un customer lifecycle che accadono nello stesso momento, con persone diverse, in posti diversi, per cui ci sono due diversi insiemi di obiettivi: obiettivi di opportunità: cos’altro posso vendere? obiettivi di relazione: come posso fare in modo che quell’azienda rimanga mia cliente? Se il tuo account-based marketing si concentra solo sulle opportunità in cima al funnel, ti stai perdendo qualcosa. Serve invece una visuale olistica dei tuoi clienti, dei tuoi prospect e di quello di cui hanno bisogno da te. Misura qualcosa di più delle lead Non puoi svolgere l’account-based marketing se tutto quello che misuri sono le lead. Non significa che non stai apportando valore, ma che esso deve essere misurato in modo differente. Se il marketing viene messo in pratica per concentrarsi sui clienti dopo la vendita, e non per farli comprare di nuovo, non stai generando nuove lead. La strategia giusta consiste proprio nel misurare i progressi degli account su cui stai lavorando (come spiegato più in dettaglio nell’articolo su come convincere la tua azienda B2B ad avere bisogno dell'Account-Based Marketing. Questa si tratta di un’opportunità per sfruttare la tecnologia e portare più risultati alla tua azienda, e, se sei interessato ad approfondire alcuni argomenti, i miei articoli ti aiuteranno a implementare quello di cui hai bisogno. Ci rivediamo in un prossimo articolo!
L’account-based marketing è efficiente perchè rappresenta l’intersezione tra marketing e tecnologia. Sfruttare la tecnologia moderna per aiutare la tua azienda a generare awareness per i propri prodotti e servizi non è mai stato così semplice. Se hai perso la mia introduzione all’ABM, scopri prima il Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B marketing, altrimenti continua pure a scoprire come applicare la tecnologia alle attività di marketing della tua azienda B2B. Determina di quali elementi MarTech hai bisogno Con il termine MarTech (Marketing Technology) si intendono tutte quelle “applicazioni” che ti aiutano a svolgere le moderne attività di marketing. Poichè l’obiettivo dell’ABM è generare revenue dai migliori clienti della tua azienda, l’utilizzo della tecnologia ti permette di eseguire queste attività in scala, così da raggiungere centinaia di migliaia di contatti a livello personalizzato. Detto questo, bisogna sottolineare che ogni azienda ha le sue esigenze, quindi ha bisogno di software specifici rispetto a un’altra. La tecnologia e gli strumenti che decidi di adottare dipendono dai bisogni che hai e dai problemi che intendi risolvere, quindi di seguito una lista di quelli che puoi affrontare con il MarTech: Creare awareness: le aziende devono saper riconoscere il tuo brand e logo, se non ti conoscono, non possono comprare da te. Il MarTech ti da la possibilità di raggiungere migliaia di persone senza sforzi manuali. Sviluppare contenuti interessanti: utilizzare un software MarTech per creare immagini creative e contenuti di qualità può promuovere la leadership di pensiero nella tua categoria di prodotto/servizio. Generare domanda: con il MarTech puoi estendere il tuo messaggio per connetterti direttamente con i profili che cercano il tuo prodotto/servizio. Tracciare i risultati: un database centrale mostra i risultati delle attività svolte. Gestire le opportunità di guadagno: queste attività aiuteranno a concludere affari per la tua azienda. Informazioni sulle metriche di successo: puoi vedere quali attività portano più risultati, in modo da adattare la tua strategia. Valuta le tue risorse E’ importante essere consapevoli delle risorse di cui si dispone, tra le quali evidenziamo: Persone: la tecnologia permette a qualsiasi marketer di diventare un esercito composto da una sola persona. Se sei il manager di un team di marketing e disponi di impiegati specializzati in vari ruoli, allora sei ancor meglio equipaggiato per eseguire l’account-based marketing. Processi: sicuramente avrai già dei processi per il marketing e le vendite, inoltre dovresti avere un metodo inbound per “catturare” le lead sul tuo sito, tracciare i profili che hai conosciuto ad eventi e seguirne i contatti. Tecnologia: i tuoi processi possono essere adattati con il MarTech per eseguire l’ABM in scala. Formando i tuoi impiegati ad utilizzare questi nuovi strumenti, puoi creare un marketing team efficiente e altamente qualificato. Crea il tuo arsenale MarTech La quasi totalità dei software e delle applicazioni MarTech sono utilizzati sul web, implicando che i tuoi marketer e venditori possono accedervi in qualsiasi luogo e momento. L’ABM risulterà essere inutile se condotto come processo manuale, risultando in uno spreco di tempo e risorse, infatti bisogna assolutamente implementare alcuni strumenti come il CRM e il marketing automation system, che fanno parte di alcuni pezzi del puzzle essenziali da aggiungere al tuo arsenale MarTech. Oltre a quelli eccone alcuni con una breve spiegazione: Customer Relationship Management (CRM) system: la tua azienda ha bisogno di un posto centralizzato dove mettere e gestire tutte le informazioni dei contatti dei clienti (include sia i clienti che i profili). Il CRM è il miglior posto dove inserire le informazioni, deve essere considerato come una banca dati centrale, quindi sfruttalo invece di utilizzare scomodi fogli Excel. Marketing Automation: questo termine si riferisce all’utilizzo di una singola piattaforma per tracciare il comportamento dei contatti nel tuo CRM. Una piattaforma di marketing automation ti fornisce gli strumenti per creare attività e monitorare il comportamento dei contatti sottoposti ad esse. Ogni qualvolta un contatto viene aggiunto al CRM, i dati vengono inseriti dall’API (Application Programming Interface). Esempi di sistemi di marketing automation sono: Marketo, HubSpot, Eloqua, Salesfusion e Pardot. Utilizzare uno di questi strumenti ti permette di identificare i clienti, creare liste ed inviare contenuti. Inoltre se vuoi saperne di più puoi dare un’occhiata al mio articolo sui 6 Migliori Digital Marketing Tools per far crescere il tuo Business Online. Content Management System (CMS): il CMS è la piattaforma dove risiede il sito web della tua azienda. Il CMS più popolare al momento è WordPress grazie alla sua semplicità. Tutte le pagine web del tuo sito sono create e caricate tramite il CMS, che fornisce anche una piattaforma dove inserire contenuti per creare un blog. Un CMS custom è molto più costoso di una piattaforma WordPress, se proprio vuoi qualcosa di personalizzato devi essere preparato a spendere migliaia di euro. Social Media: i professionisti di marketing e vendite moderni devono essere presenti sui social media. Si distinguono due social principali sui quali interagire: Twitter può essere usato per trovare individui, aziende o trend utilizzando gli hashtags. LinkedIn è più professionale e viene usato per la ricerca di individui e aziende. Facebook è ottimo per la pubblicità, ma è meglio utilizzare Twitter o LinkedIn per entrare in contatto con gli account prescelti (se vuoi approfondire l’argomento, leggi come connetterti con i tuoi clienti sui Social Media. Account-based Marketing (ABM): bisogna cercare di raggiungere gli account più compatibili e i contatti al loro interno, per poi monitorarne il comportamento. Una piattaforma ABM ti permette di fare ciò, insieme al controllo della pubblicità e dei messaggi che invii. Sono incluse anche capacità analitiche per vedere quanto successo hanno le tue campagne.
L’ultima fase dell’account-based marketing funnel, la fase di advocate, è la più rilevante. Essendo un marketer, conoscerai sicuramente come formulare un messaggio per creare awareness per il tuo prodotto o servizio, e comprenderai l’importanza di coltivare i tuoi prospect con contenuti di qualità per aiutarli ad avanzare nella sales pipeline. L’account-based marketing ti orienta proprio verso la prassi di coltivare i prospect per trasformarli in fan per spingerli a rinnovare il loro business con la tua azienda. Se non hai ancora sentito parlare di account-based marketing o sei interessato alla mia introduzione, scopri Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B marketing. Avrai probabilmente sentito parlare della regola ormai assodata per cui l’80% delle revenue proviene dal 20% dei clienti. Questo è vero per il B2B marketing e vendite. Dopo che la tipica buyer’s journey finisce con la conclusione di un affare, comincia la customer’s journey. Il tuo team di marketing e team vendite hanno lavorato insieme per concludere quell’affare, ora devono interagire col dipartimento dedicato al customer success (servizio clienti) per trasformare questi clienti in sostenitori del tuo business. Riportiamo di seguito le fasi della customer’s journey, le attività di marketing necessarie al supporto dei clienti e le metriche di successo associate: 1. Adozione: i tuoi account sono ufficialmente dei clienti, ed è tempo per loro di implementare il tuo prodotto/servizio. Questo è il momento in cui entra in gioco il tuo team di “customer success”, chiamato così dalla maggior parte delle aziende B2B perchè è tutto mirato al successo dell’adozione del tuo prodotto/servizio da parte dei clienti. Di seguito alcuni esempi di attività per assicurare un’adozione positiva: webinar sui prodotti; implementazione di guide o checklist; video che spiegano come fare; sessioni di training nella propria sede aziendale. Le metriche di successo in questa fase sono l’utilizzo e la ritenzione (o trattenimento) La fase dell’adozione è un momento importantissimo della customer’s journey, poichè se i tuoi clienti non possono adottare la tua tecnologia o capirne i benefici, è probabile che escano dall’affare. 2. Upsell e Cross-sell: molte persone confondono i due termini, ecco la differenza: Un cross-sell si realizza quando vendi lo stesso prodotto a un’altra business unit appartenente all’account che potrebbe essere di beneficio all’azienda (importante da far notare se stai vendendo a grandi account); Un upsell invece si concretizza quando vendi al tuo cliente una versione successiva, ma migliorata, dello stesso prodotto; per esempio una licenza “PRO” che consente accessi illimitati al posto di una licenza “base” che consente accessi limitati. Un cross-sell fornisce un qualcosa di nuovo che il cliente non aveva prima, mentre un upsell concede benefici addizionali dello stesso prodotto/servizio che stanno già utilizzando. Con l’account-based marketing stai continuamente trattando coi tuoi clienti per nuove feature o benefici del tuo prodotto. Queste attività comprendono: comunicati stampa che annunciano nuove feature del tuo prodotto; offerte speciali; infografiche illustrative delle feature del tuo prodotto. La metrica di successo nella fase di upsell e cross-sell riguarda le nuove revenue provenienti da account esistenti. Rileverai una crescita del giro d’affari nei tuoi account e un aumento nell’interazione con essi, che può essere monitorato attraverso la quantità di comunicazioni che i tuoi account hanno con il customer success. 3. Atterraggio ed espansione: l’idea che sta dietro all’account-based marketing è quella di bersagliare tutti i contatti presenti in un account, per poi interagire sui loro canali con messaggi di marketing personalizzati. In questa fase il marketing si concentra sulle nuove opportunità che permettono di entrare in contatto con nuovi contatti nell’account. Dopo aver concluso l’affare ed essere passato attraverso il processo di upselling e cross-selling col miglior contatto dell’account, stai cominciando ad imparare di più sui loro bisogni aziendali. Le seguenti attività di marketing sono necessarie per espandersi all’interno di un account esistente: case study e testimonial di altri clienti; dettagliati casi di utilizzo, basati sull’industria o sulle modalità differenti di utilizzo del tuo prodotto in ogni dipartimento; dimostrazione della value proposition in ogni interazione; proseguire con le consegne al tuo primo contatto nell’account. La metrica di successo in questa fase è la stessa della fase precedente: aumentare le revenue provenienti dai tuoi clienti attuali. Allenare il tuo team di customer success a scovare nuove opportunità di vendita è essenziale e può essere fatto attraverso dei coaching ai manager. 4. “Copertura aerea sempre attiva”: quest’ultima fase della customer’s journey è un po’ come un gioco di guerra: hai combattuto la battaglia per chiudere l’affare e hai ottenuto la vittoria. Hai conquistato nuovi territori e investito la tua partecipazione tramite upselling, cross-selling, atterraggio ed espansione. Ma la guerra non è conclusa: il termine “copertura aerea sempre attiva” significa che devi disseminare i tuoi account col tuo messaggio e non smettere mai di coltivarli. Anche dopo la loro decisione d’acquisto devi continuare a piazzare i tuoi messaggi di marketing di fronte ai contatti dei tuoi account clienti. Ecco alcuni modi per creare dei fan del tuo business: webinar regolari con il CEO della tua azienda; training webinar gratuiti per i clienti sulle feature del prodotto; comunicazione email continuativa del customer success; utilizzare il display advertising per promuovere contenuti sui tuoi clienti; newsletter mensile per sottolineare i nuovi contenuti e successi; meeting regolari o conferenze; Queste attività di marketing funzionano solo se la tua azienda ha un’offerta di prodotti solida. I prodotti devono confermare il valore comunicato nei messaggi di marketing e soddisfare le aspettative dei clienti, nonché essere facili da adottare e fornire reali benefici ai tuoi clienti. Se il tuo prodotto non è valido, non c’è nessun tipo di marketing che può migliorare la customer’s experience.
Non hai mai sentito parlare di Account-based Marketing, ma sei interessato ad aumentare esponenzialmente le tue vendite in ambito B2B? Puoi partire dalla mia introduzione all’account-based marketing: Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B Marketing. Perchè i Social Media? Connettersi a livello sociale tramite internet è diventato popolare per la prima volta attorno agli anni novanta, con l’apparizione di chatroom come AOL Instant Messenger. Attorno agli anni duemila invece si è passati a piattaforme network con l’entrata di Facebook e MySpace nel mercato, che verranno poi definiti dagli analyst come nuovi media. Si susseguirono poi LinkedIn (connessioni a livello professionale, non solo con gli amici) e Twitter. Oggi i social media sono diventati un potentissimo mezzo di comunicazione e sono il primo media utilizzato dalla generazione dei millennial. I giovani adulti appartenenti a questa classe leggono i giornali raramente, facendo dei social media la loro principale fonte di informazioni. Per evolvere la tua strategia di marketing verso un approccio basato sugli account bisogna considerare tutti i modi per interagire con contatti di qualsiasi età, senza tralasciare il fatto che nel tempo i social media acquisiranno ancora più importanza. Ecco perché sono essenziali per una strategia di account-based marketing globale. Come connetterti con i tuoi contatti Esistono moltissimi tipi di social media, ognuno con scopi diversi e finalizzati a un preciso tipo di audience. A seconda dei tuoi fini e della tua audience bisogna utilizzare alcuni social media channel più di altri, ciò dipende dal tipo di account con cui ti dovrai connettere e che messaggio vuoi lanciare. Dal 2018 i social media channel più grandi e importanti al mondo sono: Facebook YouTube Whatsapp WeChat Instagram LinkedIn Twitter Reddit E’ importantissimo riconoscere le piattaforme più popolari, siccome offrono alla tua azienda ottimi modi di promuovere e pubblicizzare contenuti. Questi media ti aiutano a raggiungere i contatti nei tuoi account target. Non è possibile essere presenti ed efficaci in ogni canale, ricorda di identificare i migliori canali per connetterti con i tuoi contatti. Connettersi 1 a 1 Per connettersi professionalmente 1 a 1 (connettersi come persona ad uno o più contatti dell’azienda target) utilizzando i social media, consiglio LinkedIn (propongo anche una guida con 5 consigli per sfruttare al meglio LinkedIn come piattaforma di Marketing e Personal Branding). LinkedIn è il social network professionale più grande del mondo e ogni B2B marketer dovrebbe conoscere l’importanza di essere presenti su questa piattaforma. Ci sono vari modi per connettersi coi tuoi contatti: Mettere “Mi Piace” o commentare sugli aggiornamenti allo stato del contatto. Leggere i post presenti sul blog del tuo contatto e condividerli a tua volta. Entrare in gruppi. Invitarli a connettersi. Di seguito propongo quando invitare un contatto a connettersi su LinkedIn: Rappresentante dello sviluppo commerciale (Business/Sales development representative - BDR/SDR): se stai entrando in conversazione con un potenziale candidato dopo aver completato una discovery call iniziale o aver fissato un appuntamento per la vendita. Responsabile account vendite (Account executive - AE): se una dimostrazione ha avuto successo e l’account sta progredendo verso un’opportunità di generare revenue. Bisogna connettersi insieme a tutti i decision makers più rilevanti dell’account in questione. Project Manager: se l’account è diventato un affare concluso e l’implementazione del tuo prodotto o servizio richiede un project manager o un consulente professionale, questo individuo dovrebbe connettersi col cliente su LinkedIn. Responsabile clienti (Customer success manager - CSM): dopo che l’account è stato trasferito al responsabile clienti tramite email, il suddetto responsabile dovrebbe connettersi coi clienti (specialmente col maggior utilizzatore (“campione”) del tuo prodotto o servizio). Questo “campione” diventerà un cliente sostenitore della tua azienda e LinkedIn aiuta ad espandere questa relazione. Membro del team di marketing: un membro del tuo team di marketing dovrebbe collaborare coi clienti per creare contenuti tra cui distinguiamo case study, video testimonial, webinar ed event planning. Quando membri del team di marketing collaborano coi clienti dovrebbero connettersi su LinkedIn e costruire una relazione. E’ importante non chiedere l’amicizia su Facebook ai tuoi contatti. Se arrivi al punto dove un contatto ti chiede l’amicizia, considera che messaggio invierai accettando. Come seguire i tuoi account Invece di seguire contatti personalmente si possono seguire account tramite il profilo aziendale. Sfruttare i social media in questo modo ti permette di: Rimanere informato: puoi essere aggiornato con le ultime notizie sull’azienda, come l’assunzione di un nuovo dirigente, acquisire o essere acquisiti da un’altra compagnia. Conoscere i decision maker: quando segui un’azienda su LinkedIn puoi vedere il suo personale, tramite il quale puoi identificare con chi è meglio lavorare per concludere l’affare. Bisogna creare un piano per i tuoi account target, riconoscere la gerarchia aziendale ed individuare gli influencer e decision maker nell’account. LinkedIn può aiutarti a ricavare queste informazioni se non sono presenti nel tuo CRM. In caso tu sia un venditore (anche responsabile vendite o di gerarchia maggiore) devi seguire i migliori account target. Ottenere le ultime informazioni aiuta ad accelerare la decisione di acquisto e velocizzare la vendita. Per esempio può capitare che un account stia subendo un processo di fusione con un’altra azienda, puoi quindi concludere che il processo di vendita subirà dei ritardi dovuti alla riorganizzazione interna. Ecco alcuni consigli su come seguire i tuoi account LinkedIn: Cerca il nome dell’azienda per trovare la sua pagina, metti “mi piace” per rimanere aggiornato con le ultime notizie e trova i contatti principali nella lista dei dipendenti. Twitter: Segui l’account dell’azienda (di solito @NomeDell’Azienda). Controlla che tipo di hashtag (#) utilizza per seguirne le conversazioni. Facebook: metti “mi piace” alla pagina dell’azienda per ricevere gli aggiornamenti. Lì è dove verranno condivisi i contenuti e potrai valutare il loro interesse su determinati ambiti o eventi. YouTube: il tuo account potrebbe avere un canale YouTube, prova a cercare su Google. In caso lo abbia iscriviti premendo l’apposito tasto. I tuoi account potrebbero inoltre utilizzare altri social media come Instagram o Pinterest, ma attraverso questi canali è più difficile interagire a livello professionale. I social media sono importantissimi per connettersi con i propri contatti o account e andrebbero sicuramente integrati nella tua strategia di account-based marketing. Se vuoi saperne di più di account-based marketing ci rivediamo in un altro articolo.
L’account based marketing sta letteralmente capovolgendo il modo di fare marketing nelle aziende B2B e può decisamente trasformare anche la tua azienda grazie al suo successo! Se non conosci ancora questo tema, leggi prima l’introduzione all’account-based marketing sul Perchè l’Account-based Marketing è il futuro del B2B marketing! L’affidabilità e l’efficienza dell’account-based marketing è sicuramente fondata, ci sono decine di speaker, libri e guide che trattano l’argomento, ma può comunque essere difficile convincere i più scettici o chi è ancora legato al modo tradizionale di condurre digital marketing. L’ABM può trasformare la tua azienda B2B, e lo dimostrano i dati concreti: è essenziale che gli obiettivi di vendita siano supportati da tali dati. Per cominciare si possono utilizzare i dati ricavati dal processo di lead generation della tua azienda, mostrando al tuo team le risorse impiegate nelle attività di marketing e il potenziale ritorno sugli investimenti (ROI). I dati a dimostrazione del fatto che il tuo team ha bisogno dell’ABM dovrebbero includere i seguenti elementi: Lead generate in un anno: il numero di lead che la vostra attività di marketing ha generato nell’ultimo anno; può essere presentato anche come numero mensile o quadrimestrale. Entrate attribuite alle lead: se per esempio la tua azienda ha registrato un milione di euro in entrate, quale ammontare deriva dalle nuove lead che il marketing ha generato? In caso sia presente un sistema di marketing automation si può creare un report che colleghi le entrate con le lead. Entrate da clienti esistenti: mentre analizzi le entrate puoi determinare quale percentuale deriva dalla vostra client base attuale o dalle nuove lead generate dal marketing. Bisognerà comparare le nuove entrate da un anno ad oggi con le entrate ricorrenti annuali (Annual Recurring Revenue or ARR). L’obiettivo dell’implementazione dell’ABM L’obiettivo primario dell’analisi e del confronto è quello di dimostrare che il lead-based marketing è estremamente inefficiente. I dati dovrebbero dimostrare che il marketing non è concentrato sulla giusta metrica: incrementare le revenue. Infatti, se gran parte dell’attività di marketing si concentra sulla creazione di lead che non si trasformano in revenue, si verificherà inevitabilmente uno spreco di risorse che sarebbe potuto essere allocato ad altre attività. Al giorno d’oggi ottenere lead è estremamente facile: chiunque ormai ha un database pieno di contatti e si possono anche comprare o ottenere tramite LinkedIn e moltissimi altri tool. Dimenticati delle lead, se non generano entrate non importa quante ne puoi trovare. Il marketing è un investimento: la tua azienda vi impiega tempo e risorse, perché è la parte essenziale per promuovere i tuoi prodotti o servizi e costruire un brand. Se l’obiettivo è creare nuove opportunità per l’azienda, l’ABM permette di potenziare la tua attività di marketing a nuovi livelli! Ecco alcune strategie che possono aiutare a massimizzare l’efficacia della tua attività di marketing utilizzando le entrate come metrica primaria: Allinea le vendite con il marketing: prima di implementare l’ABM il team di marketing si occupava delle lead e il team vendite delle revenue. Con l’account-based marketing i team di marketing e vendite lavorano insieme, per per trovare i giusti account che possano aumentare le entrate. Questo aiuta a sviluppare strategie di marketing e campagne atte a “bersagliare” questi account. Costruisci credibilità: nel modello tradizionale la maggior parte delle lead sono inutili. Spostando invece l’attenzione alla sales pipeline, incrementi la credibilità col team vendite. Il primo passo è di convincere gli executive stakeholders della tua azienda che qualcosa deve cambiare. Creare business value: nei documenti contabili della tua azienda non ci sono voci che riguardino il numero di lead generate, bensì informazioni che riguardano le revenue e la profittabilità. Concentrarsi sulle revenue come key performance indicator (KPI) mostra il valore del team di marketing all’azienda. Ogni CEO, CFO, CSO capisce l’importanza di quel KPI, se parli la loro stessa lingua avrai un posto al tavolo. In sostanza, si tratta di un approccio più collaborativo tra i vari dipartimenti di un’azienda (rispetto al modello di marketing tradizionale), che può includere ambiti quali marketing, sales e customer success. Investire le risorse in modo efficiente Ai dirigenti della tua azienda importa molto la quantità di risorse utilizzate nel processo di marketing. Ogni euro dovrebbe aiutare a generare nuove revenue, ma il tuo team di marketing ha un problema se queste risorse vengono usate per generare lead per il reparto vendite e queste lead non possono essere sfruttate per accrescere il fatturato. Devi prendere l’incarico di di mettere insieme le persone giuste dal tuo team per esaminare come riallocare efficacemente le risorse. Le risorse più importanti per l’account-based marketing sono: Persone: i dipendenti sono la risorsa più preziosa della tua azienda. Per far funzionare al meglio l’account-based marketing il reparto vendite e il reparto marketing devono lavorare insieme e creare un “dream smarketing team” (smarketing deriva dall’unione di sales e marketing). Tecnologia: come menzionato nell’introduzione all’account-based marketing, questa strategia ha acquisito notevole importanza grazie alla tecnologia moderna che ti permette di identificare, mirare ed interagire con i tuoi account su larga scala. Budget: i marketer B2B devono sottostare ad un budget e tener conto di quanto spendono nelle varie attività. Nel tradizionale lead-based marketing guardi quanto hai speso in relazione alle nuove lead generate. Con l’account-based marketing si tiene conto di quanto speso per ogni campagna a livello di account. Tempo: questa è la risorsa che sembra non essere mai abbastanza. Con l’account-based marketing misuri quanto tempo investi in ogni account e quanto velocemente progredisce verso la vendita. Se vuoi scoprire come mettere insieme uno smarketing team e scoprire come utilizzare i migliori tool per l’account-based marketing allora ci rivediamo sicuramente in un prossimo articolo.
Cerchi quali siano i migliori tool da utilizzare in ambito di Digital Marketing? O semplicemente i migliori modi per incrementare le lead e le conversioni dal tuo sito? In questo articolo proponiamo i sei migliori tool di Digital Marketing per far crescere il tuo business online! 1) Il primo tool di cui parleremo è Google Analytics: tiene traccia del numero dei visitatori sul tuo sito se hai molto traffico e utilizza un campione dei dati per le analisi, a meno che non si paghi una quota annuale. Quello che fa Google Analytics è mostrarti come si comportano le persone sul tuo sito e quali sorgenti di traffico generano più conversioni finchè il monitoraggio degli obiettivi e delle conversioni rimane attivo (non disattivarlo mai!). E’ importante non farsi prendere dal generare troppo traffico, poichè il vero segreto sta nella qualità del traffico dato che l’obiettivo è quello di generare conversioni. Quindi ricorda: non ottimizzare per il traffico generico, ottimizza per il traffico che genera conversioni. 2) A seguire abbiamo Ubersuggest. Se vuoi aumentare il traffico del tuo sito questo strumento ti permette di farlo in modo consistente! Magari il traffico proveniente dai Social media è più facile e veloce da ottenere, ma gli aggiornamenti all'algoritmo di Google rispetto ad esempio a Facebook sono molto più omogenei. Un giorno potresti avere 300.000 visitatori da reach organica su Facebook ma il giorno dopo averne 10.000. Il traffico organico di Google è molto ampio e omogeneo, il che permette a Ubersuggest di svolgere in modo eccellente il suo lavoro, basta inserire le parole chiave che generano più traffico e conversioni sul tuo sito e te ne mostrerà di nuove che puoi utilizzare, organiche e non. Questo aiuterà sicuramente ad incrementare le conversioni e le vendite totali. 3) Il terzo strumento di digital marketing di cui parliamo è Google Search Console, che ti permette di analizzare impressioni, click e CTR (click-through rate) per le pagine e gli elementi del tuo sito. Un suggerimento sarebbe di utilizzarlo per vedere quali contenuti (per esempio post di un blog) hanno un CTR poco soddisfacente, trovare quali sono le parole chiave che generano più impressioni per quel tipo di argomento, integrarle nel post o nella landing page e riscrivere il contenuto. Quando si creano troppi contenuti può succedere che si sottraggano impressioni e click a vicenda (cannibalizzazione), sarebbe quindi opportuno dividere bene gli argomenti e in caso aggiornarli, in modo da essere più pertinenti e massimizzare le apparizioni su Google quando qualcuno cerca qualcosa che hai trattato. 4) Come quarto strumento parliamo di Crazyegg. Questo tool ti permette di capire come interagiscano le persone col tuo sito: fino a che punto scorrono, dove cliccano… Oltre a fornirti questo tipo di dati puoi anche modificare la tua pagina e fare dei test A/B per massimizzare le vendite. Non c’è bisogno di essere un developer o un designer per farlo. Ricorda che non si tratta solo di generare traffico, si tratta di trasformare i visitatori in conversioni! 5) Un altro strumento di digital marketing è Subscribers. Funziona tramite push notifications, che permettono ai visitatori di registrarsi sul tuo sito senza essere intrusive o aprire nuove pagine, perchè avviene tutto nel browser. Dopo che un visitatore si è iscritto, ogni volta che c’è qualcosa di nuovo nel sito, (un post, un’offerta o altri tipi di contenuti), gli arriva una notifica. Quando vede questa notifica, torna sul tuo sito e a questo punto puoi generare più conversioni, lead e vendite. Essenzialmente è un modo più efficace e meno opprimente di creare un rapporto coi visitatori, il modo giusto per incrementare il numero dei clienti. 6) L’ultimo strumento di digital marketing assolutamente da provare è HubSpot. E’ un tool perfetto per avere uno sguardo di insieme al proprio marketing in generale e alle proprie lead: integra il marketing con le vendite e ha tantissime feature gratuite. Molte persone potrebbero dire: “ehi, ma ci sono altri tool che fanno questo o quello”. D'accordo, ma HubSpot ha una miriade di feature gratuite e alcune dedicate alle startup, il che è molto entrepreneur friendly, oltre al fatto che continuano ad aggiungere sempre nuove opzioni gratuite. E' infatti un’azienda miliardaria che sta provando a schiacciare la concorrenza, per questo ne sta rilasciando continuamente, il che va tutto a tuo beneficio. Gli strumenti descritti in questo articolo sono al momento i digital tool più efficaci per incrementare la tua presenza online, ma ricorda: non basta averli sul proprio pc e utilizzarli ogni tanto. Il primo segreto per incrementare le vendite e le conversioni è agire, sfruttare a pieno queste possibilità a seconda del tipo di azienda e della Customer Persona. Vedrai che, grazie al giusto mix di tecnologia e impegno, i risultati non tarderanno ad arrivare. Ti piacerebbe avere una vera e propria guida che ti insegni a guardare verso il futuro in ottica digitale? Clicca qui per scaricare gratuitamente il primo capitolo del libro Guida per Manager nell'era Digitale e scoprire il modello operativo utilizzato da manager ed imprenditori!
Google announced that, starting from July 2018, Page Speed will be a ranking factor for mobile searches. Table of Contents Why does Google care about Page Speed? How much does Web Performance impact Search Engine Rankings? The Speed Update to Google’s algorithm next July 2018 Don’t hit the panic button yet, check your site first Why does Google care about Page Speed? When business owners and marketers think of SEO, they think of it as a series of tasks they have to perform so to be liked and ranked by Google (and other search engines). What is usually missing is a good understanding of why certain best practices and rules need to be followed. Why does Google care? Well, it's pretty simple business thinking: Google's main product is its Search Engine, which sole goal is to provide people with relevant, useful answer to their queries. What would happen if all of a sudden the results you'd get by searching on Google were vastly superior and always offer you a quality experience? Simple. Users will fall in love with Google even more and leave its competitors (mainly Bing) for good! Google cares about the experience their users get. And if you understand this, you’d also agree that page speed and fluidity are fundamental factors when it comes to User Experience. Think about how you search on the Web. How often do you close a tab and go to the next search result if a site takes too long to load? As you scroll through recipes on your phone while buying groceries, how likely it is that you’ll return to that site that always takes forever to give you the content you are looking for? Page speed is absolutely critical for websites. And Google knows it. How much does Web Performance impact Search Engine Rankings? So, we established that speed is an important aspect of any website, and that it has an impact on SEO. But how impactful would that be? Here’s the thing. Search engines use an incredible amount of signals and information about your site in order to decide how relevant it is to the user’s search keyword. Among others, you’ll find the architecture of the site, its accessibility, its mobile-friendliness, and so on. And then there’s page speed. However, the performance of your site doesn’t just affect SEO directly. There is also an indirect effect: in fact, other metrics will be impacted, which in turn will signal to Google that your site is of good quality. Let’s see some. Page Views and Time Spent On Site: visitors who like the experience of browsing through your website will view more pages and spend more time on your website. This tells Google that your site is relevant to the visitors and it will rank you higher. Bounce Rate: visitors who enjoy your site will less likely bounce back to Google’s search results. And Google loves sites with low bounce rates. Crawl budget: a fast site allows Google to crawl more pages during their allocated crawl budget. Google’s crawlers like to save resources and will likely come back more often to check for updates or index more pages. The Speed Update to Google’s algorithm next July 2018 In the past, Google asserted that page speed was a Ranking factor for some subset of searches. A few years have past since that announcement, and Google is going all about web performance. In fact, Google announced that, starting from July 2018, page speed will be a ranking factor for mobile searches. The company is calling it the “Speed Update” and will have the greatest impact on those pages that deliver a slow experience. In addition to this, in the last couple of years they've been busy making sure sites get faster and faster every day: They made slight adjustments to their algorithms, in order to reward faster sites with a better positioning in search results They've been publishing articles and studies, in order to sensitize developers and management all over the world about this performance revolution that is occurring They invested in a new technology, called AMP, that should help developers build faster sites (you will recognize AMP pages: they're the ones that come with a small thunder icon in the search results). Great results have already been registered. Don’t hit the panic button yet, check your site first So how do you know if your site is going to be affected by this upcoming update? Is your site offering a slow experience? The first thing you should do would be measuring the performance of your website. There are various tools at your disposal, but the most simple check you can do is by using Google PageSpeed and Google’s Test My Site. If you’re looking for a benchmark, here it is: users expect pages to load in 2 seconds, and after 3 seconds up to 53% of users will abandon your site. Are you ready to adjust your SEO strategy and skyrocket your website speed? Hit me up for a quick call and I'll be happy to help!
L’Account-Based Marketing (ABM) è l’hot topic nell'ambito del B2B marketing, che permette un approccio diverso e capace di sfruttare in modo efficiente tempo, denaro e risorse a disposizione delle aziende . La definizione di account-based marketing può essere quella di un marketing B2B specializzato, dove il valore è generato dagli “account”, che costituiscono i potenziali clienti che che hanno più probabilità di completare un processo di acquisto dalla tua azienda. Identificare e mirare potenziali clienti non è nulla di nuovo nel B2B marketing, ma ciò che è cambiato oggi è la tecnologia, che rende disponibili dei tool appropriati all'attualizzazione di strategie di account-based marketing in modo molto più ampio e mirato. Prima di scoprire i vantaggi dell’ABM, dobbiamo però distinguerlo dal modello tradizionale, il quale può essere descritto come un processo ad imbuto (funnel) che tiene traccia dei movimenti dei potenziali clienti attraverso fasi predeterminate: Le fasi del modello di marketing tradizionale Awareness: un potenziale cliente (lead) sente parlare dei prodotti o servizi della tua azienda. Interest: La possibilità di realizzare una vendita viene condizionata dalle informazioni sull'azienda in questione, dal titolo lavorativo del lead e da altri attributi e il potenziale cliente viene mirato da email e call per proposte commerciali. Consideration: questa fase è considerata il breaking point per un lead, che proverà a coinvolgere altre persone della sua azienda. Infatti in ambito B2B le decisioni di acquisto sono raramente affidate a un singolo individuo. Purchase: la fase finale del funnel che termina con una decisione in cui il lead sceglie la tua azienda o un competitor (si può chiudere l’affare, ma in caso contrario si sprecano, nel processo di vendita, moltissime risorse come tempo ed energie). Ma siamo proprio sicuri che questo sia il modello più efficiente per il B2B marketing? Secondo “Forrester Research”, solo lo 0.75% delle lead si conclude con un acquisto: infatti il problema principale del funnel tradizionale è che le lead vengono perse man mano che si procede tra le diverse fasi e se meno dell’1% si trasforma in contratti vuol dire che il restante 99% è stato un enorme spreco di tempo e risorse. Inoltre questo modello non è ottimizzato per il B2B marketing (più decision maker), essendo più prono al B2C e raddoppiare le lead generate non vuol dire necessariamente raddoppiare le revenue. Se l’80% delle revenue viene dai clienti che tornano a comprare nella tua azienda, perchè spendere meno del 20% delle risorse disponibili per valorizzare l’80% della contribuzione alle revenue? Nel marketing c’è una costante ossessione di acquisire nuovi clienti, ma con l’ABM si può vedere il mantenimento di clienti esistenti come la nuova acquisition. Saranno poi loro a farti acquisire nuovi clienti, in modo anche più efficiente, dato che il costo per acquisire un cliente tramite questa modalità è pari ad un terzo di quello impiegato in altri metodi di acquisition. Ma come funziona esattamente l’ABM? Quali sono le sue fasi? Si tratta letteralmente di capovolgere il funnel tradizionale, che viene inteso come un megafono per i tuoi clienti, i quali grazie ad internet potranno comunicare le loro opinioni più forte che mai. Le fasi possono essere distinte in questo modo. Le fasi del modello Account-based Marketing Identify: invece di identificare più lead possibili, il team di marketing deve concentrarsi su un singolo punto di contatto, puntare la miglior lead possibile che si identifichi nella Customer Persona desiderata. Expand: nella seconda fase bisogna espandere il contatto in account e all’interno dell’account stesso (l’azienda cliente), individuando ulteriori contatti (le persone che trarranno beneficio dai tuoi prodotti o servizi) con cui interagire. Engage: in questa fase c’è molta diversificazione, in quanto esistono moltissime tecniche per interagire coi clienti (email, webinar, ebook, targeted ads, video, eventi e qualsiasi altra attività programmabile o automatizzata). Nel traditional funnel questa può essere considerata la prima fase, ma nel flipped funnel si attende finchè non siano identificati gli account migliori, prima di sviluppare le tecniche di targeting da utilizzare. Advocate: in questa fase gli account si trasformano in customer e l’obiettivo diventa quello di creare fan del tuo business che comunicheranno tramite passaparola, recensioni e altri metodi organici i benefici del tuo prodotto o servizio (il tipo di marketing col maggior impatto possibile). Statistiche a favore dell'Account-based Marketing Per dimostrare ulteriormente che tramite l’account-based marketing si possono incrementare i risultati e l’efficienza, ecco alcune statistiche: Più del 90% dei marketer B2B riconosce l’ABM come importante o molto importante (IDG Enterprises). Secondo l’86% dei marketer e venditori professionali intervistati, le aziende B2B hanno cominciato ad utilizzare strategie per mirare gli account (LeanData). ABM ha un ROI più alto delle altre attività di marketing utilizzate secondo il 97% dei marketer intervistati (Alterra Group). L’85% dei marketer che misurano il ROI dicono che l’ABM genera più revenue di ogni altra strategia di marketing (ITSMA). Circa l’85% dei marketer afferma che l’ABM ha prodotto importanti benefici sul mantenere ed espandere relazioni con i clienti (Marketo). Col prossimo articolo, approfondiremo le modalità di applicazione dell’account-based marketing nella tua azienda. Non perderlo!
Image optimization is one of the simplest and most effective steps you can take to transform your site from good to great. Table of Contents Image optimization: an extensive collection Books Tools Services Resources Techniques Formats Facts you may not know Image optimization: an extensive collection When it comes to website page speed and web performance optimization, images are one of the hottest topic. Suffice it to know that, according to The HTTP Archive, on average roughly 60% of a webpage weight is represented by images. On the other hand, images can’t and shouldn’t be just removed or undervalued when it comes to business value. Tammy Everts, one of the leading experts on web performance and prolific writer, has often conducted researches on the impact that page speed and performance may have on a business bottomline. In this article she showed how adding images to a page or making existing images larger have been proven to increase conversion rates. That’s why it becomes so critical to invest in an efficient optimization strategy. As Tom Ewer put it: Image optimization is one of the simplest and most effective steps you can take to transform your site from good to great. The goal of this article is to give you an extensive collection of resources, tools, books, guides, techniques and strategies to master image optimization for your websites. At the end, you’ll also find a couple of fun facts about images that you may have never heard of. Books Every time I want to dig deep into a specific topic, I look for good books. Here’s a list of the best options out there: Essential Image Optimization by Addy Osmani. One of the most complete book there is, completely readable online for free. Web Performance in Action: Building Fast Web Pages by Jeremy L. Wagner. It aims at being your companion guide to making websites faster, and it thoroughly address images optimization and delivery. High Performance Images: Shrink, Load, and Deliver Images for Speed by By Guy Podjarny, Tim Kadlec, Mike McCall, Yoav Weiss, Nick Doyle, Colin Bendell. A group effort that is mainly thought for developers. It provides useful tips, tricks, and practical theory for processing and displaying powerful images that won’t slow down your online product. Designing for Performance: Weighing Aesthetics and Speed, by Lara Callender Hogan, which has a whole section on image optimization. It is completely accessible online for free. The goal of this book is to help you approach projects with page speed in mind, guiding you through testing and making design choices. Tools When it comes to image optimization, there is no shortage of tools that you can rely on. Here’s my list of those tools that should have a place in your belt. I won’t go into much details for each tool because you will mostly need a different tool according to your situation. ImageOptim, both a Mac app and a web service. Useful to remove metadata and compress images without losing quality JpegTran, MozJpeg and JpegOptim are all libraries that aim at compressing JPEG images as much as possible in a lossless fashion ImageMagick, possibly the most popular and feature complete software. It is used to create, edit and compose images, but it has also a powerful suite of utilities to convert, resize and compress them. ImageMin, a popular tool meant to be used during the build process of your website XnConvert, a software available for Mac, Windows and Linux meant for processing images in batches FFMPEG, by far the most complete solution out there. As a consequence, it also comes with great complexity of use. It can be used to record, convert and stream audio and video SVGO, a Node.js tool for optimizing SVG files TinyPNG, a fairly popular tool (has recently surpassed 1 billion compressions) which claims to use smart lossy compression techniques to reduce the file size of your PNG files. Quality decrease shouldn’t be noticeable by the human eye. Services Handling images the right way is huge work. You need to take into account different image formats, deliver images of different sizes and resolution according to the user’s device, you might want to generate thumbnails and support different browsers differently. In addition to this, in order to achieve maximum speed you also have to host images on a CDN or use your own servers, thereby increasing the bandwidth you’ll be charged for by your hosting service. For this reason, there are a couple of companies out there who can do all of this for you for a (sometime very cheap) price. Here are your best options: Cloudinary, which has a formidable free tier and offers a plethora of smart features Imgix, which adopted a pay as you go model and has similar features to Cloudinary Thumbor, which is open source and includes most of the features you may need from an image processing service Kraken, which offers a powerful and robust API and doesn’t lock you in with any specific CDN Resources In 2018, one doesn’t just read books. When it comes to studying a new topic, there is no shortage of new mediums such as video courses, blogs and social media accounts that one could turn to. Udacity Course: Responsive Images by Google. Free course that teaches your how to work with images on the modern web, so that they look great and load quickly on any device. Guide: Google Developers guide on Responsive Images. Super in-depth guide by Pete LePage that includes notions on responsiveness, art direction, performance and different formats. Videos: Compressor Head. It’s a 6 episode video series explaining the theory and practice of compression algorithms by Google Developer Colt McAnlis. Guide: Google Developers guide on Image Optimization. In-depth guide by web performance guru Ilya Grigorik, also author of the book High Performance Browser Networking. A slightly more technical guide touching on many aspects and including a final image optimization checklist. Guide: Shopify Blog on Image Optimization. Shopify’s take on how to handle images in order to both build a fast online store and exploit Google Images algorithm in order to direct more traffic to your site Blog: Cloudinary Blog. A very interesting blog by Cloudinary where they regularly publish content on various techniques you may adopt to better handle your images. Techniques Compressing and resizing aren’t the only things you can do in order to properly handle your images. There are other techniques you might adopt in your website, so to either reduce the time it takes to download the assets or to prioritize critical images over non-critical ones. Let’s see 4 very important techniques: Image spriting Caching image assets Preloading critical image assets Lazy-load non-critical images Image spriting. This technique has been a popular way to reduce the number of images a page loads by combining them into a single larger image that is sliced. If your site is on HTTP/1.x, you may want to use spriting to reduce the number of HTTP requests. This has a positive impact on load speed, however there are challenges with cache-invalidation. Indeed, everytime you change any one of the images included in the sprite, you invalidate the entire image in a user’s cache. With the advent of HTTP/2, though, spriting has become an anti-pattern. With HTTP/2, it may be best to load individual images since multiple requests within a single connection are now possible. Caching image assets. This technique relies on the assumption that most of the images you deliver to users are static assets that will not change in the future. For this reason, the best caching strategy is aggressive caching. Since resources can specify a caching policy through their HTTP headers, you may want to set the Cache-Control header in order to determine who can cache responses and for how long. It’s advisable that you set Cache-Control with a max-age of a year (e.g. Cache-Control:public; max-age=31536000). It works well for most types of images, especially those that are long-lived like avatars and image headers. Preloading critical image assets. If an image is considered to be critical content, or needs to be loaded more quickly than other assets for some specific reason, you can make use of preloading. is a declarative way of fetching resources from the network, allowing you to hint the browser to request a resource without blocking the loading of the document. It can be especially useful to increase the priority of specific assets that would otherwise be later in the document parsing process. Lazy-load non-critical images. This technique consists in delaying the loading of images until the user needs to see it (e.g - she is scrolling toward the section of the page where the image is displayed). In order words, images that live in the upper section of the site (above-the-fold) are loaded immediately. Images that live further down (below the fold), however, are not yet visible to the user. The latter ones are perfect candidates to be lazy loaded. Formats There are a lot of image formats you could use for your images, each one has its advantages and disadvantages and can be more suitable than others for a specific type of image. Here’s a few pointers if you need to catch up with the different formats: Vector graphics vs raster graphics JPEG: best suited for photographs or images with a smooth variation on colour and intensity PNG: well suited for photographs and images with objects with sharp edges (e.g - text), supports the addition of an alpha channel BMP: to be avoided when possible, as it offers little to no compression TIFF: usually avoided on the web, it’s a high quality image format that doesn’t compress as well as others on this list GIF: usually not a good choice as doesn’t provide lossy compression WebP: well suited for the Web, currently not supported by every browser SVG: best suited for images that consist of simple geometric shapes Facts you may not know The GIF format was never intended to animate pictures. Quoting the spec: “The Graphics Interchange Format is not intended as a platform for animation, even though it can be done in a limited way.” In origin, GIFs were supposed to contain multiple images inside a single file so to be able to have many images to share headers, color data, and so on. During the years, we started to “hack” this peculiar aspect and start using those as frames of an animated image. In such a scenario, it should not be surprising that there hasn’t been any effort towards optimization for this usage. For example, video formats are usually pretty darn good at compressing frames and sequences of frames. GIFs, instead, weren’t designed for sequences of frames: since no relationship between subsequent frames is expected, there is no way to encode just the incremental changes between the current frame and the previous one. In addition, there is no standardized way to perform some form of steaming of the content. With videos, instead, you don’t need the whole file to start playing it. For all of these reasons, GIFs aren’t supposed to, nor they are ready for, storing several frames. As a consequence, a few low quality frames, occupy more than 60MB. This not only represents a network bottleneck but it also scales pretty badly, filling the memory of the device pretty quickly (especially on mobile) You can decode images asynchronously. When loading an image with JavaScript in the way we usually do, the image.onload handler guarantees that trying to use the image is going to work. At this time the image is not decoded yet! With the first time using the image data we usually get a delay to decoding overhead. The decoding of the image can block the main thread and by that cause jank in an app. To improve this behavior the browser developers came up with a new API specification for predecoding images. By using the new image.decode function, you can decode the image offscreen and insert it in the DOM when it’s ready, thus reducing the impact on the main thread. The JPEG myth: JPEG images are believed to lose quality every time they’re saved. This is a false myth spread by the fact that editing a JPEG image and then saving it forces the compression step to take place again. Since JPEG is lossy, further image degradation can occur every time this happens. However it is not true at all that, everytime you save a JPEG image, it loses quality. Are you ready to optmize and skyrocket your website speed? Hit me up for a quick call and I'll be happy to help!
Fai firmare una liberatoria ai partecipanti e potrai pubblicare foto e video dei tuoi eventi online e offline. Realizzare un evento meraviglioso senza procurarsi la liberatoria per la pubblicazione delle foto e dei video è come scalare una montagna e accorgersi soltanto in cima di aver dimenticato la bandierina. Le foto e i video (anche in diretta) da postare sui social networks sono importantissimi per perseguire obiettivi di brand awareness e lead generation, ma senza una liberatoria sulla riproduzione dell’immagine dei partecipanti tutto questo non potrà essere realizzato. Perché esistono queste limitazioni sulla pubblicazione di foto e video dei partecipanti ai propri eventi? E quali sono? Ecco una sintesi utile per distinguere tutte le situazioni in cui la legge pone un limite alla diffusione di qualsiasi informazione sugli individui (e quindi anche le sue immagini private), a favore di un miglior controllo dei dati che li riguardano: Pubblicazione dell’immagine di una persona non famosa: occorre la sua autorizzazione ex art. 96 l. 633 del 1941, attraverso una liberatoria firmata e datata. Pubblicazione dell’immagine di una persona non famosa per uso giornalistico, purché tale pubblicazione non risulti dannosa alla sua immagine: è consentita, in onore del diritto di cronaca esercitato dal giornalista (ma va valutato anche caso per caso e comunque non prevale sulla minore età del soggetto ritratto). Pubblicazione dell’immagine di un personaggio noto con finalità giornalistiche: non occorre l’autorizzazione del soggetto ritratto. Pubblicazione di un’immagine che risulta lesiva ex l. 633/1941 o che fornisce indicazioni circa lo stato di salute, l’orientamento politico, il credo religioso o la vita sessuale del soggetto ritratto: occorre l’autorizzazione del soggetto e darne comunicazione al Garante. Pubblicazione dell’immagine con finalità promozionali, pubblicitarie, di merchandising o comunque non di prevalente informazione o gossip: occorre l’autorizzazione del soggetto ritratto. Pubblicazione dell’immagine di minori: non possono essere pubblicate se i minori risultano riconoscibili, anche nel caso di fatti di rilevanza pubblica. Se intendi utilizzare le foto e/o i video realizzati in occasione di un evento organizzato da te e dalla tua Azienda, e i soggetti ritratti rientrano nelle categorie di cui è permessa la pubblicazione secondo l’elenco precedente, dovrai quindi dotarti di una liberatoria. I principali social networks (pensiamo a Facebook, Instagram e YouTube) che della condivisione di hanno fatto la propria fortuna, sono i luoghi in cui più spesso avviene la violazione della legge sulla privacy. Quest’ultima, però, non ammette ignoranza e punisce con la reclusione fino a due anni chi esegue un illecito trattamento di dati personali tramite internet, cioè quando pubblica una foto o un video in cui è riconoscibile il volto di un soggetto, senza il suo consenso. La giurisprudenza, peraltro, si è dimostrata molto severa a tal proposito, interpretando in senso lato la lettera della legge che fa riferimento alla volontà di fare profitto o arrecare un danno alla vittima con la pubblicazione: spesso le è bastato, per riconoscere gli estremi del reato, che la vittima dimostrasse anche un semplice fastidio o turbamento. Perchè rischiare? Fare le cose per bene costa poco impegno ma può evitare tanti problemi futuri a te e alla tua Azienda. Ti occorre un modello di liberatoria per la pubblicazione di foto e video su siti internet, facebook e altri social networks? Scarica il modello e usalo come base per proporla ai partecipanti ai tuoi eventi. Ricorda di personalizzarlo sulla base delle tue esigenze e di portarlo a conoscenza dell'ufficio legale della tua Azienda: è un modello generico!* *L'intento dell’articolo è quello di fornire un'informazione utile. L’autore ha compiuto e ogni ragionevole sforzo per assicurare che il fac-simile sia stato elaborato con la massima cura. Tuttavia ritardi, errori, inesattezze ed omissioni sono possibili. Si declina, pertanto, qualsiasi responsabilità per errori, inesattezze ed omissioni eventualmente presenti nel documento. Eventuali errori, se segnalati, saranno corretti. L’autore non garantisce che il fac-simile sia aggiornato e non contenga errori. L'autore non garantisce altresì né si assume la responsabilità che il fac-simile sia idoneo allo scopo specifico per il quale l’utente intende farne uso. Per questi motivi declina qualunque responsabilità in ordine a danni, perdite, pregiudizi di alcun genere che gli utenti e/o terzi potranno subire a seguito dell'uso dello stesso fac-simile. Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani. ATTENZIONE: I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali e non possono in alcun modo sostituire il contributo di un professionista qualificato. Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica-digitale che interessa è possibile contattare l'autore attraverso il blog. L'autore declina ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio o non aggiornato delle presenti informazioni.
If the browser has your entire website in its cache, it can bypass the network altogether and load your website in a fast, reliable and consistent way. Table of Contents The network is the devil. Caching is your best friend The complexity of caching The URL fingerprinting technique The network is the devil. Caching is your best friend. When a website first loads, there are a number of things that need to happen. All of those, depend on a first crucial step: the browser needs to download resources from the server. Unfortunately, this is also the slowest step of the pipeline: no matter how fast your network connection is, it is never going to be as fast as the CPU of your device. As Ilya Grigorik put it: “From a performance optimization perspective, the best request is a request that doesn't need to communicate with the server: a local copy of the response allows you to eliminate all network latency and avoid data charges for the data transfer” (From Google Developers blog, emphasis mine) In other words, fetching resources from the network is always going to be the slowest part of the process. This means that the most dreadful performance bottleneck you need to overcome is the network. It is slow, unreliable and inconsistent. What’s worse, it is a necessary piece of the web stack: without the network, loading your page is just not possible. Or is it? Caching is a technique that aims at making the network inconsequential: it consists of temporarily storing assets on the client’s device, so that the browser doesn’t need to hit the network next time it needs them. If the browser has your entire website in its cache, it can bypass the network altogether and load your website in a fast, reliable and consistent way. This introduces a problem: how can we make sure that the browser will update its cached resources every time we update some of our files? The complexity of caching In other words, if the browser is storing my styles.css so that it can skip a network request, what does it happen when I modify styles.css? Nothing! The browser cannot know that the file was updated on the server, so it will not download the fresh content and the users will potentially get an outdated version of the website. In Computer Science literature, there are so many mechanisms that aim at invalidating items in the cache smartly, most of them are complicated and present some trade off. Fortunately for us, there is an easy algorithm-free solution: since the browser stores assets in its cache by their name, we could simply change the name of the file every time we make a change. This way, the browser would look for a name that is in its cache and would fetch it from the network. A naming system is then required, in order to make sure that we always have the power to push changes to our websites. A straightforward one would be to add a version number to the end of the filename. For example, styles.css could become styles.v1.css. At this point, everytime you want to force the browser to download the new version from the server, you can just bump the version number in the name, and see your changes through. Another approach, one that guarantees that names are always unique and linked to the content of the file, is hashing. Basically, a hash function is a device that takes any string of data and turns it into a (fairly) short sequence of HEX values. For instance, this entire article can be reduced to 6da4585708e12eeafa1cb7bc85b10494 (using MD5, for example) Don’t worry though, this is a perfect task to be delegated to our machine friend. There’s plenty of tools out there that can help you out with this and automatically handle the whole process. The URL fingerprinting technique The process just described is also called URL fingerprinting. Pretty much the same way we identify people by their fingerprints, we can use short strings of characters to tell two resources apart. The whole idea behind this technique lies on the fact that the fingerprint uniquely represents the content of the resource itself. In other words, by using a hash function, we can be a hundred percent sure that there cannot be two different resources with the same filename! This is extremely important as we can confidently make changes to resources and be sure we will never break our sites. Let’s see the URL fingerprinting technique a little bit in depth. There are three components: The file name The file content The hash function The file name is what the browser uses as index to store resources in its cache. As we’ve seen, by changing the file name, we signal to the browser that this is a new resource it should download. The file content is what the hash function is going to use in order to generate its digest. The hash function is the device which transforms the file content into a relatively short string of characters. In other words, the hash function is an algorithm capable of mapping an arbitrarily large amount of data to a much shorter bit string. Such a string, has also the fundamental properties of being a unique representation of the initial data. Meaning that the probability of a collision — two files yielding the same fingerprint — is negligible. Given these three components, the technique consists in: Using the hash function on the file content so to generate a short string of characters, also known as the digest Append the digest to the filename Update every reference to the old name with the new name, throughout the site Now you know it, URLs have fingerprints and they play a crucial role in web performance optimization. Are you ready to leverage browser caching and skyrocket your website speed? Hit me up for a quick call and I'll be happy to help!
Sulla base di analisi statistiche concrete è emersa la crescente tendenza negli ultimi anni a investire in big data e analytics, portando le aziende verso una filosofia data-driven. Il Data Driven è un modello di Attribuzione personalizzato che in base a dei calcoli algoritmici fondati sullo storico dei tuoi dati Analytics, permette di creare strategie di marketing in grado di adattarsi alle specifiche esigenze e caratteristiche dei diversi target. Il Remarketing (o Retargeting) è proprio una strategia che si basa su questo tipo di approccio. ...ma cos’è il remarketing? Il remarketing è una funzionalità di Adwords che consente di mostrare annunci agli utenti che hanno già visitato in precedenza il loro sito web o che hanno utilizzato la loro app mobile. Questo consente di riproporre i tuoi prodotti o servizi agli utenti che hanno mostrato interesse, ma che non hanno convertito. Sapevi però che esistono più forme di remarketing? Ebbene sì, ne esistono due principali: Standard: permette di mostrare gli annunci agli utenti che hanno già visitato il tuo sito web mentre navigano su altri siti e app mobili della Rete Display di Google; Dinamico: permette di mostrare, agli utenti che hanno già visitato il tuo sito web, annunci dinamici che includono proprio i prodotti e i servizi già visualizzati, mentre navigano su altri siti web e app mobili della Rete Display di Google. Possiamo quindi dire che, se da un lato il remarketing standard può aiutarti a raggiungere gli utenti che hanno già visitato il tuo sito web o usato la tua app mobile, il remarketing dinamico lo potenzia notevolmente consentendo di mostrare ai precedenti visitatori gli annunci contenenti gli specifici prodotti o servizi che tali utenti hanno visualizzato. Attraverso la personalizzazione degli annunci in base all’utente, il remarketing dinamico aumenta le probabilità di generare lead e vendite con un marketing più mirato sul pubblico giusto. I principali vantaggi nell’utilizzo del Dynamic Retargeting consistono nella possibilità di: Creare annunci che si espandono con i prodotti o i servizi; Realizzare feed semplici (csv o xls) ma, al tempo stesso, potenti; Utilizzare layout ad alto rendimento; Ottimizzare l'offerta in tempo reale. Sulla base di queste considerazioni un sistema di ecommerce con tanti prodotti è sicuramente un esempio calzante, in quanto consente di identificare quali prodotti sono stati visualizzati dall’utente o aggiunti al carrello senza essere stati acquistati. Ma quindi...quali sono, a parità di condizioni, i risultati reali raggiungibili con il remarketing dinamico rispetto a quello standard? A questa domanda preferirei rispondere con un case study riguardante il settore ecommerce, in particolare luxury fashion. CASE STUDY La sfida: Gli obiettivi prefissati in termini di performance erano: Incrementare le conversioni Incrementare le vendite Incrementare la brand awareness Supportare il lancio di nuovi prodotti L’approccio strategico: Dopo l’implementazione del feed per il remarketing dinamico, sono stati costruiti dei segmenti di pubblico molto mirati, con target specifici in base alle pagine visitate dagli utenti. Successivamente sono stati usati gli annunci dinamici che il sistema personalizza automaticamente in funzione del comportamento che i visitatori hanno sul sito. I risultati: Dopo il riempimento dei segmenti di pubblico, con un numero sufficiente di dati, il sistema ha iniziato a portare nel breve termine dei risultati sorprendenti: +103% di traffico al sito web proveniente dalla rete Display +1639% di valore delle vendite rispetto al remarketing standard +175% di conversioni totali rispetto al remarketing standard CTR (%) raddoppiato rispetto a quello del remarketing standard ROAS (Return On Advertising Spend) pari a 66% Numeri alla mano pare evidente che paragonando le performance di remarketing standard e remarketing dinamico non c’è storia, ma la cosa che sorprende positivamente sono i risultati che queste campagne hanno portato complessivamente all’azienda. La personalizzazione degli annunci con il remarketing dinamico, permette di massimizzare i risultati grazie a messaggi capaci di garantire continuità, attraverso un focus sugli effettivi interessi e sulle reali preferenze del target di riferimento. Naturalmente però il remarketing dinamico è parte di un percorso (detto path), e per funzionare alla perfezione ha bisogno di essere programmato adeguatamente ed in maniera professionale all’interno di una strategia.
Measuring can be tricky. One needs tools to do the job right, and there is no shortage of options out there. Table of Contents You have to start by measuring Why does measuring matter so much? Enough already, give me the tools Ok, I measured, what now? You have to start by measuring When approaching performance, you need to start with profiling. The first thing you want to do is identifying the problem: finding what’s wrong is always the first step of making it right. That’s why measuring is so important when it comes to page load performance, if you don’t have metrics to compare, you don’t have a measure of success. You can’t just rely on it feels faster, you need data. Why does measuring matter so much? The more I work on performance, the more I realize the real importance of having measurements to refer to. Everytime I approach a problem without a proper metric, I end up tweaking in the wrong places of the project. I learned the hard way that you have to always start with profiling. Two things happen for free from the moment you have proper data to work with: You start actively working in the right places, meaning you are able to attack right at the root of the problem You immediately notice regressions. So many times I fixed something, only to introduce the problem back an hour later without even noticing That’s why a proper performance based strategy heavily relies on continuous assessment. You want to set a clear performance budget, meaning the constraints your website is expected to meet, you want to gather relevant metrics every time you make a change, and compare those with your budget. Enough already, give me the tools Measuring can be tricky. One needs tools to do the job right, and there is no shortage of options out there. Here are the best free tools I recommend to measure the performance of your site. Each of them with unique features, measurements and reporting. Google PageSpeed Insights For a long time, Google PageSpeed Insights has played the role of uncontested king of performance measurement tools. It owes its popularity due to three fundamental characteristics: It's provided and sponsored by Google It gives your site a simple score between 1 and 100, which makes it very easy to digest It automatically suggests what steps you should take to increase your score to 100 One great thing about this tool is that its reports aren't detailed and full of technical jargon. Test My Site With Google More recently, Google has published this new tool, which performs similar tests, yet with a specific focus on mobile. It generates a free report and will give you a very interesting comparison between you and the industry average Pingdom Speed Test Pingdom is one of the most known speed test tools. This one generates a highly technical dissection of your website, including the page’s Google PageSpeed performance grade, a waterfall breakdown of the network requests, the overall page size, a breakdown of the content by type (images, scripts, HTML, CSS, and so on). It includes also some performance insights, meaning tips to make your website faster. Yellow Lab Tools Yellow Lab Tools is a simple yet powerful one. You can pick the device type you want the test to be run on (desktop, tablet or phone), and you'll get a complete breakdown of your page. Notable sections of the report are: Scroll bottlenecks, Bad Javascript, Web fonts and Server config. WebPageTest WebPageTest is my personal tool of choice. It’s target are developers and technical managers, therefore it may not be the most accessible of this list, however it gives you more information than you could ever need. What's especially useful about this tool is that it tests your website on real devices. It can run speed test from multiple locations around the globe, using real browsers and at real consumer connection speeds (quoting the homepage here). Not only you can choose device, browser and connectivity conditions. You also get awesome performance reporting as a result: a film view of what got painted and at what point in time, a breakdown of the network requests, a JavaScript timeline, plus a ton more of information. Ok, I measured, now what? Measuring is just half of the journey though. You should probably know your metrics, and have an auditing process. Feel free to steal mine at I Want To Audit The Performance Of My Website, Where Do I Start?
La digitalizzazione delle imprese è la base per l’evoluzione del tessuto economico sociale del nostro Paese verso modelli più efficaci, efficienti e sostenibili, aiutandolo a superare l’ampio gap che ci separa dagli altri paesi sviluppati. Se stai leggendo le pagine di questo blog è perché molto probabilmente anche tu vuoi realizzare nella tua azienda un progetto di digitalizzazione che la porti su un livello più elevato di efficienza, efficacia e profittabilità. Gli ostacoli alla digitalizzazione Purtroppo, anche gli imprenditori più attenti e pronti alle sfide del futuro devono fare i conti con alcuni ostacoli che si frappongono tra la loro azienda e l’applicazione di modelli di organizzazione e processi digitalizzati: uno è la necessità di cambiare il punto di vista delle persone e le modalità di lavoro di tutti giorni, che naturalmente genera resistenza al cambiamento nei propri colleghi e collaboratori (e a volte anche in noi stessi…). Un altro è la necessità di dedicare tempo ed energia a un’altra attività, su cui magari non si hanno grandi competenze, distogliendo l’attenzione dai numerosi impegni del lavoro quotidiano. Quello che però è forse l’ostacolo più grande è in molti casi la mancanza di risorse economiche per perseguire il cambiamento digitale nella propria organizzazione. Specie nel caso in cui si vuole portare la propria azienda vicino alla frontiera della tecnologia utilizzata nel proprio settore, per poter digitalizzare i processi aziendali occorre investire risorse economiche, talora anche molto rilevanti. Questo è ancora più vero per le micro, piccole e medie imprese (in genere conosciute con l’acronimo MPMI), che spesso non hanno sufficienti risorse economiche e finanziarie da investire nell’ammodernamento delle proprie dotazioni tecnologiche. Un’occasione da cogliere Se lavori o sei imprenditore di una MPMI e stai investendo nella digitalizzazione della tua azienda, il 2018 si apre con una buona notizia e un’interessante opportunità. Facendo seguito alla decisione di investire risorse economiche e finanziarie nello sviluppo digitale del Paese, il Ministero dello Sviluppo Economico ha infatti lanciato alla fine del 2017 un Bando nazionale che prevede l’erogazione di Voucher per aiutare le aziende che intendono investire nella digitalizzazione dei propri processi ed essere più efficienti. L’occasione è interessante perché il Ministero mette a disposizione con questo bando (che speriamo sia il primo di una lunga serie) ben 100 milioni di euro su tutto il territorio nazionale. Le risorse saranno suddivise su base regionale, e per tutte le regioni e le aziende che parteciperanno sarà possibile ottenere un contributo a fondo perduto fino al 50% della spesa sostenuta e fino a 10.000 euro, per interventi ancora da sostenere all’inizio del 2018. Hai letto bene: ogni azienda che investirà in un progetto di digitalizzazione può ottenere fino a 10.000 euro a fondo perduto (ossia senza dover restituire nulla), con cui finanziare i propri sforzi. Chi può partecipare Il Bando è aperto a tutte le MPMI, di qualunque forma aziendale purché iscritte al Registro delle Imprese. Con la definizione MPMI si intendono le imprese fino a 250 dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato annuo. Chi partecipa deve ovviamente rispondere ad alcuni requisiti “classici” per i bandi pubblici, come l’essere attiva e non risultare non in stato di fallimento, concordato o qualsiasi altra forma o situazione analoga. Sono escluse solamente, per le normative europee a cui anche l’Italia deve sottostare, le imprese dei settori soggetti ai c.d. “aiuti di Stato”, come ad esempio l’agricoltura e la pesca. Per il resto, non ci sono vincoli particolari, e possono partecipare imprese artigianali e industriali, dell’edilizia, del commercio, del turismo e di tutti segmenti dei servizi. Se da un lato questo (non ce lo nascondiamo) amplia notevolmente la platea dei potenziali beneficiari e la concorrenza per i fondi, dall’altro però costituisce un’opportunità per tutte le MPMI, senza quelle distinzioni a volte odiose che limitano l’accesso ai fondi alle imprese di questo o quel settore. Che cosa finanziano i Voucher Come dicevamo, i Voucher sono un’occasione molto interessante per le imprese che vogliono investire in un progetto di digitalizzazione della propria attività. Le spese ammissibili ai fini del Bando devono infatti essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento dei seguenti obiettivi: miglioramento dell'efficienza aziendale; modernizzazione dell'organizzazione del lavoro; sviluppo di soluzioni di e-commerce; connettività a banda larga e ultralarga; collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare; formazione qualificata nel campo ICT del personale. Da un punto di vista tecnico, il Bando finanzia: spese per investimenti in hardware, mediante l’acquisto (non il noleggio o il leasing) di beni nuovi; spese per l’acquisto di software, esclusa la modalità a noleggio, in cloud o SaaS (Software as a Service); spese per la consulenza specialistica legata alle tecnologie adottate e al progetto da realizzare; spese per la formazione specialistica, anch’esse strettamente legate al progetto di digitalizzazione da attuare. Alcuni esempi di aziende che potrebbero beneficiare di questi contributi (ma le casistiche sono davvero numerosissime) sono: un’impresa industriale con 3 venditori e 2 agenti che vuole installare sul proprio server interno un sistema CRM per gestire e coordinare meglio la loro attività, con accesso dall’esterno e dotando i venditori di tablet con cui registrare la propria attività e tenere sotto controllo i propri KPI di vendita; un’impresa che vende prodotti alimentari tipici vuole costruire un sito web di eCommerce, e deve pertanto collegare il sito al proprio sistema di gestione del magazzino per poter offrire online informazioni aggiornate in tempo reale sulla disponibilità dei prodotti; una società di graphic design e programmazione di siti web che sta creando un sistema di inbound marketing e ha bisogno di un servizio di consulenza specializzata e di formazione per farlo partire con il piede giusto e avere le risorse interne che possano proseguire nel suo utilizzo; una società di consulenza con 30 dipendenti ripartiti su due sedi del Nord Italia che sta rivedendo la propria architettura di connessione tra i due uffici, installando nuovi firewall in grado non solo di garantire maggiore sicurezza nelle comunicazioni ma anche di far lavorare i consulenti della sede distaccata accedendo ai file e ai documenti proprio come se fossero presenti in quella principale; una piccola azienda di noleggio di macchine e attrezzature per edilizia che vuole finalmente dotarsi di un gestionale specializzato per gestire il parco mezzi noleggiati, monitorandone i tassi di utilizzo, la redditività e la manutenzione programmata. Come si partecipa Il Bando del MISE sarà aperto dal 30 Gennaio al 9 Febbraio 2018, ma già dal 15 Gennaio sarà possibile profilarsi e iniziare a compilare la domanda sul sito, in modo da essere pronti a presentare la propria candidatura dalla data di apertura del procedimento. Le domande dovranno essere infatti presentate esclusivamente online; per presentarle sarà necessario disporre della propria CNS per accedere alla piattaforma e firmare digitalmente la domanda. Il Bando non è sportello, ma a riparto su base regionale: questo significa che NON vale la (spesso odiosa) logica del “chi primo arriva meglio alloggia”; una volta definite tutte le domande di partecipazione ammissibili a finanziamento, nel caso in cui i fondi non fossero sufficienti a coprire il 50% di tutte le domande, questa percentuale sarà ridotta in proporzione per tutte le aziende finanziate. Il Ministero si è impegnato a effettuare le valutazioni delle domande presentate entro un mese dalla chiusura dello sportello online: se questa scadenza sarà rispettata, le imprese che presenteranno una domanda potranno sapere se è stato loro assegnato il Voucher in linea di massima entro la metà di Marzo. Questa è anche la data da cui saranno valide le fatture per le spese e gli investimenti su cui richiedere il contributo. Tutte le spese sostenute prima di ottenere il Voucher, in altre parole, non saranno considerate valide. L’impresa inoltre dovrà sostenere di tasca propria tutte le spese, e realizzare il proprio progetto entro sei mesi dalla data di assegnazione del Voucher. Al termine rendiconterà le spese e otterrà la liquidazione del Voucher secondo la percentuale di contributo che le è stata assegnata. In conclusione I Voucher per la digitalizzazione delle MPMI costituiscono un’occasione importante per tutte le aziende che stanno investendo o vogliono iniziare nel 2018 il loro processo di crescita. Anche se il contributo non dovesse arrivare al 50% della spesa, si tratta di una quota del tuo investimento che viene riconosciuto di fatto gratuitamente dal Ministero dello Sviluppo Economico. Perché non approfittarne?
La smart home, la vecchia domotica, è una dei settori del vasto argomento dell’IoT dal lato B2C, insieme alla smart car e ad ai device indossabili (nel campo B2B si parla invece di Industrial Internet Of Things). In Italia, il leader di settore è BTicino, che dal 1989 fa parte del Gruppo Legrand. Un'azienda che ha nel digital un importante abilitatore di prodotto verso i clienti, ma anche lo strumento base dell’efficienza dei processi di sales & marketing in azienda. Gli acquirenti diretti sono: distributori di materiale elettrico, installatori di sistemi elettrici, studi di progettazione, architetti e consumatori finali. Il digitale è ormai fondamentale per la relazione con ognuno di questi interlocutori. I 200 consulenti tecnici che compongono la forza vendita sono per la maggior parte dipendenti e non agenti e la tecnologia è il punto di forza per la gestione della rete. Abbiamo intervistato Franco Villani, amministratore delegato in Bticino per apprendere quali strategie digitali applica per promuovere e supportare il business, con un focus in ambito commerciale. Abbiamo analizzato come l'azienda applica i Digital Building Blocks: Digital Analytics – Il monitoraggio degli strumenti di digital analytics è il lato evidente sulla quale si basa il controllo delle strategie aziendali che sono strutturate in logica omnichannel: il consulente mette insieme tutti i componenti di sistemi da cui gli arrivano i dati. Il sistema aziendale di sales force automation è stato adoperato sette anni fa ed è stato scelto per permettere al personale di accedere in mobilità per gestire tutti i dati utili alle trattative commerciali. Il sistema di digital analytics, con 500 utenti, più di 150mila visite tracciate, centinaia di corsi di formazione su prospect e clienti monitorati, è una risorsa aziendale finalizzata alla raccolta di dati utili per il supporto all’attività commerciale quotidiana e per analisi di business intelligence (attualmente in sviluppo). Inbound Marketing – L’inbound marketing è uno dei principali focus dell’azienda, soprattutto grazie all’attività di e-learning mirata su installatori, studi di progettazione e forza vendita dei banchi di informazione dei distributori di materiale elettrico. L’attività di formazione è iniziata 4 anni fa e oggi vengono erogati circa 30/40 corsi all’anno con 2.500 partecipanti circa. Sono soprattutto gli studi di progettazione interessati ai contenuti da fruire in comodità dal loro ufficio, ma i corsi online sono strategici per raggiungere anche gli installatori non visitati (sono circa 10.000 i corsi seguiti direttamente dalla forza vendita di BTicino, circa il 25%del mercato). Il traffico viene veicolato principalmente sul sito aziendale, dove al il target di riferimento vengono sottoposte anche campagne di outbound marketing e contenuti brand. Lead Generation e processi di vendita – Il marketing omnichannel viene incentrato sulle attività di Lead Generation. Il prospect (B2B) viene intercettato online (siti aziendali o siti e-learning) o offline (convegni, centri di assistenza tecnica, eventi informativi sul territorio, corsi presso centri di formazione, etc.) per condurlo a un contatto con la forza vendita e tracciarlo tramite i sistemi aziendali per monitorare l’avanzamento della trattativa commerciale (e fornire una dashboard commerciale di controllo al top management). In ottica di content marketing, recentemente è stata realizzata una seriethriller con Giorgio Pasotti “Il mistero sottile”, che ha raccolto gli utenti sul concorso online sul sito www.ilmisterosottile.it. Il focus non è solo rivolto verso l’esterno: l’interazione e lo scambio di informazioni tra i consulenti tecnico-commerciali era incoraggiata precedentemente tramite il vecchio sistema Sul campo e adesso attraverso il nuovo Chatter (attivo da 8 mesi, con 400 utenti e migliaia di post). E-commerce – L’attività commerciale principale di BTicino (B2B) e il focus su un target audience principale di installatori e rivenditori di materiale elettrico, non prevede l’e-commerce tra gli obiettivi strategici principali. L’attività di e-commerce verso il pubblico finale, sviluppata attraverso gli e-shop dei distributori partners, conta solo pochi punti percentuali rispetto al fatturato globale e l’e-commerce B2B funziona per lo più come un sistema di raccolta ordini realizzato secondo lo standard del settore della condivisione di listini di materiale elettrico (ETIM). Attualmente la realizzazione di una rete di vendita online internazionale dei propri prodotti non rientra nelle priorità dell'azienda. User experience – Il tema della user experience è centrale verso i clienti. L’interazione con i componenti in ambito IoT è volta alla completa automazione delle soluzioni domestiche e al controllo anche tramite app su smartphone non solo di videocitofoni, cromotermostati, sensori intelligenti, videocamere di dispositivi salvavita. L’obiettivo non è far diventare comunicanti i dispositivi per seguire il trend in essere. L’obiettivo è di sfruttare la connessione per accrescere i benefici e la facilità di utilizzo per l’utente finale. Iperpersonalizzazione – L'offerta è personalizzata grazie all’utilizzo di configuratori prodotto al momento dell'offerta con la presenza di software di progettazione per i calcoli elettrici (i dati di utilizzo sono tracciati per consentire di compiere azioni di marketing mirate sul cluster in futuro, ad oggi “solo” per poter arrivare al target sui canali digital con i prodotti in campagna al momento). Il vero servizio “su misura” viene garantito dai consulenti che uniscono i vari pezzi al fine di fornire una soluzione personalizzata e strutturata in base alle esigenze del prospect. Vuoi apprendere anche tu il modello operativo Digital Building Blocks? Scarica gratuitamente il primo capitolo del libro Guida per manager nell'era digitale:
What’s in an audit? How do I start? Is there a single way to go about it, or are there many? Table of Contents Steal my process The two types of audits The two scenarios Load time discovery: the steps Runtime discovery: the steps Steal my process More and more people in the web development industry are beginning to see the incredible convenience of having a fast-loading website. It’s good for the users, it’s good for conversions, it’s good for the numbers, it’s good for everybody. Reasonably, people are starting to approach this topic. What’s in an audit? How do I start? Is there a single way to go about it, or are there many? That’s why I decided to outline the entire process I use when I audit a website for performance, so here it comes! Feel free to steal away ;) The two types of audits To me, the term performance audit feels kind of general. I prefer to differ between load time audit and runtime audit. Also, I usually either perform an high level audit or a really specific looking-for-something audit. Lastly, I like to call the former discoveries, the latter investigations or troubleshooting, so let’s clear things up a bit. There are two types of approaches that one can take: High level discovery: you start with general metrics and tests to have a sense of the overall performance of the site. It is not a superficial work by any means, though. There are two very specific goals that need to be attained: to get a clear picture of the state of the website, and to cross out common issues. Typically, it answers the questions: is there a need for fix? Is this website respecting a baseline performance budget? Does it follow established best practices? Is gzip in place? Is it served over HTTP 2? Static assets are served via a CDN? And so on and so forth. Troubleshooting specific to a particular issue or aspect: this one, in most cases, represents a follow up of the previous one. It is tailored to the problem at hand and it is difficult to reduce to a checklist of stuff to look for. Typically, you end up diving deep into the browser timeline trying to figure out what is the root cause of the problems you identified in the previous step. The two scenarios Each approach can be applied to various scenarios, but I usually end up working with these two: Load time scenario: you analyze meaningful metrics that tell you whether or not your website loads fast enough. You identify the font loading technique in use, look for render blocking resources that are in the critical rendering path, you assess — if valuable — the time it takes for the site or app to be interactive. Runtime scenario: discoveries of this type can be very different from case to case. Typically, I focus on scrolling performance and heavy animations. You identify elements that get repainted often (e.g — on scroll, or on click), check whether animations are hardware accelerated, and so on. Load time discovery: the steps Let’s address the more practical side of it, giving you a bullet list of every step I take when going for loadtime discoveries. So far we’ve established two types of perf audits and said that one can focus on either load time or runtime. Now, let’s see an actionable list of steps that you can take on your website today. The following are exactly the steps I take when auditing a website: Open webpagetest.org. Select Moto G, Mobile 3G with 200ms RTT. Check first and repeat visit and run the test. Write down the Time to First Byte. Eyeball First Paint and First Meaningful Paint from the strip view and compare those to the Time to First Byte. If there is a noticeable difference it usually means that the site is either loading render blocking resources or something else is preventing the browser from streaming the HTML. Try to identify the Time to Interactive by looking at the yellow blocks in the timeline view. This exercise is not accurate by an means, but it helps understanding what the load on the main thread is. (Usually, fat yellow blocks mean that the main thread is blocked for most of time, thus the site is usually unresponsive) Take a look at the network breakdown to look for anything standing out: I’m thinking big images, huge script bundles, several different web fonts, and so on. Go through the strip view again, this time comparing it to the network breakdown, in order to identify those blocking resources that are fetched before the FP happens (or before the FMP) Open the site and manually inspect the code, looking for best practices: minification, compression, HTTP2 where possible, CDNs, embedded critical CSS, and so on. This step can usually be sped up by PageSpeed Insights and the Performance audit of the Chrome DevTools Try to identify the font loading technique (typically, none). Fonts get a special treatment for, in my experience, they are the most common cause of difference between FP and FMP. Indeed, on slow networks, so many websites are killed by a FOIT (Flash Of Invisible Text) that is due to the way web fonts are loaded. From this point on, I usually have enough data points and observations to guide further analysis. If nothing stands out, you can pat yourself in the back: your website is great. On the other hand, if something came up during the discovery process, you can dive deeper and attack every problem one by one. This is usually what I call investigations or troubleshooting, and usually leads to fixes and further insights. Runtime discovery: the steps In this last part, I’m giving you a bullet list of every step I take when going for runtime discoveries. First, a quick reminder: in a runtime discovery you focus on those metrics that can tell you if your website runs smoothly enough. The aim is to answer the questions: Does it respond quickly upon interaction? Is scrolling acceptable? Etc.. However, runtime audits can be very different from case to case. Typically, I focus on scrolling lag and heavy animations smoothness. The right thing to do would be to record small interactions on the timeline and see the how long frames are. Then to try to identify the cause of long frames by digging in the callbacks and the render process. It is a pretty accurate, yet slow and painful process, so I like to start by looking for common issues. It is faster and typically ends up solving most performance problems. Here is a brief list of what I usually watch out for: Check the usual suspects of repaints: sticky elements (position: fixed) that can cause paints on scroll, parallax effects, and so on. It is really important to understand that, when optimizing for shorter frames, paints are your harshest enemy. Cross out as many common causes of repaints as you can, it can save you so much time and effort. See if animations are taking advantage of hardware acceleration when possible. Most of the times it boils down to promoting elements to their own layer, so that the GPU can do its thing. Enable “Paint Flashing” on Chrome and see what gets repainted on scrolls or on other basic interactions (hover, clicks, and so on). Go through the main interactions (scrolling top to bottom and back, clicking on core elements, interacting with stuff..) and see if there is any green area lighting up. From there, it is pretty much a matter of what the main activity of the site in question is. Improving runtime performance is an exercise of asking the right questions for the site at hand: What is core the users’ experience? Is it an animation? Or is it scrolling? Is the site responding well upon interactions (as per the RAIL recommendations)? Regardless of how the loading time of the first screen, are secondary routes fast to load? Can they be preloaded? Or cached? Can secondary features (or videos, or images, or any other content) be fetched at runtime? I’ll be honest, there is no concrete secret recipe when it comes to crafting a great experience on the Web. If I had to find some guidelines I’ll say this: you need to empathize with the users and try as hard as possible to let their journey be flawless, while exploiting the idle time (e.g — while the user is reading, or thinking) to lazy load functionalities and content. Try not to lock the main thread for long at once, and may the force be with you.
Inbound Marketing & Assicurazioni Ciao e bentornato con questo mio 3° articolo, dove ti parlo di cosa è l’inbound marketing per ragionare successivamente sul come “applicare” poi nel settore assicurativo. In particolare abbiamo iniziato, con nell’articolo “Assicurazioni. Inbound in principio”, parlando delle figure all’interno di questo nuovo processo e delle basi per iniziare a comprendere meglio cos’è l’inbound marketing. Successivamente in “Assicurazioni. Inbound nel mentre..” abbiamo analizzato quelle che sono le varie fasi di un processo d’inbound marketing. Oggi, per approfondire la parte cruciale del processo di inbound marketing, mi ha aiutato la persona che ritengo tra le più “senzienti” e capaci sull’operatività di questa metodologia. Parlo di Massimo Calabrese, co-founder di dbb (digital building blocks) e persona che dedica quotidianamente la sua vita ai processi di Inbound Marketing & Sales. Insieme ci concentriamo sul capire, alla luce di quello che abbiamo appreso fino ad ora, come “inserirsi” all’interno di quella che è la buyer’s journey dell’utente e quindi analizzeremo tutte i vari step intermedi per farlo. Le regole del gioco sono cambiate Riprendiamo alcune considerazioni che sono alla base di un processo di Digital Marketing. La diffusione di internet e delle tecnologie social hanno cambiato il processo di acquisto dei consumatori. Con la crescita e la diffusione di internet, il mondo è cambiato passando dal paradigma della scarsità delle informazioni a quello dell’abbondanza. La scarsità della «risorsa» attenzione ha portato anche ad uno spostamento dall’attenzione «in affitto» a quella «di proprietà». Ogni possibile cliente è costantemente collegato ad internet: guardiamo il nostro smartphone circa 150 volte al giorno. Non esistono consumatori online e consumatori offline. Per troppo tempo questa è stata la scusa per giustificare la nostra inadeguatezza nel gestire una relazione online con i nostri Prospect (siti web che parlano di nulla, newsletter mai inviate, lead non gestiti, mancanza di una strategia definita e inclusiva verso il cliente). Ogni giorno, in qualsiasi istante, qualcuno sta cercando un prodotto o servizio online; L’Inbound Marketing è qualcosa di profondo e concreto, che si basa su un concetto molto semplice: farsi trovare dai potenziali clienti. A differenza di quello che potremmo essere portati a pensare, l’inbound non è un canale, una campagna, una piattaforma, un funnel o altri trend digitali che ogni tanto conquistano la mente dei marketer. Una strategia di Inbound Marketing definisce le risorse umane e le competenze, i processi, le tecnologie e i contenuti necessari per guidare il processo di ricerca informazioni e acquisto del cliente, chiamato buyer journey. Il Segreto sta nel capire che creando contenuti di qualità, e distribuendoli nei «posti» on line frequentati dai tuoi potenziali clienti, saranno loro a trovare la tua azienda, i tuoi prodotti o servizi assicurativi. Fornendo loro contenuti allineati con i loro interessi, passioni, bisogni, nel momento giusto, nel luogo giusto, nel contesto giusto, saranno naturalmente attratti sulle tue proprietà on line che, se ben progettate (non si parla del sito web istituzionale), attiveranno l’interesse e forniranno lo stimolo per far convertire una visita in lead, coltivare la relazione personale con la Persona, comprendendo il suo “jobs to be done” (ne parliamo spesso in molti articoli del blog, a tal proposito potresti leggere “Job to be Done Insurance” ) e trasformarlo in un cliente; gestire la relazione per trasformarlo in un cliente migliore. Abbiamo già detto che il processo di acquisto (inteso come processo di formazione, di ricerca, di conquista, di relazione, di decisione, di maturazione della scelta) è cambiato, e questo porta ad un’altra verità: deve cambiare il processo di vendita. Non possiamo continuare a parlare di Sales & Marketing assicurativo. Non possiamo continuare a separare, nei soliti silos funzionali aziendali, la relazione tra brand e customer. Per costruire un processo di vendita che supporti il consumatore durante il suo percorso di acquisto o buyer’s journey, dobbiamo prima di tutto accertare che la nostra forza di vendita sia allineata con il marketing, e l’azienda con i consumatori nostri potenziali clienti (Customer Oriented). In gergo potremmo dire la buyer’s journey allineata con il sales process. Un esempio che puoi osservare, per capire meglio di cosa stiamo parlando, riguarda proprio la decisione di Coca Cola, che ha eliminato la figura del CMO (Chief Marketing Officer) istituendo la figura del CGO (Chief Growth Officer), con l’intenzione di abbattere le gerarchie e i silos funzionali, in modo da velocizzare i processi, renderli data driven, permettere la contaminazione delle idee, coordinare la strategia tra marketing, sales, corporate development, customer discovery, innovation. Stai leggendo spesso in questi articoli, casi riferiti ad altre industry. Per questo potresti dunque commettere l’errore di pensare che non toccano l’industria assicurativa. Niente di più sbagliato! Ti vengono fatti presenti questi casi, solo perchè sono industry che hanno subito prima quella che si chiama la trasformazione digitale e quindi hanno toccato prima dell’industria assicurativa il cambiamento in atto. Per questo puoi osservarli per essere pronto a regiare e capire che il principio fondante di un processo di inbound sales e marketing è l’orientamento verso il cliente. Come scritto precedentemente (Il marketing è cambiato), l’equazione magica è: Customer Value = Business Value. Orientare la tua bussola e quella di ogni funzione, ente, venditore, comunicatore, amministrativo che fa parte della tua azienda, verso il cliente non è la cosa più semplice del mondo. La trasformazione non è tecnologica, di processo, di canale, ma la visione di Digital Leaders che mettono da parte la “to do list” del “si è sempre fatto cosi”, e diventano coscienti che ci sono decisioni non delegabili, imparando da “chi sa essere più veloce. Costruire un Inbound Sales Model. Uno dei principi caratterizzanti l’inbound sales people è il fatto che personalizza l’intera esperienza di vendita sul contesto del compratore e lo fa attraverso la costruzione di un Sales Process Framework. In poche parole andando ad inserire tra i 3 step visti nell’articolo “Assicurazioni. Inbound nel mentre..”, ulteriori 4 passaggi chiave che permettono di ritagliare l’esperienza di acquisto su misura per il cliente. Identify Stage In questa fase, che si trova proprio al principio della fase di awareness (di cui abbiamo parlato prima), l’Inbound salesforce identifica contatti nuovi, definiti “strangers”, che hanno bisogni o obiettivi per i quali il prodotto servizio/offerto può essere di aiuto. Questo step è quello nel quale l’Inbound sales people si focalizza su compratori in fase “attiva”, iniziando a contattare i potenziali clienti che si trovano già nella fase di awareness. Per capire in che fase sono, abbiamo visto prima quali domande porsi per imparare a comprendere il cliente in ogni sua fase, qui potremmo concretamente dire (parlando dell’infrastruttura tecnologica dell’intermediario) che sono coloro i quali: hanno già visitato il sito dell’azienda; hanno compilato un form o richiesto informazioni attraverso i nostri canali; hanno aperto una dell’e-mail inviate dal venditore; Hanno cioè, lasciato qualsiasi tipo di traccia sulle nostre proprietà online, ed’ è proprio in questa fase che l’inbound sales people, usa tutte le “impronte” lasciate dai compratori per determinare chi avrebbe bisogno del servizio o prodotto assicurativo che noi vendiamo. L’inbound sales people si può concentrare sui compratori in fase passiva, solo dopo aver identificato e contattato quelli che si trovano in fase attiva, semplicemente perchè è maggiormente conveniente puntare su chi ha già interagito con noi, ed è in una fase più “calda”, rispetto a chi si trova estraneo a noi e al nostro brand (contatto freddo). Un’ulteriore interessante constatazione, sta nel fatto che le persone che interagiscono digitalmente con noi e che quindi conoscono il nostro brand, hanno letto i nostri articoli etc.. sono persone agli occhi delle quali abbiamo acquisito credibilità, autorità e fiducia. (dimostrate). Così con il passare del tempo, sempre più compratori vedranno l’inbound sellers come una guida per consigli, informazioni e aiuto nel processo di acquisto. Connect Stage E’ la fase in cui l’inbound sales people contatta i “leads” per aiutarli a decidere se il problema è una priorità o meno e se il consumatore decide che il bisogno rientra tra le sue priorità, allora questi contatti (leads) diventeranno “Qualified Leads” ovvero contatti qualificati. Per approcciarsi al contatto attivo e capire l’emergenza del suo problema/bisogno, lo si può fare con un messaggio personalizzato sul contesto del consumatore. Ricordiamoci che il cliente è in fase di consideration e preferisce una conversazione, così detta “a due vie” e l’offerta più adatta in questa fase è : Contenuto di valore (video, whitepaper, ebook, infografica..) ; Consulenza gratuita ; E’ molto importante in questo preciso step, che l’inbound sales people riconosca il contesto del compratore: il settore di appartenenza, gli interessi, il ruolo decisionale. Questo al fine di essere in grado di proporgli un’offerta allineata con la fase di consideration in cui si trova il buyer (compratore). Se addirittura, volessimo definire un obiettivo per l’inbound sales people, nella connect stage, potremmo dire che è proprio quella di capire le priorità e i bisogni del cliente, al fine di essere effettivamente d’aiuto e instaurare così un rapporto di fiducia con lui. Explore Stage In questo preciso momento, l’inbound sales people mostra possibili soluzioni generiche al problema o bisogno del “qualified lead” in modo da valutare con lui se l’offerta è in linea con le sue necessità. Solo dopo che il buyer ha mostrato interesse, l’inbound sales people “ha il permesso” per iniziare ad esplorare ad un livello più profondo il contesto del buyers; tutto questo avviene con il fine di aumentare la fiducia e per scoprire nuovi obiettivi e priorità del compratore. Proprio la fiducia, risulta essere uno dei tasselli fondamentali del puzzle, aggiunti in questa fase. La fiducia nel rapporto tra compratore e venditore, in questo momento si concretizza e aumenta attraverso le azioni del venditore, il quale si concentra a capire come e se può aiutare il cliente più facilmente di come lui possa fare da solo. Questo, è possibile farlo attraverso il giusto posizionamento di valore (trasferire informazioni di valore) e le giuste domande da porre al cliente. In questa fase si può, o no, passare a quello che viene definito livello superiore (opportunities). A questo punto, nel caso in cui l’offerta si trovi in linea con le esigenze del “qualified lead” allora questo passerà di “grado” diventando una opportunity. Advise Stage In questa fase (quella finale), l’inbound sales people il quale ha stabilito una relazione di valore con il cliente, presenta a quest’ultimo la sua offerta specifica e unica per il contesto nel quale si trova il cliente in quel preciso momento. Vale la pena sottolinera, che prima di mostrare al potenziale cliente un’offerta unica e specifica, gli si mostra un’offerta generica, che è la stessa per tutti i clienti (che si trovano in quel determinato contesto). In questo modo il cliente ha subito a disposizione le informazioni generali. La proposta immediatamente successiva, deve essere ben presentata al potenziale cliente dall’inbound sales people e per questo deve essere personalizzata anche in base alle sue specifiche esigenze, le quali si conoscono bene dopo la fase di Explore (detta poco fa). La dimostrazione del prodotto mostra essenzialmente quelle che sono le caratteristiche che risolvono il problema al nostro potenziale cliente, e qui il vantaggio competitivo che possiamo avere è quello di far percepire a lui, che l’offerta è totalmente “customizzata” per per le sue esigenze. Solo adesso che si sono concluse le 4 fasi, e se il prospect è concorde con la proposta fattagli dall’inbound sales people, allora il potenziale cliente si trasforma finalmente in cliente. Ricordati che L’inbound sales people, personalizza l’intera esperienza di vendita sul contesto del consumatore e allo stesso modo l’inbound sales team basa l’intera strategia di vendita sul cliente piuttosto che sul venditore : Identify, Connect, Explore e Advise. Nei prossimi articoli andremo ad approfondire come, dopo aver inteso il perchè (il processo di vendita cambia), si può effettivamente e praticamente partire con un percorso di inbound marketing per la propria attività in ambito assicurativo. A presto! Ciao!
Come già citato negli articoli precedenti, il Digital Health Rate nasce per rispondere all’esigenza delle aziende di avere un modello di analisi dei dati in grado da un lato di fornire inizialmente l’input per disegnare una traiettoria proiettata verso la digital transformation e dall’altro uno strumento per l’autovalutazione ed il monitoraggio del proprio modello di business digitale. Elaborato e sperimentato in ambito aziendale, il DHR è stato somministrato ad un campione significativo di PMI, descrivendo una Panoramica generale del livello medio di digitalizzazione delle aziende appartenenti al territorio italiano. Essendo un modello la cui struttura si compone di vere e proprie variabili, risulta somministrabile a qualsiasi tipologia di azienda e organizzazione pubblica o privata, pertanto l’analisi dei risultati ottenuti non è stata segmentata in base al settore di appartenenza, alla dimensione o alla natura giuridica. In relazione al numero di aziende intercettate, l’analisi ha prodotto una serie di risultati indicativi che possono essere applicati al fine di descrivere la situazione digitale media delle imprese italiane: Il 98,1% ha mostrato un elevato grado di consapevolezza sull’importanza di implementare una mentalità volta all’innovazione digitale Il 91% ha almeno programmato una strategia digitale L’84,2% del Senior Management intervistato prevede di investire nel breve periodo per lo sviluppo di un business digitale Inoltre l’86% del campione utilizza risorse esterne per la gestione delle funzioni digitali, facendo outsourcing per l’implementazione di una digital strategy e solo il 33,6% possiede internamente competenze idonee a supportare i processi digitali. Quanto sono digitalizzate le diverse dimensioni delle aziende italiane? Per quel che concerne l’utilizzo dei digital tools, i risultati mostrati nel diagramma (Figura 1) evidenziano come il CRM venga impiegato solo dal 50% del campione di aziende analizzato. Significativi sono anche i dati relativi ad alcune piattaforme digitali: l’80% degli intervistati utilizza l’email marketing, il 52% fa uso di strumenti per la digital analytics, mentre solo il 48% possiede piattaforme di digital project management. Relativamente allo stato di digitalizzazione dell’Area Marketing, i dati ottenuti indicano mediamente una mancanza di approfondimento dei canali digitali e delle relative strategie omni-channel che renderebbero più efficaci ed efficienti le azioni volte al marketing aziendale. Dall’andamento dei risultati mostrati nel sottostante diagramma (Figura 2) la bilancia pende decisamente a favore dei canali tradizionali: l’89% fonda il proprio marketing sulle Public relations, l’87% si affida al Passaparola e il 76% utilizza le Fiere di settore per l’acquisizione di nuovi clienti. In controtendenza è da notare che solo il 29% del campione fa affidamento sul telemarketing. I canali digitali maggiormente utilizzati sono invece Social ed email marketing con il 73%. Sempre in ambito marketing, i risultati hanno mostrato un dato molto significativo per quanto riguarda le strategie di lead generation: addirittura il 56,5% delle aziende intercettate non è a conoscenza di dati come Marketing Qualified Lead e Sales Ready Lead. Una percentuale così alta è sintomatica del fatto che, mediamente, le aziende italiane, da un lato monitorano poco le esigenze dei clienti, e dall’altro non curano adeguatamente le fasi di lead nurturing finalizzate a trasformare i contatti acquisiti in veri e propri clienti. Come vengono gestiti i Digital Analytics dalle aziende italiane? Dalle risposte del campione il 66,3% delle aziende intervistate effettua il monitoraggio e l’analisi dei dati: se il 33,7% non monitora i dati digitali, il 29,7% del campione analizza i dati esclusivamente tramite sistemi di reportistica, il 13,9% monitora i dati digitali solo a livello quantitativo, il 15,8% utilizza piattaforme per il monitoraggio dei dati digitali e per il tracciamento di alcune metriche, ed infine solo il 6,8% ha definito un piano di misurazione, monitora i dati digitali e utilizza dashboard per il processo decisionale. Un interessante risultato è quello relativo al monitoraggio delle metriche aziendali: l’83% del campione intercettato infatti ha evidenziato una totale assenza di misurazione delle performance del proprio business attraverso indicatori chiave innovativi o digitali, preferendo ancora il calcolo di KPI tradizionali o addirittura nessun tipo di monitoraggio. Più nello specifico, un dato emerso molto significativo riguarda alcuni indicatori di performance: Il 26,6% utilizza il CAC (Customer Acquisition Cost), metrica che consente di calcolare il costo medio che un’azienda spende per acquisire un nuovo cliente Il 44,7% monitora il CLV (Customer Lifetime Value), metrica che permette di misurare il potenziale profitto che potrebbe generare un individuo nel periodo di tempo in cui resta in contatto con l’azienda Il 30% utilizza il CRR (Customer Retention Rate), metrica che valuta la fedeltà del portafoglio clienti nella relazione con l’azienda Al termine di questa analisi pare evidente come il livello di digitalizzazione medio delle aziende italiane confermi che il Paese si trovi al di sotto della media europea e continui ad interpretare l’impatto del digital ancora come un rischio e non come un’opportunità da cogliere, così come già spiegato ed approfondito nel precedente articolo. In definitiva i dati emersi indicano che mediamente per le aziende italiane, il percorso di digital transformation è ancora lungo. Si manifesta, tuttavia, una crescita nella consapevolezza dei benefici e dei vantaggi competitivi che un percorso volto alla digitalizzazione può portare all’interno del proprio business. Andrebbe, forse, radicata nella mentalità del management l’idea che trasformare la propria impresa, è qualcosa che va al di là della semplice introduzione di nuove tecnologie, ma equivale invece a ripensare i modelli di business, l’organizzazione e le metodologie aziendali. E tu…come valuti il grado di digitalizzazione della tua azienda?
In un mondo ormai dominato dal commercio online non c'è niente di più allettante di iniziare a vendere su marketplace come Amazon ed eBay. Nonostante la vendita tramite una piattaforma online sia facilitata dai gestori del sito che si occupano degli aspetti logistici più faticosi e dispendiosi, spetta al venditore occuparsi dell'annuncio da pubblicare. Nel fare ciò possono essere commessi degli errori banali che causano la trasformazione di una buona idea in un completo fallimento. Alcuni errori da evitare se vuoi vendere davvero sui MarketPlace Non ottimizzare i titoli delle inserzioni L'uso di titoli anonimi e privi di parole chiave che ne permettono la visibilità è il primo passo verso il fallimento. Il titolo della tua inserzione deve essere “molto parlante”, quindi descrivere, nel limite di caratteri a disposizione, informazioni dettagliate sul prodotto: Marca, modello, colore o taglia - se si tratta di abbigliamento o calzature. Per scoprire quali sono le parole giuste da inserire nell’annuncio, puoi utilizzare Google Trends, che suddivide i trends in categorie molto specifiche e ti aiuta facilmente a cercare le Keyword giuste, in relazione alle tue esigenze. In base alla categoria, Google Trends ti proporrà una lista delle parole più utilizzate recentemente dagli utenti durante la fase di ricerca. Puoi svolgere una ricerca delle keywords adeguate, puoi anche analizzare gli annunci e i titoli di altri venditori online. Con il controllo incrociato capirai quale sarà il titolo che ti garantisce una facile rintracciabilità. Infedeltà dell'immagine al prodotto o mancanza dell'immagine Perché i possibili acquirenti siano interessati al prodotto che stai proponendo, è necessario presentare un'immagine attraente del prodotto. Secondo una ricerca compiuta da Amazon, i clienti sono più portati all'acquisto di un prodotto se è presente un'immagine che li convince. Ci sono dei requisiti richiesti relativi alle immagini inserite. Lo sfondo dell'immagine principale deve essere bianco puro per potersi amalgamare con lo sfondo delle pagine prodotto di Amazon, che hanno valori RGB di 255, 255, 255. L'immagine principale non deve essere un disegno o un'illustrazione né deve mostrare accessori che non siano inclusi con l'articolo o supporti che possano essere confusi con il prodotto stesso. Allo stesso modo, non deve contenere testo che non sia parte del prodotto, loghi, filigrane o altre immagini in riquadro. Il prodotto deve occupare almeno l'85% della superficie dell'immagine. Attenzione, però, a rimanere fedeli alla realtà. Il punto di forza di questi MarketPlace è la fidelizzazione dei clienti. Amazon crea un rapporto di fiducia con gli utenti offrendo una garanzia dei prodotti per mezzo di recensioni scritte da chi ha già acquistato l'oggetto. Descrizioni poco dettagliate Un altro errore che può essere commesso è quello di non offrire sufficienti informazioni al cliente. Bisogna pensare che, nella maggior parte dei casi, stai vendendo un prodotto identico o facilmente sostituibile a quello di un altro (o tantissimi altri!) venditore presente sulla piattaforma. Non ti resta che differenziare il tuo prodotto per mezzo degli strumenti che ti vengono forniti, uno di questi è la descrizione. Il tipico cliente che compra oggetti online vuole avere la stessa esperienza di acquisto che ottiene entrando in un negozio. Devi fare in modo che il tuo potenziale acquirente, tramite la lettura della descrizione, entri in contatto con l'oggetto stesso. Più dettagli ci sono (dimensioni, colore/i, materiale, qualità), più l'utente sarà spinto ad acquistare. Amazon consiglia di inserire una descrizione composta da elenchi puntati chiari e concisi. Prezzo non competitivo Ultimo, ma non ultimo, la scelta del prezzo di vendita. Come anche la logistica di Amazon consiglia, è opportuno scegliere un prezzo che sia competitivo rispetto agli altri venditori che stanno vendono un oggetto simile al tuo: esso non deve essere troppo basso, e nemmeno troppo alto, altrimenti non troverai nessun acquirente disposto a comprarlo. Indubbiamente, i fattori da considerare quando si determina il prezzo di vendita sono moltissimi e le strategie da seguire sono altrettanto varie. Ne ho descritte 5 in questa guida: Le 5 strategie di prezzo per incrementare le tue vendite online La strategia più diffusa è quella determinata dai prezzi della concorrenza. Moltissime aziende, soprattutto all’estero, hanno scoperto la chiave per il successo nella vendita online grazie al controllo e al monitoraggio costante dei prezzi di competitor che vendono prodotti simili o uguali sugli stessi mercati. Sei pronto ad incrementare le tue vendite online?
Linkedin è un servizio web di rete sociale, gratuito (con servizi opzionali a pagamento), impiegato principalmente nello sviluppo di contatti professionali (tramite pubblicazione e diffusione del proprio curriculum vitae) e nella diffusione di contenuti specifici relativi il mercato del lavoro (es. motore di ricerca del lavoro, pubblicità aziende ecc...). La rete di Linkedin, presente in oltre 200 paesi, a gennaio 2009 contava circa 30 milioni di utenti, ha superato i 100 milioni di utenti il 22 marzo 2011, i 200 milioni a gennaio 2013 e ha raggiunto i 400 milioni nel 2015. Per questi motivi (e questi numeri) diventa importantissimo conoscere le potenzialità che può offrire questa piattaforma dal punto di vista della Lead Generation. Ecco 5 consigli per sfruttare al massimo le opportunità di questa piattaforma lato advertising: 1) Curare la pagina aziendale È molto importante avere una presenza aggiornata e curata per quanto riguarda il proprio brand anche su Linkedin, come per tutti gli altri social. Le immagini, i colori e i contenuti della vostra pagina aziendale dovrebbero essere coerenti con il sito web e con i profili di tutti i social media che l'azienda ha. La pagina deve essere aggiornata regolarmente, con contenuti inerenti al proprio business e alle proprie attività dirette. Abbiamo tutti avuto l'esperienza di imbatterci in una pagina Linkedin che viene aggiornata una volta al mese, o peggio, non viene mai aggiornata. Che impressione ci ha fatto? Avere una pagina Linkedin e trascurarla è peggio di non averla affatto! 2) Non dimenticare di ottenere l'URL personalizzato Tutti dovrebbero rivendicare l'URL personalizzato per assicurarsi che includa il proprio nome (ad esempio, http://linkedin.com/in/luigimontemurro). Ciò è particolarmente importante per coloro che entrano spesso in contatto con potenziali clienti - in particolare nel settore B2B - perché incontrando un prospect per la prima volta, è probabile che questo cerchi informazioni su Google e utilizzare l'URL personalizzato rende più probabile che il proprio profilo (o Company Page) Linkedin sia posizionato nella parte superiore della SERP. 3) Sfruttare al massimo le impostazioni di profilazione ll sistema di profilazione targeting che offre Linkedin è senza precedenti nel campo del digital advertising. E’ possibile infatti selezionare ruoli specifici all’interno di aziende di qualsiasi dimensione. Vuoi rivolgerti a responsabili acquisti di piccole e medie imprese? Con Linkedin Ads puoi farlo selezionando un’azienda, ad esempio, in base al range minimo/massimo di dipententi che questa ha. Questa feature in particolare rende LinkedIn Ads perfetta per quanto riguarda il marketing e la Lead Generation B2B. 4) Associarsi ai gruppi e rimanere attivi Un suggerimento che condivido sempre per i proprietari di piccole imprese è associarsi a gruppi Linkedin che sono rilevanti per le loro Customer Persona. Questo, oltre ad essere un ottimo modo per aggiornarsi riguardo le tematiche relative al proprio settore, è anche una strategia per aumentare la propria brand awareness nei confronti dei propri prospect o potenziali tali. 5) Creare il tuo gruppo Linkedin Nel caso non esista un gruppo Linkedin di interesse per le proprie Customer Persona, il consiglio è di crearlo voi stessi. Perché? Se avete letto attentamente l’articolo lo sapete già! E voi? Come utilizzate Linkedin? Sfuttate al massimo le potenzialità dello strumento? Scarica il nostro ebook e scopri come sfruttare Linkedin per aumentare le tue vendite:
Inbound Marketing Assicurativo. “just because you are the loudest doesn't make you right” Brian Halligan - Founder Hubspot Probabilmente se stai leggendo questo articolo è perchè sei un intermediario o comunque una persona che opera nell’industria assicurativa e hai interesse nella distribuzione dei prodotti o servizi assicurativi, ma più nello specifico nel capire (adesso che le “cose” sono cambiate) come fare a crearti quel vantaggio competitivo nella vendita di prodotti. Nel mio precedente articolo “Assicurazioni. Inbound in principio”, ho steso le basi per iniziare a comprendere meglio cos’è l’inbound marketing, come ci si approccia e perché è necessario conoscerne le potenzialità nel mondo assicurativo di oggi. Andiamo quindi avanti rispetto all’articolo della scorsa volta, iniziando a comprendere meglio le fasi di un processo di inbound marketing, che potremmo chiamare INBOUND MARKETING ASSICURATIVO, ma no perchè sia specifico di settore, piuttosto per rimanere maggiormente concentrati sul tema . Ricapitolando brevemente Nell’articolo “Assicurazioni. Inbound in principio”, abbiamo parlato delle due figure che potremmo individuare all’interno di un’organizzazione (con i relativi “compiti specifici”) per potrer approcciarsi meglio alla creazione di una strategia di inbound marketing. In particolare abbiamo parlato dell’inbound sales person, come dell’individuo preposto a trasformare l’intero processo di vendita in un’esperienza ritagliata su misura, in base alle esigenze del consumatore. Poi abbiamo parlato dell’inbound sales team, cioè il team dedicato a costruire la strategia di vendita del prodotto o servizio assicurativo, con la caratteristica di basare l’intera strategia di vendita, sul cliente più che sul venditore. Andiamo adesso a vedere lo step successivo e cioè una per una le varie fasi della buyer’s journey e le domande che si pone chi ragiona con quello che potremmo definire un “inbound mindset” (già che ci siamo coniamo anche questo termine). Awareness Step Questa è proprio la fase che potremmo definire embrionale del processo di acquisto e cioè la fase in cui il compratore ha intercettato un bisogno per lui di valore o un’opportunità anche essa di valore (si intende di valore ciò che per una persona ha senso seguire, vale la pena cioè spendere ulteriori forze nello scoprire più cose). Le 3 domande che possiamo porci per capire meglio l’acquirente in questa fase sono: Come il potenziale cliente descrive i propri bisogni? Come si informa sulle possibili soluzioni? Quali sono gli elementi che fanno di questo bisogno una priorità? Consideration Step Lo step intermedio delle 3 fasi che definiscono la buyer’s journey, è la fase nella quale il consumatore ha identificato chiaramente il suo bisogno e può essere considerato attivamente impegnato a trovare una soluzione che glielo soddisfi. In questo momento lui sta valutando quale sia il metodo e approccio migliore, quindi le domande che in questo caso può valere la pena porsi per capire meglio la sua condizione, sono: Quali sono le categorie di soluzioni esplorate? Dove hanno recuperato le informazioni necessarie? Come percepiscono i vantaggi e gli svantaggi di ogni categoria ? Decision Step L’ultimo è quello decisivo, nel quale il consumatore sa già quale categoria di prodotto risponde meglio alle sue esigenze e secondo lui gli risolve al meglio il suo problema. Questa è la fase nella quale prende una decisione di acquisto scegliendo tra le varie offerte. Nel momento della verità vi è la concretizzazione di numerosi ragionamenti, fatti consciamente o meno, ma che determinano la decisione finale del consumatore. Per capire meglio come migliorare il nostro posizionamento, cercando di entrare nella mente del nostro futuro cliente, in questa fase potremmo chiederci: Quali sono i driver che portano il consumatore ad effettuare una scelta? Quale è la tua VP (Value Proposition) rispetto al resto del mercato? Chi ha peso nella decisione e che vale la pena coinvolgere nel processo decisionale? Conclusioni Questi 3 step che abbiamo identificato, compongono la buyer’s journey ed’è proprio tra queste fasi che si inserisce una strategia di inbound marketing assicurativo. Quindi alla luce delle risposte trovate alle domande che ci siamo posti, andiamo a definire quello che sarà il nostro futuro Inbound Sales Model e che andremo ad osservare nel prossimo articolo. “inbound sales transform sales to match the way people buy” Abbiano analizzato un altro tassello del puzzle chiamato inbound marketing (ne seguiranno altri), ma se ti è piaciuto e vuoi i successivi, puoi consigliare questo e condividerlo con la tua rete. In ogni caso però se vuoi approfondire, qualche tema in particolare nell'ambito digital insurance, puoi scrivermi e sarò felice di farlo. A presto! Ciao!
Crowdfunding e imprenditorialità sono due realtà ancora distinte in Italia, dove il tessuto economico è costituito, in prevalenza, da PMI. Il primo è un metodo di finanziamento dal basso, in cui una moltitudine di persone sostiene economicamente buone idee o necessità altrui. Il tutto avviene attraverso specifici portali per la raccolta fondi online. L’imprenditore, invece, è colui che avvia una attività economica per la realizzazione di beni o l'erogazione di servizi. A oggi, sono ancora pochi gli esempi di piccole e medie imprese italiane che hanno fatto ricorso al crowdfunding per sostenere progetti imprenditoriali. Infatti, troppo spesso quello che è - letteralmente - il ‘finanziamento della folla’ viene percepito come uno strumento ad uso esclusivo delle start-up. In realtà anche le PMI possono ricorrervi per sostenere la propria attività. Anzitutto potrebbero provare a testare la validità di nuovi prodotti o servizi attraverso il reward crowdfunding. Tale modello, applicato al mondo aziendale, consente di offrire in prevendita, ai propri clienti, un bene o un servizio, di solito a un prezzo agevolato. A differenza di una normale compravendita, gli acquirenti - con i loro feedback - possono anche partecipare alla definizione delle caratteristiche degli articoli. In sostanza l’impresa prima propone alla ‘folla’ - ad esempio - una nuova linea di prodotti e, poi, solo a seguito dell’effettiva raccolta di denaro, andrà a metterla in produzione. Una buona campagna reward si può anche trasformare in un potente strumento di marketing, aumentando la possibilità di ricevere altre forme di finanziamento. Un’altra modalità di crowdfunding a cui le PMI possono ricorrere è l’equity. Si tratta di una emissione di azioni o quote societarie attraverso piattaforme autorizzate a gestire tali operazioni. Inizialmente solo determinate tipologie di società potevano accedervi. Un limite rimosso grazie alla Legge di Bilancio del 2017 con la quale è stata data la possibilità di ricorrervi a tutte le piccole e medie imprese italiane. Il modello è differente da una classica quotazione in borsa o dell’apertura della compagine societaria ad un Private Equity o ad un Venture Capital. Infatti è rivolto alle aziende che vogliono improntare la propria crescita futura ed il proprio sviluppo su una community di investitori, che si senta partecipe dell’idea imprenditoriale e sia disposta a condividere il proprio network relazionale, i propri capitali e le proprie risorse. Inoltre, un’efficace campagna equity potrebbe fornire valide credenziali per ottenere prestiti bancari, finanziamenti pubblici o privati e, in alcuni casi, potrebbe anche aprire la strada verso la quotazione in borsa. A proposito di prestiti, a seguito del noto credit crunch causato dalla crisi del 2008, si sono affermati canali alternativi a quello bancario per ottenere credito. Fra questi spicca il social lending, anche noto come peer-to-peer lending. Si tratta di una disintermediazione dei prestiti, in cui gli investitori vantano un credito diretto verso i mutuatari (in questo caso le imprese); al contrario dei risparmiatori che depositano il proprio denaro in una banca, la quale erogherà autonomamente i finanziamenti. Uno studio ha rilevato come l'accesso a questo canale sia, generalmente, più oneroso di quello in cui operano gli istituti di creditizi. Ciononostante la maggiore rapidità di risposta dei portali che offrono questo servizio sembrerebbe essere un valore aggiunto per cui pagare un sovrapprezzo. Infine, tramite il crowdfunding, le PMI possono anche cedere le proprie fatture commerciali. In questo caso si parla di invoice trading, un’attività non molto diversa dal factoring online. Tale modello, assieme all’equity ed al social lending, rientra nel segmento del crowdinvesting, ossia un finanziamento dal basso che prevede una remunerazione del capitale investito. In conclusione, si può ricordare che il crowdfunding appartiene ad un settore, quello della finanza alternativa, che - nel solo 2015 - è cresciuto del 92%, raggiungendo una raccolta complessiva di oltre € 5,4 miliardi. Si tratta di uno strumento che ha buone potenzialità per diventare in una forma di finanziamento complementare, propedeutica o, anche, alternativa al classico canale bancario o a quello delle borse valori per le aziende. Ti interessa il tema del crowdfunding? Fai clic qui sotto per saperne di più:
Assicurazioni su Blockchain Dopo i diversi articoli che ho scritto sul tema blockchain, mi premeva metterti sotto gli occhi un caso pratico di applicazione della Blockchain. Per questo parliamo di Axa e del loro nuovo prodotto di nome Fizzy, che utilizza la rete blockchain Ethereum. Molto interessante, anche se osservandolo mi viene da chiedermi: “Ma la blockchain era proprio necessaria per effettuare questo genere di prodotto? Quanto è marketing, quanto sperimentazione e quanto posizionamento?” Nonostante questi dubbi, mi sembra comunque un ottimo punto da chi partire per capire che cos’è uno smart contract e la sua possibile applicazione nel settore assicurativo. Per questo iniziamo partendo dalle definizioni per poi capire meglio il prodotto di per sé. Definizioni semplificate prima di iniziare Ti dico di partire dalle definizione, perché anche se hai già letto i miei articoli, con le definizioni un manager può capire quali sono i vantaggi di una tecnologia e quindi iniziare a capire se quei vantaggi siano in qualche modo soluzioni ad alcuni suoi “problemi”. Partiamo quindi ragionando sulla definizione semplificata di blockchain: “La Blockchain è un registro (tipo quello cartaceo ma digitale) che è distribuito ugualmente allo stesso modo tra tutti i nodi (computer in generale) che fanno parte della rete blockchain. Questi registri hanno un sistema di protezione delle informazioni difficilmente bypassabile. In questo modo è possibile verificare un’informazione, non più rivolgendosi ad una terza parte che detiene l’informazione originale (Es. istituzione), ma bensì partendo dall’assunto che quell’informazione è vera se è scritta in tutti i registri all’interno della rete...”. A questo, aggiungiamoci la definizione semplificata di smart contract (particolarmente importante con il caso di Axa): “Gli smart contracts utilizzati sulla rete blockchain, sono particolari tipi di contratti che vengono scritti in linguaggio di codice. Nel particolare caso dei contratti assicurativi, potrebbero essere i contratti stessi trascritti in linguaggio di programmazione, in modo tale che l’attivazione di una particolare clausola del contratto si avrebbe in automatico nel caso in cui si verifichi una determinata condizione. Inoltre gli smart contract hanno il vantaggio di non dover essere interpretati da un perito o da una terza parte, ma la sua interpretazione è scritta (sotto forma di algoritmo) al momento in cui il contratto viene redatto...” Partendo da queste due definizioni semplificate, che non vogliono scendere in tecnicismi, è possibile passare a capire il nuovo prodotto di Axa. Fizzy di Axa Se parliamo di marketing e posizionamento, sicuramente in Axa ci sono riusciti, infatti non è da tutti diventare un modello di riferimento per comprendere cos’è e come utilizzare una particolare tecnologia, come in questo caso la blockchain. Il prodotto assicurativo in questione è un’assicurazione pensata per i viaggiatori ed in particolare per chi è particolarmente sensibile agli eventuali ritardi aerei. Quello che Axa propone è di assicurarsi contro il ritardo dell’aeromobile e in particolare viene riconosciuto un risarcimento pari alla somma del biglietto se l’aereo è in ritardo più di due ore dall’orario previsto di partenza/arrivo. Tutto questo poteva essere fatto semplicemente automatizzando il rimborso da un’applicazione o semplicemente facendo fare preventivamente l’assicurazione online e successivamente riconoscendo in automatico il rimborso, sul conto corrente dell’assicurato. Tutto attraverso canali digitali, senza inventare nulla… Però Axa da Compagnia che vuole mantenere il primato nell’ambito dell’innovazione e nella classifica interbrand, ha deciso di sperimentare questo prodotto sulla blockchain, appoggiandosi ad una rete che si chiama Ethereum. Ethereum è una particolare rete blockchain, composta da un gran numero di nodi (oltre 7 milioni di account), la quale ha una moneta propria (l’Ether) e sulla quale ci si può appoggiare i propri smart contract (come quello di Axa) per far automatizzare il processo di risarcimento successivamente ad una verifica (effettuata su tutti i nodi), che il volo sia stato effettivamente in ritardo e che il contratto sia realmente valido. In particolare lo smart contract in questione, quello che fa è leggere l’orario del volo per il quale ci si è assicurati e verificare (nell’ora stabilita della partenza) che l’aereo sia effettivamente partito. Se così non fosse, fa partire una specie di conto alla rovescia, che passate le due ore, se il volo ancora non fosse partito, inivierà un comando al wallet (portafoglio alias conto corrente) dove vi sono i soldi adibiti al pagamento dei sinistri, con l’ordine di trasferire denaro ( indennizzare ) il wallet dell’assicurato. Per ricapitolare ecco il video di presentazione del prodotto: Conclusioni Partendo da questo utilizzo che ne ha fatto Axa, ti potranno venire in mente altri 100 contesti nel quale può essere utilizzata la blockchain, ma ricordati delle definizioni e che può andare bene testare inizialmente per capire il funzionamento di questa nuova logica di distribuzione delle informazioni, ma quello che ti deve interessare è poi utilizzare la tecnologia per il suo vero scopo e cioè quello di rendere verificabili e condivise da tutti determinate informazioni informazioni. La cosa che però mi incuriosisce di più è il capire perchè Axa non abbia aderito ancora all’associazione B3i… Interessante questione da approfondire e magari capire meglio anche cosa stiano facendo nel quartier generale della B3i a Londra. Se ti piacciono gli articoli che riguardano le ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN, allora possiamo rimanere in contatto per i successivi o confrontarci con qualche tema specifico che ti interessa, qui o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Insurance Strategy “if something is important enough, even if the odds are against you, you should still do it” Elon Musk (Founder: Tesla, SpaceX, Paypal..) La prima volta che ho potuto osservare da vicino i limiti logistici, è stato qualche hanno fa, quando mi imbattei in un progetto legato profondamente alla mobilità. Da allora ho iniziato a guardarmi intorno e capire quanto il mondo sia andato avanti in maniera esponenziale un po’ in tutti i settori, quello che però non siamo riusciti ancora oggi a far svoltare in maniera importante è il modo in cui ci spostiamo,più in generale il modo nel quale abbiamo a che fare con i rischi legati alla mobilità. Essendo questi rischi particolarmente di rilievo per ogni individuo, è normale che le società assicuratrici abbiamo legato una buona parte del loro business proprio al tema della mobilità. Un tema che però si trova probabilmente ad un punto decisivo di svolta, poiché soprattutto adesso che le persone iniziano sempre di più ad essere interconnesse, si sente il bisogno di muoversi verso nuovi posti, in nuovi centri, ma soprattutto, ci inizia realmente a stare stretta la mobilità per come è stata concepita qualche secolo fa. A dimostrazione di quanto il problema sia emergente per la popolazione, si può osservare l’aumento esponenziale di progetti legati alla smart mobility. Progetti di impatto più o meno elevato, ma con in comune la voglia di cambiare. A questo punto qualche cosa è finalmente a rischio di estinzione e si tratta proprio dei rischi che per anni ci hanno attanagliato, adesso rischiano di scomparire con il cambiamento nel modo di muoversi delle persone. Aziende come Tesla, SpaceX con Hyperloop One e tante altre cercano di fornirci soluzioni sempre più efficienti ed alla portata di tutti, per questo i rischi cambiano e le società assicuratrici devono prenderne atto e attuare una strategia di posizionamento per intercettare dei rischi prossimi e futuri. La strategia involontaria di cambiamento Stiamo assistendo a diversi tipi di soluzioni che seppur singolarmente non rivoluzionarie, ma da osservare, poiché potenzialmente disruptive nel complesso. Qui ho riunito alcuni temi profondamente connessi ai rischi nella smart mobility. Se andiamo ad analizzare il fenomeno della condivisione del mezzo di trasporto (sharing), in un luogo come in una città, capiamo come sia un fenomeno in naturale risposta al problema di possedere e mantenere un’automobile che poi non è sfruttata; capiamo come tale trend impatti positivamente su almeno 3 dinamiche di rischio, le quali stanno per essere, giorno dopo giorno, sollevate grazie a: Diminuzione inquinamento Maggiore libertà di movimento Diminuzione costi fissi nella finanza privata Questi 3, tra i tanti, impatti di una sola cosa “semplice” come la sharing mobility, portano l’individuo ad aumentare il suo benessere fisico e mentale, con impatti non banali su quelli che sono i rischi che oggi coprono le società assicuratrici. Per non parlare del fatto che il punto 3 rivoluzionerà completamente il concetto di assicurazione personale sulla vettura o comunque sul mezzo di trasporto, il quale sarà scardinato dalle ormai obsolete logiche di posizionamento. E questo è apparentemente ciò che accade quando “individui normali” forniscono soluzioni al problema della mobilità. Quando invece a farlo sono “individui particolari”, allora l’impatto è molto maggiore o meglio lo è su una scala molto più ampia se relazionata al singolo progetto. Per capire di cosa parlo, puoi osservare come ti dicevo all’inizio, l’Hyperloop ed immaginarti di fare Roma-Milano in 30 minuti su un treno veloce in un ambiente “protetto”. Oppure puoi osservare Tesla e scordarti di stare ore e ore alla guida rischiando la tua salute, ma affidandoti a motori di Intelligenza artificiale che hanno un know-how di miliardi di km percorsi su strada e magari tra qualche anno ti daranno anche la possibilità di guadagnare mentre non utilizzi l’automobile - vedi private business nell’immagine 2 (perchè giustamente l’auto quando non è utilizzata, va a prendere e trasportare altre persone come fosse un taxi). Ma anche chi sta facendo questi progetti con la visione di cambiare la mobilità dell’uomo, sa bene che non è un problema da poter affrontare di petto, ma piuttosto occorre una strategia. La stessa Tesla ha iniziato con la vision di portare le auto elettriche che si guidano da sole nel mondo attraverso tre steps. Partendo da una nicchia di mercato con prodotti di “alto” profilo (e costo) adesso siamo giunti al terzo step con la Tesla Model 3 (accessibile quasi a chiunque). Tornando però alla vita di tutti i giorni e cercando di capire come una società assicuratrice sarà influenzata dalla “Rivoluzione della Mobilità”, posiamo osservare le implicazioni dei vari punti toccati poc’anzi: diminuzione inquinamento, maggiore libertà di movimento, diminuzione costi fissi nella finanza privata. Insurance - La strategia volontaria di posizionamento I 3 punti individuati, sono come dicevamo profondamente connessi con il mondo assicurativo, poiché se diminuisce l’inquinamento, diminuirà la probabilità di incorrere in malattie e problemi di salute in diverse città e zone, come aumenterà il benessere dell’individuo e quindi sarà più propenso a prendere delle decisioni migliori sul proprio futuro. Dall’altro lato, la maggiore libertà di movimento genera l’emergere di altri rischi che devono essere ancora capiti e forse è ancora troppo presto per farlo, ma senza dubbio viene abilitata la possibilità di creare nuovi prodotti per il cliente, sbilanciati forse dal lato dei servizi in mobilità (da “guardarci dentro”). Come ultimo punto il trasferimento di costi fissi a costi variabili, nel bilancio di una famiglia significa che intelligentemente si può pensare a garantirsi un futuro migliore investendoci del denaro, il quale potenzialmente non sono più obbligato ad impegnare in “cose che rimangono ferme”. Quindi un target più propenso a certi tipi di prodotti è forse proprio chi già oggi utilizza una mobilità alternativa, guardando al futuro come una fonte di opportunità. Conclusioni Il vero cambiamento non potrà prescindere da quello che è una particolare impegno da parte delle istituzioni, le quali per prime si occupano di gestire e monitorare il trasporto urbano, nonché trovare soluzioni e stringere partnership con chi ne ha già trovate al fine di venire in contro all’esigenza emergente di miglioramento delle infrastrutture viarie. In ogni caso però i privati abbiamo visto come si rendono capaci di fare grandi cose e proprio grazie a questa proattività sempre crescente, verso l’innovazione in tema di mobilità, fa presupporre che a breve vi sarà un profondo stravolgimento della logica che adesso ci porta a spostarci in un modo rischioso, con conseguenze che si ripercuotono dalla salute alle finanze personali. Quindi, non pensare che siamo così lontani dall’entrare in una nuova era di mobilità smart, perchè: “Sembra sempre impossibile finché non viene fatto” cit. Nelson Mandela Se ti è piaciuto l’articolo, ti aspetto con il tema della prossima settimana, ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
La storia che voglio raccontarvi con questo post, è quella di un venditore che sperimenta le brezza - finalmente - dei vantaggi del digital. I venditori, per loro indole naturale, sono orientati ad instaurare relazioni interpersonali longeve e gratificanti. Di tante figure professionali, i venditori sono quelli più inerti alla trasformazione digitale (almeno per la mia esperienza) perché probabilmente molto fiduciosi nelle proprie abilità relazionali. Sono più per il pranzo di lavoro, che non per la confcall. Per un colpo di telefono, che non una sbirciatina ad Analytics. Ma questo approccio valeva in un’epoca della scarsità, non nell’era digitale e dell’abbondanza (per dirla con le parole di Peter Diamandis, fondatore di Singularity University) e non condividerlo significa perdere vantaggio competitivo (se i tuoi concorrenti lo imparano prima di te, ti superano). eDock è un SAAS (Software As A Service) nato per aiutare i venditori a vendere su eBay, Amazon ed altri marketplace. Da qualche mese abbiamo avviato un progetto interno importante (in termini di risorse spese), al fine di migliorare tutti i processi di Marketing & Sales. I nostri venditori sono stati naturalmente coinvolti in questo progetto in qualità di attori principali. Ci eravamo accorti che la cultura delle vendite, in eDock, era relegata al concetto di “quantità” ed era importante per tutti noi che anche le vendite potessero allinearsi ad un atteggiamento mentale del lavoro di tipo “smart”. Lead Generation e processi di vendita - Ci accorgevamo che la produzione di lead (che nel nostro caso sono utenti registrati al sito che provano il software) e la relativa gestione erano ad un livello di efficienza migliorabile. Le ragioni di questa inefficienza venivano da due fronti: da un lato, era per noi complicato riuscire a risalire alle fonti di generazione del lead e ad una valutazione su quanto il lead fosse “pronto” ad acquistare (lead scoring) dall’altro, i processi commerciali si fondavano, preminentemente, sulla abilità relazionale dei venditori più che su un approccio orientato all’analisi dei dati, che per loro natura sono oggettivi Questo tipo di organizzazione rappresentava un’area di miglioramento importante. La domanda che ricorreva alle riunioni era: “perché continuare a produrre lead e non concentrarsi sulla percentuale di quelli convertiti in clienti paganti?”. Infatti, anche ammesso di riuscire ad aumentare il numero di utenti registrati, questo si sarebbe tradotto in un aumento di costi legati alla loro gestione. Digital Analytics - Abbiamo quindi provato a sciogliere questo nodo. La soluzione è stata quella di concentrarsi sulla oggettività dei dati, cercando di abbandonare quella cultura legata alle capacità relazionali dei venditori affidandosi maggiormente alla lettura dei dati. Il progetto è stato complesso ed articolato. Ci siamo dotati di un CRM completamente integrato ad Analytics e nativamente pronto per azioni di marketing automation. Lungo lo sviluppo del progetto i venditori continuavano a nutrire perplessità e a domandarsi: “Ma quali sono i concreti vantaggi che conseguiremo?” Prima del tempo, però, uno di loro ha trovato giusta risposta ai dubbi. Un caso reale occorso proprio nella gestione di uno dei primi utenti registrati e convogliati sul nuovo CRM gliene ha dato modo, ancor prima che potessimo dire che il nuovo progetto fosse definitivamente varato. L’utente in questione si è registrato al software e, come da nostra procedura, è stato contattato per un consulto telefonico preliminare. Da quanto emerso, però, il venditore ha concluso che eDock non fosse adatto al potenziale cliente: era alla ricerca di un gestionale. Opportunità Chiusa/Persa. Iper personalizzazione. La novità che abbiamo introdotto con il nuovo CRM è stata quella di salvare una grande mole di dati, in particolare una serie di elementi sull’uso del software dopo la registrazione. Ora, per molti la parola “gestionale” assume il significato di ERP (Enterprise Resource Planning) ovvero il software che collega i vari dipartimenti di un’azienda per poterla governare al meglio: amministrazione, finanza e controllo, magazzino e logistica, produzione, vendite, ecc. Osservando i dati salvati sul CRM, però, il commerciale ha notato che l’utente in questione aveva già fatto una serie di operazioni che lasciavano intendere che le sue necessità fossero differenti da quanto emerso durante la telefonata. I dati, la loro raccolta ed un’analisi critica ha consentito di rileggere gli eventi. Contattato nuovamente, è stato così un piacere scoprire i veri bisogni del cliente, emersi dall’analisi dei dati e differenti da quelli che “a parole” avevano portato fuori pista il commerciale. ll potenziale cliente, in questo modo, è stato “recuperato” e l’Opportunità aperta nuovamente con grande soddisfazione da parte di tutti, cliente compreso :) E tu, sei in grado di utilizzare i dati come driver decisionali? Scarica la nostra guida gratuita e scopri come sfruttare le risorse online per utilizzare alla massima potenza l'universo del Digital! Inbound marketing. Certo, osservando questo caso con un certo spirito critico, verrebbe da chiedersi come mai un utente dovrebbe registrarsi ad un servizio che non ha compreso o che è differente da quello che aveva in mente. La ragione viene dal fatto che sono i contenuti ad attrarre gli utilizzatori che si registrano ad un servizio. Se i contenuti sono progettati senza una strategica a supporto, allora il rischio che gli interessati siano fuori dal target che desideriamo. Nel nostro caso, invece, l’utente si era registrato effettivamente al servizio che cercava, il problema di comunicazione lo aveva allontanato ma la lettura dei dati oggettivi ha consentito che venissero reinterpretati i suoi bisogni. User experience: Il continuum tra “esigenze degli utenti > contenuti > registrazioni al servizio” prosegue nel momento in cui l’utente registrato prova ad adottare il sistema. In questo senso, ogni dato raccolto con il CRM - quantitativo o qualitativo - rappresenta una buona occasione per poter migliorare l’esperienza sperimentata dai clienti. Il caso che abbiamo trattato è uno di tanti che - in modi differenti - ci ha offerto la chace per migliorare interfacce, terminologie impiegate e processi commerciali. Conclusioni. Tutte queste attività sono tese a reperire più clienti e migliorare la loro esperienza di utilizzo. Grazie a DBB stiamo provando a governarli tutti :)
L’incredibile sviluppo dell’e-commerce in Cina negli ultimi anni è andato di pari passo con quello del settore logistico, che ha avuto un ruolo di cruciale importanza nel corretto adempimento delle consegne e quindi nel successo delle vendite online. La trasformazione digitale in Cina ha cambiato la vita quotidiana delle persone, andando ad impattare sui vari modelli distributivi creando nuove opportunità e miglioramenti: specialmente per gli ordini a rivenditori internazionali, dove gli eccessivi temi di attesa per la consegna risultano essere uno dei principali problemi, la logistica è diventata uno dei maggiori driver nel soddisfacimento dei consumatori finali e riduzione di costi. Online shoppers Nonostante la Cina abbia una popolazione di quasi 1,4 miliardi e conti più di 455 milioni di famiglie, il mercato di riferimento per i rivenditori online risultano essere i 750 milioni di utenti attivi che accedono a Internet regolarmente, un numero maggiore di tutta la popolazione d’Europa. Da un punto di vista logistico, è importante sapere dove si trovano questi clienti e come possano essere raggiunti. Molti risultano concentrati nelle principali città ad est della Cina: Shanghai: 35 milioni di abitanti, centro finanziario ed industriale Guangzhou: 25 milioni di abitanti, centro di commercio internazionale Beijing: 24 milioni di abitanti, capitale e maggior centro turistico Shenzhen: 23.3 milioni di abitanti, “capitale dell’hardware” Wuhan: 19 milioni di abitanti, hub dei trasporti Nonostante le province di Shanghai e Guangzhou insieme contino una popolazione pari a quella dell’Italia, questi giganteschi centri urbani rappresentano meno del 10% degli abitanti complessivi. Troviamo infatti un numero crescente di consumatori nelle città di fasce inferiori (“tier”), dove i consumatori non hanno la possibilità di acquistare offline prodotti di importazione nei negozi tradizionali, e rappresentano enormi opportunità per i rivenditori online. Nei prossimi anni l ’e-commerce avrà l’obiettivo di colmare il gap tra domanda e mancanza di offerta in questi centri non-urbani, che diventeranno uno dei principali campi di battaglia per diventare leader nel mercato cinese. Centri di distribuzione Il mercato cinese presenta alcune sfide logistiche con notevoli distanze anche tra i maggiori centri abitati (basti pensare da Pechino e Shanghai distano più di 1000 Km): al giorno d’oggi un corretto posizionamento dei centri logistici in Cina risulta essenziale. Recentemente sono stati fatti enormi progressi in questo settore, stimolati dalla crescita esponenziale dell'e-commerce e dalla serie di piani quinquennali del governo cinese, al fine di alimentare i consumi interni e la crescita economica. Oggi la Cina ha ora una vasta infrastruttura che comprende oltre 230 aeroporti e un’importante rete ferroviaria ad alta velocità: nel corso del 2016 sono stati consegnati in Cina 31,3 miliardi di pacchi, un aumento del 51,4% rispetto all'anno precedente. Questa crescita esponenziale sta portando notevoli investimenti ed aumento della concorrenza, con 3.000 compagnie logistiche che ora operano in Cina. La maggior parte dei principali centri di distribuzione si trova tradizionalmente sulla costa orientale, ma con lo sviluppo di centri urbani e infrastrutture associate, questi stanno estendendo il nord e l'ovest. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina Consumatori sempre più esigenti Dopo aver effettuato l’ordine e pagato, i consumatori cinesi attenderanno di ricevere il prodotto a casa loro, abituati a tempi di consegna attendibili e sempre minori: nelle città di prima fascia i prodotti vengono portati a destinazione in meno di 24 h ore solitamente (a Shanghai a volte entro le 4 h), nonostante per i prodotti internazionali possano essere un po’ più pazienti. Grazie a sistemi integrati per tracciare i pacchi, gli utenti possono seguire con esattezza l’intero processo logistico, dal momento in cui il pacco lascia il magazzino fino alla logistica dell’ultimo miglio. Le compagnie straniere che vorranno vendere prodotti tramite e-commerce dovranno di conseguenza valutare bene le diverse soluzioni logistiche per loro. I consumatori cinesi si aspettano un buon servizio e una proposta al dettaglio alle loro condizioni: non apprezzano la visione occidentale delle aziende di utilizzare più o meno la stessa strategia o mostrare loro come dovrebbe essere fatto. La Cina è diversa e la loro prospettiva è diversa: i marchi che hanno avuto successo in questo mercato sono quelli che sono riusciti ad apprezzare le differenze, rispettare il consumatore e mantenere quanto promesso. Free trade zone (FTZ) Per risolvere parte dei problemi e aprirsi alle economie globali, il governo cinese ha instaurato diverse “Free-Trade zone” alla fine del 2013, destinate ad offrire soluzioni cross-border più regolate ed affidabili. Queste “zone di scambio libero” si caratterizzano per aree geografiche all’interno di un paese nella quale aziende estere possono importare materiali, svolgere attività di produzione, movimentare beni ed esportare prodotti finiti senza essere soggetti a tariffe o con imposizione di tariffe ridotte rispetto al resto della nazione. Generalmente le FTZ sono ubicate vicino ai principali porti commerciali e aeroporti, dove è presente un ambiente di business più favorevole ed infrastrutture migliori per attività di vendita cross-border. Attualmente queste province risultano essere 13: Shanghai, Tianjin, Guangdong, Fujian, Liaoning, Zhejiang, Henan, Hubei, Sichuan, Shaanxi e Chongqing. La logistica risulta essere l’ultimo anello della catena del processo di acquisto: alcuni fattori quali i regolamenti per i pagamenti mobili, fatture elettroniche e diffusione di tecnologie avanzate stanno influenzando le performance logistiche e le loro relazioni. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina
Il mercato dell’e-commerce in Cina, oltre essere il più grande del mondo, sta progressivamente diventando un punto di riferimento per il commercio globale presente e futuro, continuando a registrare tassi di crescita a doppia cifra anno dopo anno. Mentre originariamente lo sviluppo di questo settore si concentrava sulle città di primo livello, ora è disponibile in tutte le aree metropolitane. Si stima che nel corso del 2017 i volumi delle vendite abbiano superato 1 trilione di USD, vale a dire oltre 1000 miliardi: in meno di un decennio, la Cina è emersa come leader mondiale dell’e-commerce, rivendicando oggi più acquirenti online di qualsiasi altra nazione. Ma quali sono le principali ragioni di questo incredibile sviluppo? La crescita della classe media La classe media in Cina è in costante crescita, e si prevede che entro il 2030 arrivi contare per il 75% della popolazione. Il conseguente aumento del reddito disponibile implica una maggiore propensione da parte dei consumatori nello spendere i loro soldi in una serie di categorie con maggiore enfasi su qualità e moda rispetto al passato. I consumatori di classe medio-alta stanno inoltre alimentando la domanda di beni non disponibili sul mercato interno: piattaforme dedicate ai brand internazionali, come Kaola.com, Tmall Global e JD Worldwide, stanno guadagnando sempre più popolarità. Qui i marchi stranieri di nicchia e fascia alta risultano facilmente accessibili, e gli utenti sono soliti non comprare solo per sé stessi ma anche per tutta la famiglia, dando la priorità al valore del prodotto piuttosto che al prezzo. Se in passato i fattori chiave nella decisione d’acquisto per i consumatori cinesi risultavano essere costo e praticità, oggi questi stanno diventando più sofisticati, interessandosi sempre più a prodotti premium piuttosto che di massa. Pagamenti mobili digitali Alipay e WePay sono le piattaforme di pagamento online più popolari in Cina, e sono già parte integrante di colossi e-commerce come Alibaba e JD.com. Stanno diventando più diffusi specialmente tra i consumatori cinesi più giovani, a causa delle basse commissioni e della comoda esperienza utente, incoraggiando i consumatori a spendere ancora di più online. I pagamenti per dispositivi hanno raggiunto oltre i 7,5 trilioni di dollari USD nel 2017: i consumatori si stanno rapidamente allontanando dal contante e con i loro alti livelli di utilizzo dei social media, in particolare WeChat, i pagamenti sono diventati un'estensione naturale di questi per loro, anche nel mondo offline. Uno dei molti vantaggi di queste piattaforme di pagamento di terze parti è che in genere sono molto facili da richiedere per un rivenditore online; molti commercianti internazionali infatti ne stanno approfittando. L'utilizzo di AliPay o WePay sarà un “must” per ispirare fiducia al cliente e negoziare con loro. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina Lo shopping online è uno sport nazionale Un chiaro esempio di come l’economia cinese, guidata dai consumi, si evolva digitalmente è lo straordinario successo dell'evento “Double 11” dell'11 novembre 2017, la festa dei single. In questa giornata diventata una popolare festa per lo shopping in Cina, si stima online dei colossi JD e Alibaba abbia raggiunto rispettivamente i 17 e 25 miliardi di USD di vendite in un solo giorno. Registrando una crescita delle vendite del 40% rispetto all'evento del 2016, appare ovvio quanto i consumatori cinesi sono fiduciosi nelle loro spese e di come i consumi non possano che salire negli anni a venire. Queste shopping-holiday sono un'opportunità sia per marchi locali che brand stranieri per sfruttare l'entusiasmo collettivo tra i consumatori cinesi, continuamente alla ricerca di prodotti nuovi da sperimentare ed acquistare prodotti che potrebbero essere nuovi per loro. O2O: online e offline sempre più integrati Il termine new retail coniato da Jack nel 2016, esprime un concetto che sottolinea l'integrazione di elementi di vendita online e offline, inclusi prodotti, servizi, logistica, big data, marketing, gestione. Il modello di business Online to Offline (O2O) sta trasformando il settore retail e portando cambiamenti ed opportunità in vari mercati. Creando una strategia “omni-channel”, l’obiettivo è di ottimizzare l’integrazione del cliente con l’esperienza di acquisto su tutte le piattaforme che esso potrà incontrare, creando un’esperienza uniforme. Il supermercato Hema, negozio con cibi freschi e servizi di ristorazione, è un buon esempio di come il gigante dell'e-commerce Alibaba si sia evoluto all'interno del panorama O2O. Allo stesso tempo l’altro colosso cinese JD.com, ha aperto un negozio fisico con insegna “7Fresh”, specializzato sul mondo dei prodotti freschi di fascia premium e con la presenza di strumenti tecnologici a supporto dei consumatori per una shopping experience coinvolgente e innovativa. Il ruolo delle piattaforme multimediali Le caratteristiche dei social media, dove le persone si conoscono a vicenda, ne fanno un luogo ideale per condividere e commentare i prodotti: con l'aumento del numero di utenti con dispositivi mobili, questi rappresentano un ruolo fondamentale nel processo d’acquisto dei cinesi, che sono soliti cercare feedback e informazioni su piattaforme piuttosto che sui motori di ricerca. Una delle conseguenze principali, è la crescita dell'importanza dei Key Opinion Leaders (KOL), personalità che esercitano un'influenza su molte centinaia di migliaia di consumatori e possono essere forti ambasciatori di una marca o di un prodotto. Esistono numerosi esempi di marchi che hanno sfruttato la potenza di questi strumenti promozionali: la chiave del successo di questi è trovare quelli adatti al proprio marchio o scopo. Se consideriamo il volume del pubblico potenziale, generare traffico di qualità online può risultare un grosso problema: i clienti sono alla ricerca di un'esperienza più ricca, dedicano tempo alla scoperta di brand e prodotti, per catturarli sarà indispensabile pubblicare contenuti utili ed elementi di intrattenimento. L'attuale crescita dell'e-commerce ne ha fatto una priorità assoluta per la maggior parte dei rivenditori e dei produttori: l'innovazione in questo settore in Cina risulta essere un chiaro obiettivo, ed i nativi digitali ne stanno guidando la crescita. I giganti di Internet sono in prima linea nelle tecnologie emergenti: il rapido cambiamento del panorama della Cina è ormai una realtà concreta, e influenzerà il resto del mondo negli anni a venire. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina
Dopo aver visto come questa piattaforma consenta di accedere a qualunque tipo di servizio in Cina ( ne abbiamo parlato nell'articolo Che cos’è WeChat?), andremo a rispondere alla seguente domanda: come possono le aziende sfruttare la natura integrata di WeChat per promuovere la proprie attività e brand in Cina? Data la sua onnipresenza in Cina, questa piattaforma gioca anche un ruolo chiave per quanto riguarda marketing e pubblicità. Il primo step risulta essere l’apertura di un proprio “official account”, un canale per imprenditori, persone famose, media, governo ecc, che permettere di promuovere il proprio brand o marchio a milioni di utenti. Verso la fine del 2017, su WeChat erano presenti circa 3.5 milioni di account ufficiali attivi al mese, con una crescita del 14% rispetto l’anno precedente. Diversi tipi di account WeChat Esistono attualmente tre tipi diversi di account, ognuno con funzioni che incontrano bisogni di marketing differenti: Subscription account Risulta essere l’account più basilare, progettato per aggiornamenti e comunicazioni. Il vantaggio principale è che permette di pubblicare articoli o mandare messaggi una volta al giorno, rivelandosi il più adatto per i media o per aziende “content-based” che devono mandare aggiornamenti frequentemente. Questa risulta essere l’unica alternativa disponibile per attori e blogger per esempio. I messaggi di questi account finiranno nella cartella “subscriptions” presente nella home page di WeChat. Gli utenti non riceveranno notifiche, in quanto la maggior parte di loro segue molti account diversi e verrebbe disturbata di continuo: saranno loro che volontariamente entreranno nella cartella e per leggere i contenuti ed aggiornarsi. Service Account I service account sono i migliori per organizzazioni e business: molti di questi hanno complicati sistemi CRM e WeChat Store all’interno, e supportano funzioni avanzate tra cui WeChat Pay e tante altre. Sono una chat a tutti gli effetti: gli utenti possono mandare dei messaggi e rispondono subito one-to-one, possono configurare dei bottoni dentro WeChat (back-end) che rimandano banalmente al sito web o pagine accessibili in Cina. Questi account si focalizzano soprattutto sul servizio clienti e sulle vendite, e possono mandare solo fino 4 messaggi al mese. A differenza dei “subscription account”, i “service account” appaiono nella lista delle chat proprio come se fossero amici, e gli utenti ricevono una notifica ogni volta che un contenuto viene pubblicato. Questo permette una grande visibilità e un senso di familiarità per l’utente. Enterprise Account Utilizzati per la gestione interna delle aziende, questi account rendono più facile mandare messaggi ai dipendenti e rendono più fluente e sicura la comunicazione, evitando fuga di informazioni riservate. Se sei un brand internazionale intenzionato ad entrare in Cina dunque, la scelta più consigliata risulta sicuramente aprire un “Service Account”. A differenza dell’occidente, dove le aziende postano contenuti sperando di raggiungere il maggior numero possibile di follower e views, WeChat ha un approccio completamente diverso in quanto torna nuovamente la logica del servizio offerto. Se una persona ha scelto di seguire brand, i media non hanno nessun diritto di filtrare la comunicazione tra questo e l’utente: non c’è algoritmo. Tutte le volte che un account ufficiale manda un messaggio broadcast, il cellulare degli utenti che lo seguono suona: è esattamente come ricevere un messaggio da fidanzata o familiare, perché nella mentalità WeChat, il brand è un amico dell’utente, che ha scelto appositamente di seguire. Creare un WeChat Official account Per la maggior parte delle aziende in Cina, sono necessari due documenti per creare un account ufficiale di WeChat: Licenza aziendale cinese (营业 执照) ottenuta da una società locale o WFOE ID cinese (身份证) con un account di pagamento WeChat Qualora non si disponga di una licenza aziendale cinese, esistono le seguenti alternative: Opzione 1: registrare una società (WFOE - Wholly Foreign Owned Enterprise) in Cina. Questo non è l'approccio raccomandato in quanto è un processo costoso e lungo (almeno 6 mesi). Dopo aver configurato la società, avrai la licenza commerciale per creare un account. Ma è un grande investimento, e vale davvero la pena se si prevede di assumere persone in Cina. Opzione 2: utilizzare una licenza commerciale di terzi. È possibile prendere in prestito una licenza commerciale da un'altra entità cinese (ciascuna può registrare 50 account WeChat), che creeranno un account per una commissione di gestione di circa $ 500 all'anno. Tuttavia, l'account rimarrà collegato all'entità legale cinese: potrete scegliere il nome, il logo e la descrizione del tuo account, ma il nome legale della società apparirà comunque. Opzione 3: passare attraverso un processo speciale di Tencent che permette di creare un account WeChat visibile dalla Cina. Tencent addebita una tassa di verifica di $ 300 USD, ma è una procedura che dipende da caso a caso e non troppo utilizzata. Creare un WeChat Store Un “WeChat Store” è un sito web mobile che si collega al menu dell'account ufficiale, permettendo facilmente agli utenti di accedervi e pagare “con un clic tramite WeChat Pay. Una volta impostata la presenza ufficiale di un brand, lo step successivo sarà collegarlo ad un negozio per iniziare a vendere. Ecco le due principali alternative per creare un WeChat Store: Crea il tuo sito web WeChat personale: come dicevamo, uno store è solo un sito Web che è stato migliorato per funzionare meglio su WeChat e utilizzare alcuni superpoteri di WeChat (login, pagamenti, condivisione, ecc). Quindi una soluzione è semplicemente creare il tuo sito web e integrare l'API di WeChat per alcune delle funzioni specifiche di WeChat. Questo può essere ottimo, ma richiede un sacco di soldi e sviluppatori con una conoscenza approfondita dell'ecosistema di WeChat. Usa una piattaforma di negozi WeChat: esistono molte piattaforme che permettono di creare rapidamente negozi online (es: WalktheChat, Weidian, JingDong) di WeChat, permettendoti iniziare velocemente e con costi abbordabili. La personalizzazione rimane però limitata. Molte persone sono convinte che non sia possibile creare WeChat Store fuori dalla Cina, ma non è affatto così e continueremo ad approfondire questo aspetto anche negli articoli successivi. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina
Tutti coloro che hanno avuto a che fare con la Cina, sicuramente conosceranno la più famosa applicazione di messaggistica istantanea, WeChat. Nonostante spesso venga definita per semplicità la “WhatsApp cinese”, in realtà è ben molto di più: un vero e proprio stile di vita, alla base della smart life in Cina. Come funziona WeChat? Wechat nasce nel 2011, ed in pochissimi anni è diventata una concreta realtà nella vita quotidiana cinese: oggi vanta 980 milioni di utenti attivi mensili (fonte: Tencent Report 2018), e oltre a permettere alle persone di comunicare, offre servizi che vanno ben oltre una qualsiasi e semplice applicazione di messaggistica. Ecco una lista di alcune delle attività principali: Mandare messaggi e fare chiamate audio/video con tuoi contatti Trasferire denaro ai tuoi amici Ricaricare il tuo telefono Ordinare un taxi Acquistare biglietti per il cinema Prenotare appuntamenti Ordinare cibo Investire denaro Prenotare un treno o un biglietto aereo I cinesi sono noti per essere una popolazione digitale sempre più on-line, e dedicano approssimativamente 1/3 del loro tempo trascorso su dispositivo mobile a WeChat. Essendo questa piattaforma un ecosistema decentralizzato ed orizzontale, consente agli utenti di di fare tutto quello che voi possiate immaginare, accedendo a migliaia di di servizi senza mai uscire da essa. Va ricordato che fondamentalmente WeChat è un’applicazione che non inventa niente di nuovo: messaggistica istantanea, con dentro browser, media player, Qr-code reader, geolocalizzazione ed una sorta di paypal. Quali sono dunque le cause di questo enorme successo? A differenza dei paesi occidentali, dove le persone hanno vissuto l’avvento di Internet nel corso degli anni, per molti cinesi hanno iniziato a navigare online con lo smartphone in mano: lo dimostra il fatto che oggi molti non possiedono nemmeno un computer. Mettendo insieme tutte le funzionalità precedentemente elencate, abbiamo fondamentalmente ricreato internet partendo da una chat, il punto di partenza per arrivare a pagine e siti. WeChat cresce allo stesso tasso dell’adozione degli smartphone perché di fatto è Internet. E’ il modo normale di vivere la vita digitale. Ecco una giornata tipo di un utente WeChat “Danny Xiao è una giovane manager di 26 anni che vive a Pechino, e WeChat svolge un ruolo indispensabile nella sua quotidianità, sia in termini di vita privata che lavoro. Appena sveglia, inizia la sua giornata scorrendo i suoi “Moments”, un’importante funzione di social networking presente all’interno dell’applicazione: qui amici e familiari condividono post, video, articoli, canzoni sulle proprie vite e sulle ultime novità. Uscita di casa, si reca alla postazione bike-sharing più vicina, dove sbloccherà una bicicletta usando il QR-code-reader di WeChat; si dirige poi allo street-food più vicino al suo ufficio per mangiare qualcosa, dove ovviamente pagherà con WePay, il sistema di pagamento mobile connesso al conto corrente. Entrata in ufficio, la sua giornata lavorativa inizia con una discussione all’interno del gruppo WeChat aziendale, e una volta finita questa le toccherà una videochiamata con i colleghi americani, tramite la sua applicazione preferita. Con i suoi clienti è solita scambiarsi informazioni o link importanti, che salverà nei “preferiti” di WeChat. A metà mattina si concede un caffè (penso già sappiate come pagherà!), ma in questo caso effettuerà la transazione off-line: i negozi infatti permettono alle persone di inquadrare un QR code o mostrare il proprio in cassa per completare l’acquisto. Nei pochi minuti di attesa prima di ricevere il suo caffè ha deciso di controllare la lunga lista di news ed articoli pubblicati dai “subscription account” di WeChat alla quale si è iscritta. Tornata a lavoro, Danny chiama un corriere che dovrà spedire dei pacchi per suo loro, e utilizzerà specifiche funzioni di WeChat per organizzare l’orario di ritiro e compilare moduli vari. Oramai è ora di pranzo, e Danny apre un “miniprogram” per ordinare del cibo per tutti i colleghi, che le restituiranno i soldi successivamente in pochi secondi. Finito di mangiare, utilizza WeChat per cercare recensioni dell’orologio che da tanto tempo ormai stava valutando di comprare, e dopo aver letto molti feedback positivi, finalmente completa l’acquisto, senza mai uscire dall’applicazione. Sono ormai le 18, e Danny effettua una veloce chiamata audio con i genitori prima di andare a farsi una passeggiata; tornata a casa, scopre sorprendentemente di essere in cima alla classifica di “WeRun” per aver raggiunto i 20.000 passi quel giorno, e tantissimi amici virtuali le avevano fatto i complimenti. Dopo aver cenato, Danny utilizza per l’ultima volta WeChat prima di dormire per controllare il meteo del giorno dopo, dopodichè si addormenta. “ Questo è solamente uno dei tanti esempi di come WeChat sia allo stesso tempo sia un piacere che un bisogno di primaria importanza per gli utenti cinesi. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina Un modello di business unico al mondo WeChat risulta essere un’applicazione unica nel suo genere, con un modello di business unico al mondo: Social Networking WeChat ha l’obiettivo di far comunicare le persone tra di loro, permettendo agli users di chattare e fare chiamate audio/video con i loro contatti. Come già preannunciato, esiste inoltre una funzione di social networking chiamata “Moments”, dove gli utenti possono caricare il loro stato, condividere foto/video ecc. Per molti cinesi controllare questa sezione è la prima attività della giornata appena svegli, e solitamente sono molto più tentati di accedervi in quanto già integrata all’interno di WeChat, sulla quale passano più di 90 minuti al giorno. Marketing & Advertising Data la sua popolarità in Cina, WeChat è anche uno strumento importantissimo di marketing e pubblicità. Nell’Agosto del 2012, l’applicazione ha lanciato gli “Official Account”: questi permettono ad imprenditori, aziende, celebrità, media di promuovere il proprio brand, connettendosi con gli individui in modo diretto e migliorando la “customer loyalty”. Gli utenti si iscrivono questi gratuitamente e volontariamente, al fine di ricevere regolarmente gli ultimi aggiornamenti, avere una conversazione diretta con il brand e se necessario essere rimandati al sito ufficiale per acquistare o ricevere maggiori informazioni. (Leggi l'articolo Quali sono le strategie di marketing per WeChat) Sales WeChat è presente nelle reti di vendita e-commerce con il suo popolare sistema di pagamento mobile WePay: insieme ad Alipay (il corrispondente sistema di Alibaba) detengono insieme il 90% del settore dei pagamenti mobile. Ogni utente detiene il proprio “WeChat wallet”, connesso al conto bancario, che permette infinite tipologie di transazioni. In aggiunta, i brand hanno la possibilità di creare il proprio “WeChat Store“completamente integrato con il proprio account ufficiale: in questo modo, gli utenti possono completare interamente il loro processo di acquisto senza uscire da WeChat (leggi l'articolo: Come ostruire una presenza in Cina grazie a WeChat). CRM Essendo una piattaforma semi-chiusa, WeChat è un ottimo strumento per la gestione dei clienti: la comunicazione più “intima” tra utenti e brand, l’analisi demografica dei propri consumatori ed altre funzioni CRM, permettono alle aziende di personalizzare i messaggi da inviare ai propri clienti e di rendere loro la vita più facile offrendo servizi o aiutandoli nella ricerca di informazioni. Combinando tutti questi aspetti capiamo perché è così conveniente usare questa applicazione e di come semplifichi la vita degli utenti permettendo di fare praticamente tutto: WeChat è un punto di connessione tra gli utenti e il mondo esterno. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina
Ottima notizia per le aziende occidentali: il funnel di vendita in Cina risulta essere lo stesso: bisogna farsi conoscere, interagire e convincere il consumatore a comprare, farsi pagare e fornire servizio post-vendita. Tutto questo rimane immutato: la differenza sostanziale è che tramite WeChat questo processo avviene per intero in un unico ambiente. Attrarre Visto che più del 50% del tempo speso su internet in Cina avviene su piattaforme di Tencent, e poiché quasi tutti gli utenti hanno il “wallet” collegato all’applicazione, il colosso cinese è in possesso di dati relativi alle carte bancarie abbinate all’app e sa dove/come i consumatori le usano. Sapendo inoltre dove vivono grazie al gps del cellulare e osservando quali brand seguono su WeChat, è possibile capire i loro interessi e se questi sono per esempio altospendenti oppure no. Essendoci più di 1 miliardo di possibili clienti in Cina, se non sono bravo a segmentare rischio di sprecare ingenti quantità di denaro per niente. Risulta dunque fondamentale pubblicare contenuti utili e rilevanti per gli utenti: quando disegniamo la strategia per la Cina, bisogna tenere conto che i consumatori si aspetteranno una campagna mirata ai loro gusti e alle loro necessità. Anche un investimento pubblicitario di 20.000 € può diventare significativo se fatto nel giusto modo. Un possibile esempio di segmentazione possono essere le donne in Cina tra i 27-32 anni, medio/alto spendenti, appassionate di sport, tornate da poco da un viaggio in Italia. Informare e Persuadere In un ambiente come quello di WeChat, gli spazi offerti sono tipicamente meno di quelli che vengono richiesti dalle aziende: questa è una scelta voluta da parte di Tencent, che ha lo scopo di offrire servizi utili a semplificare la vita delle persone, non un'ennesima piattaforma di advertising. Da un certo punto di vista questo meccanismo è positivo, in quanto non bisogna pagare per l’algoritmo ed essere in cima ai risultati di ricerca, ma dal punto di vista del marketing risulta più complesso agire. Le aziende hanno l’opportunità di contattare i loro follower one-to-one e dire loro quello che vogliono: questo sposta tutta la pressione su di essa, in quanto se i clienti cliccano e non leggono il messaggio è perché è stato scritto male o non è risultato interessante. La piattaforma non da nessun vincolo né nessun aiuto. La gestione dell’account ufficiale su WeChat risulta essere simile all'aggiornamento di un blog o di un “magazine”: mediamente un numero tra il 7% ed il 15% dei follower legge per intero i contenuti ricevuti, un dato importante che indica quanto possa essere utile WeChat in chiave marketing. Vendita e Assistenza L’utente dopo aver conosciuto il brand ed essere stato corteggiato, potrà ovviamente a questo punto anche comprare. La piattaforma però non risulta essere nè retailer nè marketplace: le persone accedono a siti ufficiali o WeChat Store e possono pagare tramite essa, ma WeChat non vende. Frequentemente la transazione avviene on-line grazie a WeChat Pay, ma può essere effettuata anche off-line mostrando il proprio QR code in negozio e completando l’acquisto. In ogni caso, per qualsiasi modalità di vendita di un brand, l’unico vincolo è che WeChat non permette agli utenti di accedere a Tmall e tutto ciò che è il mondo Alibaba per ovvi motivi. Ricapitolando è possibile dunque raggiungere ed informare il consumatore cinese, educarlo e persuaderlo all’acquisto, ingaggiarlo in negozio online/offline, farlo pagare e offrirgli assistenza post-vendita senza mai uscire da WeChat. Leggi anche l'articolo: Come costruire una presenza in Cina su WeChat. Scopri le potenzialità del cross border e-commerce per vendere in Cina
Riuscire a vendere bene su Amazon è considerato un traguardo da molti venditori che puntano al commercio online per incrementare i loro profitti. Certamente, data l'ampia richiesta da parte dei commercianti e le molteplici proposte di prodotti simili o persino identici che arrivano ogni giorno, Amazon aveva bisogno di effettuare una valutazione preventiva per capire quale fosse il miglior prodotto da presentare al consumatore mettendolo al primo posto in quella che viene definita per l'appunto Buy Box. La Buy Box di Amazon: cos'è e come funziona Sicuramente avrai sentito parlare di questa speciale scatola, ma se non hai mai approfondito i ragionamenti che ne sono alla base e sei incuriosito dalle tematiche che riguardano il marketing online, troverai senz'altro interessante la lettura di questo articolo. Vedremo, infatti, come viene effettuata la valutazione da parte di Amazon e soprattutto quali sono i meccanismi in atto per definire qual è il venditore che sta proponendo, in quel momento, il miglior servizio al prezzo più conveniente. Come funziona l'algoritmo di Amazon per l'assegnazione della Buy Box Per identificare i venditori migliori, Amazon si avvale di un apposito algoritmo, grazie al quale vengono valutati una serie di parametri che portano all'assegnazione di un punteggio. Un approfondimento interessante su tali argomenti si trova ad esempio nel saggio di S. Vianello e A. Ferrandina, intitolato Il Marketing Omnicanale. Tecnologia e marketing a supporto delle vendite. Potrebbe interessarti anche la lettura di Marketing digitale per l' e-commerce, di A. Boscaro e R. Porta. Il meccanismo potrebbe sembrare complesso ma è in realtà piuttosto semplice e basato su alcune nozioni fondamentali nel marketing online, che chiunque decide di approcciarsi a tali sistemi dovrebbe conoscere. Si parte da due elementi essenziali: il numero di ordini la valutazione del cliente in merito all'intera gestione della procedura di acquisto. In modo più dettagliato, tali parametri vengono definiti POP (Perfect Order Performance) e ODR (Order Defect Rate). Il primo fa riferimento alla percentuale di ordini online che sono arrivati al venditore e che quest'ultimo ha lavorato. Vengono conteggiate solo le procedure portate a termine e, dunque, gli ordini che sono anche stati consegnati al destinatario. Il secondo parametro, invece, è quello legato alla percentuale di ordini che non hanno lasciato soddisfatti i clienti. Vengono, quindi, conteggiati tutti quegli acquisti che si sono conclusi perché sono stati processati e la merce è arrivata al cliente, ma che quest'ultimo non ha valutato positivamente, fornendo dunque dei feedback negativi. A questi due elementi si aggiungono poi altri due parametri che sono legati al ritardo nella consegna o addirittura alla mancata lavorazione dell'ordine. Il meccanismo di vendita su Amazon, come sa bene chi è solito acquistare prodotti online, prevede che il venditore indichi dei tempi massimi entro i quali l'ordine deve essere lavorato e la merce spedita al destinatario. L'algoritmo, che è stato creato per l'accesso alla Buy Box, prevede proprio la valutazione dell'eventuale ritardo rispetto a queste tempistiche, che non può superare i tre giorni, altrimenti si attiva la valutazione negativa e si parla di Last Ship Rate. Stesso discorso vale per gli Orders Refunded, cioè tutti quegli ordini che vengono rimborsati al cliente perché non lavorati, a causa di un numero svariato di motivazioni possibili, che in ogni caso non interessano al sistema. Quel che Amazon intende valutare è infatti il rapporto effettivo tra ordini ricevuti e ordini andati a buon fine. L'aspetto interessante è che, per essere considerati idonei ad ottenere la Buy Boxi, occorre rientrare in una percentuale bassissima che, con qualche piccola oscillazione tra una voce e l'altra, sta tra l'1 e il 4%. Chi supera questi valori non è all'altezza di essere al primo posto. I segreti per scalare la classifica di Amazon e riuscire ad ottenere la Buy Box Se è assodato il fatto che le regole stabilite da Amazon per l'accesso alla Buy Box sono molto ferree, è anche vero che esistono delle regole basilari che possono essere seguite dai venditori che intendono essere valutati positivamente, in quanto alcuni errori non devono essere mai commessi se ci si vuole proporre come venditori competitivi e concorrenziali. Per prima cosa, occorre ricordare sempre che nel metro di valutazione di Amazon conta moltissimo il giudizio dell'acquirente. Ecco perché, se quest'ultimo non è pienamente soddisfatto dell'ordine effettuato e di come lo stesso è stato gestito, tale valutazione negativa andrà ad influenzare moltissimo il giudizio in merito al venditore e quest'ultimo sarà considerato non all'altezza di essere proposto come il migliore su Amazon. Se il rapporto con il cliente è fondamentale, è ovvio che anche la puntualità con cui l'ordine viene lavorato e la merce successivamente spedita rappresentano punti a favore per chi vuole scalare la classifica di Amazon. Abbiamo detto infatti che l'algoritmo valuta attentamente il rispetto di tali tempistiche, andando anche a capire se il processo è effettivamente così snello come viene presentato in fase di vendita. Rispettare quanto proposto al cliente è infatti una delle regole più importanti da seguire se si intende farsi strada su Amazon. Un ultimo piccolo segreto, infine, è quello di prestare attenzione all'assistenza che si fornisce ai propri clienti. Un venditore che ha tempi di risposta rapidi e che riesce a risolvere in breve tempo le eventuali problematiche in fase di vendita o di lavorazione dell'ordine, si presenta come un ottimo candidato alla vincita della Buy Box. Il prezzo dei prodotti in vendita: ecco quanto incide sull'ottenimento della Buy Box Se dovessimo redigere un elenco di tutti quei fattori che influenzano la valutazione effettuata da Amazon per l'assegnazione della Buy Box, il prezzo di vendita dei prodotti sarebbe senz'altro ai primi posti. Esso è infatti molto importante, perché è il primo aspetto che il potenziale acquirente va a valutare nel momento in cui si accinge a decidere sull'eventuale acquisto da effettuare. Per avere una possibilità di accedere alla Buy Box il venditore deve essere certo di proporre il prezzo più basso rispetto ai concorrenti. Ciò significa che non solo il costo del prodotto deve essere concorrenziale, ma che lo stesso deve essere parametrato anche al prezzo della spedizione. La somma di entrambi porta infatti al costo finale del prodotto, che dovrà essere inferiore a quello proposto da tutti gli altri venditori. Importante quindi effettuare un’analisi sui prezzi della concorrenza, per lo meno di tutti i rivenditori presenti su Amazon. Esistono dei tool specifici basati sugli algoritmi che sono in grado di monitorare in tempo reale i prezzi di vendita dei tuoi concorrenti. In questo modo avrai la possibilità di scoprire se il tuo prezzo è maggiore o minore, potendo calcolare facilmente anche il tuo margine. Ne abbiamo elencati 3 in questo articolo. Scarica la guida: Le 5 strategie di prezzo per incrementare le tue vendite online Restare con i piedi per terra anche se si è vinta la Buy Box Se hai vinto la BuyBox sarai felice del traguardo raggiunto, questo però è solo un trampolino di lancio che garantisce un’ottima visibilità. La maggior parte delle vendite effettuate su Amazon proviene proprio da questi spazi in evidenza ed è per tale ragione che la BuyBox è tanto ambita. Al tempo stesso, però, non bisogna mai illudersi che il rientrare in questo privilegio esclusivo possa essere una garanzia assoluta di vendita. La concorrenza su Amazon è molto forte ed è bene tenere monitorato costantemente ogni aspetto, compreso l'andamento dei prezzi proposti dagli altri venditori, per tenersi sempre a galla sul mercato e continuare a vincere la concorrenza.
Settore Pharma: è arrivato il momento di puntare sul digital oppure è ancora troppo presto? Al giorno d’oggi tutte le relazioni tra medici, pazienti, cliniche e aziende farmaceutiche sono pronte a nuove opportunità ed a nuovi strumenti user-friendly di facile utilizzo ed alla portata di tutti. Costruire una strategia di Digital Marketing in un mondo così complesso ed in continua evoluzione non è facile, ma come in tutti i mercati, anche quello farmaceutico segue un suo modello di Buyer’s journey predefinito. Il maggior beneficio derivante da una strategia di Digital Marketing nel settore farmaceutico-medicale è sicuramente quello di comunicare direttamente con il cliente finale. Il paziente ha acquisito nel tempo un’ autonomia nei confronti del parere del medico, preferendo fare domande in rete che recarsi dallo specialista interessato, vogliono avere il pieno controllo della loro salute e prendere una decisione in autonomia. I ruoli reciproci tra medici e pazienti stanno mutando: i medici hanno sempre meno tempo e i pazienti ricercano sempre più informazioni online indipendentemente dal proprio medico per poi riproporle durante le visite a volte arrivando anche a porre in discussione il parere del medico stesso. Il cliente, quindi, si sente di aver acquisito un potere d’acquisto diverso derivante dall’enorme quantità di informazioni a sua disposizione online. Oggi infatti, nel Pharma, si adotta un approccio che si chiama “beyond the pill”, ovvero un approccio basato sui reali bisogni dei clienti, dei consumatori, dei pazienti, fornendo una gamma di servizi a valore aggiunto e andando oltre alla mera pubblicità del prodotto farmaceutico o medicale. Joseph Jimenez, CEO del colosso sanitario svizzero Novartis afferma che: “Non stiamo assistendo ad un cambiamento superficiale, ma ad una vera e propria trasformazione. Il settore farmaceutico d’ora in poi non sarà più lo stesso.“Beyond the Pill” è un percorso in avanti logico ed inevitabile per tutti” “Da dove devo iniziare?” Per trovare il giusto filone nel canale digitale bisogna categorizzare le aree del blog rispetto ai tipi di clienti che si vuole raggiungere, catalogare le fonti di informazione osservando i competitors e, una volta comprese le richieste del giusto target, creare contenuti dedicati al fine di creare awareness. La scelta che ti offre il web è quella di comunicare nel modo e al momento giusto. Gli utenti che visitano blog del settore Pharma ed interagiscono con i social sono in genere alla ricerca di risposte, risorse, istruzioni, dati, opinioni e approfondimenti, ma sono anche alla ricerca di contenuti che possano indirizzarli alla scelta della soluzione migliore per il proprio problema. Di conseguenza, creare un blog che parli di particolari temi inerenti alla salute - ad esempio le dipendenze, al controllo dell’ipertensione, al diabete, alla disfunzione erettile, ecc - potrebbe essere una strategia giusta per incrementare l’awareness. Un’altra idea che puoi usare è quella invitare gli utenti a fare domande specifiche su diverse aree tematiche o invitarli a partecipare a iniziative social dedicate per sensibilizzare. Dare i giusti aiuti è uno dei passi fondamentali per una giusta strategia di Pharma Digital Marketing e quindi diventano importante questi tipi di iniziative dedicate alla sensibilizzazione del pubblico su temi inerenti alla salute. Gli approfondimenti sul web devono avere il giusto linguaggio: prediligere immagini, video e grafiche dedicate e prevedere delle aree di interazione come Forum utili per confronti con specialisti. Le aziende che finalmente capiscono l’importanza di migliorare la loro comunicazione aggiungendo il digitale hanno già una marcia in più, ma il mondo digitale non è da sottovalutare: è fondamentale un’approfondita conoscenza di strumenti tecnici in continua evoluzione.
Expertise. Il vantaggio competitivo degli Insurance Manager. Le macchine che prendono decisioni al posto dell’uomo e a cui viene trasferito tutto il knowhow dell’insurance manager, così che si possano automatizzare anche i processi decisionali (nei film). Probabilmente se stai leggendo questo articolo è perché ritieni di avere un particolare competenza tecnica nel tuo settore e probabilmente ti sei chiesto se il valore (spendibile) di tutta questa expertise è messo in pericolo dall’attuale rivoluzione digitale e la futura automazione quasi totale, della maggior parte dei processi in ambito assicurativo. Per rispondere alla tua domanda, o ancora meglio fornirti alcuni spunti su cui riflettere, voglio farti osservare questa immagine ed analizzarla insieme a te: Puoi vedere sopra, schematicamente rappresentato il motore chiamato “digital transformation” che vale per la maggior parte delle industry compresa quella assicurativa. I nomi che leggi sono: Digital Makers; Digital Leaders; Digital Enablers; Leggendo le caratteristiche di ognuno di loro, a quale “gruppo” ti senti di realmente di appartenere? Ti faccio questa domanda, perchè a meno che tu non sia entrato ieri in azienda, sicuramente appartieni ad uno di questi tre gruppi e con molta probabilità se senti in pericolo la tua expertise è sicuro che rientri nella categoria dei Digital Leaders o Digital Enablers. Come vedi però, i tre gruppi che partecipano alla digital transformation in azienda sono rappresentati da degli ingranaggi e ciò è particolarmente significativo poiché sta a significare che la tua expertise non solo non è in pericolo, ma puoi renderla ancora più di valore. Il reale vantaggio competitivo dell’Insurance Manager Proprio poco tempo fa, ho avuto una riunione con un dirigente di una compagnia assicurativa che nel mentre mi ha fatto realmente percepire il valore della sua esperienza, rendendomi ancora più certo di quanto la prima immagine sia l’unica verità. Magari però, alcuni dei lettori di questo articolo quando si trovano ad osservare i nuovi arrivati in azienda e la dimestichezza che hanno con le nuove tecnologie, si rendono comunque conto di quanto sia stato il salto quantico fatto con gli ultimi passaggi generazionali. La domanda da porsi allora è: Quanto le caratteristiche del nativo digitale sono complementari con quelle dell’industry leader? La risposta è: “come due ingranaggi consecutivi di una stessa componente meccanica.” Possono e devono divenire una cosa sola. Ed in termini di competizione con le aziende non “insurance native”, la value proposition (VP) delle compagnie assicurative si trova proprio qui. Si trova proprio nel fatto che i nativi digitali trovano all’interno di una compagnia tutta l’esperienza e competenza che può far scaricare a terra nel settore insurance le loro doti digital. Quindi una vera calamita quella dell’expertise! Non vale il viceversa. Esempio Tesla E invece, quanto il manager di una compagnia può entrare all’interno di un’azienda nativa digitale (totalmente fuori dalle dinamiche insurance) e portarla a competere con la Digital Insurance Company (nata dalla trasformazione digitale di una società assicuratrice nativa)? La verità è che ancora questo non è possibile osservarlo con chiarezza, poiché i casi sono ancora pochi, sporadici e non maturi, ma possiamo (come sempre) osservare le industry limitrofe che prima della nostra (assicurativa), hanno preso parte alla rivoluzione digitale. Il caso Tesla è emblematico e lo è soprattutto quello che è stato fatto con la Model 3. La prima “auto di massa” (prezzo di 35 k $) venduta attraverso pre-ordini da un sito web. E’ stata la rivoluzione (soprattutto in termini economici)…. Il più grande finanziamento a tasso zero della storia! I motivi sono stati vari… quello che però ci interessa, è osservare come non siano bastati centinaia di milioni per acquisire l’esperienza e la competenza nella produzione di massa. Infatti ad oggi i tempi di consegna sulle automobili sono stati deludenti e la produzione è in forte ritardo. Quello che probabilmente è mancata è proprio l’expertise che dicevamo prima, la quale allora capiamo come anche quando parliamo di auto elettriche, che si guidano da sole etc. etc., ma manteniamo comunque i piedi in un’industria storica, allora la competenza sulle dinamiche fondamentali, forse acquisisce valore piuttosto che perderlo. Conclusioni Tutto questo ci porta ad una interessante verità, che ci dimostra quanto le società assicuratrici abbiano all’interno di sè un potenziale pazzesco di competenza data dalla sommatoria delle n esperienze al suo interno, dove n è il numero di Digital Leaders e Digital Enablers. Questo non si compra con i soldi, ma si acquisisce con anni passati a fare ciò che è il proprio mestiere. Le macchine invece, probabilmente sostituiranno nell’industria assicurativa, tutti quelli che di questa competenza e esperienza hanno pensato di poterne fare a meno, non ritenendo opportuno e necessario ricavarsi nel tempo (passato in azienda) un “reale vantaggio competitivo”. Se ti è piaciuto l’articolo, ti aspetto con il tema della prossima settimana, ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Liabel viene ricordato dai più come il marchio del lana fuori e cotone sulla pelle. L’azienda fondata nel 1851 a Pettinengo (BI) da Bernardo Bellia (anagramma di Liabel), che aveva ottenuto un appalto per fornire maglie intime di lana all’esercito dei Savoia, è in piena trasformazione digitale, soprattutto nell’ambito B2B. All'interno dell'azienda ne fanno un vanto di essere più anziani dell’Unità d’Italia, ma la trasformazione digitale è un argomento molto sentito: nel 2007 è nato il sito “di servizio” per la distribuzione online e nel 2011-2012 il sito B2C www.liabel.it con catalogo limitato. Ora, il catalogo conta più di 1000 referenze e negli ultimi anni, licenziando il marchio a terzi, si è arrivati a più di trenta licenziatari comprendendo addirittura prodotti per animali. Questo mese abbiamo intervistato Marcello Laurenzio, AD di Liabel, a capo della struttura del team digital & e-commerce della società, che ci ha ilustrato l’applicazione della tecnologia al settore commerciale/vendite, in particolare la recente esperienza nella digitalizzazione delle vendite B2B. Liabel ha una forte presenza sul territorio italiano in tutte le insegne della GDO e 35 punti vendita monomarca che permettono lo showrooming (quel fenomeno per cui un cliente si reca in negozio per vedere o provare un prodotto, ma poi lo acquista online. Ne abbiamo parlato in questo articolo) per tutti i prodotti. Vende poi online grazie a pure player, ai partner che fanno flash sales e ai marketplace. Negli ultimi due anni il rapporto con il mercato ha visto importanti miglioramenti grazie a una platform open source B2B a cui accede la rete vendita. Le malattie congenite del mercato all’ingrosso: i pagamenti lunghi e la difficoltà del credito sono state curate tramite un ranking dei fornitori/distributori sulla platform basato su 10 parametri. I più importanti sono: il fatturato; la puntualità nei pagamenti; il numero di rimostranze da parte di clienti finali (retailer); la portata di copertura del catalogo Liabel; il periodo di riassortimento. Lo strumento di analisi che abbiamo usato per analizzare la situazione aziendale è la metodologia Digital Building Blocks. Digital analytics – L’adozione degli ologrammi per marchiare i capi (tecnologia non ancora molto diffusa ad oggi nell’ambito dell’intimo), ha consentito una più specifica attribuzione e una maggiore facilità nell’effettuare pianificazioni e previsioni. Gli stessi vengono ordinati dai distributori/fornitori nel portale B2B e il sistema ne tiene traccia come se si trattasse di vendita di prodotti. La misurazione dei dati nel funnel di conversione e gli analytics di aperture e click nelle DEM ha permesso di migliorare la conversione e di realizzare attività, normalmente studiate in ambito B2C, anche verso i partner B2B: profilazione dei lead che vengono generati, marketing automation al passaggio di touch point (es. carrelli abbandonati), e così via. Il focus sulla raccolta dei dati e sulle modalità di renderli disponibili al team di sales & marketing che realizza attività e campagne sulla rete vendita è la roadmap della trasformazione in atto. Inbound marketing – Il focus dell’attività aziendale è B2B. L’arretratezza del settore di riferimento fa sì che le campagne marketing siano effettuate soprattutto in canali tradizionali come riviste di settore, radio, fiere, acquisto database e non sia ancora presente una strategia di inbound marketing vera e propria. L’attività di fidelizzazione del database B2B viene gestita soprattutto tramite DEM su cluster di utenti definiti tramite criteri di fatturato. Il progresso culturale dei retailer potrebbe permettere in futuro di intercettare la domanda B2B anche grazie ad attività di content marketing e di profilare i lead grazie a questa, ma ora il gap è ancora da colmare. Lead generation e processi di vendita – L’attività di lead generation viene gestita con logiche proprie normalmente del B2C e il monitoraggio della relazione con l’utente permette di essere di supporto nella loro relazione con i retailer, evitando agli agenti di dover essere presente fisicamente troppo spesso (particolarmente utile in regioni del Centro o Sud Italia, dove la logistica è particolarmente difficile e raggiungere la merceria del paese ormai è finalizzato solo alla presentazione del nuovo campionario). Gli agenti hanno a disposizione un tablet per mostrare il catalogo prodotti ai retailer. Non esiste una vera e propria strategia di lead nurturing o marketing automation, solo una attività tradizionale di email marketing su gruppi di utenti profilati in funzione dei parametri di ranking di cui sopra. E-commerce – L’ecommerce B2B è condotto con logiche elaborate rispetto ai criteri del settore. I prodotti vengono venduti su Amazon e il sito è alimentato tramite feed automatico. I siti degli altri distributori online (pure player e flash sale) sono alimentati tramite esportazione del catalogo e non sono ancora stati integrati tramite API. Solo negli ultimi tempi iniziano a esserci richieste di integrazione tramite web services e di attività di dropshipping (si intende un modello di vendita grazie al quale il venditore vende un prodotto a un utente finale, senza possederlo materialmente nel proprio magazzino) che fanno ben sperare per un futuro di strutturazione di rete di vendita online. Dopo un periodo di test e misurazione online, nella piattaforma di ecommerce sono stati tolti i sistemi di pagamento nel carrello, lasciando che il sistema funzionasse solo in modalità di ordine online (molti operatori tradizionali non sono ancora avvezzi a sistemi di pagamento online e il tasso di abbandono era troppo elevato). I distributori non monomandatari, che sono più avanzati nelle strategie di vendita online, riscontrano frequenze di riordino più elevate, fatturati più alti e tempi di pagamento più rapidi (con dati molto distanti da quelli degli operatori tradizionali e un deciso trend di crescita nel tempo). User experience – Il tema della user experience è centrale e le decisioni sulle modalità di interazione e sulle interfacce da usare con gli utenti sono state decise tramite attività di A/B test e misurazione degli analytics per capire le soluzioni preferibili. È stata presa in questo modo la decisione di rimuovere i sistemi di pagamento online perché secondo Stefano Laurenzio è su questa variabile che si gioca la conversion; al punto tale che si preferisce sacrificare la pienezza di esperienza nel canale digitale a vantaggio di sistemi di pagamento tradizionali (dove le tempistiche monitorate privilegiano gli operatori solo online dimostrando una crescita dei volumi di vendita di questi rispetto a quelli tradizionali). In futuro, si progetta l’utilizzo di strumenti evoluti a supporto della gestione della relazione solo su canali digitali, complice anche un percorso di education dell’utente medio italiano del settore. Iper-personalizzazione – I parametri di ranking dei distributori/fornitori permetterebbero una personalizzazione spinta delle offerte e dei servizi, ma il target audience B2B non è ancora pronto. La personalizzazione della relazione oggi è lasciata agli agenti e il digital è solo a supporto della gestione ordini. L’unica personalizzazione nella gestione delle comunicazioni viene effettuata in funzione di criteri di fatturato, categorie merceologiche ordinate storicamente e geografia. Da una rielaborazione di un articolo apparso su Datamanager
Con l’avvento di internet ormai possiamo trovare tutto quello che vogliamo a portata di mano, grazie agli e-commerce: il commercio elettronico. Sugli e-commerce possiamo trovare prodotti multimediali, elettrodomestici, vestiti ma anche prodotti che fino a qualche anno fa non ci saremmo mai aspettati di trovare online come ad esempio alcuni alimenti. Avete mai pensato alla possibilità di acquistare medicinali comodamente seduti da casa? Starete pensando che nessuno vorrebbe questo tipo di servizio, ma vi sbagliate. Dal 1 luglio 2015 in Italia è stata introdotta la legge che permette alle farmacie di vendere farmaci online senza l’obbligo di prescrizione, questo processo di digitalizzazione è già stato adottato anche in altri paesi europei come il Regno Unito. Come manager nel settore farmaceutico puoi considerare l'idea di aprire un e-commerce, vediamo insieme i dubbi che potresti avere prima di crearlo e alcuni vantaggi. Chi acquisterebbe online un farmaco ? Questa è una domanda che alcuni potrebbero porsi prima di intraprendere la strada di una e-Farmacia. Sicuramente una delle principali risposte è quella di persone che non hanno abbastanza tempo per recarsi in una farmacia a causa di svariati impegni. Nel Regno Unito grazie al sito di Pharmacy2u, una farmacia online, è stata fatta un’indagine sui quattro gruppi principali di persone che acquistavano sul sito ed è emerso che erano dirigenti, casalinghe, anziani o disabili e persone che effettuavano acquisti imbarazzanti da fare in una farmacia fisica. Il motivo per cui avevano deciso di acquistare medicinali online era per la mancanza di tempo di visitare una farmacia tradizionale, per ragioni di comodità grazie alla consegna a domicilio o per privacy. Un altro elemento sicuramente da tenere in considerazione è il tempo di consegna. Generalmente quando si acquista online il tempo di consegna varia da 1 fino a 5 giorni. Per i farmaci questo tempo sarebbe troppo lungo per il paziente, infatti chi ha veramente la necessità di un medicinale di solito lo utilizza nelle successive ore della giornata. Per l’e-commerce Pharmacy2u la velocità di consegna era essenziale per soddisfare il cliente, la società aveva intenzione di spedire gli ordini entro 6 ore dalla ricezione, per consegnarli il prima possibile. In seguito all’acquisto di un medicinale in farmacia, se il cliente si trova bene con quel tipo di prodotto decide di riacquistarlo, ma alcuni farmaci sono costosi e quindi il cliente lo cerca online dove solitamente si possono trovare promozioni. Con la creazione di un e-commerce si può anche attirare questo tipo di clientela. Ma è veramente sicuro acquistare medicinali online? Quando si acquista online qualcosa c’è sempre questa domanda che assilla varie persone, per paura di cadere in truffe o in prodotti contraffatti. Se poi si tratta di articoli che si dovranno usare direttamente sul proprio corpo, la diffidenza nell’acquistare sul web aumenta. In Italia per essere sicuri di acquistare medicinali originali sugli e-commerce il ministero della salute ha creato una sezione sulla propria pagina web dov’è possibile trovare i siti autorizzati alla vendita di farmaci online. Inoltre tutti gli e-commerce farmaceutici avranno un logo che certifica la legalità del sito. In conclusione, come appena letto, anche un manager nel settore farmaceutico può trarre dei vantaggi dal web, attirando una clientela più ampia ed è possibile farlo in sicurezza grazie alle norme che sono state create.
Da anni si parla dell’incredibile incremento di guadagni e seguito delle competizioni professionali di videogames, un fenomeno che ha portato molti a chiedersi se è possibile paragonare questo tipo di discipline a quelle sportive. Le similitudini sono molte ma, in realtà , vale la pena soffermarsi più sulle divergenze dei due settori, lo faremo analizzando prima di tutto il modello di business per punti chiave ed evidenziando le differenze rispetto ai più comuni Sports. Gli eSports sono nati in Cina e Corea del Sud per poi espandersi in tutto il mondo fino ad arrivare, nel corso del 2016 , ad un totale di oltre 70 milioni di dollari elargiti come montepremi nel corso delle varie competizioni internazionali. Il caso specifico di Dota 2 “The International” nell’estate 2017 ha fatto scalpore per il montepremi più alto mai registrato in questo tipo di competizione con oltre 23 Milioni di dollari in palio. Daremo ora un primo sguardo ad i punti chiave del settore, analizzandoli singolarmente nei prossimi articoli. Publishers: Sono le società che realizzano videogiochi e quindi, in un certo senso, proprietarie delle discipline competitive che ne conseguono, questo è uno dei maggiori punti di divergenza con gli Sports. Mentre nelle classiche competizioni sportive come Calcio, Football e Basket le regole vengono decise da un insieme di persone e organi che operano in maniera neutrale, nel caso dei videogames sono le stesse case produttrici ad avere l’autorità , in qualsiasi momento, di cambiare le regole del gioco stesso e quindi delle competizioni. Questo sistema ha creato la necessità di riconoscere le strategie di mercato dei grandi publishers così da essere in grado di adattarsi o , in alcuni casi, dissociarsi dalle loro produzioni. Non sempre un gioco che ha molta presa sul pubblico può diventare una disciplina competitiva, infatti, oltre a dover valutare le meccaniche stesse del videogame, bisogna anche capire cosa intende farne la società che lo produce e decidere quindi se può essere una buona risorsa in termini di competizione o, magari, di show in streaming. Organizzatori Eventi : Un’altra componente fondamentale sono le società che organizzano gli eventi presenti in tutto il mondo, queste, affittano i contenuti dai publishers per poi organizzare gli eventi. Su questa base una società che produce videogames e decide di organizzare i tornei in maniera propria potrebbe togliere la possibilità ad organizzatori indipendenti di farlo. L’organizzazione di eventi ha aperto la strada a nuove forme di guadagno nel settore, in primis i biglietti per accedere alle aree di manifestazione come fiere, stadi, teatri e molte altre location. Il tipo di pubblico è per la maggior parte molto attivo e ben disposto sia a viaggiare , per presenziare alle competizioni più importanti on site , sia a spendere in merchandising di vario genere riguardo gli eventi ed i teams. Attualmente molte compagnie che producono videogames organizzano le competizioni direttamente ma garantendo sempre uno spazio ad organizzazioni indipendenti che vogliono realizzare i propri eventi sotto loro autorizzazione. La maggior parte di queste realtà sono ancora dissociate l’una dall’altra tuttavia, negli ultimi anni, si stanno aprendo a collaborazioni tra loro allo scopo di fornire un’esperienza migliore sia al pubblico che agli atleti delle varie competizioni. Distributori : Si occupano principalmente di distribuire e trasmettere i contenuti di videogames, dagli streaming dei singoli giocatori fino alle competizioni più importanti. Sotto questo aspetto sicuramente Twitch è la piattaforma attualmente più utilizzata nell’ambito sia dello streaming che competitivo ed offre inoltre agli utenti che producono contenuti video la possibilità di guadagnare dalle sottoscrizioni al proprio canale e dalle donazioni. Alcuni teams professionali ed organizzazioni di eventi hanno stretto accordi di esclusiva per i propri contenuti con singole piattaforme. La distribuzione di contenuti,soprattutto in diretta, tramite web con servizi specializzati ha aperto le porte a nuove forme di business concedendo anche agli streamers, oltre che ai pro players, di ottenere fama ed accordi di sponsorizzazione. Per quanto la lotta per accaparrarsi quanto più possibile del mercato tra le varie compagnie continui senza sosta, ad oggi, twitch ha sicuramente dalla sua la maggior parte degli utenti, sotto l’intero ambito videogames, competitivo e non, sembra una dominazione difficile da fermare. Nel corso del 2017, soprattutto negli U.S.A. , alcuni dei maggiori emittenti televisivi hanno firmato accordi per la trasmissione di eventi e competizioni di videogiochi riscontrando, inoltre, un ottimo feedback fin dalle prime trasmissioni. Se il futuro sarà su web o sui canali classici già dedicati agli Sports è ancora difficile da dire ma, almeno per ora, gli appassionati di videogames preferiscono guardare i loro idoli seduti davanti al pc piuttosto che su un comodo divano. Sono le organizzazioni che gestiscono le squadre all’interno delle varie competizioni e, spesso, hanno più di un team a loro disposizione, su differenti giochi e piattaforme. Oltre a raccogliere talenti e portarli alle competizioni più importanti, hanno una grande interazione con i propri fans, sia tramite eventi che con la produzione di gadgets, capi d’abbigliamento e molto altro, che spesso i giovani tifosi sono disposti ad acquistare, come per le squadre di calcio, basket football ecc.. Uno dei problemi maggiori per la nascita di nuovi teams solidi e ben organizzati è la ricerca di sponsors e fondi in generale essendo per ora difficile distinguere realtà ben strutturate da quelle che hanno solo una buona apparenza, infatti, l’intero settore è ancora in mutazione molto rapida rendendo quasi impossibile definire dei parametri fissi per orientarsi tra le varie realtà presenti. In particolare in Italia ci sono state molte speculazioni da parte e verso realtà di questo genere costringendo chiunque voglia muoversi oggi ad agire in punta di piedi e rallentando quindi lo sviluppo dell’intero settore, tuttavia, questo è un argomento che approfondiremo in seguito. Fans: Rappresentano la spina dorsale dell’ecosistema, tutto gira intorno a loro. Racchiudono un pubblico che va dai 12 anni fino ai 40, disposto molto spesso a muoversi e spendere per seguire e supportare il fenomeno. A dimostrazione di questo molti eventi nel corso del 2016/17 che hanno riempito stadi e palazzetti da migliaia di posti, senza considerare le milioni di visualizzazioni sui vari canali di distribuzione degli eventi. La loro partecipazione spazia dalla presenza agli eventi, on site, fino alla sottoscrizione, pagata, ai canali dei giocatori o degli streamers, spesso seguita anche da donazioni. Il guadagno generato dall’acquisto di prodotti ed attrezzature legate al mondo dei videogames ha registrato picchi incredibili negli ultimi anni in cui il ramo competitivo ha preso piede anche in Europa ed America. La peculiarità di questo tipo di pubblico è sicuramente la sportività, infatti, molto spesso si tifa una determinata squadra in un gioco mentre, in un altro, si sostiene un team differente, questo permette di avere tifoserie incrociate e garantire quindi un ambiente di competizione sano e lontano dai tipi rischi delle tifoserie sportive.
Purtroppo, ancora oggi, molti imprenditori che espongono i loro prodotti su Internet credono che il processo di vendita online possa basarsi su una semplice traduzione del proprio sito nella lingua di riferimento. Se fosse così, ogni nuovo ecommerce aperto avrebbe una clientela pressoché perpetua nel proprio mercato di riferimento. Tuttavia, se anche tu possiedi un'azienda tutta tua, sai molto bene che il cliente si muove con delle dinamiche tutte nuove e di difficile comprensione per chi fa questo lavoro. Trovare nuovi clienti o fidelizzare quelli che si hanno già, rappresenta una sfida non banale sia per la vendita offline, sia per quella online. Quando parliamo di vendita di prodotti all'estero, il discorso si complica ancor di più, perché i fattori che entrano in gioco non sono più solo il prodotto o il servizio che la tua impresa propone, ma il livello culturale e l’analisi del livello di domanda e di offerta presente nel paese sul quale si intende posizionarsi. Per vendere i tuoi prodotti all'estero attraverso un ecommerce, ecco alcuni fattori che dovrai prendere in considerazione: le potenzialità di un determinato mercato la tutela del marchio e la conoscenza delle normative che vigono nel Paese di destinazione; l'impostazione di una comunicazione efficace che tenga conto della diversità culturale tra il Paese di partenza ed il Paese di destinazione l'adattamento della politica di prezzo e le strategie messe in atto dai competitor presenti in quel mercato. Come individuare le opportunità di mercato e scegliere quello migliore per i tuoi prodotti? Sei alla ricerca del mercato giusto in cui vendere i tuoi prodotti online? La prima cosa che dovrai fare per questo scopo è valutare le potenzialità dei vari mercati esteri, prima di scegliere quello adatto alla tua impresa. Per fare una valutazione dei mercati efficace per il tuo business, un consiglio che posso darti è incentrare l'analisi intorno al tuo prodotto. Chi lo compra? Qual è il luogo in cui è maggiormente richiesto? Quali sono i mercati in cui il settore di appartenenza del tuo prodotto suscita un interesse maggiore? Queste sono le principali domande che dovrai porti quando andrai a scegliere il tuo mercato di riferimento, perché senza conoscerne le risposte, sarà molto difficile intraprendere campagne di vendita online che possano dare dei risultati soddisfacenti. Un passaggio fondamentale per consolidare il proprio business è individuare il target giusto. Ora, la domanda che ci poniamo è la seguente: con quali strumenti è possibile effettuare queste analisi. Devi sapere che Google ha messo a disposizione una serie di strumenti a supporto dell’internazionalizzazione. Vediamone qualcuno + 1 tool esterno che ti potrà aiutare ulteriormente, se il tuo obiettivo è quello di vendere online all’estero. Google Trend Esiste uno strumento che ti permette di scoprire gli interessi delle persone di tutto il mondo: si chiama Google Trend. Puoi esplorare gli argomenti e i termini più ricercati su Google in un determinato momento, vedere come sono cambiati nel tempo e quali sono le previsioni per il futuro. Puoi anche scoprire come varia l’interesse a livello globale mettendo a confronto diversi paesi. Grazie a Google Trend puoi scoprire quali sono stati gli argomenti e le parole più ricercati in un determinato mese o anno e analizzarne l’andamento. Inoltre, puoi creare delle ricerche personalizzate, che illustrano il trend di ricerca di uno specifico prodotto o servizio. Global Market Finder Global Market Finder o Strumento a Supporto dell’Export è uno strumento online gratuito che ti permette di individuare nuovi mercati per i tuoi prodotti o servizi. Per iniziare basta inserire la parola chiave che descrive la tua attività (ad esempio: scarpe) e selezionare il paese per cui vuoi eseguire la ricerca. Lo Strumento a Supporto dell’Export traduce automaticamente le parole chiave nelle lingue utilizzate nel paese selezionato e fornisce metriche che ti aiutano ad analizzare il mercato di riferimento. Inoltre, l’applicazione ti permette di confrontare le opportunità offerte nelle varie aree geografiche del mondo grazie a: Dati di Ricerca Google Traduzione delle parole chiave con Google Translate Competizione e offerte per parole chiave con AdWords Queste metriche ti consentono di confrontare il costo di acquisizione di un nuovo cliente con i margini dei prodotti e ti aiutano a determinare se raggiungere un cliente in un nuovo mercato sia più o meno redditizio per la tua attività. Perché è utile? Questo strumento ti permette di rispondere a domande come “qual è il livello di competitività di questo mercato?”, “qual è il rapporto tra la richiesta in un’area geografica rispetto a un’altra nel mondo?” e “quanto mi costerebbe lanciare una campagna pubblicitaria in questo mercato?”. Consumer Barometer Esiste uno strumento in grado di fornirti informazioni sul comportamento dei consumatori nei diversi paesi, sia online durante la ricerca, sia offline durante gli acquisti. Nato da una partnership mondiale tra IAB Europe, TNS Infratest e Google, Consumer Barometer è in grado è in grado di mostrarti come la ricerca online possa influenzare il percorso d’acquisto dei consumatori in tutto il mondo Per comprendere questo percorso nel dettaglio, il Consumer Barometer ti fornisce anche i dati sui comportamenti di acquisto dei consumatori e sul modo con cui questi utilizzano Internet per cercare informazioni che influenzeranno le loro decisioni di acquisto per vari settori merceologici: viaggi, arredamento, alimentari e tanti altri. Ad esempio, puoi scoprire che in Francia, nel settore abbigliamento, il 22% delle persone acquista online e che in UK il 23% dei consumatori cerca informazioni sul Web sui prodotti enogastronomici prima di acquistarli. In questo modo avrai dati utili per valutare un’adeguata presenza online all’estero. Prime Monitoring Tool Uno strumento online nato come Competitor Pricing Monitoring, quindi in grado di monitorare automaticamente i prezzi della concorrenza online sia diretta (con ecommerce terzi), sia sui MarketPlace, come Amazon eBay e Alibaba, che sta semplificando la vita a moltissimi rivenditori e Brand. Ogni giorno, amplia le proprie funzionalità e tra queste, quella che sta riscuotendo maggior successo per tutti quelli che vogliono vendere all’estero, è data dalla possibilità di monitorare le opportunità di mercato presenti in altri paese. Esporta semplicemente i tuoi prodotti dal tuo sito ecommerce (se non sai come farlo, scrivici per un supporto), e importarli in questo tool online. In pochi minuti avrai a disposizione tutte le informazioni che ti servono per mettere in piedi la tua strategia di vendita nei paesi che ti interessano. Attraverso algoritmi molto sofisticati, questo tool è in grado di individuare il livello di domanda e di offerta per i tuoi prodotti, nei paesi di tutto il mondo. Puoi monitorare i prezzi dei tuoi concorrenti su Amazon, eBay e scovare tutti i competitor diretti che vendono il tuo stesso prodotto. In questa fase, ci concentriamo sull’’analisi delle opportunità di mercato, ma se vuoi sapere tutto quello che questo tool può fare per te, contattaci per richiedere una demo o avere maggiori informazioni. Perché è importante fare un’analisi delle opportunità di mercato? Nella prima parte dell’articolo, abbiamo accennato all’importanza di analizzare il mercato se si ha come obiettivo quello di vendere all’estero. Molto spesso, però, mi capita di parlare con aziende e Brand, soprattutto in Italia, in cui non è ancora emersa questa esigenza. L’obiettivo primario della maggior parte delle aziende che vendono online è quello di aumentare le vendite, trovare nuovi clienti ed essere più competitivi. Ma ti faccio un esempio? Vendi già in Italia, attraverso Amazon e un tuo ecommerce, e sai che hai una fortissima concorrenza. (Se non lo sai, leggi questo articolo). Sei costretto ad abbassare il prezzo per essere più competitivo, riducendo al minimo i tuoi margini. Una corretta analisi delle opportunità di mercato, incentrata sul tuo prodotto, può farti scoprire che in Spagna, Francia o Germania, c’è un altissima domanda ma un’offerta molto bassa, se non nulla. Allora perchè non valutare l’apertura a questo mercato, magari attraverso Amazon eBay se già li stai utilizzando, per poter vendere i tuoi prodotti a un prezzo più alto?
Cos’è la digital transformation? ...A questa domanda rispondiamo sinteticamente con la definizione di McDonald P. e Rowsell-Jones A. : “La DT è un insieme di cambiamenti tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, e manageriali che interessa l’impresa moderna e permette un miglioramento globale del suo assetto, in primis degli aspetti legati al business”. Poche semplici parole per esprimere un fenomeno che oggi corre ad una velocità di crociera quasi incontrollabile e che presto diverrà parte integrante di ogni organizzazione. Ogni settore aziendale, infatti, senza fare eccezioni, si troverà a dover affrontare, prima o poi, un certo grado di disruption digitale, raggiungendo un bivio in cui i modelli di business digitali diventeranno non solo uno strumento per imporsi sulla concorrenza, ma un vero e proprio tema di sopravvivenza. La questione allora non è più se l’impatto arriverà, ma quando. Facciamo ora una breve digressione e analizziamo il panorama europeo relativamente al contributo che il digital fornisce al PIL. Al comando della “classifica” illustrata in figura 2 troviamo il Regno Unito con il 10%; segue la Svezia che registra un contributo pari al 6,9% imponendosi su Olanda (6,6%), Francia (5,5%) e Germania (5,4%). Per quanto riguarda l’Italia, il contributo fornito dal digitale in termini di PIL è al di sotto della media Europea (5%), registrando solo il 4%. Questa analisi estratta dal report “Digital Europe di McKinsey Global Institute analysis” mostra come la mentalità aziendale europea (e quella italiana in particolare) resista ancora fortemente al cambiamento, continuando a concepire questo forte impatto della digitalizzazione ancora come un rischio e non come un’opportunità non solo di rinnovamento ma di vera e propria crescita. Ti starai chiedendo allora… cosa dovrebbe fare oggi la mia azienda per restare competitiva? Nella sua teoria evoluzionistica, Charles Darwin affermò che “it is not the strongest of the species that survives, nor the most intelligent. It is the one that is most adaptable to change”. Ne deduciamo le caratteristiche di un’azienda che oggi vuole imporsi sul mercato: flessibilità, adattabilità, capacità di cambiare e innovare la propria mentalità e la propria struttura. Capacità cioè di adattarsi al mondo circostante, anticipando il cambiamento con approcci non più reattivi ma proattivi. Per poter cambiare allora devi sapere non solo come ma anche cosa cambiare: il primo passo per poter intraprendere un percorso volto alla digitalizzazione della tua azienda dovrà quindi essere quello di analizzare il livello di maturità digitale di ognuno dei principali blocchi aziendali. Una scansione dettagliata basata sull’analisi dei dati è di fondamentale importanza per capire quali siano gli aspetti da mantenere perché congrui con il processo innovativo, e quali invece quelli “to disrupt”, ovvero da cambiare radicalmente. Partire con il piede giusto ti permetterà di essere già a metà dell’opera poiché non tutte le organizzazioni hanno la necessità di lavorare allo stesso modo su ognuno dei blocchi aziendali con approcci volti a rivoluzionare completamente i modelli di business. Per iniziare a muoverti nella direzione giusta, hai bisogno innanzitutto di definire il punto di partenza, ovvero dove si trova la tua azienda digitalmente parlando, così da poter costruire una strategia ad-hoc per il tuo tipo di business. Lo strumento di elezione utile ad effettuare questo passo è il DHR (Digital Health Rate) sviluppato con la metodologia Google Sprint (Leggi: Metodo Sprint). Analizzando centinaia di aziende italiane alle quali è stato somministrato questo modello di analisi dei dati per la valutazione del loro grado di digitalizzazione, è infatti emersa l’esigenza di avere proprio un modello come questo in grado da un lato di fornire inizialmente l’input per costruire una traiettoria di digital transformation e dall’altro uno strumento per l’autovalutazione ed il monitoraggio del proprio modello di business digitale. Restare ad aspettare l’impatto non serve: non importa quanto tu sia indietro nel percorso di trasformazione, non importa se ancora non hai definito una digital strategy... c’è tempo e modo per recuperare, per vivere il cambiamento senza subirlo.
È incredibile come siano già passate 6 settimane, da quando ho iniziato ad analizzare i 6 punti che ritengo essere tra quelli più interessanti per il mercato assicurativo, quando si parla di blockchain. Infatti abbiamo toccato tasti interessanti come: Automazione Sinistri Disintermediazione Nuovi modelli di assicurazione Sicurezza e trasparenza Diminuzione dei costi Ed oggi siamo arrivati alla fine a parlare di quello che racchiude un po’ tutti i temi affrontati e cioè la digitalizzazione dei modelli e dei processi. Ti prometto però che non è finita qui, infatti per fare onore a tutti i caratteri scritti fino ad oggi, sto fondando (insieme ad altri partner) un’associazione con lo scopo di osservare questo nuovo mondo da un punto di vista privilegiato, in modo da poter offrire alla galassia insurance un point of view dall’interno di questo nuovo mondo e di particolare valore per iniziare a “scaricare a terra” quello che le compagnie hanno il potenziale di fare attraverso questa tecnologia. Effettivamente, più mi confronto con manager o comunque persone chiamate a essere consapevoli di dove si sta spostando il mercato insurance e più capisco quanto ci sia interesse nel conoscere sempre meglio questo nuovo “strumento” chiamato Blockchain. Si concretizza così sempre più nella mia mente la frase: “Blockchain is a Significant now as the internet was 25 years ago” Alla luce di questo assume la blockchain il possibile ruolo di fattore strategico e trainante nel processo di Digital Transformation delle società assicuratrici. Digital before Credo che sia abbastanza chiaro come tutto questo non possa prescindere da un precedente percorso di digitalizzazione dei modelli nei processi all’interno di una compagnia. Arrivare a quando questo strumento sarà maturo, con l’aver già affrontato un precedente percorso di digitalizzazione della compagnia è un prerequisito fondamentale per presentarsi al momento topico con un vantaggio competitivo in tasca. Abbiamo parlato di come la blockchain possa, nel caso di eventi catastrofali, aiutare le società riassicuratrici ad avere un quadro sempre più completo dell’ammontare circa del danno e soprattutto abbiamo parlato di come tutto questo sarà sempre più facile da capire, con l’avanzare dell’internet delle cose. Ciò però, non può certo saltare l’aspetto digitale. Tutto ciò di cui stiamo parlando presuppone che i dati vengano raccolti e catalogati attraverso canali digitali e che molti processi all’interno delle compagnie, che ancora oggi vengono eseguiti a mano, debbano essere automatizzati in fretta. Un’altro aspetto che puoi prendere in considerazione è ad esempio il fatto che gestire già oggi, i consensi sulla privacy in maniera totalmente digitale, permette domani di avvalersi della blockchain come strumento per giungere all’entrata in vigore del GDPR con un asso nella manica. Perizie assicurative Il tema sinistri è importante soprattutto lato consulente assicurativo (perito). Gli studi peritali sono davanti ad una svolta epocale, la quale li porterà a dover rivedere completamente il proprio modello di business e la blockchain sarà uno dei principali strumenti che saranno associati a tutta la parte legata ai sinistri ed alle verifiche che vengono oggi eseguite da un essere umano. Proprio il fatto di rendere verificabili le informazioni attraverso una rete di questo tipo è il concetto principe che chi oggi opera in questo campo dovrebbe tenere d’occhio, semplicemente perchè domani a causa di questo dovrà rivedere il proprio modello di business. In questo contesto, la digital transformation di queste società è un aspetto che deve essere affrontato in tempi rapidissimi, non solo dal punto di vista del singolo automatismo, ma proprio in termini di ecosistema nel quale operano. Conclusioni su come intendere la blockchain Puoi intendere la blockchain come un vantaggio competitivo quando si parla di sicurezza delle informazioni, certificazione delle informazioni e trasparenza. Questi però sono aspetti che la blockchain potenzia, ma che devono già essere stati “digitalizzati a priori, altrimenti il rischio è quello di trovarsi con il voler scalare una l’everest in infradito (permettimi il confronto). Se la blockchain è oggi quello che internet era 25 anni fa e considerando l’esponenzialità alla quale stiamo progredendo, significa che probabilmente il percorso che internet ha fatto in 25 anni la blockchain lo farà forse in 5. Ti consiglio di non fermarti a questi 6 articoli ma di continuare ad approfondire le possibili applicazioni di questo strumento nel settore assicurativo. In questi casi quello che è importante è sempre entrare a far parte di un ecosistema e da qui appunto l’iniziativa di creare un’associazione per promuovere le applicazioni. ome sempre, con questo articolo mi auguro di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain (sempre qui su dbb), ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Dopo Paolo Bitta e il Sig. Vichi è arrivato il turno di Pablo Escobar. Forse più delle altre volte abbiamo azzardato, ma sono sicuro che a fine articolo cambierete idea. Se Paolo Bitta è stato il tramite attraverso il quale abbiamo capito che “Saper vendere non basta più” e l’esperienza del Sig.Vichi ci ha messo di fronte al triste epilogo di chi non sa cambiare, Don Pablo è colui che ci farà capire che se un mercato vale, è giusto iniziare ad investirci tempo e denaro, con la giusta strategia. In realtà non sono poi non è la domanda a fare il mercato? Quindi Plata o plomo? Prima di incorrere in apologie di cartelli del narco-traffico ci tengo a specificare che il mercato di cui si parla non è quello della blanca, ma del digital: che sicuramente non darà gli stessi effetti, ma possiamo azzardare di dire che è un mercato che “tira”... ops Passiamo alle cose formali! Prima di sparare numeri, è giusto spiegare in che direzione andremo nell’analisi. Per misurare l’attrattività e competitività di un mercato ci sono diverse possibilità, si potrebbe per esempio scomodare il modello di Porter, ma rischieremmo di scendere in troppi dettagli e perderci la “sostanza più pura” del messaggio. Poi vi immaginate Don Pablo ad analizzare le 5 forze del modello porteriano? Io no, magari inconsciamente lo avrà fatto. Quindi qui per semplicità ci fermeremo ad analizzare i dati più crudi: il valore di mercato e il suo tasso di crescita. Innanzitutto all’interno dell’intero mercato Digital analizzeremo due sotto aree: Area 1: Digital Advertising. Area 2: mercato dell’innovazione degli strumenti digitali di gestione aziendale, tecnologia a supporto, servizi professionali che guidano i processi di trasformazione, totale e-commerce (ricavi della vendita online di prodotti e servizi). Per quanto riguarda il mercato della Digital Advertising la ricerca Nielsen Digital Survey del 2016, su anno 2015, ha rilevato i seguenti dati per l’Italia: Al settore del digital advertising (video, social, search, classified (inserzioni) e display) è stato riservato nel 2015 un investimento di 2.279 milioni di euro, un market share del 27%. La crescita del mercato è stata dell’8% sull’anno precedente. Tra i canali digital vediamo la predominanza del canale search, i canali video e social vedono una crescita con tassi interessanti, rispettivamente +14%, +33%. Per quanto riguarda l’Area 2, al netto del valore della Digital Advertising, la ricerca elaborata da EY e IAB del 2016, ha rilevato che questa parte del mercato vale 50 miliardi di euro. Altro dato interessante che emerge da questa ricerca è che il Digital con il suo valore totale di 53 miliardi di euro pesa per 3,3% sul PIL nazionale. Da tener presente anche che i ricavi delle aziende digitali sono cresciuti del 6% tra il 2014 e il 2015 e il trend non sta mostrando inversioni. Anche dal punto di vista delle assunzioni i dati sono positivi, al 2015 gli occupati digitali sono 220 e dalle proiezioni emerse sono destinati ad aumentare. Ciò che emerge da questi dati non lascia spazio a molte interpretazioni: lo scenario settoriale è quello di una fase di turbolenza, gergo tecnico per indicare che il comparto è nella fase di massima crescita. Non ci è dato sapere quanto possa durare questa fase prima che il mercato del Digital diventi un mercato maturo, ovvero quando gli attori digital che saranno sopravvissuti alla fase di turbolenza presidieranno il mercato. Vi starete chiedendo ora: il mercato vale, è in crescita, ma cosa possiamo fare noi poveri venditori e sales manager? Che cosa dovremmo vendere? E come dovremmo farlo? Tanta, troppa roba. Se da un lato ci sono i campesinos del digital, le aziende che dominano gli strumenti e che sono in grado di produrre e fornire soluzioni digital, dall’altro ci sono i consumatori che hanno un bisogno sfrenato di digitalizzazione, un mercato globale che mostra sempre più una dipendenza dal digital. Quello che manca sono i corrieri del digital. C’è bisogno di venditori esperti che facciano da tramite tra domanda e offerta, che siano attivatori dell’innovazione latente, e urge farlo con doppia spinta innovativa: nel prodotto e nel metodo di vendita. Venditori capaci di indirizzare gli sforzi verso quei prodotti che sono ormai la plata del mercato, evitando così di giocarsi la reputazione e la pelle nel plomo di prodotti obsoleti. Basta individuare il fornitore, il Don Pablo dei prodotti-servizi digital più adatto, per poi andarsi a ritagliare la propria fetta di mercato. In conclusione se non fosse chiaro. Il digital è la droga del futuro per le aziende che vogliono andare forte: i dati dimostrano che la domanda non è molto differente da quella con cui Escobar creava cattedrali e imperi… C’è da mettere su un mercato, strutturarlo… con nuovi prodotti e nuovi metodi. Non importa che tu sia sales manager o un semplice venditore, l’importante è che se vuoi vendere digital me lo dici…. (segue dopo gif) Ma quali sono i prodotti Digital? E quali i metodi? Oggi vi do un grammo di prova (funziona, tornerete, me lo ha insegnato Pablo): Iniziamo dalle basi, scopri com’è cambiato il metodo di vendita, e qual è il modo migliore di vendere digital.
Quanti dati stai raccogliendo sui tuoi assicurati? Quanti ne vorresti raccogliere? Termini come big data, data analysis, small data, smart data e mille altri possibili nomi con in quali nella galassia delle assicurazioni si fa riferimento alla fonte principale di dati, che sarà il serbatoio di questa macchina chiamata Insurtech e che sta portando l’intera industria assicurativa nel futuro. Tutto questo viene tenuto sotto controllo da chi, per sua natura deve tutelare la privacy e quindi i dati del consumatore. E proprio dalla delicatezza e importanza del tema “GDPR e Insurance” che nasce l’interesse per me e Michele Treglia, punto di riferimento nell'ambito InsurTech, di scrivere insieme, in vari articoli - partendo da questo - ciò che è emerso da dei nostri incontri sul tema. Lo scopo è proprio quello di analizzare la trasformazione “Insurance to Insurtech” facendo un focus su quello che è il futuro normativo sul tema del trattamento dei dati personali. La Normativa Anche per l’industria assicurativa il 25 maggio 2018 il trattamento e la gestione dei dati degli assicurati saranno definitivamente regolati dal nuovo regolamento dell’Unione Europea n. 679 del 2016, altrimenti conosciuto come GDPR (General Data Protection Regulation, cioè Regolamento Generale sulla protezione dei dati). Cos’è il GDPR? A chi si rivolge? È un regolamento dell’Unione Europea che interviene e rafforza la protezione dei dati rivolto a tutte le aziende anche le società assicuratrici: con sede legale in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea, con sede legale al di fuori dell’Unione Europea, ma che elaborano dati relativi a cittadini di uno Stato membro. Il legislatore europeo ha scelto di introdurre regole più chiare in merito all’informativa ed al consenso stabilendo precisi limiti al trattamento automatizzato dei dati, alla relativa violazione ed all’interscambio degli stessi al di fuori della Comunità Europea. Ha voluto inoltre rendere la norma più trasparente e uniforme sull’intero territorio dell’Unione Europea, soprattutto per facilitare, da parte del cittadino, la gestione del proprio dato mediante consensi e revoche evidenti. Tutto ciò è molto interessante e merita di essere approfondito. Possiamo capirne la necessità, anche solo fermandoci per un attimo a riflettere su quanti dati sono potenzialmente estraibili da possibili dispositivi che potremmo fornire al nostro cliente assicurato; questo proprio in un’ottica di assicurazione partner, la quale per essere al fianco del proprio cliente, necessita di tecnologie che gli permettano di conoscere le condizioni in cui opera quest’ultimo. Pensiamo ad esempio a quelli che sono i Wearables ( dispositivi indossabili che estraggono dati sullo stato di salute della persona).. Come si stanno preparando le Aziende? Il regolamento rappresenta un’occasione per tutte le società assicuratrici e più in generale per le Aziende, sotto vari punti di vista. Sinteticamente, possono considerarsi influenzati dal cambiamento i seguenti aspetti: sistemi di gestioni dei dati all’interno dell'organizzazione al fine di prevenirne la perdita o la loro accidentale condivisione; ridefinizione delle policy interne; formazione del personale (ad es. Rrfrinserimento della figura del DPO, cioè del Data Privacy Officer). Non tutte le Aziende si stanno preparando allo stesso modo, ma è comune il sentimento di preoccupazione. Questo dato emerge, ad esempio, da una recente indagine condotta da Veritas (società di Information Management alla quale si affida l’80% delle aziende Fortune 500): l'86% delle organizzazioni a livello mondiale è preoccupato per il fatto che un mancato adempimento al prossimo regolamento sulla protezione dei dati personali potrebbe avere un impatto negativo significativo sul business; il 20% ha affermato di temere che la mancata conformità possa cancellarli completamente dal mercato, a causa soprattutto delle pesanti sanzioni economiche irrogate. Allo stesso modo nell’industria assicurativa, c’è chi si sta preparando in maniera differente. Già oggi questo ecosistema si trova ad affrontare un profondo cambiamento tecnologico e quindi un percorso di mutamento non solo nei processi e nei prodotti, ma anche e soprattutto culturale. Un’ulteriore sfida necessaria, come è quella dell’adeguamento al GDPR, senza dubbio alza l’asticella per tutte le società assicuratrici. Dal punto di vista dell’organizzazione si può osservare il mutamento in oggetto come un’opportunità per implementare anche le nuove dinamiche normative; da un punto di vista manageriale l’opportunità è invece sorprendente, anche solo pensando al nuovo ruolo che sta per nascere all’interno delle aziende (DPO, cioè il Data Privacy Officer): le opportunità, anche professionali, non mancheranno. Perché le Aziende non possono rimandare? Le leve motivazionale all’aggiornamento e alla corretta implementazione delle regole contenute nel nuovo GDPR sono principalmente due: la necessità di costruire un rapporto di fiducia con l’utente, che sarà molto più consapevole dei propri diritti in tema di riservatezza dei propri dati; la sanzione: essa può arrivare fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del volume d’affari globale registrato dall’azienda nell’anno precedente. Il secondo punto fa tremare le gambe a molti: si parla di soldi, dinamica molto più percepibile rispetto a tutto quello che è il punto 1 (strategia e asset). Parliamo sempre maggiormente di assicurazione partner, ed è proprio qui che sono rivolte molte delle risorse che le compagnie di assicurazione stanno mettendo in campo. Il tema della trasparenza e della fiducia, è un tema che per vari motivi - esterni alla galassia insurance - è sempre più sentito dall'assicurato. Per questo il GDPR rappresenta una carta vincente per tutte le compagnie, che non si limiteranno semplicemente ad analizzarlo ed attenercisi, ma ne faranno prima di altre un proprio vantaggio competitivo agli occhi dell’assicurato. Conclusioni È incredibile come l’evoluzione o, meglio, l’implementazione di tecnologie nel mondo delle assicurazioni abiliti nuovi modelli indiretti di business. Abbiamo visto nuove opportunità manageriali all’interno delle aziende e nuove opportunità per mantenere o ancora meglio aumentare la fiducia del brand nei confronti degli assicurati. Come sempre l’approccio è tutto. Anche in questo caso il cambiamento può essere vissuto ed osservato da varie angolazioni, ma senza dubbio la migliore rimane quella che ci fornisce un serio vantaggio competitivo. Non meravigliamoci se da tutto questo vi saranno realtà che ne usciranno rafforzate, semplicemente perché avranno intrapreso un percorso con un approccio differente. Vi lasciamo con una frase che spesso ci sentirete esporre: “Quando soffia vento di cambiamento, c’è chi costruisce muri e chi mulini a vento” Questo è stato solo il primo di una serie di appuntamenti tra “Insurance & Legal”. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspettiamo con il tema della prossima settimana o , ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa. A presto! Ciao! Fabiana e Michele Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani. ATTENZIONE: I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali e non possono in alcun modo sostituire il contributo di un professionista qualificato. Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica-digitale che interessa è possibile contattare l'autore dell'articolo. L'autore declina ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio o non aggiornato delle presenti informazioni.
Il “Controllo d’impresa” è materia ampia e professionale ed ha la caratteristica di riferirsi e fenomeni fortemente mutevoli. Esso si esercita, infatti, in un contesto economico, sociale, geografico, merceologico e tecnologico che, sempre di più, si modifica in cicli temporali brevi. Ciò premesso esistono alcuni ambiti chiave a cui il Controllo d’impresa può essere ricondotto: la definizione delle strategie aziendali e dei conseguenti obiettivi l'insieme delle azioni gestionali volte al loro perseguimento l'assunzione delle decisioni sull'impiego delle risorse disponibili Ciò sinteticamente premesso, esiste un fenomeno relativamente “nuovo” che impatta ognuno di questi ambiti in modo sostanziale; la disponibilità di dati quantitativi e la conseguente diffusione di tecnologie, metodi e processi che possono trasformarli in informazioni. La risorsa più preziosa lungo l’intero percorso decisionale. Recentemente, con la progressiva importanza e centralità assunta dalla digitalizzazione dell’impresa anche grazie alle misure contenute nel “Piano nazionale Industria 4.0” promosso dal Ministero dello Sviluppo economico, questa consapevolezza è cresciuta ed imprenditori e manager guardano con sempre maggior attenzione alla valorizzazione dei dati presenti in azienda ed il loro conseguente utilizzo nel processo decisionale. Uno dei vincoli più stringenti in questo percorso è che spesso l’architettura informatica ed informativa dell’azienda si articola in software, sistemi e processi che non sempre possono comunicare tra di loro. Nella tabella che segue è esemplificato un “cruscotto” analitico relativo ad una Azienda che ha inteso mappare in forma grafica ma con fondamenti statistico-quantitativi, i propri KPI (Key Performance Indicators) suddividendoli per area di competenza (Acquisti, Economica, Finanziaria, Processi interni, Risorse Umane, Vendite). Come si può vedere ogni singolo KPI è riferito ad uno specifico periodo temporale e rappresentato secondo le variabili critiche che lo descrivono. Ad esempio gli Acquisti sono valutati secondo: % non conformità su acquisti incremento dei prezzi punteggio on time delivery Ognuna di queste variabili è descritta graficamente da un istogramma che rappresenta lo scostamento rispetto al target e da un indicatore di sintesi (freccia su/freccia/giù) che identifica immediatamente la tendenza rispetto al periodo temporale precedente. Esiste poi un istogramma che rappresenta l’evoluzione del KPI nel periodo complessivo di riferimento, in questo caso da Gennaio a Ottobre. Ogni singolo KPI, inoltre, è stato correlato ad un valore ponderale (peso) che è stato definito all’atto della formalizzazione della strategia e dei conseguenti obiettivi quantitativi per estrapolare, in tempo reale, il suo andamento. La creazione di questo sistema di supporto decisionale è stata condotta in forma strutturata prendendo in considerazione le fonti dei dati, la loro stabilità e consistenza, le logiche e gli algoritmi di correlazione e rappresentazione, nonché le policy identificate per la diffusione ed il controllo delle informazioni all’interno dell’azienda. Strumenti come questi sono oggi diventati un vero fattore critico di successo al pari dell’efficacia nel processo di go to market o di procurement e nessun manager o imprenditore può farne a meno.
Chi si occupa di Marketing in generale, specialmente i digital marketer, sta cominciando ad abbracciare il proprio ruolo primario: guidare la crescita del business. Questo “pivot verso la crescita” è emerso anche da una recente indagine dell’ANA (Association of National Advertisers) che aveva l’obiettivo di esplorare il modo in cui i professionisti del marketing stanno rispondendo alla disruption che si sta avendo nel settore. Dall’analisi delle informazioni raccolte è emerso che esistono quattro aspetti fondamentali da considerare, le cosiddette 4C della disruption: Contenuti Complessità Consumatori (sempre più connessi) Competizione L’attenzione alla minaccia rappresentata dalla competizione si è tradotta in un maggiore focus sulla tecnologia, con livelli di investimento che sono aumentati dal 51% al 66% (dati 2015 di previsione degli investimenti nel periodo 2015-2017), mentre è aumentata la consapevolezza del vero ruolo del Marketing, non più limitato ad attività di PR o advertising bensì responsabile dell’ottimizzazione delle risorse aziendali in grado di guidarne la crescita. Un’altra sfida che stanno affrontando i professionisti del Digital Marketing è rappresentata dalle barriere organizzative interne all’azienda: aumenta il numero di aziende nelle quali i team interfunzionali collaborano attivamente (networking organization) mentre le strutture a matrice e nelle quali vige il concetto di command and control stanno perdendo sempre più efficacia e interesse. Quali sono le prossime sfide per il Marketing moderno? Per rispettare la promessa di essere i driver della crescita aziendale, i marketer stanno cercando di costruire nuove competenze e rivedere le strategie dello stato dell’arte. Vediamo insieme 5 fattori che rappresentano le principali sfide. L’esperienza cliente è limitata da scarsi insight Sebbene le aziende stiano cominciando a cogliere l’importanza di concentrarsi sull’esperienza del cliente (approccio customer oriented) più che focalizzarsi esclusivamente sul proprio prodotto (approccio product oriented), ancora non sono in grado di identificare e misurare le fasi critiche del Customer Journey dei propri clienti. L’approccio data-driven non è efficace L’abilità di prendere decisioni con il supporto dei dati è considerata una delle capability principali per i professionisti del Digital Marketing, ma anche in questo caso esiste un forte gap tra la conoscenza dei concetti e degli strumenti e la reale efficacia dell’utilizzo dei dati per approfondire le analisi sul comportamento dei clienti; si torna a evidenziare anche forti difficoltà nel trasferire i risultati degli insight all’interno dell’organizzazione. Mancanza di focus Il modo più efficace per costruire solide basi di competenze e processi utili al miglioramento delle performance aziendali è la sperimentazione di nuove idee, accompagnata da un processo di apprendimento (test and learn). Il pericolo con tale tipo di approccio riguarda la tendenza dei marketer di adottare un mindset “let’s do it all”, che rischia di disperdere risorse, creare problemi di coordinamento e stressare l’organizzazione. Avere un chiaro focus su dove sia il valore e come affrontare le esigenze sempre più mutevoli dei clienti è il primo passo per impostare un efficace piano di investimenti. Difficoltà nella ricerca delle competenze La complessità del processo decisionale dei consumatori richiede lo sviluppo di competenze specifiche che al momento è difficile ritrovare. Mentre continua la ricerca dei talenti necessari, aumentano gli investimenti nella creazione di partnership o nell’acquisizione di aziende per integrare le competenze utili al miglioramento delle attività di marketing. Le aziende B2C stanno aumentando la loro dipendenza dalle agenzie per il supporto con l'analisi dell’efficacia delle attività di marketing, il mobile e lo sviluppo e la gestione dei contenuti, anche se le attività principali riguardano la definizione delle strategie di branding e di mercato. Le aziende B2B, invece, sono alla continua ricerca di agenzie che supportino nello sviluppo e nella gestione dei contenuti e, in particolare, nell’estrazione di insight sul comportamento dei clienti e nella gestione dei dati. Ritmo lento La velocità è sempre più la moneta del business. Le aziende performanti hanno modelli organizzativi flessibili e modalità di lavoro agili per procedere in modo più rapido. Nonostante il passaggio a diversi modelli organizzativi, il tempo medio di sviluppo dei nuovi progetti è di sei mesi, mentre ci vogliono poco più di otto mesi perché un'idea veda la luce. Questo ritmo lento rende difficile per le aziende testare nuove idee e reagire rapidamente. Alla luce di questi limiti emersi, è chiaro il bisogno di nuove competenze e l’inserimento nell’organizzazione di nuove figure che aiutino sempre più a integrare l’approccio data-driven nelle attività di Digital Marketing. Diamo il benvenuto al Chief Data Officer!
Quanti soldi sta spendendo la tua organizzazione per non permettere a terze parti di modificare le informazioni in vostro possesso? Cioè parlo del disastro naturale che mette fuori uso molti dei vostri server e molte informazioni che ancora non sono su cloud vengono perse per sempre. È vero... le informazioni che girano sulla rete blockchain, sono condivise tra i registri, di tutti i nodi che appartengono alla rete. Quindi potenzialmente questo è un valore aggiunto se parliamo di trasparenza ( ne ho già parlato nel precedente articolo), infatti tornando alla domanda del primo rigo, potremmo invece riflettere su quali vantaggi può darci un registro che rende immodificabili le informazioni ai fini criminosi.. Torniamo a porci delle domande sulla blockchain, ma in questo caso riguardano la riduzione dei costi; il denaro è come sempre un tema che fa “drizzare” le orecchie a tutti all’interno di un’organizzazione, soprattutto se questa è uno dei pilastri dell’economia mondiale, come lo è l’industria assicurativa. Quindi la domanda che ci poniamo oggi è: “in che modo la blockchain può ridurre i costi all’interno della mia azienda e quali sono, i possibili settori da dove questo è possibile?” Ciao e benritrovato anche questo venerdì con l’appuntamento tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB, per la trasmissione della metodologia Digital Building Blocks nelle diverse industry del mercato. Siamo arrivati alla quinta settimana, dove parliamo di blockchain e assicurazioni. Siamo partiti analizzando diversi temi che le società assicuratrici dovrebbero conoscere ed approfondire quando si parla di blockchain: Automazione Sinistri Disintermediazione Nuovi modelli di assicurazione Sicurezza e trasparenza Come devi ragionare per ridurre i costi Quando si parla di blockchain - ormai dai precedenti articoli avrai capito le definizioni - si fa sempre leva su dei fattori come trasparenza, certezza dell’immodificabilità delle informazioni, possibilità di avere un quadro ( quasi in tempo reale) dell’andamento di un prodotto assicurativo etc.. Come ci siamo già detti diverse volte, quello che è veramente interessante è che tutte queste dinamiche puoi osservarle e ti appariranno chiare semplicemente confrontandoti con la definizione stessa di blockchain, che nonostante non avrei voluto, ma mi sento di dover ripetere : “La Blockchain è un registro (tipo quello cartaceo ma digitale) che è distribuito ugualmente allo stesso modo tra tutti i nodi (computer in generale) che fanno parte della rete blockchain. Questi registri hanno un sistema di protezione delle informazioni difficilmente bypassabile (la difficoltà è proporzionale con il numero dei nodi di cui è composta la rete). In questo modo è possibile verificare un’informazione, non più rivolgendosi ad una terza parte che detiene l’informazione originale (Es. istituzione), ma bensì partendo dall’assunto che quell’informazione è vera se è scritta in tutti i registri all’interno della rete...” All’inizio ti ho domandato quanto la tua organizzazione stia spendendo, in termini di risorse economiche, per garantire l’immutabilità delle informazioni che possiede, le quali quando si parla di assicurazione sono spesso un asset importante. Prova invece a ragionare in termini di blockchain, dove queste informazioni sono distribuite tra i nodi di una rete (magari privata e composta da migliaia di server installati in vari posti come potrebbero essere le property anche indirette della società assicuratrice), deriva il fatto che per modificare suddette informazioni debbano essere “alterate” su tutti i nodi quasi contemporaneamente, altrimenti apparirebbe subito chiaro il tentativo illecito di modifica e quindi ciò non sarebbe possibile. In questo modo tutto il castello di carte o meglio di denaro, che utilizzi per garantire che le informazioni non siano modificabili da una terza parte male intenzionata, crollerebbe su se stesso. Rimanendo così all’interno del budget da investire magari in qualcosa di più produttivo. Diminuzione dei costi lungo i processi I liquidatori e i periti di massa? Ehh… bella domanda. Quello che adesso rappresenta un costo, la verità è che in futuro su molti prodotti assicurativi si eliminare dalle voci di bilancio. In questo senso mi riferisco a quelli che sono chiamati smart contract e cioè contratti assicurativi intelligenti. Con essi è già possibile automatizzare molti processi liquidativi, soprattutto quando si parla di contratti che necessitano semplicemente di una macchina per essere interpretati e presa una decisione. Rifletti per esempio su quei contratti che conosci e che oggi vengono ancora passati sotto la revisione e interpretazione di una persona. Considera che questa è pura follia perchè un contratto dovrebbe essere per le parti già immediato e quindi “diretto” al momento del sinistro. È vero che tutto questo è possibile farlo già oggi senza l’ausilio di una rete blockchain, ma è allo stesso tempo vero che utilizzando questa rete si avrebbero maggiori garanzie sull’immodificabilità dei dati/informazioni e si avrebbero anche a dei costi minori nel tempo. Hai visto quanto si è ampliata la B3i? Per quale motivo? Tutto questo la B3i “Blockchain Insurance Industry Initiative B3i”, probabilmente lo ha già notato. Non a caso ultimamente si sono aggiunti altri 23 nomi alla lista delle imprese assicuratrici che da tutte le parti del mondo hanno deciso di consorziarsi in un “club” privato che osserva la blockchain e la sua applicabilità nell’industria assicurativa. Conclusioni Il fine ultimo è sempre quello di guadagnare dei soldi, che sia direttamente o indirettamente, l’obiettivo principale di un’organizzazione rimane quello. In questo caso però non possiamo partire da lí, ma diviene una conseguenza dell’adozione di questo nuovo modello di distribuzione delle informazioni. Il prossimo e ultimo punto che chiude questa serie di articoli, tratta la digitalizzazione dei processi, che come immaginerai è uno step necessario per perseguire questo percorso. Con questo articolo mi auguro di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain (sempre qui su dbb), ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Negli ultimi anni il commercio online sta sostituendo il commercio al dettaglio e anche i piccoli venditori sono portati ad intraprendere questa strada. Il Sole24Ore ha stimato che l'e-commerce per la fine del 2017, in Italia, dovrebbe raggiungere una crescita del 20%, con un fatturato complessivo di 23,4 miliardi di euro. I colossi dell'e-commerce, Amazon in primis, rappresentano per i Retailer un grandissimo ostacolo da fronteggiare, poiché stanno monopolizzando il commercio online, obbligando i venditori ad entrare a far parte del meccanismo di vendita su piattaforma, abbandonando il retail privato. Come possono i rivenditori guadagnarsi il proprio spazio ed essere competitivi? Nel precedente articolo, abbiamo visto quali sono le principali strategie da seguire per provare a competere con i Marketplace più diffusi, Amazon e e-Bay. Tra queste, è importante focalizzare l’attenzione sul prezzo. Inutile negarlo, il prezzo finale del prodotto è centrale nella valutazione che il consumatore fa di ciò che proponi. La maggioranza dei prodotti venduti online si può trovare anche su altri siti web e se il tuo prezzo non è il migliore, l'utente in pochi click si rivolge ad un altro e-commerce, facilitato dai comparatori di prezzi che ormai si trovano ovunque sul web. Abbassare il prezzo, riducendo del tutto i margini, è davvero l’unica opportunità per provare ad emergere? Per restare competitivi sul mercato senza abbassare troppo i prezzi, è necessario analizzare la concorrenza, le strategie di vendita e di fidelizzazione del cliente, anche attraverso tool e software che siano in grado di rilevare l’attività dei competitor. Quanto tempo passi al giorno a controllare che cosa fa la concorrenza e correre ai ripari? Tempo che potresti impiegare in maniera più fruttuosa. Esistono alcuni strumenti molto utili per monitorare i prezzi della concorrenza in maniera automatica e, di conseguenza, adeguare i tuoi per rimanere sempre competitivo. Non si tratta di una pratica commerciale scorretta, né di spiare o copiare i competitors, ma semplicemente di mettere in atto tutte le strategie possibili per emergere in un mondo fortemente concorrenziale. 8 persone su 10 consultano diversi siti per confrontare i prezzi dei prodotti e scegliere il più conveniente. Basta questo per farti capire l'importanza odierna delle politiche di pricing sul web. I più grandi e-commerce del mondo, come Amazon, Ebay e Alibaba, cambiano milioni di prezzi al giorno, per stare sempre al passo con la concorrenza. I tool ed i software per monitorare i competitors di qualsiasi settore possono essere gratuiti oppure a pagamento e possono costare diversamente a seconda dei servizi e delle funzionalità proposti; alcuni sono in grado di avvisare non appena il prezzo di un concorrente cambia, altri analizzano lo storico prezzi per comprendere le basi delle modifiche, altri studiano la grafica del sito e le attività social. Se vuoi capire come scegliere il miglior Competitor Price Monitoring Software, scarica la nostra guida gratuita: Tutto dipende dall'uso che vuoi fare di questi prodotti e dalla tua strategia di benchmarking. Vendiamone 3 nel dettaglio PRICEFY.IO: il tool per eccellenza in fatto di monitoraggio dei prezzi della concorrenza su Amazon e eBay in primis, ma anche dei concorrenti diretti. Questo strumento offre moltissime opportunità al rivenditore o al brand in quanto, una volta caricato il proprio catalogo prodotti (fino a 250 nella versione free), monitora in tempo reale il prezzo di vendita su Amazon e e-Bay, segnalando quando il prezzo è più alto o più basso. Puoi scoprire anche quali sono i trend di prodotto per una determinata categoria, i cosidetti Best Seller, e monitorare per quanto tempo sono rimasti in classifica. Una seconda funzionalità riguarda la possibilità di monitorare quali sono le opportunità di mercato in country diverse. Grazie a PRICEFY.IO, potrai scoprire qual è il livello di domanda e di offerta in altri paesi, permettendoti di fare delle riflessioni molto utili per vendere all’estero. Infine, utilizzando questo strumento hai la possibilità di monitorare i prezzi anche dei competitor che vendono sui loro ecommerce, non solo sui MarketPlace. Dovrai semplicemente inserire l’indirizzo web del sito che vuoi monitorare. A differenza degli altri stumenti, che descriveremo di seguito, con PRICEFY.IO non dovrai inserire manualmente l’url di ogni pagina di prodotto del competitor ma basterà inserire il dominio principale. Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani. Co-Guard. Anche questo strumento permette di controllare in qualsiasi momento, su un pannello di controllo, il prezzo dei prodotti pre-selezionati sui principali e-commerce. Quello che dovrai fare è inserire manualmente le URL dei prodotti che vuoi monitorare. Nella versione free, hai a disposizione il monitoraggio di 250 URL, mentre nella versione a pagamento di 499 euro potrai monitorare 50.000 URL. Puoi così visualizzare uno storico dei prezzi ed ottenere un report attuale sulla situazione. Questo tool può essere installato sul tuo computer in un motore CMS, ma anche utilizzato nella versione online ad esempio su prodotti che non sono in catalogo o addirittura in fase di acquisto. Prisync. Il software Prisync è in grado di monitorare i prezzi degli e-commerce competitor e di tenere traccia dell’andamento del mercato. Anche in questo caso hai la possibilità di essere avvisato tramite alert, quando i tuoi prezzi si discostano troppo da un certo valore. Sebbene molto utile, questo software ha un po’ di limitazioni sia in termini di numero di prodotti che puoi monitorare, funzionalità, prezzo e per ciò che riguarda l’assistenza. Nella versione da 49 dollari al mese, hai l’opportunità di monitorare 100 prodotti, il monitoraggio dei prezzi non avviene in tempo reale ma ogni 4 ore e il report rilasciato è in Excel. La versione più costosa da 200 dollari al mese, ti consente di monitorare fino a 5.000 prodotti e di ottenere un monitoraggio in tempo reale dei prezzi della concorrenza. I software ed i tool per monitorare i prezzi della concorrenza forniscono, non solo una comparazione del prezzo, ma anche altri strumenti utili ad impostare una strategia efficace di marketing sul lungo termine. Entrando nell'ottica di un retailer è possibile capire come non sempre la scelta di abbassare i prezzi dei prodotti porti maggiore guadagno. In linea teorica l'utente acquista il prodotto con il prezzo migliore, ma solo se lo considera qualitativamente buono. Un’analisi e un monitoraggio costante delle strategie di prezzo ti permetterà di fare le giuste valutazione, senza impoverire l’immagine del tuo brand. Valuta bene prima di scegliere il software giusto. Ci sono alcuni aspetti che non puoi permetterti di sottovalutare. Se hai dei dubbi o vuoi saperne di più, non esitare a contattarmi:
Il 5 ottobre scorso si è svolto il nostro evento “Digital Building Blocks: Uno strumento per il manager nell’era digitale” che ha visto spettatori manager di diversi settori intenzionati a capire come sfruttare le leve del digitale per portare innovazione nella propria azienda. L'evento si è tenuto presso la concessionaria Autocrocetta di Moncalieri (Torino), nostro sponsor e organizzatore. Hanno presentato il dott. Paolo Montagna, sindaco di Moncalieri, il dott. Fabrizio Mangiavacchi, Alberto Giusti, fondatore di Digital Building Blocks, e la On.Avv.Anna Rossomando. In apertura il dott. Mangiavacchi ha introdotto i relatori e i temi della serata ringraziando i presenti e Autocrocetta per l’organizzazione e l’ospitalità per lo svolgimento della serata, a seguire il dott.Paolo Montagna, sindaco di Moncalieri, ringraziando Autocrocetta per essere una realtà territoriale importante per Moncalieri ha evidenziato l’importanza dello sviluppo del digitale in ambito aziendale. A tal proposito il dott. Paolo Bollero - Amministratore Delegato di Autocrocetta - ha commentato: «Oggi, in uno scenario competitivo sempre più veloce ed articolato, anche le imprese più consolidate devono investire ed aprirsi ad attività di ricerca e profilazione di nuove soluzioni e strumenti in ambito digital. Per questo abbiamo promosso questa serata divulgativa rivolta a manager ed imprenditori interessati a nuovi strumenti di ingaggio dell'utenza e fidelizzazione della clientela attiva.» Durante la presentazione si è parlato di come il digital sia un elemento fondamentale oggi per lo sviluppo delle industry. Alberto Giusti ha portato un’analisi della trasformazione digitale in atto che permette tempistiche di sviluppo prima impensabili, le tipiche aziende nella lista di Fortune 500 hanno raggiunto grossi volumi di affari in 20 anni, e le aziende di oggi? La soluzione per portare innovazione e rimanere competitivi sul mercato è l’adozione della metodologia Digital Building Blocks, una roadmap per i manager nell’era digitale. Perché WhatsApp non è stata creata da un’azienda di telecomunicazioni? Perché Uber non è stata creata da una casa automobilistica? Perché Instagram non è stata creata da Kodak? Perché Netflix non è stata creata da Blockbuster? L’innovazione viene da aziende che sanno adeguarsi velocemente alle nuove tecnologie, le aziende che non sanno cogliere le opportunità offerte dai nuovi strumenti digitali rischiano di affossarsi sempre di più. Alberto Giusti ha inoltre presentato il progetto Digital Health Rate, il primo passo da compiere per portare la Digital Transformation in azienda. Si tratta di uno strumento gratuito, messo a disposizione di Digital Building Blocks ai manager che desiderano misurare il livello di maturità digitale della propria azienda. Attraverso un modello di analisi qualitativa e quantitativa dei dati che permette di ottenere un punteggio di “salute digitale” dell’azienda tenendo conto di diversi parametri, in questo modo è possibile conoscere il punto dal quale partire per costruire un eventuale percorso di Trasformazione Digitale. È possibile partire subito con la compilazione della survey. In chiusura la On.Avv.Anna Rossomando ha spiegato al pubblico l’importanza dell’applicazione del digital all’interno della pubblica amministrazione e nel settore legale. Ringraziamo il numeroso pubblico, gli sponsor: Autocrocetta, Aroma Company per il caffè, Tenuta Roletto per i vini e IFSE - Scuola di Catering e Alta Cucina per il catering. La prossima tappa dell’evento avrà luogo a Padova, il 7 novembre 2017. Iscriviti qui con sconto Early Bird ancora per poco tempo.
È da diverso tempo che ci sono dei casi di azionariato popolare nel mondo del calcio, ad esempio, nel caso del F.C. United of Manchester, ciò è avvenuto per scongiurare il fallimento della società, permettendo ai tifosi di continuare a tifare la propria squadra del cuore, in cambio di un piccolo sacrificio pro capite che ha portato i supporters locali a divenire piccoli proprietari di una certa percentuale del club. Il Crowdfunding nel calcio ha quindi trovato terreno fertile anche grazie ad una certa storicità in tal senso, ci sono infatti diversi esempi: Il primo è il caso di Squadramia.it, la prima Web Community che ha acquisito una vera squadra di calcio, il Santarcangelo Calcio, che milita nel Campionato di Seconda Divisione. Qui il rivoluzionario presidente, riconosce la concreta partecipazione dei tifosi alla vita del Club, attraverso una community online, in cui ogni membro settimanalmente può suggerire al mister la propria idea di formazione, le dritte sulle gare future, nonché i consigli per l’acquisto durante il calcio mercato o i giovani talenti che possono essere invitati per un provino. Al di là dei giudizi soggettivi, della curiosità e simpatia che il progetto hanno indubbiamente riscosso, i numeri sembrano giustificarne la realizzazione anche dal punto di vista di mass e business marketing. Aumento delle presenze allo stadio in casa e in trasferta – grazie alla facilità di evangelizzazione dell’iniziativa su internet Crescita di visibilità del Club Aumento della fan base Fundraising perché ciascun socio sostenitore versa una cifra di 60 € Aumento di brand awareness per i giocatori e i tecnici che hanno l’opportunità di fare personal branding, in quanto squadramia può vantare una base di soci non solo italiani ma anche residenti in Usa, Australia e Inghilterra. Un altro esempio molto affascinante riguarda un giornalista barese, Angelo Palmeri, emigrato da 11 anni a Tallin. Lì, grazie alla piattaforma stardipaik.ee Angelo ha potuto portare il calcio italiano in Estonia. Oggi la Rumori Calcio sta scalando le classifiche del calcio estone grazie ad una rosa di giocatori cosmopolita che gioca nella VI serie Estone grazie al Crowdfunding. C'è da dire che in Estonia il modello di business del Crowdwunding sportivo è molto avanti rispetto ad altri paesi, molti sportivi di altre discipline ad esempio lo utilizzano per finanziare corse automobilistiche o partecipazioni a campionati di atletica e anche altri club amatoriali calcistici estoni hanno preso o stanno per intraprendere la medesima rotta. Che sia in questa direzione il futuro dello sport e del calcio in particolare? Mentre infatti il calcio ad alti livelli sta attraversando una fase di transazioni economiche senza precedenti a causa di un'immissione di denaro, proveniente soprattutto da mercati arabi, che sta portando il mercato su cifre mai toccate nella storia di questo sport, i piccoli club e le piccole realtà locali sono sempre più schiacciate dalla difficoltà di far quadrare i conti. Da una parte dunque il marketing spinto e il tifo di massa, dall'altra i piccoli club ad alta fidelizzazione locale, principale ingrediente da inserire nella ricetta di un buon Crowdfunding.
Vedi e leggi sempre il termine “open innovation”, ma ti stai domandando cosa significhi in realtà e perchè mai non si parli solo di innovation, piuttosto vi si unisca il termine “open”. Bella domanda, credo sia il primo passo per approcciarsi correttamente al progresso del settore assicurativo. Come avrai capito all’inizio di questo articolo, oggi parliamo di innovazione nel settore assicurativo, ma non limitandoci ad analizzare quella proveniente direttamente dall’interno dell’azienda, ma bensì dall’esterno dell’ecosistema societario. Parliamo piuttosto del perchè è necessario capire il motivo di questo modo di fare innovazione. Altri termini possono assomigliare al concetto di innovazione aperta o open innovation, come il crowdsourcing (crowd + sourcing) cioè la raccolta di risorse dalla folla, il motivo è molto semplice e può essere riassunto in una frase che il management di Google disse a proposito di alcuni progetti open source: “con tutti gli individui che vi sono nel mondo, quante saranno mai le probabilità che tutte le migliori menti siano in Google?” È la verità. Se osserviamo il mondo assicurativo, molte innovazioni o startup altamente innovative (Trov , Lemonade , Cuvva .. ) che adesso sono presenti sul mercato, sono state create da chi ha avuto precedenti esperienze in questo mondo, ma si trovava al momento della startup al di fuori delle organizzazioni. Se ci pensi è un approccio incoerente con quello che fino a pochi anni fa veniva fatto (in parte si fa ancora oggi) normalmente nella tua organizzazione, come ad esempio l’investire ingenti risorse in reparti di ricerca e sviluppo. Non è coerente, rispetto a qualche hanno fa, anche il fatto che tu oggi stia pensando di lanciare la tua startup (possibilmente scaleup) nel settore assicurativo. Non è coerente, rispetto a qualche hanno fa, anche mettere in dubbio il tuo business nel settore o comunque il modello di business della tua azienda che fino a qualche anno fa era un business stato. Oggi il crollo di giganti come Nokia, Blockbuster etc.. ti fa mettere in dubbio molte cose che prima credevi certe. Un intreccio di materie L'open innovation è necessaria, in particolar modo se pensi al fatto che l’evoluzione di industrie limitrofe a quella assicurativa, oggi impattano notevolmente sui futuri possibili introiti di questo mondo. In un momento storico nel quale una cosa l’intelligenza artificiale ha le potenzialità per spazzare via interi ruoli e stravolgere intere dinamiche all’interno del mondo assicurativo, non può una compagnia permettersi di osservare il mercato da un punto di vista secondario. Ha bisogno di avere non dei consulenti, ma addirittura delle partnership con aziende che vivono quel mondo. In questi termini capisci come sia altamente improbabile aspettarsi che un reparto di ricerca e sviluppo possa occuparsi di guidare da solo l’innovazione di un’intera azienda (che opera in diversi ambiti), ma sia meglio e forse più profittevole la creazione di un reparto di “scouting per sviluppo”. Eh già , adesso scommetto che inizi a vederla pure tu, quella cosa che si chiama struttura agile e veloce, in pieno stile startup. Una startup interna che nasce con lo scopo di fare scouting e partnership, con le migliori menti e prototipi sul mercato per il settore assicurativo. Ma non stiamo inventando nulla di nuovo, perché questi sono i tradizionali hackathon e call 4 ideas di cui si sente parlare e che la tua struttura (che sia una compagnia o una grossa agenzia assicurativa) può fare per esplorare il futuro del proprio business. Innovazione aperta come approccio mentale Il tuo valore aggiunto quando inizi a ragionare in questi termini, lo puoi osservare sin dal momento in cui ti viene un’idea e non decidi di tenertela per te, ma piuttosto avvalerti di persone che meglio di te possano svilupparla. Non prendiamoci in giro, tu come me e come chiunque altro, ogni volta che gli viene un’idea o percepisce un nuovo bisogno di un prodotto sul mercato, ha la tentazione di non divulgarla per paura di…. si ok… le verità in questi casi sono due, la prima è che quando inizi a ragionare in termini di innovazione aperta ti porti in uno stato di pensiero che ti permette di lasciar perdere quella vocina infima, ma piuttosto concentrarti sull’avere feedback immediati di quella cosa. La seconda verità è che la maggior parte delle idee finisce in un sacchetto con allegati tanti rimorsi (un motivo in più per non tenertela per te). Conclusioni Fare open innovation è una possibilità che viene data a tutti i business che orbitano intorno all’industria assicurativa. Infatti adesso lo stiamo osservando proprio tra le società assicuratrici, ma nulla vieta che venga approcciato anche da diversi satelliti come ad esempio la rete di distribuzione, che come sai è nella maggior parte dei casi composta da imprenditori. O perchè no dal mondo della consulenza o nell’ambito peritale, al fine di trovare migliori soluzioni da poi riproporre ai propri clienti. Oggi vi lascio con una frase interessante, sulla quale riflettere... “Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sè quello che un tempo chiedevano agli dèi” - Galimberti Umberto
Quante volte hai avuto il dubbio, che il mondo in cui la tua organizzazione acquisisca le informazioni sul rischio da assicurare, non sia proprio così efficiente? Quanto pensi che il tuo cliente sia trasparente agli occhi della società assicuratrice? E quanto pensi che la tua organizzazione sia trasparente agli occhi del cliente? Tutte riflessioni che probabilmente ti sarai posto tu come se le saranno poste altri nella tua stessa posizione. L’efficacia sta nel riuscire a trovare soluzioni interessanti per la tua organizzazione; quindi dato che l’articolo di oggi è incentrato su blockchain, vale la pena chiedersi: “può questo strumento aiutarmi ad aumentare la sicurezza delle informazioni nella mia organizzazione, magari risparmiando anche del denaro e riuscendo ad apparire più trasparente agli occhi del mio assicurato?” Ciao e bentornato con l’appuntamento di ogni venerdì tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB, per la trasmissione della metodologia Digital Building Blocks nelle diverse industry del mercato. Andiamo a rispondere alle tue domande, ma come ho già fatto negli altri 3 articoli, prima di questo voglio partire dalle definizioni, perchè so che sicuramente ne trarrai beneficio. Se le hai già lette e capite nei precedenti articoli, puoi saltare questo breve “paragrafo” e andare subito a quello dopo… Definizioni Se sei qui probabilmente è perché ancora non ti è chiaro qualcosa, quindi magari ti posso consigliare di leggere questo articolo e poi iniziare a Googlare la parola Blockchain o leggerti gli altri n articoli che ho fatto, qui sul blog dbb o sul mio profilo linkedin. Partire dalle definizione, perché con le definizioni, un manager può capire quali sono i vantaggi di una tecnologia e quindi iniziare a capire se quei vantaggi siano in qualche modo soluzioni ad alcuni suoi “problemi”. Partiamo quindi ragionando sulla definizione semplificata di blockchain: “La Blockchain è un registro (tipo quello cartaceo ma digitale) che è distribuito ugualmente allo stesso modo tra tutti i nodi (computer in generale) che fanno parte della rete blockchain. Questi registri hanno un sistema di protezione delle informazioni difficilmente bypassabile (la difficoltà è proporzionale con il numero dei nodi di cui è composta la rete). In questo modo è possibile verificare un’informazione, non più rivolgendosi ad una terza parte che detiene l’informazione originale (Es. istituzione), ma bensì partendo dall’assunto che quell’informazione è vera se è scritta in tutti i registri all’interno della rete...” A questo, aggiungiamoci la definizione semplificata di smart contract: “Gli smart contracts utilizzati sulla rete blockchain, sono particolari tipi di contratti che vengono scritti in linguaggio di codice. Nel particolare caso dei contratti assicurativi, potrebbero essere i contratti stessi trascritti in linguaggio di programmazione, in modo tale che l’attivazione di una particolare clausola del contratto si avrebbe in automatico nel caso in cui si verifichi una determinata condizione. Inoltre gli smart contract hanno il vantaggio di non dover essere interpretati da un perito o da una terza parte, ma la sua interpretazione è scritta (sotto forma di algoritmo) al momento in cui il contratto viene redatto...” Partendo da queste due definizioni semplificate, che non vogliono scendere in tecnicismi, è possibile capire quali vantaggi la tua compagnia può trarne. La Trasparenza come Vantaggio Quanto ritieni che la trasparenza sia aumentata di importanza da 10 anni a questa parte? Quando ti parlo di trasparenza in ambito assicurativo, mi riferisco sia a quella lato assicurato che a quella lato assicuratore. Al fatto cioè che l’assicurato possa in ogni istante avere il controllo visivo di quello che sta accadendo ad esempio su un suo sinistro, oppure l’assicuratore possa visionare in piena trasparenza i sinistri precedenti avuti da un soggetto, inteso come persona fisica o come bene in un ramo come può essere quello property. E’ vero che oggi l’assicurato è abituato - grazie al mondo internet - ad una maggiore trasparenza delle informazioni. Ma non scordiamoci che anche l’assicuratore (inteso come società assicuratrice) deve beneficiare di questo vantaggio e poter accedere a quelle che sono le informazioni dell’assicurato. Ebbene, avere tutto questo su un registro blockchain distribuito, abilita la Compagnia a conoscere i sinistri che precedentemente vi sono stati su un’abitazione e quindi ad aggiustare il premio in maniera proporzionale al reale rischio. Quando leggerai il paragrafo dove ti parlo della “B3i”, immaginati tutto questo tra compagnie, quindi incomincia a ragionare in termini globali e non solo sulla tua organizzazione. La Sicurezza come Asset Sempre legato alla trasparenza c’è il fattore sicurezza. In particolare quando ci riferiamo alla blockchain, la definizione di “registro condiviso” e immodificabile da una terza parte (male intenzionata), fa si che quella trasparenza sulle informazioni di cui parlavamo prima rimanga su base dati “veri”. Più nello specifico se fai riferimento alla persona da assicurare, per sicurezza della trasparenza si intende che questa persona non possa modificare il suo storico sinistri o la sua identità quando passa da una compagnia all’altra, perché questo è già condiviso tra la rete di compagnie. Un po’ come il database ANIA RCA, ma non in mano ad una terza parte bensì condiviso (da centralizzato a distribuito). Come abbiamo già accennato nella definizione di smart contract ed in parte quando abbiamo parlato di trasparenza, puoi capire come la blockchain si presti bene ad accertare l’interpretazione del contratto assicurativo. In quanto non si necessita più di una terza parte imparziale (il perito), ma è possibile automatizzare il processo della perizia, decidendo a priori come la forma del contratto deve essere applicata. Lato assicurato invece, la blockchain abilita certamente la possibilità di portare all’estinzione le polizze fantasma, in quanto la veridicità del contratto di assicurazione stipulato è verificata dalla rete. Come trarre vantaggio? B3i Probabilmente conoscerai la B3i “Blockchain Insurance Industry Initiative B3i”, alla quale ultimamente si sono aggiunte altre compagnie tra cui UnipolSai e che mette insieme diverse società assicuratrici con lo scopo di poter sviluppare al meglio, su logica Blockchain, l’infrastruttura di scambio delle informazioni contenute nei contratti tra le compagnie aderenti e “studiare” altre possibili applicazioni di queste nuove logiche di processo e di distribuzione. Senza dubbio la B3i conosce bene i vantaggi che abbiamo appena elencato, come conosce bene anche i limiti attuali di questa tecnologia. Ed è proprio questo che con altrettanta probabilità stanno capendo “cose” come ad esempio superare i limiti attuali di questa tecnologia per nuove scoprire nuove applicazioni. Tornando a ragionare in termini di sicurezza delle informazioni, prova a pensare a quante informazioni al momento vengono richieste all’assicurato (come ad esempio il suo “storico” sinistri) e che invece potrebbero essere verificate a priori e con maggiore certezza e generando quindi trasparenza (involontaria) lato cliente. Conclusioni La Sicurezza delle informazioni e della veridicità di quelle informazioni è strategicamente importante per una società assicuratrice, che basa il proprio business proprio sul rischio, quindi sui dati e quindi a sua volta sulle informazioni. Questo lega automaticamente tutta la parte legata alla trasparenza, come abbiamo già detto, sia lato assicurato che assicuratore. La Blockchain si presta bene a risolvere questi tipi di “problemi”, soprattutto se adottata da una rete di compagnie come è la B3i. I limiti che questa tecnologia ha sono differenti, ma senza dubbio vale la pena approfondire per essere in grado di superarli e beneficiare di tutti i vantaggi - non indifferenti - che offre. Con questo articolo mi auguro di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain (sempre qui su dbb), ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Se sei un rivenditore o un marketer, sai quanto sia difficile oggi vendere online e offline, alcuni la definiscono una corsa al massacro e una vera e propria guerra. Una guerra tutta in digitale, combattuta in lungo e in largo nei meandri del web, attraverso inserzioni pubblicitarie, prezzi bassi e tecniche di fidelizzazione dei clienti. In questo ecosistema di vendita incredibilmente difficile da penetrare e con una competizione senza eguali, due aziende escono vittoriose: Amazon e eBay. Nell’articolo precedente abbiamo analizzato i due MarketPlace, andando ad indagare quali sono tutti i vantaggi e gli svantaggi di vedere su Amazon e e-Bay. In tutte queste dinamiche, dove si collocano i rivenditori? C’è chi è ancora agli inizi, chi ha un e-commerce proprio, c’è chi vende già sui MarketPlace, ma, sebbene questi rappresentino un’importantissima opportunità per vendere online, la maggior parte dei rivenditori o dei brand sul mercato considera Amazon e e-Bay come dei veri e propri competitor per molti motivi: Affidabilità e reputazione Ottimo posizionamento organico nei risultati di ricerca di Google Presenza di campagne pubblicitarie sulla rete di ricerca Google (Google Adwords) Ultimo, ma non ultimo in termini di importanza, prezzo più conveniente. Per quest'ultimo punto, vale la pena aprire una parentesi. Non sempre su Amazon i prodotti sono venduti a un prezzo più basso, rispetto al sito ecommerce ufficiale del rivenditore o del brand. Tuttavia, il consumatore finale tende a finalizzare il suo acquisto all’interno del MarketPlace poiché incidono più fattori: Ho già un account su Amazon e non devo registrarmi a un nuovo sito Ho già acquistato, quindi mi fido Ho Amazon Prime e non pago le spese di spedizione Non ho voglia di cercare in rete Su Amazon ho confrontato subito i prezzi di più rivenditori, trovando quello più conveniente per me. Tutti questi aspetti devono far riflettere il rivenditore che vende sia su Amazon che attraverso un ecommerce proprio. Se sei interessato a conoscere 5 strategie di prezzo che ti consentiranno di incrementare le tue vendite online, scarica la guida gratuita! Come competere quindi con Amazon e e-Bay? Riflettiamo insieme e facciamo un paragone con un punto vendita fisico: quali sono le attività importanti per avviare una strategia di vendita efficace? Sicuramente quando si decide di aprire un negozio si terranno in considerazione i seguenti aspetti: Qual è il livello di domanda e di offerta in quella zona? Quanti e chi sono i miei competitor? Quali servizi o prodotti offrono e come posso differenziarmi? In caso di prodotti comuni, qual è la loro strategia di prezzo? Rispondere a queste domande nel caso di un negozio fisico, può risultare molto difficile. Online, invece, si hanno molte più possibilità. Il rivenditore può scoprire con più facilità chi sono i suoi concorrenti e, come abbiamo detto precedentemente, primi fra tutti i MarketPlace più diffusi. Può monitorare la loro strategia di vendita e i loro prezzi, scopri come in questo articolo. Effettuare queste analisi, risulta vitale per chi vuole emergere in questo mercato così competitivo e in continua evoluzione: l’analisi, dunque non basta effettuarla solo una volta. Il vero modo per competere con la concorrenza è monitorare costantemente e in tempo reale le opportunità di mercato, i prezzi della concorrenza, l’ingresso di nuovi competitor sul mercato. E se su Amazon Italia sei costretto ad abbassare troppo il prezzo, riducendo la tua marginalità, magari puoi scoprire che in Francia hai poca o nessuna concorrenza. Ci hai mai pensato? Ecco perché ho raccolto per te alcuni strumenti presenti sul mercato che ti aiuteranno a effettuare una perfetta analisi delle opportunità di mercato: Monitorare i prezzi della concorrenza sui MarketPlace Individuare nuovi competitor e analizzare i loro prezzi Individurare trend e prodotti BestSeller Scoprire e analizzare opportunità di mercato all'estero.
I consumatori di oggi hanno molte preferenze personali quando si tratta di acquistare articoli sportivi come ad esempio una marca preferita di scarpe o un particolare tipo di attrezzatura. I punti di vendita fisici non riescono più a vendere come facevano una volta a causa della concorrenza che proviene dal web. Con l’avvento degli e-commerce i consumatori hanno sempre più possibilità di scelta fra i vari marchi e con tutte le fasce di prezzo a seconda della loro portata economica. I negozi di articoli per lo sport online continuano ad aumentare, questo significa che le persone sono sempre più propense ad acquistare online. Per adattarsi alle nuove abitudini dei consumatori, i negozi di sport fisici dovrebbero creare un proprio e-commerce in cui vendono i prodotti. Un’azienda che ha già fatto questo, ed è considerata un riferimento per gli sportivi, è Decathlon presente sul mercato con gli store tradizionali dal 1976, ha aperto il suo e-commerce nel 2009. Non solo negozi fisici o grandi aziende possono creare un e-commerce ma anche piccole realtà come le startup. Un esempio di startup che ha creato un suo personale e-commerce è Deporvillage, nata nel 2010 a Barcellona per mano di due imprenditori, si occupa della vendita di articoli sportivi. Dopo 4 anni dalla fondazione Deporvillage riesce a farsi conoscere e lancia il sito anche in Italia, Francia e Portogallo, ed infine nel 2016 smette di essere una startup e diventa un punto di riferimento, con un fatturato che arriva a superare i 20 milioni di euro. Gli e-commerce rappresentano certamente un vantaggio per gli appassionati di sport sia per la possibilità di ricevere comodamente gli articoli a casa sia per le promozioni che ci sono rispetto agli store tradizionali. Ci sono però anche degli svantaggi, uno di questi per il consumatore è quello di non poter provare e toccare il prodotto con mano. Per coloro che praticano sport è molto importante sapere la misura, il tipo di materiale e la comodità che offrono le attrezzature e l’abbigliamento. Uno di questi sport ad esempio è il ciclismo, dove avere una bici e abbigliamento della giusta misura è essenziale per rendere al meglio durante l’attività fisica. Per riuscire ad attirare i clienti, nonostante questo svantaggio, l’azienda che fornisce il prodotto dovrebbe fornire più informazioni possibili al consumatore e inserire anche contenuti multimediali. Inserire video sul funzionamento e sulle caratteristiche del prodotto non solo è un vantaggio per il consumatore ma anche per il venditore, in quanto verrà conosciuto da più persone. Nella fase iniziale del ciclo di acquisto i consumatori non sono propensi ad acquistare alla loro prima visita sul tuo e-commerce. Per riuscire a catturare l’attenzione del cliente e seguirlo durante il ciclo di acquisto bisogna rimanere in contatto e trasmettere fiducia, per esempio offrendo dei prodotti test al cliente. Un’azienda che ha messo in atto qualcosa di simile è Science in Sport colosso nell’alimentazione per gli sport di resistenza. SIS per farsi conoscere dal cliente offre codici regalo per ricevere i suoi prodotti e provarli, in questo modo incentiva il cliente a comprare sul proprio e-commerce e acquisisce nuove informazioni sulle abitudini del cliente. Altri negozi invece offrono la possibilità di provare i propri articoli negli store fisici e in seguito acquistarli tramite il loro e-commerce. Gli obiettivi sono incentivare a comprare sul proprio e-commerce, dare fiducia e acquisire nuove informazioni sulle abitudini del cliente. Il web oggi rappresenta un’importante risorsa per le aziende che vendono articoli sportivi perchè può farti conoscere da nuovi clienti. Per fare ciò devi immedesimarti nel consumatore e fornire tutte le informazioni che possano essere utili e stabilire un rapporto di fiducia, per acquistare in sicurezza.
Come nella scrittura ci sono regole precise per attirare e mantenere l’attenzione durante la lettura, anche per creare un’immagine attraente e in grado di comunicare con precisione quello che vuoi ci sono principi da seguire. Nell'attimo in cui si guarda, l'immagine comunica molto di più di un testo scritto, ma lo fa soprattutto emotivamente. L’immagine è fondamentale, deve catturare l’attenzione del consumatore, deve essere immediata e deve indurre a comprare il prodotto, il servizio che tu offri o compilare un form di richiesta informazioni per far diventare il visitatore a tutti gli effetti un Lead. Questo vale nel marketing convenzionale, ma ancora di più nel digital marketing e nel social media marketing, dove il timing del processo di acquisto o quello di acquisizione di un lead è molto più veloce. Dal 2016 l’uso del mobile per navigare in internet ha superato quello del computer, e il 55% dei visitatori passa mediamente meno di 15 secondi su una pagina web. Uno studio su 200.000 pagine web mette in evidenza che i primi 10 secondi sono i più critici, infatti in questo lasso di tempo il Bounce Rate è più elevato. Se la pagina sopravvive ai primi 10 secondi la probabilità che abbandoni la pagina diminuisce. Quindi è essenziale attrarre il consumatore e il modo ottimale per farlo è usare immagini creative che “rompano” la monotonia della pagina e veicolino il visitatore a compiere la CTA -call to action. Purtroppo, come avrai notato, le best practices per creare un’immagine accattivante e renderla coerente al contesto sono molto più complesse e difficili da definire e da mettere in atto: colori, qualità, coerenza col prodotto, luce e profondità. Addirittura il momento storico in cui viene pubblicata può avere un peso. E sono solo alcuni dei punti fondamentali. Quelle che puoi mettere in atto fin da subito sono delle regole semplici che però portano ad un risultato efficace. Il muro di testo Allo stesso modo i cui usi i paragrafi per separare punti e rendere più digeribile il testo al pubblico, dovresti usare le immagini per separare punti e rendere il testo più facile da capire. I lettori sono pigri! Quando i consumers vengono a contatto con un muro di testo, la prima cosa che fanno è cercare di trovare un'altra fonte. Anche se il tuo muro di testo non è molto lungo, se sembra troppo difficile da leggere, in poche persone lo leggeranno e la possibilità che l’utente clicchi sulla CTA si abbasserà. Usare immagini di qualità Se usi immagine di scarsa qualità, ad esempio sfocate, il potenziale cliente sarà meno predisposto a cliccare la CTA. Un’immagine di bassa qualità fa pensare al lettore che il servizio o il prodotto che offri sarà di bassa qualità. Sceglieresti l'immagine a destra o a sinistra? Usa immagini di cui hai la licenza di utilizzo Questa ti può sembrare una cosa banale. Non tutti usano immagini di loro proprietà o hanno la licenza. Quando cerchi su internet un’immagine da usare, controlla qual è l’estensione della licenza di utilizzo. Le licenze possono essere: Royalty Free: non è così tanto “free” come sembra. Puoi usare un’immagine royal free ma non hai la possibilità di modificarle e rivenderle. Rights Managed: se compri questa immagine, puoi usarla solo una volta. Devi anche decidere prima come la userai. Ad esempio se userai questa immagine in una landing page o un post su Facebook non potrai utilizzarla in un video. Public domain: questo tipo di immagini non hanno restrizioni. Non hai bisogno di alcun permesso prima di usarla. Anche se di pubblico dominio è buona prassi attribuire l’immagine a chi l’ha creata. Creative Commons: le immagini sono state concesse dall’autore e nella maggior parte dei casi devi provvedere all’attribuzione al creatore. Creatività La creatività è un concetto troppo esteso da poter spiegare in 2 parole. L’immagine deve essere personale e fuori dagli schemi. Unico dato importante che voglio darti è che il ROI di una campagna dipende dal 5-35% dal targeting e il 50-80% dalla creatività Ma - ricordati - il messaggio attraverso un'immagine, fissa o in movimento che sia, deve saper cogliere l'attimo per emergere e innescare effetti positivi.
Il crowdfunding è uno strumento a disposizione dei manager per effettuare test di mercato e coinvolgere una folla di innovatori. Philips, da sempre aperta all’innovazione, ha lanciato nel 2014 il concorso annuale Philips Innovation Fellows, che metteva in palio $ 100.000 per aiutare gli aspiranti imprenditori a portare avanti le loro idee. L’idea derivava da quanto emerso dal North America Innovation Report dello stesso anno, secondo cui quasi due terzi degli Americani del nord si considerano innovatori e la maggioranza (72%) ritiene di avere un’idea innovativa che potrebbe sviluppare con un aiuto economico. Allora, insieme a Indiegogo, Philips ha strutturato un progetto per incoraggiare le persone a presentare le loro grandi idee per creare innovazioni che aiutino le persone a vivere una vita più sana e sostenibile. «Indiegogo si dedica ad aiutare gli innovatori a realizzare le loro idee attraverso il collegamento con persone provenienti da tutto il mondo, che approveranno le loro innovazioni attraverso il sostegno finanziario», ha detto Slava Rubin, CEO e co-fondatore di Indiegogo. «Le aziende hanno bisogno di essere maggiormente coinvolte nell’aiutare gli innovatori ad avere successo e siamo entusiasti di collaborare con Philips in questa competizione per portare nuove idee a buon fine.». «Philips è impegnata a ottenere un’innovazione significativa, ci sforziamo di sviluppare la tecnologia che fa la differenza per aiutare le persone a condurre una vita sana e soddisfacente», ha detto Brent Shafer, CEO di Philips del Nord America. «Crediamo che l’innovazione di forte impatto possa venire da chiunque, e vogliamo celebrare le grandi idee che hanno il potenziale per rivoluzionare il nostro modo di vivere, lavorare e giocare. Ecco perché stiamo incoraggiando tutti gli innovatori là fuori per presentare la loro grande idea per la prossima innovazione». Il premio era di $ 60.000, oltre ai finanziamenti raccolti attraverso Indiegogo; inoltre il vincitore riceveva il tutoraggio da parte di dirigenti Philips per la realizzazione pratica dell’idea. Questo è un altro tipo di collaborazione per il raggiungimento di un fine diverso dai precedenti: Philips ha sfruttato la visibilità di Indiegogo e del fenomeno del crowdfunding per promuovere l’innovazione di strumenti che possono rendere migliore la vita delle persone in tutto il mondo. Ad esempio uno dei prodotti proposti è stato una sacca di soluzione salina che poteva essere creata utilizzando l’acqua, pulita o sporca. Questo ed altri prodotti simili possono dare un grande contributo ai paesi in via di sviluppo ed a quelli in cui l’assistenza medica è carente. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca il progetto «Shock the Drought» di Shock Top, azienda belga produttrice di birra. La siccità è ad oggi uno dei problemi più gravi da risolvere e Shock Top ha deciso di lanciare diverse campagne di crowdfunding su Indiegogo per portare la consapevolezza globale a comprendere il problema e promuovere gli sforzi di conservazione dell’acqua; il programma si proponeva di identificare, finanziare e distribuire le innovazioni che avessero un impatto reale sulla riduzione del consumo di acqua. Tre sono i prodotti lanciati finora: «Drop a Brick», una spugna con la quale gettare nel wc un flusso minore di acqua rispetto a quello previsto dal serbatoio, «EvaDrop», un sistema di sensori che regola il flusso d’acqua della doccia in base alle esigenze individuali, comprensivo di timer che avvisa l’utente quando sta passando troppo tempo sotto l’acqua e «Droppler», un misuratore del consumo d’acqua su un budget giornaliero. Tutti e tre i prodotti rappresentano un buon incentivo per cambiare le proprie abitudini e ridurre il consumo d’acqua nelle case. Le tre campagne hanno ricevuto dagli utenti di Indiegogo un capitale complessivo di più di $ 300.000 per essere sviluppate e prodotte. Il fatto che progetti di questo tipo arrivino da grandi aziende legittima i prodotti e funge da garante agli occhi del backer. Philips e Shock Top si assumono la responsabilità del risultato, la struttura organizzativa che rappresentano le fa apparire come realtà stabili, di cui ci si può fidare, in cui si può credere e su cui si può investire. La fiducia, fondamentale nell’ambito del crowdfunding, viene così «guadagnata» più facilmente. Questo è sicuramente un vantaggio che la grande azienda ha rispetto alle start up che sono sconosciute e non denotano la stessa sicurezza economica. I vantaggi sono molteplici per tutti gli attori. L’analisi di mercato avviene automaticamente in conseguenza alla proposta del prodotto sulla piattaforma; se molti sostenitori si dimostrano entusiasti a finanziarlo probabilmente il prodotto avrà successo anche dopo la produzione, quando verrà messo sul mercato. La componente sociale del crowdfunding aiuta quindi a comprendere le potenzialità del prodotto evitando una perdita derivante da un eventuale insuccesso nelle vendite in seguito ad un lancio ed alla produzione di un primo lotto; il pubblico delle piattaforme di crowdfunding è composto da persone di tutto il mondo, proporre un prodotto nuovo vuol dire testarlo su molti target audience geografici diversi. Più ampia è l’analisi, più efficaci saranno i risultati e le conseguenti decisioni prese dall’azienda. Altro elemento che può avvantaggiare la grande impresa è l’analisi approfondita di visitatori e backer, permessa dalla profilazione degli utenti collegati, che permette di individuare la provenienza delle donazioni, l’età dei sostenitori, il genere, il background culturale. Tutti elementi utili per il posizionamento del prodotto; l’analisi di marketing che andrà fatta prima di introdurlo sul mercato si potrà concentrare solo sulle parti finali del processo di lancio, ossia il planning e il controllo della distribuzione. Un altro importante vantaggio per la grande azienda consiste nell’ottenere un feedback sul lavoro svolto; riuscire a raccogliere prevendite attraverso il crowdfunding implica che qualcuno creda nel proprio prodotto e sia disposto a scommettere sull’imprenditore che ha promosso la campagna. È una prima validazione del progetto e l’input per nuove collaborazioni con la propria community. Il beneficio finale è chiaramente quello di raccogliere fondi, motivazione strettamente economica costituita dalla possibilità di raccogliere denaro da soggetti che in tal modo si configurano come clienti particolarmente interessanti e le cui opinioni contano di più per le analisi dell’azienda. Con l’Enterprise crowdfunding si eliminano le barriere che separano la grande azienda dal cliente: oltre al finanziamento materiale l’utente può collaborare con l’azienda fornendo commenti e consigli su come realizzare un prodotto che funzioni e sia attraente. Questo meccanismo di co-creazione porta l’azienda a produrre un risultato arricchito da un supporto proveniente «dal basso» e il consumatore a sentirsi parte del prodotto che andrà ad acquistare. Il duplice beneficio crea affiliazione verso l’impresa e desiderio di mantenere una relazione stabile con essa. I soggetti coinvolti in realtà si «autoprofilano» tramite il pagamento e diventano sostenitori attivi del brand anche sui canali dei social media. L’azienda deve riuscire a sfruttare questo asset importante per l’ampliamento della propria clientela tramite quella che normalmente è l’ultima fase del funnel di vendita (Delight) che porta la referenza attiva verso terzi da parte dei propri clienti soddisfatti. Una seconda spinta all’innovazione nell’ambito dell’Enterprise Crowdfunding viene data dal recente accordo stretto tra due giganti del web Amazon e Kickstarter. L’e-commerce più famoso al mondo ha deciso di portare all’interno del suo eshop tutti i prodotti di maggiore successo della piattaforma di crowdfunding. Kickstarter ha scelto per il colosso dell’e-commerce 300 prodotti che hanno già concluso con successo altrettante campagne di crowdfunding, tra gadget, libri, prodotti per la casa, film, elettronica e giochi da tavolo e qualche prodotto nuovo. Grazie all’apertura di questo negozio, le aziende che utilizzano Kickstarter possono guadagnare maggiore visibilità e vendere con maggiore facilità i loro prodotti. Amazon nel luglio 2015 aveva già lanciato Launchpad, un mini portale dove pubblicizza i prodotti di molte giovani aziende e startup, l’accordo con Kickstarter va nella stessa direzione. Amazon, dunque, vuole dare maggiore spazio alle novità ed all’innovazione aiutando le startup innovative a lanciarsi sul mercato, offrendo loro un’ampia vetrina promozionale. Come ha detto Jim Adkins, vicepresidente di Amazon: «Lavorare con Kickstarter è un ottimo modo per noi per sentire direttamente dai clienti quali prodotti gli stanno a cuore, dal momento che veramente detengono il potere di dare vita a questi prodotti. Il nostro obiettivo è quello di consentire loro di raggiungere centinaia di milioni di clienti Amazon e di superare una delle maggiori sfide che deve affrontare ogni startup, portando i loro prodotti sul mercato con successo». Perché un manager di un’impresa che produce prodotti consumer non dovrebbe utilizzare l’Enterprise Crowdfunding per il prossimo lancio di prodotto? Vuoi capire come strutturare la tua prima campagna? Vuoi avere una guida per sapere tutti i passi necessari? Scarica il vademecum che ti guiderà nei passi necessari per condurre con successo la tua prima campagna di crowdfunding!
Il digitale rappresenta un punto di svolta in ogni settore ma nel nostro paese, l’utente medio intenzionato a richiedere un prestito personale o finalizzato a un acquisto ha una certa ritrosia al self-fulfilment e preferisce incontrare un consulente che lo possa indirizzare e supportare in merito alla soluzione più adatta alle proprie esigenze. Per questo, lo sviluppo di mercato dei servizi digitali a supporto dei prestiti cresce considerevolmente meno rispetto al mercato dell’e-commerce al quale potrebbe sembrare logicamente correlato. L’altro elemento di scollamento è dato dai tempi di istruttoria dei finanziamenti, che non possono seguire la rapidità del commercio elettronico. La dinamicità dei prezzi tipica delle piattaforme di e-commerce non è applicabile ai tempi di analisi e risposta delle pratiche di finanziamento. La seconda rivoluzione digitale ha permesso di arrivare all'utilizzo di un servizio paperless; quello che manca ancora è la trasformazione culturale dell’utente che si blocca ancora oggi in passaggi molto semplici, come il caricamento di un documento online. Luigi Pace, direttore centrale marketing e customer management di Compass Banca ci ha risposto in merito alle strategie di promozione e vendita tramite internet di quattro classi prodotti: prestiti, carte di credito, conti di pagamento e assicurazioni. Ci ha inoltre illustrato la centralità del CRM a partire dal comportamento online e dai canali di acquisizione, per terminare con i prodotti verso i quali il cliente ha manifestato interesse online o nei punti di contatto fisici. Lo strumento di analisi che abbiamo usato per fare una panoramica della situazione aziendale è la nostra metodologia Digital Building Blocks. Digital analytics – Il focus sulla raccolta dei dati e sulle modalità di fruizione per il team di marketing che realizza campagne è la base su cui si erge tutta la strategia digital. I dati comportamentali del cliente sono l’elemento su cui si costruiscono i cluster di contatto. Grazie a questi si possono fare poi campagne di marketing mirate, personalizzando l’offerta di prodotti e servizi quando l’utente accede nella propria area riservata. Il CRM è il centro-stella dell’architettura: nel suo database si raccolgono tutti i dati (anagrafica+comportamento) del singolo utente/cliente. Tali dati sono poi quelli che si incrociano con la Data Management Platform (DMP) del centro media per poter strutturare le attività di programmatic advertising, e con proposte differenziate in funzione del singolo utente, lato investimenti o credito, mostrate tramite display advertising, principalmente nel network di DoubleClick (Google). Inbound marketing – In un contesto di mercato in cui il cliente è poco abituato ad operare in autonomia, l’attività educational ricopre un ruolo strategico. Compass Banca ha strutturato una serie di contenuti informativi per rendere l’utente consapevole. Questa attività di content marketing contribuisce ad attrarre gli utenti sulle property web e social della banca e a “nutrire” la relazione con il prospect/cliente. Attualmente, non si effettua attività di marketing automation one-to-one bensì si estrae in automatico un batch giornaliero di dati dal CRM perché il team di marketing possa effettuare le sue attività su cluster di utenti. Particolare attenzione naturalmente è riservata alla fase di Conversion che si cerca di effettuare sempre presso una filiale della banca, vista l’importanza della relazione con un consulente e i drop che si sono notati negli esperimenti fatti utilizzando funnel di conversione solo online. E-commerce – Tutti i prodotti/servizi della banca possono essere acquistati online autonomamente e con firma digitale dai clienti. I soggetti che effettuano tutto in autonomia sul web sono ancora molto pochi percentualmente, ma Luigi Pace confida che l’evoluzione tecnologica dei sistemi e la futura semplicità degli stessi condurranno a un incremento delle conversioni direttamente online, senza presenza fisica in filiale, magari con strumenti di customer care evoluti (video chat, etc.) di supporto. Solo la gestione dell’istruttoria e la decisione del merito creditizio potranno essere effettuati non in real-time, ma in prospettiva evoluti sistemi di valutazione potrebbero semplificare la fase decisionale da parte della banca. User experience – Il tema della user experience è centrale per Compass Banca perché è su questa variabile che si gioca la Conversion, al punto tale che oggi si preferisce sacrificare il canale online a vantaggio di quello fisico. In futuro gli attuali limiti oggettivi per una soddisfacente user experience verranno sicuramente superati, complice anche un percorso di education dei clienti, aumentando le pratiche digitali totalmente end-to end. Iperpersonalizzazione – I dati condivisi permetterebbero una personalizzazione spinta delle offerte e dei servizi, ma il clienti potenziali talvolta non sono ancora pronti a gestire autonomamente le proprie scelte finanziarie. La personalizzazione del servizio è lasciata oggi ai consulenti in filiale che riescono a consigliare il prospect sul giusto livello di debito a lui accessibile in funzione dello stipendio e delle proprie esigenze. Al momento, l’unica iperpersonalizzazione si ha quando il singolo utente accede alla propria area riservata dove gli vengono proposti prodotti/servizi in funzione del suo comportamento online e offline (in filiale). Luigi Pace, direttore centrale marketing e customer management di Compass Banca
Se hai scelto la strada del marketplace come canale di distribuzione online per i tuoi prodotti, hai dovuto prendere in considerazione, in fase decisionale, l'alta concorrenza che avresti trovato all'interno di Amazon o eBay. Nonostante le due piattaforme offrano un bacino di potenziali clienti impressionante, sia nazionale che internazionale, e risolvano molti dei problemi tecnici legati ad una soluzione di ecommerce proprietaria, emergere come rivenditore è molto complesso e necessita di un lavoro costante da parte tua o del tuo staff per restare competitivo sul mercato. Pensare di aprire un punto vendita in uno dei due marketplace più affollati di internet senza prestare la giusta attenzione ai prezzi che proponi e a quelli applicati della concorrenza, potrebbe impattare negativamente sul brand e sulla sua reputazione. Risulta quindi indispensabile monitorare costantemente i prezzi della concorrenza, sui loro siti e-commerce o all’interno di Amazon e e-Bay. Come monitorare i prezzi della concorrenza? Considerare solo il prezzo finale proposto da un retail concorrente, infatti, significa correre il rischio di effettuare un repricing perennemente al ribasso, riducendo gli utili e soffocando la tua impresa. Analizzare anche il numero di oggetti simili a quelli che commercializzi anche tu e i diversi mercati, invece, risulta essere una strategie più idonea e a lungo termine. Senza gli strumenti adatti, però, un meccanismo del genere non può funzionare, o per lo meno non può durare nel medio-lungo periodo. Visto il tempo necessario per reperire manualmente le informazioni, infatti, i dati in tuo possesso potrebbero essere già superati e antiquati al termine della ricerca. Il successo che i marketplace stanno riscuotendo, sia nel pubblico che tra i commercianti, ha favorito la proliferazione di tante piattaforme che offrono contratti mensili o annuali per gestire e analizzare il tuo spazio nello store online, così come compiere ricerche approfondite per categoria, prodotto e competitor in modo di avere sempre a portata di mano i dati che ti servono per prendere decisioni di successo. Andremo a vedere nel dettaglio alcune soluzioni per automatizzare il monitoraggio dei prezzi della concorrenza su Amazon che su eBay, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dei due marketplace per gli account di venditori professionisti, per poi spostarci su soluzioni di terze parti. Monitoraggio prezzi su Amazon Creando un account per la vendita professionale in Amazon, avrai a disposizione una serie di strumenti per monitorare non solo il tuo negozio virtuale ma anche quello che succede nel resto del marketplace. La dashboard principale offerta da Amazon, infatti, potrà essere un ottimo strumento per analizzare il successo o meno delle tue inserzioni: visualizzando i click ottenuti da ogni prodotto, le vendite effettuate, il tasso di conversione realizzato e altre statistiche, sia in tempo reale che storiche. Il monitoraggio del marketplace di Amazon è affidato allo strumento interno denominato Tutor, ovvero un assistente personale che segue i movimenti di mercato e ti informa costantemente e in tempo reale sull'andamento di una determinata merce o di una categoria merceologica specifica. Il Tutor di Amazon permette di ricevere notifiche via email su vari aspetti della tua attività di venditore sul marketplace e si pone lo scopo di aiutarti a gestire più efficacemente il tuo business. Se il tuo prezzo di vendita è ritenuto troppo alto, Tutor potrà consigliarti di abbassarlo per renderlo più attraente per i clienti. Oltre alle notifiche via email, Tutor ti mette a disposizione una dashboard completa per apportare modifiche veloci alle inserzioni, sia singolarmente che in gruppo. Monitoraggio prezzi su eBay Se sei un venditore professionista che vuole aumentare le proprie vendite online, troverai in eBay un ottimo sbocco per i tuoi prodotti, soprattutto considerando i numeri che lo stesso marketplace diffonde all'interno del proprio sito. Aprendo un Negozio, potrai infatti proporre i tuoi prodotti in oltre 190 mercati sparsi per il globo, per un totale di 169 milioni di potenziali acquirenti. Non è un caso, sempre secondo questi numeri relativi al 2015, che il 67% dei 30 mila venditori professionisti attivi su eBay Italia commercializzi i propri prodotti all'estero e, allargando lo sguardo su scala europea, il settore export all'interno del marketplace nel 2014 ha movimentato 29 miliardi di euro in transazioni extra nazionali. Un'opportunità tutt'altro che secondaria, dunque, se il tuo scopo è quello di allargare il bacino di clientela anche verso l'estero. Purtroppo, a differenza di Amazon, eBay non offre strumenti evoluti per il monitoraggio dei prezzi nel marketplace nemmeno agli utenti Premium. Nella tua console avrai però a disposizione dei mezzi di valutazione del tuo grado di competitività grazie alle statistiche dettagliate per ogni inserzione dove è riportato, tra l'altro, il posizionamento nelle ricerche, il numero di visite, le vendite effettuate, il click e il sell trought (il rapporto tra ricerche e visualizzazioni approfondite e quello tra visite e acquisti) e, cosa più importante, il prezzo medio delle prime 5 inserzioni più popolari simili a quelle da te proposte. Dati sicuramente importanti che a colpo d'occhio possono già dare una prima valutazione sulla performance delle tue offerte commerciali, utili a tutti i venditori ma forse troppo limitati se la tua esigenza è quella di cercare un approfondimento maggiore per comprendere meglio il mercato in cui stai vendendo. eBay consiglia, per esigenze più specifiche e particolareggiate, di affidarsi a soluzioni di terze parti. I Software per il monitoraggio dei prezzi della concorrenza Nel mondo del web marketing e delle vendite online, è necessario essere competitivi per emergere ed accaparrarsi le preferenze degli utenti. Ci sono numerosi strumenti che possono aiutarti a fare questo, senza che tu sia costretto a perdere ore negli shop concorrenti tentando di stare dietro alle variazioni dei prezzi. Amazon cambia circa 2 milioni di prezzi ogni giorno. Il tuo tempo può essere impiegato in modo decisamente migliori, dedicandoti all'analisi dei prezzi della concorrenza tramite numerosi software, reperibili online, che faranno tutto il lavoro in maniera automatica e costantemente aggiornata. Alcuni dei migliori sul mercato sono Prisync, Pricefy, Competitoor, Pricing Assistant, Co-Guard. Ne analiziamo alcuni nel dettaglio in questo articolo. Che cosa fanno questi software? Controllano in tempo reale i prezzi che i concorrenti applicano ai loro prodotti e sono in grado di avvisarti quando superano una certa soglia, mettendoli a confronto con i tuoi prezzi. Generalmente, permettono di monitorare i prezzi dei tuoi concorrenti presenti sui principali MarketPlace, come Amazon e eBay, ma alcuni di essi ti permettono anche di analizzare i prezzi di un competitor diretto che possiede un ecommerce proprietario. Tutto qui? No, alcuni di questi software sono in grado di fare molto di più. Ti permettono di analizzare i trend di prodotto, scoprire nuove opportunità di mercato. Valuta bene prima di scegliere il software giusto. Ci sono alcuni aspetti che non puoi permetterti di sottovalutare. Ho preparato una guida gratuita che ti aiuterà nella scelta del miglior Competitor Price Monitoring Software.
Probabilmente ti sarai chiesto: “Quali saranno i modelli assicurativi di domani?” “Come verranno distribuiti in futuro i prodotti assicurativi?” “Dove sta andando il mercato?” Se anche tu ti sei fatto queste domande, allora probabilmente questo articolo è quello che fa per te. Oggi siamo alla terza edizione delle sei, dove ti parlo delle Assicurazioni su Blockchain e di quali sono i possibili benefici nell’implementazione della blockchain nel settore assicurativo. In questo particolare articolo, partendo dalla definizione di blockchain, tratteremo il tema dei nuovi modelli assicurativi che verranno abilitati dall’uso della blockchain per la distribuzione e quali sono le possibilità che ancora una volta si stanno presentando per la tua società e per tutte le compagnie che decidono di approcciarsi al futuro in maniera proattiva. Ciao e bentornato con l’appuntamento di ogni venerdì tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB, per la trasmissione della metodologia Digital Building Blocks nelle diverse industry del mercato. Il ragionamento che sta alla base Sai perfettamente (perchè ti è capitato decine di volte) che non avrebbe senso se adesso mi mettessi qui a “spiattellarti” l’elenco dei nuovi modelli di prodotto possibili su blockchain. Per questo vale la pena fermarsi a ragionare sul perché è possibile creare nuovi prodotti. Quindi ragioniamo sulla definizione semplificata di blockchain: “La Blockchain è un registro (tipo quello cartaceo ma digitale) che è distribuito ugualmente allo stesso modo tra tutti i nodi (computer in generale) che fanno parte della rete blockchain. Questi registri hanno un sistema di protezione delle informazioni difficilmente bypassabile (la difficoltà è proporzionale con il numero dei nodi di cui è composta la rete). In questo modo è possibile verificare un’informazione, non più rivolgendosi ad una terza parte che detiene l’informazione originale (Es. istituzione), ma bensì quell’informazione è vera se è scritta in tutti i registri all’interno della rete..” A questo, aggiungiamoci la definizione semplificata di smart contract: “Gli smart contracts utilizzati sulla rete blockchain, sono particolari tipi di contratti che vengono scritti in linguaggio di codice. Nel particolare caso dei contratti assicurativi, potrebbero essere i contratti stessi trascritti in linguaggio di programmazione, in modo tale che l’attivazione di una particolare clausola del contratto si avrebbe in automatico nel caso in cui si verifichi una determinata condizione..” Partendo da queste due definizioni semplificate, che non vogliono scendere in tecnicismi, è possibile capire quali vantaggi la tua compagnia può trarne. Come trarre vantaggio? Immaginati di implementare questa logica di distribuzione delle informazioni chiamata blockchain, con la tecnologia che collega le cose a internet (iot) e quindi di conoscere i dati che vengono estratti dall’oggetto assicurato. Non solo, ma immaginati che tu a distanza possa effettivamente impedire l’utilizzo di un oggetto che ti appartiene e che viene fornito in comodato all’assicurato dopo la sottoscrizione del contratto…. Ecco appunto, quest’ultima “frase” dove hai letto che puoi bloccare l’utilizzo di un oggetto, considerala passata, perchè con uno smart contract, sarà direttamente questo contratto intelligente a rilevare eventuali clausole di contratto non rispettate e quindi a “spegnere” l’oggetto in questione. Quindi in sintesi il vantaggio che puoi trarre da questa tecnologia per costruire nuovi prodotti è proprio legato alle sue definizioni e quindi, puoi in questo modo avvalertene per ideare strumenti migliori. Fizzy di AXA Per prendere in mano qualcosa di tangibile, puoi osservare l’esempio di prodotto già implementato, quello di AXA, che si chiama “Fizzy”. E’ un prodotto assicurativo pensato per essere utilizzato da chi fa uso dell’aereo come mezzo di trasporto. Un prodotto che ha come condizione di attivazione dell’indennizzo, quella di ritardo del volo… nulla di eclatante potresti dire, se non fosse che l’indennizzo viene automatizzato proprio attraverso smart contract su blockchain! In pratica il contratto intelligente è collegato ai voli e agli orari di arrivo e partenza. Quindi nel caso in cui il volo dell’assicurato faccia ritardo per più di n minuti, allora il contratto percepirà il verificarsi di questa condizione e si attiverà in automatico risarcendo il cliente della cifra pattuita da contratto. Questo è possibile perché il contratto intelligente si appoggia ad una rete blockchain che verifica in tempo rale la veridicità delle informazioni e quindi l’applicabilità o meno del contratto nella sua forma. Conclusioni Questo è solo uno dei possibili prodotti che vengono proposti agli assicurati. Il prossimo potresti essere tu a idearlo per la tua azienda. In ogni caso, nei miei articoli leggerai sempre le definizioni di blockchain e smart contract perchè è da li che si può partire per immaginare i benefici di questa tecnologia nell’industria assicurativa. Lavora sul tuo approccio al mondo dell’innovazione perchè avrà più valore la mentalità che acquisirai piuttosto che il singolo lavoro. Con questo articolo mi auguro di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain (sempre qui su dbb), ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Questo articolo parla di: Inbound Marketing Tool utili per individuare contenuti duplicati Alcuni consigli per tutelarsi L'attività del momento: l'Inbound Marketing Tra le attività di marketing online più gratificanti (e più di moda) di questo periodo, c’è sicuramente l’attività di Inbound Marketing. Le aziende che intendono posizionarsi sulla prima pagina di Google si concentrano non più soltanto sulle inserzioni a pagamento del noto servizio Adwords, ma cercano di offrire contenuti interessanti per gli utenti (spesso attraverso un blog), nel tentativo di instaurare un rapporto di fiducia durevole nel tempo che porti l’utente, alla fine del buyer’s journey, ad acquistare il prodotto o il servizio. La “corsa alla creazione dei contenuti” Questa “corsa alla creazione dei contenuti” è ormai una guerra alla ricerca del contenuto più originale da postare, con il titolo migliore dal punto di vista SEO e con l’utilizzo strategico delle keyword long tail all’interno del testo. Cosa succede, però, quando un copywriter non ha più nulla da dire? Il rischio è che vaghi nel territorio sconfinato di internet alla ricerca di contenuti simili e che facciano al caso suo. Il pericolo è che ceda alla tentazione di copiarli, per riportarli sul suo blog o sul suo sito. Di quali tutele disponiamo quando scopriamo che qualcuno ha copiato i nostri contenuti per riprodurli in modo esatto sul suo sito? Ecco alcuni consigli. Tool utili per individuare contenuti duplicati e alcuni consigli per tutelarsi Il primo passo da fare, per verificare di non aver commesso un errore di valutazione, è quello di accertarsi che il contenuto sia stato davvero copiato. Per far questo esistono degli strumenti online (alcuni di questi sono gratuiti) in grado di riconoscere un testo copiato anche solo se in parte. Copyscape: è sufficiente inserire l’URL del proprio contenuto per visualizzare l’elenco delle pagine web che contengono un contenuto simile. Copyscape riesce anche a selezionare la parte del testo che ha rintracciato identica. Nella sua versione premium, tra gli altri servizi, invia notifiche quando rintraccia nuovi duplicati del contenuto. Provatelo: www.copyscape.com. Copygator: servizio molto simile a copyscape, con la sola differenza che richiede l’inserimento dell’indirizzo dei feed e non dell’URL. Per saperne di più: www.copygator.com. Duplichecker: ancora diverso per criterio di ricerca utilizzato, questo tool consente di rintracciare i plagi inserendo direttamente il testo o la parte di esso che intendiamo “difendere”. Permette anche di caricare un documento conservato sul proprio pc. Eccolo qui: www.duplichecker.com. Alcuni consigli utiili Una volta verificata l’effettiva esistenza del plagio, a parer mio è opportuno mantenere un approccio costruttivo (è difficile, lo so!), quindi contattare il proprietario del sito o del blog per chiedere spiegazioni, la rimozione del contenuto copiato o, se lo riteniamo opportuno, la citazione della fonte. Qualora non ci fosse alcun riscontro o, peggio, il proprietario del sito o del blog al quale contestate il plagio si rifiutasse di riconoscervi la paternità dell’articolo, il terzo passo potrebbe essere (al ricorrere dei necessari presupposti), quello di segnalare il fatto alle autorità. Secondo quanto previsto dalla legge. n. 633 del 1941 (così come modificata dalla l. 248 del 2000) ogni testo condiviso online è tutelato dalla normativa del diritto d’autore. Ciò significa che non potrà essere legittimamente copiata, riprodotta né tanto meno qualcuno, diverso dall’autore originale, potrà appropriarsi della sua paternità. Esiste però un’eccezione (ex art. 70 l. 633/41): è consentito infatti il riassunto, la citazione o la riproduzione di parti dell’opera, a scopo di studio, discussione, documentazione o insegnamento, purché vengano citati l'autore e la fonte e non si agisca a scopo di lucro. Di certo si tratta di un passo da intraprendere soltanto se si è davvero certi di ciò che si intende sostenere. Scoprire che qualcuno ha copiato i nostri contenuti, magari prodotti con fatica o incaricando copywriter professionisti, è certamente un grande dispiacere. Non va però sottovalutata però, l’eventuale potenzialità di un’attività di link building attraverso la citazione da parte di altri di articoli provenienti dal nostro blog. Conosci l’attività di Guest Blogging? Funziona così: immagina di trovare sul blog B, materiale copiato interamente dal tuo blog A. Decidendo di mantenere un approccio costruttivo, potresti chiedere al proprietario del blog B di citare la fonte dalla quale ha tratto quei contenuti (magari offrendo uno scambio reciproco futuro): in questo modo, l’utente che leggerà il blog B, scoprirà che si tratta di materiale realizzato dal blog A e, se lo riterrà interessante, potrà proseguire la lettura sul tuo blog. Con questa strategia, aumenterai il numero di backlink ed il traffico verso il tuo sito (e probabilmente avrai trovato anche qualcuno con cui collaborare in futuro!). Ti sei mai ritrovato in una situazione del genere? Come l’hai affrontata? Sei riuscito a mantenere un approccio costruttivo? Hai trovato soluzioni diverse e hai voglia di condividerle? Siamo curiosi!
Non è importante da dove parti ma la traiettoria che percorri La continua evoluzione del mercato e la natura penetrante delle nuove tecnologie impongono un cambiamento radicale all’impresa tradizionale; la digitalizzazione delle funzioni aziendali è senza dubbio il driver chiave della trasformazione. Per gestire in maniera efficace la digital transformation della tua azienda, dovrai pensare di affrontare un percorso strutturato che eviti inutili sprechi di tempo e risorse, caratterizzato da passi di complessità crescente basati sul livello di maturità digitale in cui essa realmente si trova. Il tuo primo obiettivo dovrà essere la definizione di un “digital maturity assessment”, ovvero il monitoraggio dei diversi asset aziendali, per stabilire il livello digitale in cui si trovano i principali blocchi del tuo business model . L’output di questa attività ti fornirà il grado di “prontezza” digitale (Digital Readiness) della tua impresa, valore essenziale per la pianificazione di una strategia innovativa. Fonte: http://myndset.com/2015/02/digital-maturity Se immaginiamo un asse temporale, dove T(0) rappresenta il punto di partenza per un’eventuale percorso volto alla trasformazione digitale, sulla base del grado di digitalizzazione del business model aziendale nel punto T(0) è possibile strutturare un percorso di Digital Transformation che porti l’azienda a raggiungere una maturità crescente in istanti di tempo T(i) > T(0). In poche parole “non puoi sapere davvero dove vai, se non sai da dove vieni” (dal film Hitch con Will Smith), quindi in fase preliminare, cioè al punto 0 del percorso di trasformazione, dovrai porti una domanda fondamentale: dove si trova la mia azienda ora, digitalmente parlando? Per rispondere a questa domanda facciamo un passo indietro… la tua azienda, così come ogni altra che si misuri con il mercato attuale e le sue complessità, deve basarsi sul monitoraggio attento e costante dei digital analytics data e sull’utilizzo di metriche predittive innovative se vuole incrementare le sue possibilità di sopravvivenza e quindi di prosperità. Con l’Analytics l’approccio al mercato di riferimento e alle esigenze dei potenziali clienti diviene proattivo e non più reattivo, anticipando il cambiamento e riducendo i tempi dei processi decisionali. Se ti chiedi il motivo di questa piccola parentesi, risponderò che in realtà i due argomenti sono strettamente correlati: la valutazione del livello di maturità digitale di un’azienda si basa proprio su un forte principio di analisi dei dati, i cui risultati renderanno possibile collocare l’organizzazione ad un preciso livello di digital maturity. Fonte: https://www.smartsheet.com/blog/collaborative-work-management-maturity-assessment-retail Secondo le informazioni ottenute da una recente intervista a 200 CEO di aziende, è apparso chiaro che per gestire il cambiamento con successo si dovranno conoscerne i fattori abilitanti e stabilire se si è in grado di affrontarlo traendone profitto. A tale scopo con la metodologia Google Sprint (Leggi: Metodo Sprint) abbiamo realizzato un binomio survey-dashboard da somministrare alle aziende per valutare il loro Digital Health Rate (DHR), analizzando il livello digitale delle singole dimensioni aziendali. Il “punteggio di salute digitale” ottenuto corrisponde al livello globale di digital maturity dell’azienda ed esprime quanto questa sia pronta ad avviare/implementare un processo di digital transformation. Punto di partenza si, allora, ma anche molto di più: la potenza di questo vero e proprio strumento diagnostico non si manifesta solo in fase preliminare. In un ideale circolo virtuoso diagnosi-strategia-cura-controllo/monitoraggio, il DHR è uno strumento che ti permetterà di monitorare periodicamente e riequilibrare la progressione digitale della tua impresa, consentendoti di “plasmare” la digital strategy sulla base di dati concreti che rispecchiano in maniera puntuale l’evoluzione del tuo modello di business.
Sei un retailer e ogni giorno sei sempre più tentato di sperimentare la vendita online per trovare nuovi clienti? Stai valutando un MarketPlace ma non sai quale sia quello più adatto al tuo business? Prima di iniziare a valutare i vantaggi e gli svantaggi che si possono incontrare ampliando il proprio mercato delle vendite all'e-commerce online, andiamo a vedere nel dettaglio che cosa sono i MarketPlace. Letteralmente la parola significa mercato. E di questo effettivamente si tratta, nonostante non sia fisicamente presente. I MarketPlace non sono altro che luoghi di scambio tra venditori e compratori in cui il proprietario del sito assume la figura di intermediario. In quanto intermediario, egli guadagna in percentuale sulle vendite-acquisti effettuati. I due colossi presenti a livello mondiale sono decisamente Amazon e eBay. Essi sono nati rispettivamente nel 1994 e nel 1995, ma hanno iniziato a prendere piede nei primi anni 2000. Vendere su Amazon Molte aziende hanno la necessità di vendere su Amazon, molte di esse vendono solo tramite questo sito e non hanno un ecommerce privato. Si è stimato che il 50% di chi compie acquisti online passa da Amazon. I motivi per cui avviene ciò sono molteplici. Per prima cosa Amazon è molto ben posizionato, ovvero i link di Amazon si trovano sempre tra i primi risultati nelle pagine di ricerca, ed ecco che chi acquista è spinto a scegliere proprio il prodotto proposto da Amazon. Non solo, Amazon acquista la maggior parte degli annunci dei motori di ricerca, ovvero i link presenti nelle pagine che si trovano in prima posizione nella rete di ricerca di Google. Il secondo motivo per cui Amazon è un MarketPlace molto richiesto e utilizzato, è che ci sono davvero infinite categorie in cui poter fare acquisti. Pensi che Amazon non sia adatto al tuo settore? Prova a navigare tra i prodotti proposti, ti accorgerai che troverai di tutto, dai libri ai prodotti per il giardinaggio. Infine, anche se forse rappresenta il motivo principale che spinge gli utenti ad acquistare su Amazon, c’è la fiducia. Negli ultimi anni, Amazon ha fatto della cura del cliente la sua vera forza. Il consumatore finale è al centro di tutte le strategie di Amazon, dai prezzi alla politica sui resi, dall’assistenza alla consegna. Questi possono essere motivi sufficienti per farti decidere di inserire i tuoi prodotti nel catalogo Amazon. Ma prima è necessario che tu conosca nel dettaglio tutti i vantaggi e svantaggi del caso. Quali sono i vantaggi di vendere su Amazon? Parliamo di numeri: gli utenti presenti su Amazon sono 300 milioni: una cifra da non sottovalutare. Su Amazon questi utenti non solo potranno comprare i tuoi prodotti, ma avranno anche l'opportunità di conoscere il tuo brand. Tramite Amazon essi potranno avere l'opinione di altri utenti sul tuo prodotto e potranno chiedere loro consigli e opinioni in modo diretto. Se hai un buon prodotto su cui fare affidamento, Amazon è decisamente il posto che fa per te. Un secondo motivo che può spingerti a sceglierlo, è che Amazon vanta un pannello estremamente facile da utilizzare, soprattutto se sei già attivo con un tuo e-commerce personale. Se sono già presenti prodotti simili ai tuoi nel catalogo, allora l'inserimento sarà immediato. Inoltre, viene offerta al cliente assistenza per ogni tipo di operazione tramite il Servizio Venditori che risponde tempestivamente. L'aspetto più interessante, poi, è quello che riguarda la spedizione. Di questo si occupa interamente Amazon, ed è il vero scoglio per chi vuole intraprendere un e-commerce. La logistica di trasporto è un aspetto molto costoso e complicato, soprattutto per il venditore. Amazon offre, invece, spese di spedizione gratuite per l'acquirente che sottoscrive un abbonamento Prime, il che incrementa gli acquisti (e le tue vendite). Un altro importante vantaggio della vendita tramite Amazon è che non è necessario investire su una figura professionale che si occupi del sito, della sua creazione e della sua manutenzione. Amazon è molto intuitivo e non necessita di un individuo specializzato, per cui se sei una piccola azienda puoi occupartene in prima persona. Quali sono i contro di vendere su Amazon? Come in tutte le cose, anche in questo caso ci sono degli elementi che devono essere presi in considerazione prima di iniziare a vendere su Amazon. Devi tenere presente che i clienti che acquistano la tua merce su Amazon sono i clienti di Amazon e non ancora i tuoi. Con ciò non puoi sperare che il cento per cento di chi ha acquistato un tuo prodotto tramite questa piattaforma, poi automaticamente venga indirizzato sul tuo sito. Anzi, Amazon è ben predisposto a non farlo avvenire. Non verrai pubblicizzato in quanto venditore singolo, ma verrà pubblicizzato solamente il tuo prodotto, inserito dentro un catalogo di altri prodotti simili. In questo modo il cliente non si interessa dell'azienda che la produce e la sua sensazione sarà semplicemente quella di aver acquistato un prodotto su Amazon, come se questo ne fosse il proprietario. Anche tu ne sarai in qualche modo alle dipendenze. Non avrai un controllo sui tuoi prodotti, non sarai a conoscenza del cliente che ha effettuato l'acquisto e non avrai accesso né alle informazioni demografiche, né agli indirizzi email, e ciò non ti permetterà di ottimizzare le tue vendite. Parlando di numeri, se è vero che sono presenti 300 milioni di clienti, sono altrettanto presenti 2 milioni di aziende in tutto il mondo. La percentuale delle aziende che vendono il tuo stesso prodotto o uno simile è davvero molto alta, per cui sarà veramente molto difficile emergere e posizionarsi al di sopra della concorrenza. Esistono, infatti, determinate strategie e strumenti specifici che potrai utilizzare per competere all’interno di Amazon. Vendere su eBay Analizziamo adesso il secondo MarketPlace più diffuso in Italia: eBay, un MarketPlace nato nel 1995, un anno dopo l'avvento di Amazon. La presenza di clienti su Ebay è notevolmente inferiore rispetto ad Amazon, ma le sue diverse modalità di vendita offrono numerosi aspetti vantaggiosi da analizzare nel dettaglio prima di iniziare ad utilizzarlo come piattaforma di commercio online. Quali sono i vantaggi di vendere su eBay? Un grosso vantaggio della vendita tramite eBay è che il venditore può scegliere tra diverse modalità di vendita, tra cui anche l'asta online. L’utilizzo delle aste online, consente di vendere i tuoi prodotti al miglior offerente. Questa modalità attrae, ancora oggi, moltissimi consumatori, soprattutto per quanto riguarda, prodotti di nicchia, pezzi usati o difficili da trovare altrove. Il vantaggio più grande di vendere su eBay è quello della minore concorrenza rispetto a quella presente su Amazon.Inoltre, a differenza di Amazon, eBay offre al venditore degli strumenti che semplificano il modo in cui mettere in risalto il proprio marchio su un negozio eBay. Quali sono i contro di vendere su eBay? Se è vero che la concorrenza è minore, anche il numero di clienti si abbassa, il che può essere un aspetto negativo perché il mercato si restringe. Un altro problema in cui puoi incorrere, sono i costi di commissione di vendita. Essi sono pari alla tassa di inserimento di 0,35 centesimi/prodotto, che si attiva dopo il cinquantesimo prodotto inserito, e al 10% del prezzo di vendita, che comprende Iva e spese di spedizione, infatti eBay offre molto meno assistenza e vantaggi sulle spedizioni rispetto ad Amazon. Conclusioni In conclusione, primi di scegliere il MarketPlace adatto a te, devi iniziare a valutare di cosa hai bisogno e soprattutto che tipo di prodotto stai vendendo. Inoltre, poniti alcune domande, le affronteremo nei prossimi articoli: Sai qual è il prezzo giusto per vendere il tuo prodotto sui MarketPlace? Conosci i tuoi competitor online? Sai come sincronizzare le scorte tra il punto vendita e il MarketPlace o tra il tuo sito ecommerce e Amazon e eBay? Se vuoi scoprire come incrementare le tue vendite online, abbiamo creato una guida con 5 strategie vincenti! scarica la tua copia gratuita: Raccontaci anche tu la tua esperienza di vendita sui MarketPlace.
Come digitalizzare la fiera? Il titolo dell’articolo probabilmente fa l’occhiolino ai titoli che vanno sotto il topic “digital transformation”. In realtà l’unico obiettivo è parlare di come sfruttare le nuove tecnologie per raggiungere gli intenti descritti nel precedente articolo (Funzionano ancora le fiere di settore?). Sintetizzando, gli eventi o le fiere, su cui mediamente un’organizzazione B2B investe il 40% del budget marketing, sono un canale di outbound utile se: Viene misurato il ritorno sull'investimento. Quindi si predispone un piano di misurazione e sistemi capaci di raccogliere i dati; Viene definito il JOB TO BE DONE, ovvero il “lavoro” che il Prospect ha definito, il perchè sta partecipando alla fiera; Vengono definiti i processi da implementare per costruire e nutrire la relazione con il Prospect. Abbiamo cambiato il processo di acquisto. È il momento di cambiare il processo di vendita. Ogni fase della buyer's journey dovrebbe essere mappata e presidiata, ben prima dell’evento in fiera. Rappresentazione del buyer's journey secondo Google ACQUISITION Nella fase di i canali di digital marketing o marketing diretto sono diversi; si potrebbe sfruttare Google Adwords per presidiare almeno le keyword brand sui mercati da cui ci si aspetta il maggior numero di visitatori. Google, oltre ad essere il primo (ed il secondo, se si considera Youtube) motore di ricerca al mondo, genera il 97% delle entrate (79,5 miliardi di dollari in revenue nel 2016) dalla piattaforma di advertising Google Adwords. Essere presenti tra le prime posizione per le chiavi di ricerca brand dovrebbe essere un must have per ogni azienda B2B. Anche se siete presenti, per la fiera o l’evento il vostro obiettivo è diverso. Non basta atterrare su un sito ricco di informazioni per trasmettere il messaggio. Il vantaggio di un annuncio sponsorizzato è la possibilità di “governare” il messaggio che si intende comunicare: titolo, benefit, call to action, pagina di destinazione, estensioni varie che incrementano la rilevanza dell’annuncio (numero verde, location della prossima fiera, link diretto alla pagina di registrazione, link al video di presentazione delle fiera, eventuale app da scaricare - ma anche no, etc). Anatomia della SERP di Google Potrebbero essere implementate altre tipologie di campagne a risposta diretta. Presidiare le parole chiavi dei competitor, della fiera. Se si possiede un database (perchè no?), si potrebbero implementare campagne customer match, che consentono di mostrare ai tuoi clienti gli annunci in base ai dati su di loro da te condivisi con Google, Facebook, Youtube, Criteo, etc (per approfondimenti qui, qui, qui). Pensare strategie diverse in funzione dell’industry, del comportamento della Customer Persona, dell’obiettivo e del budget a disposizione. Per esempio intercettare le ricerche da dispositivi mobili (smartphone e tablet) di tutti gli utenti che esprimono interesse verso il luogo o gli argomenti della fiera e si trovano presso gli aeroporti principali di provenienza dei Prospect, nei giorni precedenti la fiera internazionale (l’attesa può essere lunga negli aeroporti). Ma cosa proporre? Perchè implementare questo tipo di strategia? Senza un processo Customer Oriented non è assolutamente banale generare business senza aver fornito valore al cliente. Come abbiamo detto precedentemente, abbiamo cambiato il modo di effettuare acquisti, dobbiamo cambiare il modo di vendere. Ma una buon marketing operativo non sostituirà la percezione del vostro brand. Mi viene in mente uno speech di Gary Vaynerchuk tenuto sul palco dell’evento Inbound di Boston 2016 dove spiega, in modo colorito, la differenze tra sales e branding (guarda il video): …..Look, I’m a salesman. I’m all about the CTA (Call to action), but at the end of the day we’re talking about the difference between sales and branding. Anybody can be a great salesman, but creating a great brand is something totally different. Being a Nike, being a Puma, as opposed to just selling sneakers, is totally different. Sometimes I don’t go for the CTA, sometimes I don’t go for the popup, or the other growth-hacking techniques. The reason for that is I believe in the Jabs. I believe in branding. I believe that there is a time and a place. I believe there’s context…. ACTIVATION Intercettate le ricerche dei Prospect, di fondamentale importanza è la destinazione (meglio il percorso) che il visitatore online dovrà percorrere. Una landing page, un sito verticale sull’evento. In questa fase non potete prescindere dalle varie tipologie di utente; l’obiettivo è pensare e soddisfare il “job” di ogni tipologie di utente. Non esistono clienti e prospect in questa fase. Esistono Customer Persona diversi, con obiettivi, missioni, aspirazioni, interessi, doveri differenti. Proviamo ad analizzare il sito web di presentazione dell’evento Inbound Movement: www.inbound.com. L’evento mondiale sul Sales & Marketing viene sponsorizzato da Hubspot, piattaforma di Marketing Automation, e si tiene dal 2012 a Boston (USA). Nel 2012 gli iscritti erano circa 2.500; nel 2015 circa 14.000, nel 2016 circa 19.000 (vedremo i numeri del 2017, 25 - 28 settembre, a cui già da tempo non è possibile iscriversi). Questa crescita ha proclamato INBOUND come l’evento più grande e con la crescita più rapida del settore. Atterrando sul sito si capisce immediatamente il desiderio di creare una community: “fuel the movement”. L’obiettivo è coinvolgere, probabilmente gli utenti che atterrano su questo sito provengono da canali referral, hanno sentito parlare dell’evento. Circa 7.800 utenti al mese, con punte di 35.000 visitatori nel mese di giugno, 3 mesi prima dell’evento; probabilmente da giugno vengono intensificate le campagne di acquisition, infatti proprio in questo mese potete osservare i canali social degli speaker che nominano l’evento. Possibilità di ricevere aggiornamenti via email, e ancora più importante, ricevere realmente questi aggiornamenti. Agenda delle giornate con il dettaglio di ogni evento. Distinzione degli eventi in funzione della figura professionale o interesse (developer, marketer, salesman, entrepreneur). I contenuti attesi, divisi per “job”: ispirazionali, educativi, divertenti. La presentazione degli speaker, dei loro talk, la loro biografia, la possibilità di seguirli ed approfondire. La libreria con contenuti utili, popolari, per tipologia (slide, video), per argomento (sales, executive, idee), per anno. E’ molto chiaro che l’obiettivo primario è la community, il movimento, non la vendita del ticket di ingresso. Per i nuovi visitatori, per coloro che hanno appena conosciuto l’evento, un’attenzione particolare: - perché partecipare, con le opportunità da cogliere e le testimonianze di partecipanti entusiasti (social proof); - come convincere il capo, con consigli e, contenuto premium, la lettera di approvazione, ben impostata con motivazioni, obiettivi, progetti che saranno positivamente influenzati da questa esperienza, dettagli su trasferta e costi. La sezione dedicata ai contenuti, al blog, è il fondamento del sito, dell’evento. Perché come scrive Seth Godin nel suo blog (giudicato il più influente blog sul marketing moderno), le aziende hanno bisogno di raccontare la loro storia perché essa sopravvive al prodotto / servizio. CONVERSION In questo articolo dedicato al topic fiere, come digitalizzare un evento, probabilmente la fase più importante è la conversione della visita in lead, del prospect in customer, del cliente in un cliente migliore. Ho partecipato a diverse fiere: banking, automotive, machinery, digital, startup competition, marketing. In una delle mie precedenti esperienze, ho partecipato attivamente come espositore, come salesman. Ricordo la tensione durante l’evento, le riunioni di kick off, i brainstorming a fine giornata, la pressione di tutti verso gli obiettivi (nemmeno troppo definiti). A pensarci bene, piuttosto che una definizione di obiettivi quantitativi, di target reali, c’era una condivisione di quella che doveva essere la missione dei partecipanti, ovvero raccogliere contatti, lead, pianificare appuntamenti, chiudere qualche vendita (che naturalmente avevi seminato mesi prima e pianificato appositamente per l’evento). Quindi non avendo mai definito degli obiettivi “smart”, la realtà era uno sforzo comune per dimostrare una presenza attiva, indaffarata, proattiva verso il visitatore, preparata sul prodotto, determinata sui key account customer invitati a partecipare alla fiera. Alla fine di ogni giornata c’era la conta dei biglietti da visita che si erano raccolti. Questo è il risultato...se non c’è un obiettivo? L’80% dei visitatori in fiera sono potenziali clienti. Avete mai pensato come iniziare una relazione almeno con l’80% di loro? Ma torniamo alla conversione. Inbound.com ha due modalità di conversione online: registrati per avere aggiornamenti e, con tutti quei contenuti, se sei in target, almeno l’email la lasci. Inoltre c'è la possibilità di effettuare l'acquisto del biglietto (con la solita tecnica dei 3 prezzi, per farti acquistare “il più popolare”, e forse l’unico che abbia senso). Non è sufficiente acquistare il biglietto. L’evento è un mezzo, non il fine. Durante l’evento avviene la magia! Ma, probabilmente, ne parlerò in un’altra occasione. Per le fiere di prodotto, la prima attività è informare il database, distinguendo le varie tipologie di Clienti / Prospect. Non possiamo scrivere solo nell’imminenza della fiera. Non saremmo un mittente credibili, con scarsissimi risultati in termini di interazione (open rate, click-through rate, conversion). Dobbiamo coltivare il rapporto con essi, generando contenuti di valore, pertinenti con i loro “jobs”, non solo col nostro prodotto. Questo processo va sotto il nome di Lead nurturing, ovvero coltivare il lead. Lo accompagnamo alla fiera offrendo le nostro competenze, risolvendo i loro problemi, portandoli a registrarsi per pianificare un incontro con un vostro ingegnere, consulente, venditore...anche responsabile acquisti se la possibilità è instaurare una partnership. Registrarsi al workshop, entrare nella community dove saranno moderati temi sulla industry, ottenere risposte direttamente dal CEO dell’azienda (famosi sul sito Reddit gli sigla di “Ask me Anything”, ormai sdoganati su ogni social). Non è un valore percepibile il ticket gratuito per la fiera, se qualunque cliente di una certa rilevanza avrà cento aziende che lo inviteranno direttamente e gratuitamente. Non penso sia utile accompagnare un cliente Key Account alla fiera, se non si è pensato un modo valido per creare o consolidare la relazione con esso. Chi viene alla fiera non è interessato solo al tuo prodotto / servizio. Tutte le informazioni utili per ottenere il massimo dalla sua visita saranno apprezzati: registrazione, location, agenda, hotel convenzionati, eventuali applicazioni da scaricare, networking application, social, eventi serali, informazioni utili per pianificare il viaggio. Sarete il loro consulente. Sarete presenti nel momento giusto con le informazioni giuste. Una landing page con un form collegato al CRM o alla piattaforma di Marketing Automation dovranno essere l’unico strumento per raccogliere i lead dei visitatori che incontrano un venditore, partecipano ad un workshop, prendono un caffè presso il vostro stand. La raccolta dei biglietti da visita, non digitalizzati, crea un’enorme inefficienza. Non incontri il venditore corretto della tua zona, perdi le informazioni, il marketing tarderà ad entrare in relazione col visitatore dopo la fiera, il venditore / distributore / area manager di zona non è tanto proattivo. Solo effort sprecato. Ogni form, di ogni venditore, dovrà essere connesso ad un ciclo di nurturing di follow-up, automatico, personalizzato e altamente pertinente. Sarà meglio eliminare la carta (e la famosa busta per la raccolta dei gadget) ed iniziare a recapitare tutte le informazioni che serviranno per inspirare, formare, coinvolgere, convincere il vostro Prospect direttamente nella casella di posta elettronica. Ogni email UTILE sarà un mattone del ponte che vi collegherà a Lui. E non pensate che il vostro cliente è diverso. Veramente pensate che passi il suo tempo a sfogliare riviste di settore, volantini o l’area riservata del Vostro sito? Veramente? Internet Live Stats, 24.09.2017 Mettere in piedi un sistema che produca form online con url personalizzate per ogni venditore è banale. Ogni venditore, come ogni persona, guarda lo smartphone circa 100 volte al giorno. Sarà un attimo profilare un nuovo visitatore / prospect / cliente direttamente dal suo smartphone, raccogliendo tutte le informazioni rilevanti. Partite leggeri. Un CRM FREE come quello di Hubspot può eliminare molte attività di data entry, gestire la pipeline, organizzare note / appuntamenti / email / documenti / sequenze, monitorare il comportamento dell’utente. Partire come una startup, piccoli e flessibili ma con l’obiettivo di scalare esponenzialmente. Gli eventi sono un’ottima occasione per creare un processo di Inbound Marketing, una relazione col Prospect. Ma non possiamo continuare a pensare l’utente online differente dalla persona offline. Dobbiamo misurare le nostre azioni. Raccogliere i dati, analizzarli e agire è fondamentale: Data is the new oil!
Ciao e bentornato con l’appuntamento di ogni venerdì tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB, per la trasmissione della metodologia Digital Building Blocks nelle diverse industry del mercato. Oggi siamo alla seconda edizione delle sei, dove ti parlo delle Assicurazioni su Blockchain e di quali sono i possibili benefici nell’implementazione della blockchain nel settore assicurativo. In particolare oggi tratteremo il tema della disintermediazione, ma non per forza intesa come la fine di tutte le agenzia assicurative, piuttosto ci interessa capire al momento, quali sono i vantaggi nell’utilizzo di questo “nuovo” modo di distribuire le informazioni. Infatti il topic è iniziato con l’individuazione di 6 macroaree nell’industria assicurativa, dove la blockchain impatterà maggiormente e senza dubbio tra queste , c’è anche la parte legata alla perdita dell’obbligatorietà di riferirsi ad un intermediario (qualunque esso sia) per poter verificare delle informazioni (anche per definizione stessa di blockchain). Perchè si parla di disintermediazione Iniziamo a capirlo, ragionando sul fatto che la blockchain è un registro di informazioni condiviso, in modo uguale, tra tutti gli appartenenti alla “rete blockchain”, quindi più semplicemente puoi pensarla come un modo nuovo di distribuire le informazioni. Fino ad oggi, per verificare delle informazioni (come ad esempio l’identità di una persona o l’effettiva solvibilità economica di una società o mille altri casi simili), sei stato abituato a fare affidamento ad una terza parte, che ti facesse da garante su quella precisa informazione che cercavi di verificare. Una terza parte che ti garantisse che quell’informazione fosse vera. Nel mondo di oggi però, dove la parola condivisione è una tra le più inflazionate e sentite nel tessuto sociale, nasce un nuovo modo di verificare quelle informazioni di cui si parlava. Questo nuovo modo è possibile proprio attraverso l’utilizzo di questi registri blockchain, distribuiti tra gli appartenenti alla rete e quindi condivisi e in maniera trasparente e da tutti verificabili. Puoi capire quindi, come si sta andando verso un abbandono della vecchia logica di affidarci ad una terza parte che faccia da garante. La domanda a questo punto sorge spontanea : “perchè dovremmo migrare verso questa nuova logica?” I benefici del “nuovo approccio” Come sempre quello che mi interessa, è che riusciamo a capire i possibili benefici ragionando sulle singole logiche. Quindi prova ad immaginarti di avere un registro delle informazioni distribuito e protetto (ci basti anche sapere che la protezione è data dalla “blindatura” delle informazioni con chiavi criptografiche), quali possono essere i vantaggi di una cosa del genere? Pensa proprio al fatto che essendo queste informazioni distribuite, non c'è più necessità di chiedere a qualcun’altro (terza parte) che ti verifichi l’informazione che cerchi, perchè la sua veridicità è data proprio dal fatto che tutti all’interno della rete ti confermano “quella cosa”. Capisci quindi, che al venir meno di questa necessità, si genera un vantaggio in termini di rapidità, ma non solo perché il vantaggio è anche in termini di trasparenza delle informazioni e accessibilità da parte dei nodi collegati alla rete. Parlando di rapidità dell’accesso all’informazione, possiamo andare sulle sottostanti. Pensa che oggi, nel caso tu voglia accedere a delle informazioni per compiere un’operazione, come ad esempio l’invio di un bonifico bancario, sei costretto ad aspettare dei tempi “lunghi” perché la terza parte deve dare conferma della disponibilità e verificare altre cose come codici iban etc... Se noi però bypassiamo questo step (richiesta di conferma dell’informazione ad un terzo) , allora i tempi saranno quasi immediati; inoltre queste informazioni non saranno modificabili (dal semplice boicottaggio di dati appartenenti al terzo), in seguito al fatto che il registro è distribuito in egual misura tra tutti i nodi appartenenti alla rete (quindi è difficoltoso accedere a centinaia di migliaia di registri contemporaneamente per di più criptati). Questo, lascia spazio all’immaginazione sul beneficio che ne può trarre il consumatore finale, quindi l'utente che poi andrà ad assicurarsi e la Compagnia che farà uso in futuro di questa logica di distribuzione. Esempio per capire Nel settore assicurativo puoi pensare per esempio a tutta la parte legata ai prodotti finanziari come ad esempio i PAC. Passando ad una distribuzione di questi prodotti su logica blockchain, eliminiamo la possibilità che le informazioni sull’effettivo versamento di una quota, vengano modificate illegalmente da un infiltrato nel database centralizzato (in possesso ad una terza parte). In questo modo si garantisce una maggiore trasparenza al cliente e di rimbalzo si acquista fiducia nei suoi confronti. Inoltre la Compagnia si garantisce un maggiore controllo su tutte le operazioni che vengono effettuate. Win Win Da quello che abbiamo detto, appare chiaro come si tratti di un “gioco” win win, cioè un nuovo modello nel quale entrambe le parti in gioco vincono, come in questo preciso caso quello che succede è che l'assicurato ne trae beneficio da un certo punto di vista e la Compagnia da un altro. Attenzione non stiamo parlando dell'immediato futuro da qui a un anno, ma è anche vero che alla velocità di crociera con la quale ci avviciniamo al progresso, non è neanche detto che sia poi così lontano. Personalmente ritengo che tu debba cogliere l’occasione di “non maturità” della cosa e avvantagiarti iniziando a studiare adesso questo fenomeno, perché molto probabilmente ci saranno dei risvolti che ad oggi non sono facilmente comprensibili e non è detto che siano per forza degli svantaggi. Piuttosto potrebbero essere anche delle opportunità, in ogni caso conviene prendere atto di quello che sta accadendo e ragionare su come poter trarne beneficio o anticipare in qualche modo il mercato. Conclusioni L’opportunità è presente e reale per chi decide di fare il primo passo. Le applicazioni nel mondo assicurativo sono molte e la disintermediazione è sicuramente una delle più interessanti soprattutto perchè è proprio uno dei fondamenti della blockchain stessa. Il fatto è che il precursore delle applicazioni di questa nuova logica in campo assicurativo, sarà con molta probabilità proprio chi vive già all’interno delle vecchie logiche e quindi riconosce subito quali potrebbero essere i benefici di tutto questo. Ribadisco la frase con cui vi ho lasciato nell’ultimo articolo. Un aforisma suggestivo sull’importanza della conoscenza: “Cerchiamo di non guardarci indietro con rabbia o in avanti con paura, ma intorno con consapevolezza.” J. Thurber Spero di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle ASSICURAZIONI SU BLOCKCHAIN. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo, vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain (sempre qui su dbb), ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A quasi dimenticavo di dirvi che prossimamente, qui su dbb verrà pubblicato (scaricabile gratis) un ebook che ho scritto a proposito della trasformazione nel mondo delle assicurazioni.. Stay Tuned! A presto! Ciao!
Se sei già ben avviato nella vendita online, puoi iniziare ad utilizzare qualche trucco per proporre prodotti sempre nuovi e in linea con le richieste dei potenziali clienti. Esistono vari modi per capire quale strada seguire e su che tipo di prodotti puntare. Per prima cosa, però devi capire in che categoria sono inseriti i prodotti da te venduti, a quale target di pubblico possono interessare e qual è il mercato giusto per venderli. Ho raccolto per te, alcuni strumenti che ti aiuteranno in quest’analisi. Probabilmente li conosci già, ma forse non li hai sfruttati nel modo giusto. Google Trends E' il primo strumento di cui puoi servirti per analizzare i trend di ricerca su Google. Google Trends è molto interessante e pratico da usare perché suddivide le tendenze in categorie, in base alle parole, ai personaggi, agli eventi e agli oggetti ricercati. E' un tool che può essere sfruttato da qualsiasi tipo di venditore online. Da Google Trends puoi facilmente capire quali sono le parole chiave più utilizzate per cercare un prodotto. Questo tool permette, inoltre, di effettuare una ricerca per area geografica, per periodo di tempo (esempio: questa settimana, lo scorso mese, nel 2017) e mette in corrispondenza anche tutte le ricerche correlate con grafici che mostrano l'andamento delle tendenze sulle varie parole. MarketPlace online (eBay, Amazon, Alibaba) Per quanto riguarda i prodotti bestsellers, possono essere facilmente controllati gli articoli più venduti in tutti i maggiori marketplace esistenti, proprio all'interno delle stesse piattaforme. Ogni marketplace ha una categoria dei top products che crea una classifica degli articoli in voga al momento. Sulla base di queste informazioni puoi pensare di costruire la tua strategia di vendita. Facciamo un esempio. Hai una farmacia e hai deciso di attivare le vendite online per consegnare i tuoi prodotti in tutta Italia a prezzi vantaggiosi. Sul sito di Amazon nella categoria bellezza e cura della persona risultano essere più venduti alcune tipologie di prodotto che vendi anche tu. Analizza i prezzi della tua concorrenza ed effettua una modifica alla tua strategia di prezzi. Potrai promuovere questi prodotti, applicando ad esempio uno sconto o una promozione molto vantaggiosa per i nuovi clienti. Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani. Tool Esterni e Social Network per esplorare i trend di prodotto e scoprire dove è meglio venderli Quello che ho imparato in questi anni è che bisogna sempre avere una visione d’insieme: osservare, anzi analizzare, le cose da più punti di vista. Oggi abbiamo a disposizione tantissimi strumenti online e sul nostro Smartphone, ma spesso non li sappiamo sfruttare davvero a nostro vantaggio. I Social Network ne sono un esempio. Abbiamo una vera e propria finestra sul mondo e noi.. guardiamo dalla serratura? Piattaforme, gruppi, canali, hashtag ci permettono di rimanere sempre aggiornati sulle ultime tendenze, anche per area geografica. Abbiamo la possibilità di individuare e contattare facilmente gli influencer che fanno al caso nostro e instaurare con loro collaborazioni per posizionarci su un nuovo mercato o aumentare la nostra visibilità. Esistono alcuni tool che possono fare questo lavoro per noi: FollowerWonk e LittleBird, che facilitano la ricerca di Influencer Ritetag, Hashtagify e Trendsmap, per monitorare i trend topic e gli hashtag più popolari Pricefy.io, che oltre alla funzionalità di monitoraggio dei prezzi della concorrenza, tiene traccia dei trend di prodotto e dei prodotti BestSeller presenti sui MarketPlace. Trend Hunter, una community che conta più di 140 mila membri in tutto il mondo che condividono i trend e che si ispirano a vicenda Per poter prendere ispirazione su prodotti in tendenza e recensioni di prodotti, si possono consultare anche siti come Uncrate e Outblush. Insomma, sono davvero moltissimi i tools da utilizzare per poter creare una strategia vincente di vendita online. L’importante è sempre effettuare una corretta analisi, mirata e costante nel tempo. Ad esempio, di grande supporto per chi vende online, possono essere i tool per il monitoraggio automatico dei prezzi della concorrenza. Sul mercato ne esistono molti, ma valuta bene prima di acquistare, assicurati che tu possa rivedere la tua strategia, grazie ad un unico strumento. Ho preparato una guida gratuita che ti aiuterà nella scelta del miglior Competitor Price Monitoring Software:
Gli sportivi da console crescono e sono una community globale che crea un mercato con numeri da capogiro e premi in denaro di milioni di dollari, tutto ciò è partito da piattaforme come YouTube e Twitch che hanno permesso ai Gamers di condividere le loro partite con altri appassionati (e curiosi) sparsi in tutto il mondo. Attualmente gli eSport non sono più da considerare come un fenomeno di nicchia ma hanno un seguito e un mercato tale da non sfigurare al cospetto degli sport tradizionali. Non è un caso infatti che un colosso come Amazon abbia speso un miliardo di dollari per comprare proprio Twitch, la piattaforma di video streaming dove ogni mese centinaia di milioni di persone osservano i loro beniamini giocare, e uno storico network sportivo come Espn ha deciso di aggiungere le competizioni videoludiche in palinsesto. Blizzard, la casa di sviluppo che ha dato vita a Starcraft, Warcraft, Diablo, Hearthstone, Heroes of the Storm e il recentissimo Overwatch, ha appena stretto un accordo con Facebook per consentire ai giocatori di inviare in diretta streaming sul social network le proprie partite. Oltre 20 milioni di dollari: a tanto ammontava il montepremi del The International, le finalissime di Dota 2 che sonoa andate in scena alla KeyArena di Seattle. L’evento è stato trasmesso in streaming su Steam Broadcasting, YouTube, Twitch e WatchESPN, mentre i match decisivi sono stati proiettati in 400 cinema in giro per gli Stati Uniti. Sembrano numeri da competizione sportiva internazionale, e invece stiamo parlando di un torneo di videogiochi, segno inequivocabile che l’eSport è ormai un fenomeno di proporzioni globali, capace di muovere una quantità esorbitante di soldi e di attirare stuoli di appassionati. 134 milioni di spettatori sono stati stimati nel 2015, e parliamo di un trend in crescita. La vera patria degli eSport è, neanche a dirlo, l'Oriente. In Corea del sud sono presenti impianti sportivi veri e propri, dedicati esclusivamente agli eSport, e mentre in Italia i nostri stadi vengono utilizzati per ospitare concerti, i più maestosi impianti sportivi coreani sono utilizzati per ospitare le finali di League Of Legend. A Seul, in occasione dell'ultima finale di LOL, oltre 40.000 spettatori hanno riempito lo stadio che ha ospitato la finale di coppa del mondo di calcio del 2002, con 38 milioni di spettatori aggiuntivi hanno assistito alll’evento in streaming (con picchi di 8 milioni di spettatori in contemporanea). Numeri da Super Bowl, ossia il più importante e seguito evento sportivo tradizionale. I club calcistici europei ed americani stanno iniziando a capire l'importanza e l'ascesa del fenomeno, tanto che squadre tipo il Siviglia, il Valencia, il New York City o Il PSG e più recentemente la Sampdoria, stanno mettendo sotto contratto i migliori team e i migliori player di videogiochi calcistici. L'obiettivo è sfruttare il trend esponenziale degli eSport per rafforzare il proprio Brand nei mercati meno battuti. Quale sarà il primo club calcistico a costruire un proprio impianto dedicato esclusivamente agli sport virtuali? Probabilmente, lo sapremo presto. Capiamo bene quindi l'importanza del digitale in ogni ambito, chi avrebbe mai detto, anche solo 8-10 anni fa, che ci sarebbero stati eventi sportivi del genere e con tale seguito? Gli eSport possono rappresentare dunque un simbolo della distruzione dei vecchi modelli di business e dei paradigmi consolidati degli ultimi decenni, le aziende che prima di tutte hanno investito e stanno investendo in questi nuovi business faranno da faro da qui agli anni futuri.
Risk Manager in azienda. Bentornati a tutti, mi chiamo Michele Treglia, mi occupo di analizzare e studiare la trasformazione “Insurance to Insurtech” e oggi parliamo di come attraverso la tecnologia stanno variando i rischi all’interno delle aziende, in particolare come varia la figura del Risk Manager nel contesto aziendale, al fine di poter per afferrare la possibilità di trasformare un rischio in una nuova un’opportunità di business per l’azienda. In Italia sentiamo sempre più spesso parlare di Industria 4.0. Il termine di per sé indica il processo di automazione industriale a beneficio dell’ottimizzazione dei processi, sia in termini di produzione che in termini di sicurezza. Ma più in generale si intende parlare di come sia possibile per ogni azienda generare una produttività maggiore. Appare logico se pensiamo che un’azienda, parlandosi in maniera concreta (dal punto di vista dell’imprenditore ), vive e sopravvive soprattutto grazie alla sua produttività (in maniera assoluta). Il Risk Manager 4.0 Per industria 4.0, principalmente abbiamo detto che si intende l’implementazione di nuove tecnologie al fine di automatizzare per ottimizzare un processo industriale. Questo porta anche all'evoluzione di alcune figure professionali, come quella del Risk Manager il quale rappresenta nelle aziende più lungimiranti, la figura dell’ esperto” con il compito assoluto di valutare i rischi e le possibili soluzioni, al fine di poterli in qualche modo assicurare (quindi trasferirli ad una terza parte), oppure quando non è possibile trasferirli, attenuarli per mezzo di una strategia di diminuzione dei rischi stessi. Questa figura è di un’importanza fondamentale all’interno di un’azienda, ma nonostante questo molte imprese, continuano a far ricoprire il ruolo a figure non dedicate (vedi grafico sotto da ricerca Cineas). E’ anche vero che questa figura è non troppo vecchia, ma già in profondo progresso. Infatti i rischi che emergono in ambito industria 4.0 sono sempre nuovi e sempre più complessi. Come ad esempio il cyber risk, che sembra non conoscere limiti di infiltrazione, piuttosto che tutto il tema legato alla data protection (sempre nell’ambito cyber). E su questi temi vengono richiamate all’appello le società assicuratrici, che hanno il dovere (come istituzioni nate per farlo) di fornire sul mercato soluzioni, che permettano non solo di indennizzare eventuali danni provocati a seguito di un sinistro, ma bensì di prevenirli. Iniziamo quindi a parlare di “assicurazione come servizio” (IaaS), ed un esempio interessante nell’ambito della copertura e prevenzione del cyber risk è proprio la startup tecnologica Cybernance, annoverata tra le principali nel mondo Insurtech, che da poco ha stipulato un accordo commerciale con Lockton Companies, il più grande mediatore assicurativo al mondo. Cybernance è un provider di soluzioni tecnologiche contro i rischi informatici. In particolare si pone come primario obiettivo quello di mitigare tutti i vari possibili rischi informatici all’interno dell’azienda, attraverso test e informazioni rilasciate all’utente, riguardanti la propria infrastruttura tecnologica. La soluzione si concretizza attraverso la loro piattaforma proprietaria (vedi sotto), la quale attualmente è leader in Cyber Risk Governance e che va a collocarsi quindi, nel comparto della copertura sui cyber attacchi informatici. Osservando ciò ci viene da chiederci: “Il Risk Manager può essere una figura non nativa e non specializzata?” Probabilmente la risposta non va suggerita, ma basta guardarsi intorno per capire di come il mondo stia cambiando talmente tanto velocemente, che si necessita all’interno dell’impresa che vuole scalare il mercato, di una strategia parallela a quella di sviluppo, ma che si chiama “Risk Management Strategy 2.0”. Come trasformare il rischio in opportunità La tecnologia abilita non solo l'automazione e l'ottimizzazione, ma anche la creazione di nuovi modelli di business in questo ambito. Facciamo un volo “pindarico” e vediamo le cose dall’alto. Le tecnologie Iot, sono tra i principali “mezzi” annoverati quando si parla di factory 4.0, proprio perchè attraverso il collegamento delle macchine alla rete è possibile estrarre i dati ed analizzarli, creando così modelli per l’ottimizzazione dei processi, ma non solo… Viene infatti abilitata più che mai tutta la parte legata all’analisi predittiva e quindi alla previsione di un possibile rischio, mettendo così nelle condizioni l'azienda di intervenire prima che il rischio si verifichi. Questo è un volo dall’alto, perché ovviamente per molte aziende è pura utopia. Ma è proprio per questo che le opportunità di business ci sono. Pensiamo che per tante aziende ancora non sono stati creati quei modelli (su base dati estratti da tech. Iot), con i quali è possibile fare una migliore analisi dei rischi. Tutti questi dati e i modelli annessi, sono di possibile appetito per chi questi rischi deve andarli a coprire. Elon Musk ha dichiarato, che se non saranno le società assicuratrici a capire che una Tesla non si può assicurare come un’auto normale (per il rischio inferiore), allora saremo noi stessi ad assicurare le nostre auto. Allo stesso modo ampliando il discorso nell’ambito industriale, è probabilmente compito dei RISK MANAGER, andare a dotare le aziende di tecnologie che permettano di riportare nel proprio contesto, il discorso che Elon Musk ha fatto per le “sue” auto. Il motivo risiede, proprio nel fatto che appare ovvio quanto il rischio sia minore per un’azienda che decide veramente di entrare nel mondo dell’industria 4.0 e dotarsi di tecnologie come quelle dette sopra. Conclusioni Tutto questo ci porta ad un’altra verità, legata alla presa di coscienza che l’evoluzione del settore industriale, in ambito Industria 4.0, non può e non deve essere prorogato. Il ruolo del Risk Manager in azienda non può e non deve essere ricoperto approssimativamente, proprio perchè come la legge di Gordon Moore ci suggerisce, l’evoluzione tecnologica sta facendo passi esponenziali, per ciò è necessario affidarne l’osservazione ad una figura dedicata (anche esterna inizialmente). Vi lascio con una frase interessante, legata al cambiamento, pronunciata dal Ceo di Salesforce: “Speed is the new currency of Business” Marc Benioff Domani inizieranno i 2 giorni del 18° Convengo Nazionale ANRA , sicuramente ci sarà da apprendere molto durante tutto l'evento. Rimanete collegati al mio blog per conoscere un sunto delle evoluzioni in questo ambito. A presto! Ciao!
NO. Non è una moda passeggera. È un fenomeno destinato a durare se diamo ragione ai numeri (e i numeri hanno sempre ragione come ogni buon manager ha imparato spesso a proprie spese). Il mercato del crowdfunding è in assoluta esplosione. Si stima una raccolta di $34,4 mld nel 2015, ma il fatto interessante è che sta continuando a più che raddoppiare ogni anno. La crescita è stimata essere stata del 112% nel 2015 e sembra che sia accaduto lo stesso nel 2016. Ma perché dovrebbe interessare a me che sono un manager di un settore tradizionale? Nella parola crowd-funding tutti si concentrano sul termine «funding», mentre il maggior valore aggiunto si ha dalla «crowd», la folla, tutti coloro che sono esterni all’organizzazione e che possono essere raggiunti dalla campagna. I finanziatori della campagna agiscono per diverse motivazioni. La possibilità di ricevere una ricompensa, che sia monetaria o prodotto finito, spinge i backer (soggetti che finanziano) a partecipare. In particolare molti potrebbero essere spinti dal desiderio di possedere una copia esclusiva del prodotto o averla prima che venga messa in commercio oppure nel diventare soci. Supportare gli ideatori o le cause. Un finanziatore è più portato a sostenere anche economicamente i progetti e gli ideatori nei quali si riconosce e le cause vicine ai propri valori. Contribuire a una community creativa e affidabile, i backer partecipano alla campagna di finanziamento allo scopo di entrare a far parte di una community. Da questo punto di vista, il semplice fatto di essere parte di una community costituisce uno stimolo sufficiente a contribuire finanziariamente allo sviluppo di un’idea imprenditoriale. Quindi il beneficio maggiore che si ha è nella creazione di una community di early adopter del mio prodotto/servizio. Il coinvolgimento del finanziatore non si conclude con la transazione finanziaria, ma si protrae lungo tutta la vita del progetto. Una folla che supporta non significa solo soldi. Inoltre sono determinanti per la decisione dell’individuo le aspettative sul valore finanziario, sul valore funzionale così come sul valore sociale e quello emotivo. Per poter comprendere pienamente le motivazioni alla base dell’investimento tramite crowdfunding sarà quindi necessario indagare sui fattori economici, ma anche sociali e psicologici. Una campagna di Crowdfunding nasce da un’idea; questa, se valida, dev’essere trasmessa a un pubblico specifico che possa amarla e sostenerla, fino a farla diventare un progetto. L’ideatore (nel tuo caso puoi essere proprio tu, il manager) deve informare chiaramente i suoi ascoltatori, fornendo i dettagli del progetto e spiegando come utilizzerà le risorse che sta chiedendo. È importante il coinvolgimento delle persone ed è quindi necessario che l’imprenditore si ponga in prima linea, mettendoci la faccia, per la presentazione del prodotto e lo sviluppo del progetto. Tutto il meccanismo si basa sulla fiducia che si riesce a trasmettere. È fondamentale quindi coinvolgere da subito i soggetti che si fidano già di noi. Almeno il 30% dell’importo raccolto sarà versato da family&friends, ed è opportuno che avvenga nei primi momenti di inizio della campagna: i successivi utenti saranno più propensi ad effettuare il loro pagamento se vedono che non sono i soli. Innanzi tutto è importante chiarire gli obiettivi e valutare la fattibilità del progetto, indispensabile per la richiesta delle risorse finanziarie e per la definizione dei tempi e delle scadenze. Se sappiamo dove vogliamo arrivare possiamo stabilire la strada da percorrere, per questo motivo un secondo fattore da prendere in considerazione è la tipologia di piattaforma che vogliamo utilizzare, in funzione di dove possiamo trovare la «nostra» folla di early-adopter. Le abbiamo precedentemente definite senza però sottolineare come ognuna di loro si addica a situazioni diverse, motivo per il quale negli anni sono nate molte altre tipologie di piattaforme, ibridi tra le diverse soluzioni. È fondamentale che valutiamo quale risponda meglio alle nostre esigenze in funzione della tipologia di prodotto/servizio, ma soprattutto in funzione del target audience che aggrega. Gli altri progetti di crowdfunding, terminati con successo o meno, sono pubblici, quindi è fondamentale fare un’analisi di progetti che abbiano insistito su un target audience analogo: come sono andati? Cosa hanno fatto bene? Cosa hanno sbagliato? Strettamente collegata a tale scelta si pone la decisione riguardo i reward da offrire agli investitori, questa è la prima motivazione per cui i backer effettueranno il pagamento. Il Crowdfunding utilizza principalmente per la diffusione il web e i social media, è quindi necessario che alla base ci sia una strategia di comunicazione ben precisa. Gli influencer dovranno essere coinvolti dalla prima ora, ma bisognerà cercarli, contattarli e creare una relazione nei mesi precedenti. Bisognerà raccogliere un database di soggetti interessati, fare accordi con i media perché riprendano la notizia del lancio della campagna, avere novità da comunicare durante la campagna. Un vero e proprio piano di lancio di marketing, solo effettuato prima di avere il prodotto per cui con una serie di benefici ulteriori. Tali benefici, all’inizio appannaggio solo di startup e sognatori con una nuova idea, ora sono stati ben compresi anche dalle aziende tradizionali che stanno iniziando a sfruttare il fenomeno. E tu, hai mai pensato di utilizzare il crowdfunding per il lancio di un nuovo prodotto? Perchè non l’hai ancora fatto? Ah già! Non lo conosci bene e hai paura di fare un flop. Nei prossimi articoli ti racconterò quali manager l’hanno già usato e quali risultati hanno ottenuto. Intanto, clicca qui sotto se vuoi saperne di più sul Crowdfunding:
Il mercato delle auto e la trasformazione digitale La trasformazione digitale è permeata profondamente in qualsiasi settore, producendo cambiamenti fondamentali e non trascurabili. I manager dell’automotive, di concessionari e case produttrici, devono saper innovare per cogliere pienamente le opportunità offerte dal digital e rimanere competitivi sul mercato. Oggi i compratori di auto si recano nelle concessionarie già informati sulle vetture che sono interessati ad acquistare. A casa, dal loro smartphone hanno già visitato blog e magazine online, hanno guardato video recensioni su youtube, hanno cercato sui motori di ricerca la soluzione alle loro esigenze. I canali digitali, come puoi vedere nella grafica, sono la principale fonte di informazione durante la fase di considerazione. Secondo recenti ricerche di mercato di Google, il 77% della popolazione sopra i 18 anni accede ad internet per scopi personali, nel 2012 il 27% delle persone sopra i 18 anni utilizzavano lo smartphone mentre nel 2016 questo dato è passato all’84%. Ogni compratore di auto possiede in media 2.9 device connessi ad internet che utilizza in vari momenti della giornata. Questa rappresenta una grande opportunità per i rivenditori automobilistici che possono catturare l'attenzione di quegli utenti e guidarli verso la chiusura della vendita in modalità offline per un test drive o una visita a una concessionaria locale. Come manager puoi raggiungere e coinvolgere il nuovo acquirente pensando in termini di micro-moments di influenza del consumatore, brevi istanti nell’arco della giornata in cui si manifesta una necessità. È fondamentale quindi che la tua compagnia sia presente in quei brevi momenti in cui il bisogno si manifesta, presidiando i punti di contatto del processo decisionale del compratore. Alcuni micro momenti del compratore d’auto secondo ricerche di mercato di Google: Quale auto è migliore? in questa fase l’utente individua recensioni e feedback a cui affidarsi per orientarsi sulla migliore scelta, cercando dettagli e specifiche tecniche. È l’auto che fa per me? L’utente è alla ricerca di caratteristiche più specifiche come qualità, spazio, design, optional dell’auto. Me la posso permettere? In questo micro momento vengono ricercati costi, consumi, garanzie. Dove posso comprarla? Solo dopo aver acquisito un bagaglio completo di informazioni il compratore si domanda dove può acquistare l’auto: distanza dal concessionario, disponibilità di assistenza in caso di necessità fanno parte di questo micro momento. Sto facendo un affare? Infine il compratore, convinto dell’acquisto, ricerca in rete offerte e promozioni. Presidiare i micro momenti con contenuti educativi e coinvolgenti Ora che hai compreso la potenzialità del digital e dei micro momenti del consumatore puoi pensare alla migliore strategia da adottare per riprendere il controllo delle vendite. Le case produttrici e i concessionari devono coltivare una relazione con il consumatore per guadagnare fiducia: il ciclo completo, dalla raccolta di informazioni all’acquisto, si conclude entro 3 mesi per l’81% dei compratori. Il modo migliore che puoi adottare come manager per presidiare i micro momenti è parlare ai consumatori creando contenuti che rispondano alle specifiche richieste. Effettuare ricerche approfondite di parole chiave e analizzare i dati si rivelano strategie fondamentali per comprendere le necessità e offrire contenuti in linea con le esigenze dimostrate. In una fase successiva dovrai assicurarti di veicolare e promuovere correttamente i contenuti creati attraverso l’applicazione dei Digital Building Blocks.
Buongiorno a tutti e bentornati con l’appuntamento di ogni venerdì tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB per la promozione della metodologia Digital Building Blocks nel mondo. Ultimamente capita sempre più spesso di imbattersi nel termine “blockchain”, sia fuori che dentro il mondo delle assicurazioni, ed è per questo che vale la pena capire quali potrebbero essere alcuni possibili benefici dell’implementazione di questa nuova logica di distribuzione delle informazioni, nei rami del settore assicurativo. Qui sotto ho riunito alcune, tra le più lampanti macro-categorie dove la blockchain può essere applicata nell’industria assicurativa. Possiamo vedere, come lo spettro di possibili applicazioni sia ampio e se andassimo a “snocciolare” ognuno di questi si aprirebbero dei mondi… Per questo ritengo che sia importante andare ad analizzarli ed entrare con la testa nel futuro delle assicurazioni su blockchain. Da oggi con 6 articoli andremo a toccare tutti i punti del grafico precedente, dove la blockchain può essere potenzialmente d’impatto nel mondo delle assicurazioni. Cercheremo di dare un taglio pratico, buttando un occhio su quelli che sono gli insights possibili di ogni punto. Per ogni tema, scopriremo eventualmente come mai ancora lo stadio di questo nuovo modello di distribuzione delle informazioni è un po’ acerbo (per ora) e perchè questo lascia spazio all’organizzazione delle strutture (intese come società assicuratrici). Prima di partire, è bene fare una premessa su quello che è la blockchain. Personalmente ritengo, che il modo più semplice per approcciare la mente a questa nuova logica è quello di vederla come un modo “migliore” di distribuire le informazioni. Un volo dall’alto per capire di cosa si parla Non voglio parlare di tecnicismi che tanto potrebbero in questa fase solo confondere la mente, ma possiamo pensare che la blockchain si concretizza in un registro di informazioni condiviso. La parola condiviso è fondamentale, perché infatti è proprio qui che risiede il valore di tutto. Condividendo la blockchain tra tutti i nodi (computer di qualsiasi genere), che fanno parte della rete, possiamo verificare con maggiore sicurezza la veridicità delle informazioni. Prendendo per buono quanto detto (in quanto un approfondimento su come vengono verificate le informazioni richiederebbe dettagli tecnici) possiamo già capire che grazie a questa innovazione, abbandoniamo la vecchia logica di affidarci ad una terza parte che faccia da garante. Automazione dei sinistri L’automazione dei sinistri assicurativi è sicuramente uno dei temi maggiormente sentiti da molte compagnie, proprio perchè si tratta di un risparmio notevole in termini di risorse, oltre che di un qualcosa di diverso rispetto a quello che c’è stato fino ad oggi nei classici processi. Infatti se pensiamo all’automazione dei sinistri, ci viene subito in mente un enorme sgravio della struttura dei costi che sostiene una società assicuratrice per la parte di claims management oltre che una velocizzazione del processo. Smart contract Il principale “attore” che rende possibile tutto questo sono gli smart contracts, cioè i contratti assicurativi tradotti in linguaggio di programmazione, in modo da poter essere applicati nella propria forma, senza lasciare spazio a dubbi sull’interpretazione, in caso di sinistro. In questo modo quando si verifica una condizione, che per contratto è evidenziata come sinistro, il programma si attiva in modo da verificare e provvedere all’eventuale indennizzo del sinistro. Non è il classico caso Appare chiaro in questi termini, quanto il caso dell’automazione dei sinistri non sia applicabile nel pieno della sua forma a quello che sono molti dei sinistri attuali, dove si necessita ancora di una perizia da parte del perito. Questi casi diverranno implementabili a pieno, quando il processo della perizia diverrà automatizzato, un po’ come ha fatto Alibaba, introducendo il modulo di intelligenza artificiale per stimare i danni auto dalle fotografie in soli 6 secondi. Dove si applica Quindi ci potremmo chiedere quali sono i sinistri dove si può già applicare questa logica? La risposta la troviamo, se pensiamo a quali sono ad oggi i casi dove è già possibile far svolgere tutto ad un computer, senza bisogno di sviluppare particolari tecnologie o inventare nulla di nuovo. Prendiamo ad esempio le assicurazioni sul credito commerciale, che banalmente sono quelle assicurazioni che coprono l’insolvenza sul pagamento di una fattura da parte del debitore nei confronti del creditore. In questo caso tutte le letture dei tempi trascorsi (compresa la franchigia temporale), oltre a tutte le verifiche sulle condizioni contrattuali, possono banalmente essere eseguite da un software, il quale attiva il passaggio di denaro dalla compagnia all’assicurato (indennizzo), una volta che ha verificato tutti i termini del contratto (il quale è stato precedentemente trascritto in linguaggio di programmazione). Prendendo questo esempio come centrale, possiamo capire gli altri eventuali e possibili campi di applicazione, riflettendo in tutti quegli specifici casi dove non è necessario l’intervento di un perito, ma il controllo può essere automatizzato. Il futuro Nei miei articoli ho spesso parlato delle tecnologie IoT, cioè “le cose connesse ad internet”. Bene, se pensiamo a tutte le cose che saranno connesse alla rete dei prossimi 5 o 10 anni ci rendiamo conto di come tutto o quasi, sarà tracciato (si “spera” in maniera protetta). In questo modo, sarà per esempio possibile conoscere effettivamente i danni che vi sono stati in occasione di sfortunati eventi catastrofali, sarà possibile conoscere con anticipo le stime sull’ammontare dei danni provocati da un’inondazione o comunque un evento eccezionale in una zona. Queste informazioni, se vengono trasmesse su registri blockchain, hanno il potenziale per essere oltre che più sicure, anche maggiormente tracciabili in tempo reale. Quanto manca Per arrivare ad un utilizzo della blockchain a pieno titolo nel settore dei sinistri assicurativi, manca sicuramente ancora del tempo. Poichè è vero che sempre più cose sono connesse alla rete, ma è anche vero che nel caso ad esempio di un evento eccezionale la rete internet può essere messa “a terra”. Dall’altra parte abbiamo visto con la copertura del credito commerciale, un chiaro esempio di applicabilità all’istante di smart contract su blockchain. Conclusioni Sentiamo spesso parlare di criptovalute associate alla parola blockchain,ma la verità è che questo è molto di più. Le criptovalute sono solo una possibile applicazione della blockchain, che come abbiamo visto nel settore dei sinistri può portare un enorme beneficio, sia in termini di costi che in termini di sicurezza delle informazioni. Oltretutto è anche una maggiore sicurezza sull’applicabilità del contratto nella sua forma, bypassando le possibili forme di influenza a cui un essere umano può essere soggetto. Abbiamo anche visto che ad oggi sono presenti dei limiti e proprio per questo personalmente ritengo che adesso possa essere la fase di formazione e sperimentazione. Molte compagnie stanno già facendo “cose” su questo, per ciò è ancora più importante che a cascata tutti si inizino a documentarsi, senza aspettare a quando sarà tutto presente. Vi lascio con una frase suggestiva sull’importanza della conoscenza: “Cerchiamo di non guardarci indietro con rabbia o in avanti con paura, ma intorno con consapevolezza.” J. Thurber Spero di avervi fornito le basi ed elementi utili per approfondire questo tema delle assicurazioni su blockchain. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo vi aspetto con il tema della prossima settimana sulla blockchain, ma intanto possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, sul nostro gruppo Slack di DBB o anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Come faccio a scoprire chi vende i miei stessi prodotti online e a quale prezzo? Questa è una bella domanda. Una domanda che viene fatta spesso dai Brand o rivenditori che vendono online attraverso un ecommerce o i MarketPlace. Inutile fare tanti giri di parole, voglio rassicurarti subito. Oggi, è possibile farlo in modo semplice e soprattutto automatizzato. Non dovrai più perdere tempo in noiose analisi che, una volta completate, contengono dati vecchi e non del tutto validi. Quella di cui sto parlando è una delle funzionalità chiave di PRICEFY.IO, uno strumento di COMPETITOR PRICE MONITORING, che nel corso del tempo ha ampliato le sue funzionalità, migliorando decisamente la vita di moltissimi rivenditori online. Vediamo subito come puoi scoprire chi sono i tuoi competitor, se ci sono stati nuovi ingressi nel mercato e quali sono le loro attività. MarketPlace Se vendi sui MarketPlace come Amazon o eBay, da questo pannello potrai vedere l’elenco dei tuoi competitor, grazie alla funzionalità specifica “Marketplace Analysis”, presente nella parte inferiore del cruscotto principale. Come puoi vedere da questa immagine, una delle schede a disposizione è chiamata Reseller e mostra il numero di ecommerce che stanno vendendo i tuoi prodotti in uno specifico MarketPlace, in questo caso Amazon. Cliccando su quel numero potrai accedere a delle informazioni molto dettagliate sulla tua concorrenza: quali dei tuoi stessi prodotti stanno vedendo quali e quanti altri prodotti hanno a catalogo ovviamente il prezzo di questi prodotti moltissime altre funzionalità, disponibili solo nella versione PRO di PRICEFY.IO. Come faccio a scoprire se ci sono nuovi competitor sul mercato? Monitorare i concorrenti è un lavoro che richiede molto tempo, specialmente quando sono così tanti e distribuiti in tutto il web, non in un singolo mercato. Per questo motivo, all’interno di questo strumento di analisi automatica dei prezzi della concorrenza, è presente un’ulteriore funzionalità. Grazie a un algoritmo molto sofisticato, PRICEFY.IO ha la possibilità di monitoare se nelle SERP dei motori di ricerca più diffusi, come Google, Bing e Yahoo, vengono mostrati ecommerce che vendono i tuoi stessi prodotti. Una avviso automatizzato (alert) ti informerà della presenza di nuovi competitor e tu potrai inserirli come nuova fonte da analizzare su PRICEFY.IO, per avere un’analisi completa dei loro prezzi e non solo. Per utilizzare PRICEFY.IO ti basta solo importate il tuo catalogo prodotto ed è gratuito, fino a 250 prodotti. Se vuoi saperne di più, puoi scriverci o richiedere una DEMO.
Il concetto di Marketing Analytics sta diventando un business sempre più importante. Le aziende stanno investendo attualmente circa il 7% del proprio budget in strumenti di analytics con un aumento fino all’11% nei prossimi 3 anni, secondo un’indagine condotta da CMO Survey. Da un report di VentureBeat, inoltre, è emerso che durante quest’anno è stato investito più di 1 miliardo di dollari in startup che operano nel settore dei data analytics, mentre contestualmente è raddoppiato il numero di aziende tech legate al marketing. Nonostante l’interesse e i budget investiti, c’è ancora poca consapevolezza circa l’impatto di tali strumenti in termini di business: Qual è il contributo delle attività di marketing analytics sui profitti o sul ROI? Quanto efficacemente le aziende stanno gestendo tali attività? Mentre è prevedibile l’impatto positivo delle attività di marketing analytics, la vera sfida resta quantificare tale impatto, così da permettere alle aziende di prendere decisioni circa gli investimenti e l’utilizzo di strumenti di analytics. Da uno studio condotto dalla Harvard Business Review è stata individuata una correlazione tra l’utilizzo di strumenti di marketing analytics e l’incremento in termini di ROI e profitti per le aziende: i risultati di tale studio hanno dimostrato che un cambiamento di un’unità nell’utilizzo degli strumenti (ad esempio l’applicazione in una nuova area) incrementa i profitti dello 0,39%. Questo significa che triplicando gli sforzi nell’applicazione degli strumenti di marketing analytics all’interno dell’organizzazione può migliorare i profitti di un punto percentuale. Tale impatto è stato riscontrato in diversi contesti, confrontando aziende la cui offerta prevede prodotti piuttosto che servizi, così come aziende operanti in settori B2B rispetto a B2C, e i risultati sono gli stessi. Analizzando, invece, le aree in cui le aziende usano maggiormente gli strumenti di marketing analytics per prendere migliori decisioni di investimento, notiamo che l’acquisizione di nuovi clienti è l’area principale, con circa il 37% di utilizzo degli strumenti, ed è l’unica area in cui si registra un tasso di utilizzo superiore a un terzo. Tale dato deve farci riflettere, in quanto, sebbene l’importanza e l’impatto che tali strumenti possono avere in termini di business è notevole, il loro utilizzo è sorprendentemente limitato. Fonte: Harvard Business Review Quali sono, quindi, le principali difficoltà incontrate dalle aziende nell’utilizzo di tali strumenti? Possiamo evidenziarne tre che incidono maggiormente sul tasso di adozione da parte delle aziende. Una prima difficoltà è rappresentata dalla carenza di competenze all’interno dei team aziendali nell’utilizzo degli strumenti di marketing analytics, soprattutto nei processi di trasformazione degli insight tratti dal comportamento dei clienti in informazioni da condividere internamente nell’organizzazione al fine di migliorare le performance. Le aziende di maggior successo sono quelle che riescono a rendere gli insight actionable oltre che generarli: per riuscire in questo processo è necessario lavorare a stretto contatto con i decision maker all’interno dell’organizzazione (la C-Suite o i manager con responsabilità dirette sulle attività) per identificare quali insight siano prioritari. Altra difficoltà individuata riguarda la capacità di comunicare in modo efficace le informazioni tra le funzioni di business e i reparti di analyst: questo porta a incomprensioni e spreco di effort. Una prima soluzione può essere l’assunzione di risorse che fungano da traduttori di analytics per colmare il gap attuale. Tali risorse devono avere competenze in almeno due aree funzionali così che possano comunicare in modo efficace con le persone impegnate in tali aree: i consulenti in business analytics, ad esempio, svolgono proprio questo ruolo di collegamento tra i professionisti dell’analisi dei dati e i decision maker. La terza difficoltà è relativa alla mancanza di focus nel momento in cui un’azienda decide di adottare un approccio data-driven nei confronti delle attività di marketing: la situazione più comune vede le aziende coinvolgere nell’analisi tutte le attività possibili, il che si traduce in una definizione non efficiente dei risultati attesi dalle attività di marketing analytics e in un’applicazione molto limitata delle lezioni apprese all’interno dell’organizzazione. In realtà, si dovrebbe adottare un approccio incrementale, partendo con il monitoraggio di 1-2 nuove attività inizialmente. I criteri per stabilire la priorità delle attività da monitorare sono rappresentati da: impatto finanziario e livello di investimenti necessari; tempo richiesto per lo sviluppo e l’implementazione dei cambiamenti necessari; integrazione con la strategia aziendale; impatto sulla percezione dei clienti; valutazione dei rischi; capacità interne e potenziali ostacoli. Creare una heatmap delle competenze interne all’organizzazione relative alle attività di marketing e confrontarle con quelle di aziende leader nel proprio settore di riferimento può aiutare a determinare la priorità delle attività. Conclusioni È necessario un cambio di approccio che renda le aziende consapevoli del fatto che il focus non deve essere posto solo sui singoli strumenti e sul loro utilizzo, ma deve abbracciare l’intera organizzazione, interessando processi, persone, e soprattutto la strategia aziendale. Mappare i processi aziendali mediante il Conceptual Business Model e conoscere la Information Action Value Chain sono la base per definire il contesto in cui operare, così come collegare gli obiettivi di business all’infrastruttura per il monitoraggio dei dati mediante il Piano di Misurazione dei dati è l’attività richiesta per trasformare le informazioni raccolte in insight di valore e actionable per l’azienda.
Secondo il No Profit report del Content Marketing Institute’s (CMI), solo il 26% delle organizzazioni no profit ha un piano di marketing ben strutturato. Quali differenze ci sono tra un’azienda B2B ed una organizzazione no profit? Entrambe hanno bisogno di avvicinare il pubblico, far conoscere la storia dietro il marchio, la mission e il valore offerto. Hanno bisogno di adottare e sfruttare le opportunità che oggi offre il digitale. Le persone utilizzano internet per risolvere le proprie esigenze, attraverso i dispositivi mobile qualsiasi persona - che nel caso delle no profit potrà essere un donatore o un potenziale associato - può accedere in pochi secondi a qualsiasi informazione, farsi trovare è sicuramente una priorità. Attraverso i canali digital l’organizzazione potrà: comparire tra le ricerche nei motori di ricerca con parole chiave specifiche; realizzare campagne mirate verso il target di riferimento ottimizzando il budget a disposizione; utilizzare i social per comunicare con il target di riferimento; gestire i contatti e inviare comunicazioni facilmente; sfruttare le opportunità di promozione a disposizione. Il digital è quindi un ponte tra l’associazione e il pubblico. Analizzare e impostare gli obiettivi Impostare degli obiettivi e studiare il target consentirà di strutturare campagne mirate e ottimizzate. È necessario chiedersi: quale obiettivo vuole raggiungere l’organizzazione: ricevere più donazioni? far conoscere un particolare progetto? trovare nuovi soci o volontari? Ogni obiettivo dovrà avere una strategia differente. Per iniziare è consigliato partire con un unico obiettivo e strutturare tutta la campagna avendolo sempre ben chiaro; chi sono gli interlocutori: in base all’obiettivo scelto cambieranno gli interlocutori e la campagna dovrà essere costruita modulando la comunicazione e dandole un taglio perfetto per il target di riferimento. Un corretto piano di marketing per le no profit si basa sui dati per ottimizzare i risultati pertanto è necessario monitorare le metriche nelle campagne impostate: traffico pagato da fonti a pagamento (Adwords), traffico organico da blog e social media, conversioni, click sui bottoni. Monitorando i dati si avrà il controllo su di esse e si potrà ottimizzarle nel tempo correggendo o aumentando il budget in base ai risultati. Offrire i contenuti, raccontarsi La rete ha aperto le porte dell’informazione a chiunque. Tutti in qualsiasi momento possono accedere ad un numero incredibile di contenuti e diventare editori pubblicando su blog e sfruttando i social per ampliare il pubblico. In questo articolo abbiamo spiegato come impostare Facebook nel modo corretto. Attraverso la creazione di contenuti come articoli di blog o post sui social, l’organizzazione potrà raccontare la propria storia, farsi conoscere, ispirare le persone, far percepire il valore dell’operato. I racconti sono armi potenti, qui trovi un approfondimento. Inbound marketing: Coinvolgere e avvicinarsi al giusto pubblico Stampare e distribuire volantini in luoghi pubblici è una buona idea? Quanto budget viene investito per comunicare con persone che butteranno il volantino dopo pochi passi? Interrompere l’interlocutore mentre sta compiendo un’azione per sottoporgli un prodotto non funziona più. Ne abbiamo parlato diverse volte qui su Digital Building Blocks: l’inbound marketing porta la comunicazione ad un livello personale e piacevole. Consente di arrivare dritti al target interessato con contenuti costruiti su misura per soddisfare le esigenze, non verrà quindi investito budget su persone non interessate ma le persone affini al progetto arriveranno spontaneamente e verranno guidate in un percorso di conoscenza. I contenuti creati secondo la metodologia inbound devono seguire 3 fasi: Awareness: L’utente realizza di avere un desiderio/problema. Consideration: L’utente cerca soluzioni per risolvere il problema Decision: L’utente sceglie una soluzione per risolvere il problema. Creando contenuti mirati si instaurerà una relazione con il lettore che crescerà con il tempo fino a coinvolgerlo completamente. Se hai domande o necessità puoi scrivermi a stefania.montemurro@digitalbuildingblocks.it o lasciarmi un commento. A presto, Stefania
Le fiere sono uno dei canali di marketing principali per molte industry, soprattutto nel B2B: Agriculture, Machinery, Healthcare, Automotive, Vehicle Industry, Space, Fashion, Food, etc. Dai piccoli eventi locali come i periodici open house, agli executive-level workshop, fino ai tradeshow internazionali, le aziende continuano a investire risorse economiche, organizzative, personale per incontrare nuovi Prospect in luoghi fisici. Gli eventi rappresentano una componente critica di una strategia di outbound marketing. Offrono l’opportunità di posizionare un brand, creare o incrementare l’awareness, presentare nuove soluzioni, generare lead, incontrare clienti (“se non ci sono io, andranno dal competitor”); stabilire nuove connessioni, creare relazioni, interagire con partner, prospect, venditori, competitor. Fornire contenuti ed incentivare il passa parola di clienti soddisfatti. In un mondo digitalizzato, dove i canali e i touchpoint proliferano e i marketer affrontano la sfida che deriva dal paradigma dell'abbondanza, ricercando, seguendo e spesso rincorrendo nuovi trend del marketing, gli eventi rappresentano una voce dell’impegno di marketing a cui, spesso con molti dubbi, nessuno rinuncia. Prospect qualificati (81% dei partecipanti sono potenziali clienti - Source CEIR), Nuovi clienti (il 67% dei partecipanti rappresentano nuovi Prospect - Source Exhibit Surveys, Inc.). Un’occasione unica per creare nuove relazioni (il 45% dei partecipanti visita una fiera all’anno - Source CEIR Report ACRR), e mostrare nuovi prodotti (il motivo numero 1 per partecipare ad una fiera è per vedere nuovi prodotti - Source: CEIR: The Role and Value of Face to Face). La media delle aziende B2B investe circa il 40% del budget di marketing per pianificare, organizzare e gestire fiere di settore (Source CEIR). Difficile risulta calcolare il ritorno sull’investimento. Le aziende si trovano ad investire in un unico evento il 40% del loro budget basandosi su abitudine, paura di cambiare, studi di settore, presidio verso i concorrenti, percezione sui risultati attesi. È proprio il risultato di questi eventi, il ritorno sull’investimento, difficile da valutare e confrontare con altri canali di marketing. Gli investimenti sono ingenti: spazio in fiera, allestimento dello stand, prodotti (e novità da presentare), materiale di comunicazione, venditori da ogni possibile mercato affluente (con relativi costi di trasferta), organizzazione e gestione clienti, personale per lo stand, eventuali offerte commerciali. I risultati dipendono da diverse variabili: importanza della fiera, posizione dello stand, efficacia della comunicazione in fiera, contenuti che vengono proposti (per esempio workshop), affluenza. Variabili la cui efficacia è direttamente proporzionale agli investimenti che si intende sostenere, non ai risultati attesi. Le fiere sono un canale di outbound sicuramente da presidiare ma le aziende, gli espositori, devono riflettere strategicamente l’esperienza di una fiera, non solo dal punto di vista logistico. Le aziende, e soprattutto i marketing manager che guidano il processo, devono trasferire l’approccio digitale anche offline. Per i prossimi 20 anni probabilmente gran parte del business sarà ancora offline. Utilizzare le best practice del canale digitale quindi è una delle applicazioni che dobbiamo imparare ad implementare. - Dobbiamo soffermarci sul motivo che ci spinge a partecipare alla fiera. Il marketing deve definire la missione, l’organizzazione deve creare i processi. È necessario definire un PIANO DI MISURAZIONE con obiettivi di business, target, KPI, segmenti di audience (clienti, prospect, key account). Accontentarti di KPI slegati dal business e di valori assoluti, non paragonabili agli altri canali di Sales & Marketing, garantiranno la sopravvivenza dei vecchi processi inefficienti, la perdita di fiducia dell’organizzazione nei confronti del marketing, l’abitudine di posticipare il cambiamento e la persistenza di risorse inadeguate. - Dobbiamo identificare il JOB TO BE DONE del visitatore in fiera. Perché ha deciso di partecipare? Nessuno è interessato a portare a casa brochure, portachiavi, buste piene di penne (se lo fossero, non sono il vostro target). I visitatori desiderano raggiungere un obiettivo, svolgere il loro compito. Tutti noi abbiamo molti job to be done nella nostra vita. Quando compriamo un prodotto, essenzialmente lo “assumiamo” per svolgere un lavoro. Piccoli lavori, come per esempio fare una trasferta, distrarsi dalla routine dell’ufficio; altri più rilevanti: conoscere nuovi contenuti (prodotti / servizi): costruire network; altri sono delle missioni: trovare La Soluzione, acquisire know how, essere inspirati. Secondo McKinsey, l’84% dei C-Level desidera innovare il rapporto con i clienti; il 94% è insoddisfatto delle performance di innovazione della sua organizzazione. Servono nuovi processi di vendita, processi scientifici, disciplina nell’esecuzione, contenuti pertinenti ed innovativi, e, soprattutto, ambizione. È la mancanza di ambizione che limita l’innovazione nelle organizzazioni. Una strategia ambiziosa identifica il “lavoro” da svolgere, non è banale, richiede precisione e aiuta il cliente a risolvere il problema. Si devono pensare e creare le circostanze adatte, che sono più importanti degli attributi dello stand, del prodotto, delle nuove tecnologie, dei trend, dei regali esposti per i passanti in fiera. - Dobbiamo sfruttare l’evento per iniziare una relazione col Prospect, per ogni fase del sales cycle. Non vi sembra strano investire tante risorse e tempo, marketing, sales, development (engineering / platform), in un solo evento? Non vi sembra strano investire tante risorse e tempo per un momento della vostra storia con il Prospect? Se vi trovate in questa condizione, probabilmente il cliente che avete in mente è interno all’organizzazione (C-Level, Headquarter Giapponese, etc). Invece l'occasione della fiera potrebbe essere la partenza di un processo di Inbound Marketing, metodologia di marketing orientata al cliente (Customer Oriented), che definisce le risorse umane, le competenze, i processi, le tecnologie, i contenuti necessari per guidare il processo di ricerca informazione e acquisto del cliente. Un evento è differente da quello che il visitatore fa ogni giorno. Il primo lavoro da svolgere per Lui è conoscere meglio il settore, le novità. Il vostro lavoro, come marketer, è trasferire le vostre skill. Serve personale preparato ad ascoltare e dialogare, serve formazione di prodotto e risposte, serve comunicazione e contenuti. Non serve “vendere”, ma un sales process per catturare l’attenzione (Lead Capture), qualificare il Prospect (Lead Qualified), generare un contatto utile (Lead Generation) e instaurare una relazione pensando al job to be done del visitatore (Lead Nurturing). Il processo di acquisto è un processo di ricerca informazioni. La fiera è l’opportunità per trasformare il più importante canale di outbound in una relazione strategica con il Prospect / Cliente. Pensare strategicamente la fiera vi permetterà di trasferire i vantaggi del medium nel tempo. With digital we can close the gap between use and value. Una citazione di John Fallon (CEO Pearson: video ) che ci introduce al prossimo topic: Come digitalizzare la fiera? Quali strumenti / canali possono trasferire nel tempo l’effetto di un evento? A presto, Massimo
Legami tra i trend. Buongiorno a tutti e bentornati con l’appuntamento di ogni venerdì tra il mondo delle assicurazioni e il futuro. Io mi chiamo Michele Treglia ( mi occupo di Insurtech ) e questo è il blog DBB per la promozione della metodologia Digital Building Blocks nel mondo. Negli articoli precedenti abbiamo parlato di molti temi riguardanti la galassia delle assicurazioni, dalle auto che si guidano da sole, alla mentalità da poter adottare per fare innovazione, fino a quello che una società assicuratrice può “rubare” da Google. Oggi voglio parlarvi, di cosa i marketers USA del settore retail ritengono impatterà maggiormente la loro industry, cercando poi di scrutare quali possano essere eventuali collegamenti con il futuro mondo delle assicurazioni. Mobile Osserviamo in prima posizione il canale di contatto e di distribuzione mobile, questo è emblematico se pensiamo che le risposte fornite dai commercianti intervistati sono frutto di un pensiero della persona, che porta lo stesso commercio in quella direzione. In questo senso potremmo fare un parallelismo sui mercati finanziari, quando una voce o una credenza può rischiare di contaminare un trend di mercato (nel breve periodo). In ogni caso, in questo trend si può rispecchiare benissimo in quello che sta accadendo al mondo delle assicurazioni, dove anche qui nascono realtà totalmente orientate sul canale mobile. Perché questo? Probabilmente il motivo risiede nel fatto che se una polizza è strutturata in modo da essere stipulata on demand (su richiesta), probabilmente in questi termini sarà più logico per me farla da smartphone piuttosto che da desktop e come questo molti altri modelli di distribuzione e di prodotto sono più efficaci da mobile. Sempre in tema mobile, vorrei segnalare (magari approfondirò prossimamente con un articolo) il trend emergente legato alla voce e quindi anche a tutto il mondo dei chatbots. Sempre più persone pretendono di effettuare ricerche vocali, acquisti vocali e ricevere ciò di cui hanno bisogno, semplicemente chiedendo (allo smartphone). Millennials Appare logico che in seconda posizione vi siano i Millennials e le loro esigenze (per generalizzare “le nuove generazioni”). Infatti sono coloro che avranno il maggiore potere di spesa domani, ed è per questo motivo che nel mondo del retail sono e devono essere attenti a cosa interessa loro. Stesso concetto si trasferisce nella galassia delle assicurazioni. Possiamo infatti osservare come molti driver, che influenzano un Millennial nella scelta la scelta della polizza da stipulare, siano oggi presi sempre più in considerazione dalle società assicuratrici. Prendiamo per esempio il fatto di poter modificare in corsa le condizioni di polizza, o il canale di distribuzione mobile di cui si parlava prima. Da una recente intervista fatta da EY è emerso come vi sia ancora una notevole scarsità di contatto tra un brand assicurativo e il proprio assicurato. Questo è un parametro che interessa molto i Millennials, i quali ci tengono ad avere un Brand Partner. In questo senso molte grandi società assicuratrici si sono accorte del gap, infatti è emergente il trend della Gamification o l’IaaS (assicurazione come servizio), che permettono di concretizzare quello che è stata spesso l’astrattezza della copertura assicurativa. Approccio Data Driven Nel retail il marketing guidato dall’analisi dei dati è uno dei trend di maggiore importanza secondo gli intervistati. Pensate ad Amazon ed al fatto che la stragrande maggioranza dei prodotti che vende è legata all’analisi dei dati. Cosa significa? Amazon ha una mole tale di dati, sulle preferenze di acquisto dei clienti, che sa cosa consigliarti in base a cosa guardi o cosa compri. È come se andando al supermercato le cose che ti interessano le trovassi una di fianco all’altra, tutte nel solito scaffale alla solita altezza (quella giusta per te). Allo stesso modo nel mondo delle assicurazioni quello che si sta cercando di implementare è l’utilizzo di sistemi di Business Intelligence per portare beneficio non solo alla vendita di prodotti, ma anche a tutto l’ecosistema assicurativo, partendo dalle frodi, passando per il calcolo le rischio fino ad arrivare all’ambito peritale. Le persone spesso si sbagliano La verità è che molte cose sono state percepite solo perchè tangibili (ad esempio i trend che abbiamo analizzato sopra), in altri casi le “cose” meno diffuse e in alcuni casi più astratte come ad esempio l’intelligenza artificiale o l’uso che si può fare di dispositivi tecnologici legati alla persona (wearables), non sono state ritenute importanti dalla gente, semplicemente perchè le persone ancora non hanno chiare le potenzialità di questi mezzi e di queste tecnologie. Se ci spostiamo ad osservare il mondo delle assicurazioni, magari anche intervistando chi tutti i giorni è impegnato in questo settore, potremmo notare come vengano percepite maggiormente le stesse cose del grafico di cui sopra. Semplicemente perchè gli essere umani sono tutti uguali e anche passando da un settore all’altro, la natura dell’essere umano rimane quella. Conclusioni Quindi è molto interessante capire come ragionano le persone quando parliamo di interviste su possibili trend, poiché se da un lato è vero che una voce può contaminare un mercato facendo sì che una credenza si trasformi in realtà, dall’altro lato vale la pena capire che alcuni trend hanno altrettanto potenziale, ma rimangono nascosti fino all’ultimo solo perché la massa non ne percepisce le potenzialità. Allo stesso modo, questo è quello che succede nei mercati finanziari quando parlavo qualche articolo fa di value investing e valore nel lungo periodo. Le oscillazioni di mercato sono influenzate da numerosi fattori, quello che però vince nel lungo periodo sono i fondamentali. Riportando tutto nel settore assicurativo l’analisi dei “fondamentali” è necessaria per capire dove sta andando il mercato e di seguito organizzarsi. Ne ho parlato in maniera anticonvenzionale anche nell’articolo “Assicurazioni & Futuro”. Vi lascio con un aforisma di Peter Ducker (genio del management): “Pensa globalmente, agisci localmente. Pensa strategicamente, agisci tatticamente.” Spero di avervi fornito elementi utili per cambiare il punto di vista nella lettura di interviste e grafici sui trend del settore, i quali vanno sempre contestualizzati. In ogni caso se vi è piaciuto l’articolo possiamo rimanere in contatto per i successivi articoli o confrontarci con qualche tema che vi interessa, anche sulla mia pagina Linkedin. A presto! Ciao!
Se vendi online, non puoi negare che il tuo primo e più grande competitor sia Amazon. Nei precedenti articoli, ho parlato di quanto sia importante pianificare una strategia di prezzi per vendere online e come, di conseguenza, sia necessario monitorare l’attività della concorrenza online. Perché non farlo anche per Amazon? Purtroppo Amazon non ci rende la vita facile e monitorare le variazioni di prezzo in tempo reale non è sempre facile come potrebbe sembrare. Amazon è geloso del suo catalogo prodotti e ogni tentativo di prendere queste informazioni, utilizzando le sue API o analizzando il sito web, risulta fallimentare, soprattutto nel medio-lungo periodo. Ecco perché ci vengono in aiuto strumenti terzi che, attraverso algoritmi molto sofisticati sono in grado di scoprire i prezzi della concorrenza su Amazon, altri MarketPlace e anche analizzare i prezzi di ecommerce proprietari. Tra questi, voglio parlarti di uno strumento innovativo, nato da una startup italiana poco tempo fa. Non è un software da installare, non hai bisogno di avere competenze di programmazione o avere a che fare con del codice, è un tool online che sta semplificando la vita di moltissimi rivenditori, ma anche di Brand che vogliono monitorare i prezzi della propria rete di vendita online. Come funziona il tool per il monitoraggio dei prezzi della concorrenza Finalmente potrai monitorare i prezzi della concorrenza online, attraverso un tool di Competitor price monitoring, semplice e immediato. Le azioni da fare sono davvero poche e tutto averrà in maniera automatizzata. Potrai risparmiare tempo e avrai a disposizione tutto quello di cui hai bisogno per rivedere la tua pricing strategy per vendere online. Dovrai semplicemente esportare il tuo catalogo prodotti dal tuo ecommerce e importarlo nella Dashboard. Se il tuo sito web è costruito attraverso piattaforme ecommerce come Magento e Shopify, importare il catalogo prodotti è ancora più semplice. Non dovrai fare nient’altro...davvero! In pochi minuti, ti mostrerà tutte le informazioni di cui hai bisogno, fornendoti i suggerimenti giusti per vincere la battaglia sul prezzo con il tuo più grande concorrente, Amazon. Se ti ho incuriosito, richiedi una demo cliccando qui sotto, oppure continua a leggere questo articolo per scoprire nel dettaglio come funziona lo strumento di monitoraggio dei prezzi della concorrenza su Amazon. Richiedi una DEMO gratuita Una volta che i tuoi prodotti sono stati importati, verrai indirizzato alla dashboard principale. Un vero e proprio “cruscotto” in cui sono mostrati i dati più importanti. Minuto dopo il minuto, il cruscotto si riempirà con i prodotti del tuo catalogo, arricchiti con tantissime informazioni utili. Le descriveremo nel dettaglio più avanti. Scorrendo verso il basso, troverai una sezione chiamata Price Competition dove i prezzi dei tuoi prodotti verranno confrontati con i prezzi di Amazon e Ebay. Potrai, quindi sapere subito se il tuo prezzo, per ogni singolo prodotto, è più basso o più alto rispetto alla concorrenza. Questo strumento è il punto di partenza per la tua strategia di prezzo. Puoi utilizzare queste informazioni per avviare una strategia di marketing nuova e sicuramente di successo. Per saperne di più non esitare a contattarci:
Ne sei assolutamente consapevole, ma non basta. È un buon inizio, ma devi lavorarci se vuoi che cambi. La tua carriera è ad uno stallo. Di promozioni o avanzamenti di carriera non se ne vede neanche la prospettiva e il tuo capo di sicuro non è messo meglio di te. Per cui il suo posto è off limits e lui si tiene ben stretta la poltrona. Che venga assunto da un’altra azienda non ci crede nessuno. Chi lo vuole quello …. Per cui hai un tetto sopra di te. E in altre funzioni in azienda? Se lavori in una grande azienda, magari multinazionale ci potrebbe essere la possibilità, ma vorrebbe dire magari spostarsi di sede (ma sei disponibile, qual è il problema?), ma soprattutto avere competenze anche in un altro ambito aziendale e probabilmente è questo il problema: ce le hai, ma altri sono meglio di te perché hanno più esperienza. Qui potrebbe venirti il colpo di genio: in ambito Digital chi è che ne capisce qualcosa in azienda? Nessuno … Sì, c’è il tipo dell’IT ma quel mangiabit non ha esperienza del business e nessuno dei top manager lo capisce quando parla. E le sue argomentazioni sono sempre tecniche e spesso terroristiche sulla sicurezza informatica. No … lui non verrà scelto per condurre l’azienda nel nuovo mondo Digital. Starà sempre al tavolo delle riunioni e probabilmente avrà il potere di veto (tecnico) sulle decisioni, ma non sarà lui a condurre i giochi. Forse quindi la possibilità c’è ed è un’opportunità che non durerà tanto tempo. Prima o poi qualcun altro se ne accorgerà e proverà lui a diventare competente (o sembrarlo: beati i monocoli in un mondo di ciechi). Sì perché in un ambito nuovo saperne molto più degli altri non è così difficile, né così impegnativo, quindi l’avanzamento di carriera è alla portata di molti. Quindi cosa dovresti fare? Essere consapevole di lavorare in un’azienda in cui l’avanzamento sia possibile. Non deve essere necessariamente una multinazionale, anche se normalmente in queste è più facile candidarsi, in ogni momento, a posizioni di avanzamento di carriera ed è più probabile che ci sia già un progetto di Digital Transformation in atto. D’altra parte in aziende più piccole potresti farti promotore del cambiamento e apparire in una luce diversa al top management o alla proprietà. Meglio che sia un’azienda solida in un settore in crescita, ma forse potresti essere tu a generare questa crescita grazie alla opportunità del Digital. Basta vedere cosa è successo nel tuo settore in altre geografie e “ispirarsi”. Se non ci fosse la possibilità, poco male … Ci sono sempre altre possibilità: Outplacement, la ricollocazione grazie alla Digital Transformation Sii focalizzato a dare il meglio nella posizione attuale. Avere degli ottimi giudizi per il tuo lavoro odierno è condizione necessaria, ma non sufficiente ad avere una promozione. Così pure arrivare almeno 5 minuti prima al lavoro e non essere uno di quelli a cui cade la penna allo scoccare della scadenza dell’orario lavorativo (qualora ci sia un orario nella tua posizione). Non lesinare la tua attenzione e la tua curiosità a nuovi progetti e nuovi problemi da risolvere, sono tutte opportunità per avere giudizi positivi da parte dei tuoi superiori e nuove competenze da sviluppare. Meglio ancora se queste nuove opportunità vengono portate da nuove tecnologie: sono nuove … Nessuno le conosce da anni. Chi prima inizia a conoscerle sarà meglio posizionato rispetto agli altri che ambiscano ad una crescita professionale. Assicurati che chi deve sapere, sappia. Non stare ad incensarti di lodi per il tuo lavoro, ma non aspettare sempre che siano i tuoi meriti a parlare per te. Il tuo responsabile deve essere consapevole dei tuoi successi e il contatto con lei/lui deve essere frequente. Non fare la figura del “leccapiedi” che abbia sempre l’obiettivo di essere al centro dell’attenzione, ma portati a casa il merito quando questo sia dovuto. Posso essere dei validi alleati i nuovi sistemi di condivisione della conoscenza e le social technology (Slack, Yammer, etc.) che permettono di tenere traccia di tutto quello che si fa e della “paternità” di ogni successo. Sii socievole e popolare. Forse in un mondo ideale non dovrebbe essere un fattore determinante, ma tu sai che il mondo ideale non esiste. Soprattutto non nella tua azienda. Cerca di essere gentile e disponibile con colleghi, capi e sottoposti, sia di persona, sia nelle relazioni digitali (che tengono traccia ad imperitura memoria di ogni conversazione). La vita è fatta di rapporti e le tecnologie permettono di gestirne molti di più rispetto ad un tempo. È importante averli sia con le persone che decidono all’interno della tua funzione aziendale, sia nelle altre dell’azienda. Fondamentale soprattutto se vorrai avere un avanzamento di carriera grazie ad una posizione in una task force trasversale tra diverse funzioni aziendali e che debba rivedere i processi alla luce della trasformazione in atto nell’industry grazie al Digital. Le persone giuste devono sapere che vuoi una promozione. Non dare nulla per scontato: la maggior parte delle persone vuole stare nella zona di confort e non ambisce ad avere nuove responsabilità e nuove sfide professionali. Per cui se vuoi un nuovo ruolo o un avanzamento di carriera e ambisci a portare nuovi risultati in azienda (e di riflesso un innalzamento del tuo livello retributivo) assicurati che i tuoi responsabili lo sappiano. Il “cerino” della gestione della Digital Transformation in azienda non è così popolare come potresti credere. Non dare l’impressione di essere stanco del tuo lavoro, ma, se desideri una nuova posizione, fai in modo che le persone in grado di prendere decisioni ne siano al corrente. Candidati per il ruolo di Chief Digital Officer. Non puoi attendere che ti venga offerta una promozione per i tuoi meriti. Inoltre le poche posizioni “aperte” sono prese di mira da molti tuoi colleghi e anche da persone al di fuori dell’azienda. L’opportunità migliore che tu possa avere oggi è proporti per una posizione che magari attualmente non esiste, ma che ogni azienda dovrà avere se vuole sopravvivere alla trasformazione in atto nel mondo. In Perché un manager non dovrebbe usare il Digital abbiamo affermato che I leader di mercato cambiano sempre più velocemente. 89% delle aziende che erano nella lista Fortune 500 nel 1955 non lo sono più nel 2015. A questi ritmi nei prossimi 10 anni il 40% di tutte le aziende della lista Fortune 500 spariranno a beneficio di nuovi entranti che avranno capito meglio i tempi in cui fanno business. La tua azienda sarà tra queste se non avrà una funzione Digital e qualcuno che la gestisca. Soprattutto non candidarti per posizioni in ambiti non in crescita e che non determinino opportunità di nuovo fatturato (logistica, qualità, risorse umane, organizzazione aziendale, etc. non vanno bene) rischieresti di essere vissuto come una “commodity” e “fare bene” sarebbe il minimo che i tuoi responsabili si aspetterebbero da te. Sviluppa nuove competenze. Ti posso assicurare che il Chief Digital Officer nella tua azienda non sarà una persona che proviene dalla funzione IT, bensì un manager che ne sappia del business e che abbia “studiato” le opportunità del Digital (magari grazie allo studio della metodologia Digital Building Blocks). Nei nuovi ambiti professionali non ci sono persone che abbiano decine di anni di esperienza, soprattutto nei settori ”tradizionali” dove il Digital non ha ancora auto modo di effettuare la trasformazione. Non esistono (ancora?) lauree che preparino a questo nuovo mondo (un bell’esperimento è la Singularity University in Silicon Valley ma non la conosce ancora nessuno…) per cui il fatto di non avere il giusto titolo di studio non è un limite. L’unico limite è non avere intraprendenza, non avere la curiosità di tenersi aggiornati sui nuovi trend in atto nel proprio settore grazie all’innovazione tecnologica. Potresti studiare le nuove opportunità anche facendo del volontariato e aiutando un soggetto no profit di tua scelta a sfruttare le opportunità portate dal Digital anche nel loro ambito, primo fra tutto il programma Google per il no profit che, tra gli altri benefici, riconosce $ 120.000 di budget marketing annuo gratuito ad ogni ente senza fine di lucro che lo richieda. Scegli un mentore. Dovresti avere un solido rapporto professionale con un manager o un responsabile con posizione lavorativa superiore alla tua. Con molta probabilità imparerai molte cose riguardo all’azienda e ad altre tipologie di lavori che potrebbero esserti utili in futuro. Inoltre avrai un alleato disposto a battersi per te (o quantomeno a metterci una buona parola) quando deciderai di candidarti per una nuova opportunità. Il tuo mentore potrà anche istruirti per succedergli in quella posizione nel momento in cui deciderà di tentare nuove opportunità o di andare in pensione. Prepara un successore. Lo so che è un paradosso. Sei talmente bravo nel tuo ruolo che l’azienda non può permettersi di perderti da quella posizione. La soluzione al problema è scegliere un junior sotto di te e prepararlo a subentrare nel tuo ruolo se otterrai una promozione. Non aver paura … Finché farai bene il tuo lavoro e continuerai a sviluppare competenze, l’azienda non avrà alcun interesse a far subentrare quella persona al tuo posto se non quando otterrai un avanzamento di carriera. Formare altri dipendenti non farà altro che dimostrare le tue capacità manageriali e la tua attitudine ad aiutare altri dipendenti a sviluppare nuove conoscenze. Se sarai un precursore nella tua azienda in ambito Digital, cerca di “contagiare” con questa passione il maggior numero di persone. Ci saranno più persone consapevoli che tu ne sai di più in un ambito molto strategico nel futuro della tua azienda. Cerca un nuovo lavoro al di fuori dell’azienda. Se sei consapevole di essere in un vicolo cieco in questa azienda, è ora di guardarti intorno. So che sei leale nei confronti dell’azienda per cui lavori e che tanto ha fatto per te, ma, talvolta, è necessario perché la tua stessa azienda si renda conto che quell’ambito Digital in cui intendevi sviluppare l’attività aziendale all’esterno è una competenza ricercata e valorizzata. Potranno proporti di ricoprire una nuova posizione (magari proprio quella di Chief Digital Officer) proprio perché qualche altra azienda avrà provato a “rubarti” alla tua. Se così non fosse poco male. La nuova opportunità potrebbe essere quella che salva il tuo futuro dal fallimento dell’azienda precedente. Un’ulteriore opportunità quando avrai sviluppato abbastanza competenze in ambito Digital nel tuo settore è dimenticarsi la velleità di un avanzamento di carriera per mettersi in proprio e fare consulenza sulla Digital Transformation a diverse aziende della tua Industry. Se non ora che sta “esplodendo” questo ambito professionale, quando ti si proporrà un’occasione migliore? Ricordati però sempre di mostrarti ambizioso, ma non arrogante perché avrai capito cose che i tuoi superiori ignorano ancora. Domani potrebbero essere loro alcuni dei tuoi clienti migliori, appena saranno consapevoli del problema che hanno per non avere intrapreso per tempo la nuova strada della Digital Trasformation. Il pericolo per loro sarà rimanere fuori dal futuro e nessuno se lo può permettere… Diventa CDO con Digital Building Blocks
Questo mese abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Adelio Debenedetti, Presidente e Master Instructor dell’Associazione Nordic Walking Passion che ci offre un ottimo caso di studio a dimostrazione dell'efficacia dell'applicazione del metodo Digital Building Blocks all'interno della sua associazione: Nordic Walking Passion nasce da una Associazione Sportiva Dilettantistica detentrice di tre brand specifici per il mantenimento della forma fisica: NWP – Bungypump – Metamorfosis. Nello specifico le attività si infrastrutturano tra il Nordic Walking (NWP) che sta riscuotendo un successo nel nostro Paese non sono come attività sportiva ma anche e soprattutto come attività terapeutica e turistica, il Bungypump come evoluzione della camminata nordica in quanto utilizza un bastoncino di nuova concezione dotato di un elastico al fine di aumentare lo sforzo fisico e riabilitativo e Metamorfosis, un nuovo progetto di ginnastica che rispetta il corpo, la postura e la mente. Queste tre attività sportive si integrano alla perfezione per un nuovo stile di vita di benessere e rispetto della propria forma fisica in quanto tutte le attività non sono invasive ma riabilitative e funzionali alla cura di alcune patologie, date da una errata postura. Un esempio per confermare questa affermazione: con il nordic walking e gli esercizi di Metamorfosis si cura il reflusso gastrico senza utilizzo di medicine. Pochi di voi possono pensare che il reflusso gastrico può essere causato anche da una postura irregolare del nostro corpo. Più stiamo piegati su noi stessi e più accorciamo il tratto digestivo esofageo che per chi ha problemi di reflusso deve essere il più lungo possibile. L'Associazione per incentivare la frequentazione degli associati all'attività fisica ha realizzato e brevettato uno strumento denominato Monferrato CARD. Si tratta di passaporto di cammino a percorrenza modulabile che si snoda tra le colline e i paesaggi vitivinicoli del Monferrato recentemente qualificato dall'Unesco quale Patrimonio dell'Umanità. Le tappe rappresentate dalle strutture ricettive (hotel, b&b, agriturismi, ristoranti) che partecipano al progetto convalidano l'itinerario percorso che al completamento delle convalide sarà certificato. Gli associati potranno scegliere la lunghezza della percorrenza tra le card disponibili (15-35-60 km). Analizziamo come questa associazione sportiva dilettantistica ha applicato la metodologia Digital Building Blocks alla propria attività. Digital analytics: trattandosi di una associazione sportiva, l'analisi dei dati è avvenuta all'interno dei propri soci, al fine di coinvolgere altre persone ad associarsi. Differentemente da una azienda, una associazione svolge solo ed esclusivamente attività per i propri affiliati. L'analisi rivolta a sviluppare un servizio migliore stimolerà altre persone a potersi iscrivere e beneficiare dei servizi che l'associazione elargisce ai propri tesserati. L'associazione dispone di un sito e di un team che monitora costantemente gli accessi. I dati vengono desunti e rilevati anche dall'applicazione telefonica gratuita che insieme al database associativo, fornisce interessanti dettagli su come agire per promuovere servizi e nuovi allenamenti. Recentemente l'Associazione ha creato sulle pagine social (nello specifico su FB) una rete di condivisioni tra un gruppo e le singole pagine delle varie Nwp territoriali al fine di moltiplicare sui contatti di ogni singolo istruttore la creazione di nuovi eventi in varie parti d'Italia. Ogni associato può anche utilizzare la CARD escursionistica denominata Monferrato CARD che mette in rete strutture ricettive che offrono sentieristica da percorrere nella zona del Monferrato. Questo strumento, dotato di un codice a barre, rileva i movimenti dei singoli utenti e la scelta dell'offerta turistica individuale che ogni walker ha nei confronti delle strutture ricettive che fanno parte del progetto turistico, creando un database unico al quale tutti gli attori (istruttori e strutture ricettive) possono interagire per avere una Digital Analysis dei propri flussi e preferenze. Oltre a questo, la rete sentieristica è dotata di boe beacon che rilasciano dei messaggi alla APP dell'escursionista, fornendo notizie turistiche ma soprattutto elaborando i passaggi che i singoli walker hanno effettuato sul sentiero, monitorando tempo di permanenza, punti di interesse e tempo di percorrenza da una beacon all'altra. Inbound Marketing: Come premesso precedentemente, l'Associazione non ha potenziali clienti da trovare, ma nuovi associati. La metodologia incentrata al fine di trovare potenziali associati rispetto alle modalità tradizionali, nasce dalla CARD e dalla sua distribuzione. Ogni struttura ricettiva dotata di un lettore codice a barre rileva i movimenti dei singoli utenti che già frequentano il progetto. L'interazione con i social diventa una parte fondamentale per attirare potenziali associati. Il canale Youtube che raccoglie le attività svolte, unitamente alla APP che riporta i dati degli allenamenti e delle escursioni effettuate, delineano il focus dell'Inbound marketing di una attività sportiva all'aria aperta. Lead generation e processi di vendita: L'associazione ha un ecommerce rivolto esclusivamente ai propri associati. All'interno di esso gli associati prenotano lezioni, escursioni, la Monferrato CARD e ogni associato che effettua un acquisto avrà la sua Monferrato CARD ricaricata con i chilometri percorsi. La percorrenza totale dei chilometri indicati sulla CARD, varrà per rilasciare all'associato una certificazione di chilometraggio percorso e verrà rilevato dal codice a barre della singola CARD. User experience: Tutto quanto applicato determina una linea comune che pone gli utenti ad essere in una posizione centrale sia per quanto riguarda le applicazioni online che quelle offline. Il sito ecommerce unitamente alla gestione degli eventi ed il monitoraggio della CARD offrono un panorama dettagliato all'Associazione per analizzare al meglio il comportamento e le richieste di ogni singolo walker. Iperpersonalizzazione: I dati rilevati dalle varie applicazioni confluiscono in un unico database che viene implementato con quanto raccolto nelle esperienze offline quali convegni, serate di presentazione e collaborazioni con brand di articoli sportivi, quali Decathlon, che collaborano con l'associazione per sviluppare il mercato della camminata nordica. L'associazione ha già intrapreso un'operazione di marketing one-to-one verso ogni associato, prenotando la singola lezione direttamente con l'istruttore di zona o con quello preferito. Un servizio di booking online è presente sulla piattaforma dell'associazione al fine di gestire al meglio i singoli appuntamenti, sia per specialità sportiva che per istruttore, fornendo un servizio adeguato e curato ad ogni singolo associato. Sull'ecommerce gli associati potranno acquistare gli allenamenti, rinnovare le tessere, riservare la propria lezione utilizzando sistemi di pagamento sicuri e conosciuti (dalle Carte di credito al Paypal). Sulla piattaforma turistica, sempre gestita dall’Associazione e rivolta ai turisti stranieri, si possono prenotare soggiorni e/o servizi presso le strutture convenzionate e aderenti al progetto Monferrato CARD. La carta attualmente è incentrata in Monferrato e prevede solo quale attività sportiva il nordic walking. La registrazione è stata richiesta per tutti gli sport (golf, running, ciclismo, canoa, equitazione, trekking e altri) e per tutto il territorio nazionale e internazionale. Ogni singola struttura ricettiva distribuisce le CARD agli associati. Recentemente una convenzione con Decathlon ha permesso di divulgare in un negozio di articoli sportivi il progetto Monferrato CARD. Desideri ricevere indicazioni precise su come portare innovazione nell'associazione di cui fai parte? Scrivici un commento o entra nel gruppo gratuito Digital Building Blocks:
Immagina un mondo in cui il tuo supermercato ti invia un messaggio Whatsapp o una mail per ricordarti che il detersivo sta per terminare. No, non parlo di un mondo in cui tutti saranno in grado di leggere le menti degli altri (per fortuna), parlo, invece, dell’algoritmo della Predictive Analytics. Per Predictive Analytics o Analisi Predittiva si intende un insieme di tecniche statistiche, e/o tool a supporto, in grado di predire trend e pattern di comportamento, sulla base dell’elaborazione di dati storici e attuali. Grazie a questa disciplina, è possibile sfruttare i dati per pianificare e prevedere le strategie che stanno alla base di un piano marketing multicanale. Il settore Retail è sempre stato, per sua natura, il pioniere nell’utilizzo dei Big Data e molti rivenditori stanno già utilizzando strumenti e tecnologie per intercettare le abitudini di acquisto all’interno del punto vendita (ne abbiamo parlato in questo articolo). Tuttavia, non stanno sfruttando queste opportunità nel modo giusto e, sicuramente, non stanno cogliendo le infinite possibilità offerte da un’accurata analisi dei dati. I retailer di oggi, si limitano, infatti, a raccogliere i dati e ad osservarli; ad utilizzare i modelli di analisi per correggere degli errori o per modificare alcune strategie di vendita già consolidate. L’obiettivo della Predictive Analytics è, invece, fare predizioni sul futuro o su eventi sconosciuti e, in particolare nel settore Retail, può essere molto utile per rispondere a domande come queste: Come interagiscono le persone in un ambiente Retail? Quali aree attirano di più l’attenzione? Quali, invece, sono spesso ignorate? Quali sono i percorsi più frequenti all’interno dello Store? In che modo la segnaletica influenza i clienti? Quali contenuti hanno un maggior impatto sulle vendite? Quanti sono i nuovi clienti? E chi sono? Quanti sono e chi sono i clienti più fedeli? In che modo la comunicazione online ha influito sulla visita in negozio? L’analisi predittiva può essere utilizzata anche per fare molto altro: vediamo insieme alcuni campi di applicazione. Migliorare l’esperienza tramite la personalizzazione Quando si raccolgono i dati di un cliente da ogni singolo Touch Point, gli algoritmi intelligenti consentono di ottenere informazioni sulla “cronologia degli acquisti” (offline e online), sulle sue preferenze, le visualizzazioni di pagina, i suoi clic, i preferiti. Ad oggi, abbiamo la possibilità di creare una scheda dettagliata per ogni cliente, contenente informazioni molto specifiche e personalizzate. In questo modo, non solo possiamo conoscere meglio il nostro target, ma possiamo prevederne le azioni successive, e offrire suggerimenti sui prodotti più rilevanti, grazie allo studio delle sue abitudini di acquisto. Creazione di campagne pubblicitarie mirate Gli algoritmi predittivi raccolgono e analizzano dati provenienti da varie fonti: dati demografici, andamento del mercato, informazioni sulla domanda e sull’offerta, tassi di risposta, analisi dettagliata del cliente, ecc. Il corretto utilizzo di questi dati, e l’incrocio di entità diverse consente di determinare quali campagne avranno più successo. I marketer, responsabili di questa attività, possono individuare e scegliere il messaggio, il prodotto o il contenuto dell’offerta più adatto per ogni singolo cliente. Questo genere di campagne, possono aiutare i rivenditori a raggiungere tassi di conversione più elevati, rispetto alle campagne tradizionali. Lo conferma anche il rapporto McKinsey, che mostra come le campagne personalizzate garantiscono un ritorno dell’investimento fino a 8 volte superiore. Ottimizzazione dei prezzi L'analisi predittiva dei prezzi consente di confrontare la domanda, lo storico dei prezzi, l'attività dei concorrenti e i livelli di inventario. Grazie a questa analisi, è possibile prevedere o impostare automaticamente i prezzi migliori per rispondere ai cambiamenti del mercato, in tempo reale. Un approccio completamente diverso rispetto alla tradizionale logica basata sulla stagionalità, che (soprattutto negli ultimi anni e considerata la spietata concorrenza dei Marketplace più diffusi, come Amazon e eBay), spinge il rivenditore ad abbassare esclusivamente il prezzo, pur di essere competitivo. L’analisi predittiva consente, invece, di vendere sempre al miglior prezzo, in quel determinato momento e in quello specifico mercato. Ricerca predittiva Ti è mai capitato di cercare un prodotto utilizzando il motore di ricerca interno a un ecommerce? Ecco...il più delle volte, i risultati proposti non sono pertinenti con la tua ricerca ma basati su logiche di tag e categorie interne al sito, con un risultato poco soddisfacente. Poiché l'esperienza dei clienti è una delle attività più importanti per i rivenditori, la ricerca predittiva è ormai diventata prioritaria per chi vuole ottenere la soddisfazione del cliente e conquistarne la fiducia. La ricerca predittiva consente, infatti, di ottenere risultati di ricerca pertinenti con la propria storia e con le recenti preferenze di acquisto. La scelta del punto vendita La posizione del punto vendita, si sa, è una delle decisioni strategiche più importanti e a lungo termine per la vendita al dettaglio. Anche in questo caso, l'analisi predittiva può essere utilizzata per prevedere o analizzare il successo di un negozio. I dati analizzati riguardano: la demografia, l’andamento del mercato immobiliare, la concorrenza, le condizioni di mercato, i comportamenti d’acquisto, ecc. Prima di fare un investimento, risulta quindi importante compiere le giuste analisi e valutare, grazie ai dati, se la posizione scelta rispecchia la propria strategia di business. Anticipare la gestione della domanda e dell'inventario Oltre ai comportamenti del cliente, la Predictive Analytics tiene traccia di moltissimi indicatori economici legati al punto vendita: dalle promozioni alla gestione della merce in più negozi, dalla gestione delle scorte alla fornitura. Una corretta analisi dei dati consente al retail di anticipare la domanda e gestire al meglio il proprio inventario, assegnando i prodotti giusti al negozio giusto e al momento giusto. Come abbiamo visto, l’analisi predittiva può essere applicata a moltissime aree del settore retail: dalle strategie di marketing più tradizionali a quelle più avanzate e, se sfruttata bene, risultata essere un grande vantaggio per i rivenditori, sia online che offline. Pianificare, rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato e anticipare le esigenze è ormai essenziale per sviluppare una strategia omni-canale vincente. Vorresti sapere come sfruttare la Predictive Analytics nella tua azienda? Abbiamo creato un gruppo dove potrai confrontarti con me ed altri professionisti digital.
Esistono tool molto utili che possono aiutarci a comprendere dove e come ottimizzare il Conversion Path a supporto delle nostre campagne di lead generation. Oltre al più noto Google Analytics, la cui conoscenza è da considerarsi basilare per chiunque si approcci al mondo del digital, in questo articolo vi presenterò Hotjar, un tool che ci offre un supporto preziosissimo per capire come migliorare i nostri risultati. Hotjar è un software che aiuta a migliorare l'esperienza utente del sito web, delle Landing Page o delle piattaforme, attraverso l'analisi, anche visiva, del comportamento che hanno tutti coloro che vi ci atterrano. (ne abbiamo parlato in Aumentare le conversione e le vendite con l'analisi dei dati qualitativi). Hotjar, infatti, tra le varie funzionalità, offre anche la possibilità di osservare le sessioni dei visitatori registrate in un video, in modo da permettervi di capire il motivo di un particolare drop di sessione o di uno smarrimento da parte dell'utente. Una piattaforma di matematica online ha osservato che perdeva quasi la metà degli utenti che iniziavano una sessione, prima che questi terminassero la risoluzione anche di un solo esercizio. Analizzando le sessioni degli utenti utilizzatori di questa piattaforma, è stato possibile capire che questi abbandonavano la navigazione perchè avevano difficoltà ad utilizzare il tastierino numerico digitale, presente nel software di risoluzione. Ciò ha consentito di capire dove si sarebbero dovute concentrare le modifiche da apportare per migliorare l'User Experience. Un'altra utilissima feature di Hotjar è relativa alle HeatMaps, ossia le mappe di calore dovute ai click ed ai movimenti del mouse degli utenti. Invece di visualizzare ogni singolo video di sessione, grazie a questo strumento è possibile avere una panoramica di ciò che è avvenuto su una nostra Landing Page in un dato periodo. In una campagna di Lead Generation B2C, una delle Landing Page registrava un tasso di conversione molto basso, accompagnato, però, da un tempo medio di sessione che non lasciava pensare ad un problema di scarsa pertinenza di annunci e keyword. Attraverso le HeatMaps di Hotjar è stato possibile accorgersi della presenza di un'immagine spesso scambiata per Call To Action e che, a causa di questo, una larga fetta degli utenti, cliccando senza ottenere output, terminava la sessione. L'ultima feature di cui vi parlerò sono i sondaggi: si possono creare dei mini sondaggi online da far comparire, a destra o sinistra dello schermo, a seconda di regole precise, come ad esempio: Solo su determinati devices Al termine del caricamento della pagina Dopo un tot di secondi Quando l'utente mostra l'intenzione di concludere la sessione Quando l’utente ha scrollato il 50% della pagina Risultano molto utili nei casi in cui si debbano richiedere poche e mirate informazioni. Utilizzando questo strumento, ad esempio, un e-commerce ha scoperto che perdeva alcuni potenziali clienti perchè nel proprio Store mancavano scarpe di un determinato numero. Quindi, ricapitolando, i tool come Hotjar possono essere molto utili nel miglioramento continuo delle campagne di lead generation, in quanto limano al minimo le asimmetrie informative che avete nei confronti dei vostri utenti e dei loro comportamenti. Data Driven sarà molto più semplice capire dove andare ad investire per migliorare i risultati del vostro Business!
Amazon, eBay, Alibaba e chi più ne ha più ne metta: niente è più importante, per un rivenditore o un brand, che analizzare i prezzi della concorrenza su tutti i MarketPlace presenti online o dei concorrenti diretti. Tutti i giorni mi confronto con aziende produttrici che vogliono sviluppare la propria rete di vendita online o rivenditori che vogliono vendere attraverso un sito ecommerce o sui MarketPlace, ma si scontrano con mille difficoltà. Non sanno quali prodotti è meglio vendere, a che prezzo, in che mercato e soprattutto non riescono ad analizzare nel modo corretto le attività svolte dalla concorrenza. Anche tu ti ritrovi in questa situazione e stai cercando una soluzione? Esistono moltissimi strumenti online, in particolare per il monitoraggio automatico dei prezzi della concorrenza sui MarketPlace, ma non solo. Alcuni di questi hanno anche molte altre funzionalità: Analisi della concorrenza diretta: puoi scoprire se ci sono e chi sono nuovi concorrenti sul mercato che non hai ancora analizzato Analisi dei prezzi della concorrenza diretta: una volta individuati i tuoi concorrenti, puoi utilizzare lo strumento di Pricing Monitoring per tracciare la loro strategia di prezzo e confrontarla con la tua Analisi dei trend e dei BestSeller nella tua categoria Merceologica Analisi delle opportunità di mercato: se stai pensando di vendere all’estero, questo strumento analizzerà per te il livello di domanda e di offerta per i tuoi prodotti in Paesi diversi. Ho trovato tutte queste funzionalità in un unico strumento. Per utilizzarlo, dovrai semplicemente importare il tuo catalogo prodotti. Non è un software da scaricare, ma un tool online che ti semplificherà notevolmente la vita. Una volta che i tuoi prodotti sono stati importati e analizzati, vedrai che la tabella di Price Competition comincerà a mostrare se i prezzi dei tuoi prodotti sono più alti o più bassi rispetto a Amazon, Ebay o un concorrente diretto. Grazie a questo strumento potrai conoscere davvero i prezzi dei tuoi prodotti sui più importanti MarketPlace e potrai, anzi, dovrai rivedere la tua strategia di prezzo. Per incrementare le tue vendite online ed emergere rispetto alla concorrenza, prova il nostro tool richiedendo una DEMO gratuita! Potrai monitorare i prezzi dei tuoi competitor in tempo reale e gratis! E a questo proposito, voglio consigliarti due strategie di prezzo che potresti scegliere per iniziare a testare i vari mercati. Strategia del prezzo più basso Lo so, non è il massimo e non significa che tu debba farlo sempre. Se il tuo obiettivo, almeno all’inizio, è quello di raggiungere nuovi clienti, nulla funziona meglio delle promozioni. In un mercato come Amazon o Ebay “promozione” significa prezzo più basso. Spesso gli utenti, utilizzano i motori di ricerca interni di Amazon applicando vari filtri e, tra questi, quello più utilizzato permette di ordinare i prodotti per prezzo più basso. Applicando questa strategia, avrai la certezza di posizionarti sempre nelle primissime posizioni. Strategia del margine più alto Puoi anche avere un'idea sui margini dei tuoi prodotti e sull'unicità del tuo catalogo. Questa informazione in particolare è una delle più importanti quando definisci la tua strategia di prezzo. Ad esempio, potrai scoprire che il 50% del tuo catalogo non è presente su Amazon e eBay. Sei l’unico rivenditore per questi prodotti e questo lo sai cosa significa? Potrai aumentare il prezzo per questi prodotti, e quindi il tuo markup, senza preoccuparti di perdere delle vendite. Potrai inoltre analizzare il livello del magazzino della concorrenza, e se scopri che quel competitor non ha più disponibilità per uno specifico prodotto, potrai subito rivedere la tua strategia di prezzo. Per maggiori informazioni, non esitare a contattarmi:
Insurance Business Model Canvas Buongiorno a tutti e bentornati. L’articolo di oggi è dedicato a tutti quelli che “sviluppano” o che comunque vogliono “sviluppare” la propria idea di business nel mondo delle assicurazioni. In un momento storico così importante per la galassia Insurance, mi sembra il minimo dotarsi di uno strumento che ci faccia da bussola per i nostri progetti e le nostre iniziative, soprattutto se si tratta di iniziative che hanno come obiettivo quello di fare “deep innovation” all’interno della nostra azienda. Ma qual è questo strumento che ci può venire in contro in questo caso? Beh, in realtà gli elementi magici sono sono 9, ed insieme compongono il Business Model Canvas (BMC), che nel nostro particolare caso potremmo anche nominare Insurance Business Model Canvas. Che cosa è? Il Business Model Canvas o BMC è lo strumento che viene utilizzato in assoluto di più nel mondo startup, al fine di avere una panoramica completa del modello di business della newco. e della strategia adottata. Infatti si divide in 9 blocchi che hanno lo scopo di andare ad analizzare 9 diverse aree del business dell’azienda, in modo da poterlo “stressare”, rendendo l’utilizzatore, consapevole della propria business idea e del proprio business model collegato. Può essere quindi un valido mezzo che ci aiuta nella stesura di un nuovo progetto in ambito assicurativo. Difatti la stessa Harvard Business Review ha visto nel BMC, lo strumento più adatto alla costruzione e implementazione del modello di business di un’azienda o di un particolare ramo aziendale. Il merito Questo utile tool, ci è possibile utilizzarlo oggi, grazie all’intuizione dello svizzero Alexander Osterwalder, autore del libro Business Model Generation che è stato venduto in oltre 1 Mln di copie e tradotto in oltre 30 diverse lingue. Lo svizzero ci fornisce un interessante aforisma riguardante ogni Business. Ma vediamolo meglio... Struttura BMC Solitamente stampato in grandi dimensioni, al fine di agevolare l’utilizzo in team, è come già detto diviso in 9 differenti blocchi interconnessi, i quali possono a loro volta essere raggruppati in 2 sezioni più grandi. Quella di dx rappresenta la parte di come il nostro cliente percepisce il valore, mentre quella di sinistra racchiude i blocchi che “raccontano” come noi creiamo il valore percepito dal cliente. Nel mondo delle assicurazioni in maniera molto generica (ma poi si può fare anche per singolo ramo assicurativo) potrebbe la parte di destra rappresentare quello che è tutta la parte di copertura sul rischio, mentre quella di sinistra il funzionamento della società assicuratrice al suo interno, cioè come si muove nel suo insieme la macchina al fine di portare valore al cliente (sezione di destra). Le due sezioni sono composte, come dicevamo, da diversi blocchi. Questi blocchi rappresentano le domande a cui ogni manager / imprenditore / team del mondo assicurativo e che stanno lavorando ad un progetto innovativo, dovrebbero rispondere. Categorizziamole…. Qualche consiglio prima di iniziare. Un consiglio che mi sento di darti è quello di utilizzare colori diversi per categorie di prodotto/servizio diversi, in modo da avere anche visivamente una panoramica immediata delle diverse categorie di prodotto, generando così la possibilità di andarle a rivedere velocemente solo una per volta. Partiamo. Via!! Come il nostro cliente percepisce valore Customer Segments: è il blocco in cui si va ad individuare chi sono i nostri clienti in maniera piuttosto dettagliata, in modo tale da suddividerli in categorie e capirne meglio “come sono fatti” in modo tale da riconoscerli; Prendendo il caso di un particolare prodotto assicurativo come l’RCA. In questo caso conosciamo bene chi è il mio cliente target, il quale ad esempio non sarà certo l’adolescente che non ha ancora la patente. Value proposition: rappresenta il cuore del valore della nostra proposta. E risponde a domande come: “Che tipo di soluzione offriamo ai nostri clienti in termini di benefici?”, “Qual’è il valore della nostra offerta rispetto a quella già presente sul mercato?” “perchè siamo diversi dai nostri competitors?”; Channels: quali sono i canali di distribuzione attraverso i quali raggiungiamo i clienti. Ricordiamoci l’importanza che ricopre capire: quali siano i canali sui quali preferisce essere raggiunto il mio cliente (in un’ottica customer centric); Customer Relationship: in questo particolare blocco riuniamo tutte le risposte che ci permettono di capire come noi comunichiamo con il nostro cliente. Come lo attraiamo verso il nostro prodotto, come lo fidelizziamo o se prevediamo referral program etc. etc.; Revenue Stream: in questa sezione si capisce “come facciamo i soldi”, detto brutalmente. E’ fondamentale capire che i soldi si fanno quando qualcuno è disposto veramente a pagare per quel prodotto/servizio, per questo è di fondamentale importanza il valore della nostra offerta, poiché appare chiaro che senza valore percepito, nessuno ci pagherà mai; Come noi creiamo valore per il nostro cliente Partners: chi sono i partners di cui ti stai avvalendo in maniera strategica per erogare il tuo prodotto o servizio, secondo la tua proposta di valore? Quali sono fondamentali per il tuo business? Potremmo pensare nel caso di una Insurtech startup che offre bonus su un modello di guida “pay how you drive”, a tutti i partner che accetteranno quel bonus (potrebbe essere uno sconto sul caffè piuttosto che un buono carburante etc..). Key Resources: qui quello che ci viene chiesto di esplicitare sono le risorse chiave affinché si possa realizzare il nostro business. Per risorse si intende sia quelle economiche che quelle umane, che quelle strumentali. Pensiamo ad ogni risorsa necessaria per attuare tutte le caselle analizzate nella sezione “come il nostro cliente percepisce il valore”. Key Activities: anche qui le attività chiave sono rappresentate da quelle cose da fare per generare il valore, che ci siamo inizialmente prefissati di offrire al nostro cliente. Possono essere legate ai servizi che eroghiamo o al prodotto che produciamo. Se per esempio prevediamo la distribuzione di prodotti assicurativi su una piattaforma, sicuramente tra le attività chiave vi sarà la parte di platform management. Cost Structure: quanto costa tenere in piedi la “baracca”? quali sono i costi che sostieni? il personale? l’affitto di una dei locali o della piattaforma che stai utilizzando per erogare il tuo prodotto o servizio? Nel caso specifico si una compagnia, potremmo pensare anche a tutti i costi legati ai software di gestione del rischio o ai gestionali amministrativi etc.. tutte spese da inserire qui dentro. Conclusioni Alla fine il risultato del nostro INSURANCE BUSINESS MODEL CANVAS sarà visualmente più o meno questo: Facendolo scoprirete quanto è utile questo strumento per capire tutti i punti che potrebbero essere attaccabili o comunque fragili nel nostro business e magari lavorarci sopra per migliorarli. Inoltre le idee sono spesso vulnerabili, quando ci rimangono nella testa, proprio perchè non le mettiamo ala prova o magari non sappiamo come farlo. Il BMC ci fornisce la possibilità di far funzionare il nostro business per come lo abbiamo pensato. Oggi vi lascio con una frase piuttosto inflazionata nel mondo startup, ma meno conosciuta nel classico mondo aziendale: “No business plan survives the first contact with customers!” - Steve Blank Se ti è piaciuto questo articolo rimaniamo in contatto su Linkedin o iscriviti alla newsletter di dbb, sto scrivendo alcuni contenuti inediti che presto pubblicherò proprio qui :-). A presto! Ciao!
Flacowski Editore nasce ad agosto dall'idea di Enrico Flaccovio, ex talent scout di Dario Flaccovio Editore e ideatore della famosa collana incentrata sul web e sul digital marketing, “Web In Testa” . Ne parliamo su Digital Building Blocks perché si tratta di una casa editrice diversa da quelle a cui siamo abituati: la sua strategia è agile, sfrutta i blocchi e le leve del digital a 360° ed ha come obiettivi la rivoluzione e l’evoluzione dell’editoria tradizionale. Il progetto si muove basandosi sul crowdblishing - come è stato battezzato dallo stesso Flacowski - una derivazione del crowfunding che prevede la partecipazione attiva di editore e autore in partnership, suddividendo rischi e benefici e lavorando distintamente sul proprio brand. “porterò la mia concezione di editoria all'ennesima potenza, annullerò il concetto di manualistica, abbatterò il sistema librario classico. Non avrò nessuno né sopra né sotto, ma solo accanto.” – Flacowski. Digital analytics: La casa editrice pubblica unicamente libri cartacei tramite e-commerce proprietario, nessun distributore, nessun marketplace. Ogni vendita quindi passa per il sito, questo significa avere sempre a disposizione ogni dato, tutto è monitorato e il database è sempre profilato. Data is the new oil. Nell’editoria tradizionale, dove si fa affidamento su diversi canali di distribuzione, è quasi impossibile accedere ai dati. Alcune librerie per ovviare hanno ideato programmi fedeltà e iscrizioni alle newsletter ma tutti gli altri utenti? I dati di piccole librerie, e-commerce di vario tipo e marketplace a circolo chiuso sono persi. Inbound Marketing: Flacowski ha chiara la strada da percorrere ed usa con astuzia i social per raccontare il progetto ai suoi follower attraverso contenuti mirati. Utilizza bene le funzionalità di Linkedin e Facebook per veicolare i contenuti, spiega il progetto sul blog Wordpress a cui ha collegato una landing page e attività di email marketing, interagisce con la community. Il pubblico intercettato dai social viene poi profilato e accompagnato nel percorso di Inbound marketing attraverso tecniche di Lead Nurturing, sempre in condivisione con l’autore. Lead generation e processi di vendita: Nel processo di Lead generation i social e il blog rivestono un ruolo fondamentale. I lead arrivati sul sito dai social vengono inseriti nel funnel di vendita passando per una landing page, vengono poi coinvolti attraverso attività di nurturing. La maggior parte dei lead iniziali sono stati individuati tra i contatti professionali di Enrico Flaccovio che hanno riconosciuto in lui una persona affidabile, questi lead hanno poi coinvolto i contatti della propria cerchia, condividendo e parlandone sui social. E-commerce: La scelta di vendere unicamente libri cartacei tramite e-commerce è sicuramente audace, preclude la vendita ai frequentatori degli spazi fisici di vendita e a chi non è solito acquistare con carta di credito ma si tratta di una scelta ragionata. Le principali Buyer Personas in questa fase sono propense all’acquisto online e sono attive sui social network. Librerie e punti vendita potranno acquistare il prodotto direttamente dall’ecommerce. User experience: Il pubblico è parte integrante del progetto: durante la fase di creazione viene coinvolto nella scelta di elementi fondamentali come titolo, copertina del libro e capitoli aggiuntivi creando così una community attiva e partecipe. Partecipazione che si esprime nella sua totalità nella fase di acquisto quando l’utente investe il suo capitale per arrivare alla soglia prevista per la stampa e assicurarsi il libro, capiamo bene quindi che non si parla più di acquisto nel suo termine più tradizionale ma di acquisto e fiducia. Al momento della prenotazione del libro, l’utente si aggrega ad una community, aspetta l’avvio della stampa, ne segue gli sviluppi. Questo senso di appartenenza renderà più probabile prenotazioni per successive pubblicazioni. Iperpersonalizzazione: Come abbiamo sottolineato nel paragrafo riguardante l’analisi dei dati, tutte le vendite e i lead sono profilati. Questo consentirà alla casa editrice di fornire indicazioni riguardanti gli interessi dei singoli attraverso advertising e email marketing. Nel nostro gruppo Slack parliamo di casi di successo, di analisi e di strategie digital adottabili da ogni manager. Ti va di unirti a noi?
Come un'Azienda può utilizzare Whatsapp per realizzare campagne di marketing Il mondo può essere suddiviso in buoni e cattivi, ma anche in sostenitori e oppositori del whatsapp marketing. E non si tratta di entrare nel merito delle capacità dell’app di messaggistica instantanea di raggiungere il proprio target, quanto della liceità dell’utilizzo dello strumento per campagne di marketing. Qual è la verità? Come spesso accade, la verità sta nel mezzo: per un verso, è certamente vero che Whatsapp non è un’app nata per aiutare le Aziende ad entrare in contatto con gli utenti; per altro verso, è difficile per ogni Azienda che conosce le potenzialità del digital marketing, riuscire ad ignorare che Whatsapp è uno dei maggiori leader tra le applicazioni di instant messaging, con i suoi 1,3 miliardi di utenti attivi mensilmente in tutto il mondo. Fonte: https://blog.whatsapp.com/ Saper usare una piattaforma di messaggistica istantanea come Whatsapp può rivelarsi quindi molto utile per le Aziende, che cercano sempre nuovi modi per rimanere in contatto con i propri consumatori. La domanda delle domande, quindi, è una: si può utilizzare Whatsapp a fini commerciali? La risposta può essere rintracciata direttamente nella privacy policy dell’app. Per chiarire il regolamento delle informazioni commerciali che intercorrono tra i suoi utenti e le Aziende, si stabilisce, infatti, che: “Messaggi commerciali. Consentiremo all'utente e a terzi, come le aziende, di comunicare tra di loro usando WhatsApp, ad esempio tramite informazioni su ordini, transazioni e appuntamenti, notifiche su consegne e spedizioni, aggiornamenti su prodotti e servizi, e marketing. Ad esempio, l'utente potrebbe ricevere informazioni sullo stato dei voli per un viaggio in programma, una ricevuta per un articolo che ha acquistato o una notifica relativa al momento in cui una consegna verrà effettuata. I messaggi che l’utente potrebbe ricevere contenenti marketing potrebbero includere un'offerta per qualcosa che potrebbe interessare. Non vogliamo che l’utente abbia una esperienza simile allo spam; come per tutti i messaggi, l'utente può gestire queste comunicazioni e noi rispetteremo le sue scelte”. Attenzione, però, alle parole utilizzate. Si tratta dell’invio di offerte commerciali “per qualcosa che potrebbe interessare [l’utente]”. In altre parole, si fa riferimento all’azione di rimanere in contatto con i propri consumatori, non di “entrare in contatto con utenti nuovi, che non abbiano rilasciato preventivamente la propria autorizzazione ad essere contattati per fini commerciali utilizzando il numero di telefono. All’interno del regolamento di Whatsapp, dunque, non c’è alcun esplicito divieto circa l’utilizzo dell’app per finalità di marketing, ma viene, al contrario, esplicitamente richiesto che ciò avvenga nel rispetto della volontà dell’utente. Come si traduce tutto questo nella pratica? Alle aziende è consentito compiere azioni di marketing tramite whatsapp, ma esclusivamente attraverso un’interazione umana, e non di un software. Non è consentito quindi alle aziende usare un’API per inviare messaggi di marketing ai propri utenti. E non è difficile comprendere le motivazioni di questa decisione da parte dei suoi fondatori: WhatsApp non vuole inondare gli utenti con messaggi che non vogliono vedere. Il suo successo è costruito sulle conversazioni private, umane o di gruppo che siano. Cosa è un’API? API è l'acronimo di Application Programming Interface, cioè le interfacce aperte di un software, che consentono di espandere le funzionalità di un programma permettendo ad altri, diversi dallo sviluppatore del software stesso, di interagire con la piattaforma per estenderne funzioni e caratteristiche. Finora l'unica soluzione possibile, dunque, è quella di acquistare una sim dedicata, installare Whatsapp e contattare gli utenti del proprio database che abbiano prestato il proprio consenso ad essere contattati per finalità di marketing. Nulla di nuovo sotto il cielo, dunque: anche Whatsapp riconosce (e, del resto, non avrebbe potuto fare altrimenti), il diritto dell’utente di scegliere quali comunicazioni commerciali ricevere e su quali canali, nonché di cambiare idea nel tempo. Vuoi scoprire quali Aziende hanno già utilizzato Whatsapp per promuovere i loro prodotti o servizi? Vuoi ottenere un vademecum su come realizzare una campagna marketing utilizzando Whatsapp, in maniera lecita? ATTENZIONE: I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali e non possono in alcun modo sostituire il contributo di un professionista qualificato. Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica-digitale che interessa è possibile contattare questo indirizzo. L'autore declina ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio o non aggiornato delle presenti informazioni. Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani.
Il futuro delle assicurazioni tra 20 anni Buongiorno a tutti e bentornati con l’appuntamento settimanale, della galassia Insurance con l’associazione Digital Building Blocks. Leggiamo spesso articoli legati a trends in corso o futuri, i quali cercano di comunicarci quali saranno i nuovi modelli di distribuzione o i nuovi modelli di business. In alcuni casi cerchiamo di capire quali saranno i prodotti assicurativi di domani, andando ad anticipare le esigenze del cliente. Ma proprio perché di questi articoli ne ho scritti diversi e comunque in rete esiste già molto materiale, adesso potremmo attraverso una semplice domanda, andare ad analizzare un altro aspetto riguardante da vicino in nostro Business: “ che cosa tra 10 o 20 anni sarà rimasto invariato?” Il motivo di questa domanda è molto semplice. Infatti se andiamo a rifletterci più a fondo (ripetendola piano ad occhi chiusi), ci rendiamo conto che possiamo veramente predire il futuro delle assicurazioni. Sei sicuro di conoscere il futuro? Analizzandola meglio infatti, possiamo renderci conto di quante siano le cose incerte sul futuro mondo delle assicurazioni e di quante invece siano lì, certe come non mai. Per curiosità osserviamo come i francesi, alla fine dell’800 immaginavano che fosse stato il futuro della mobilità oggi. E se ti dicessi di scommettere che il futuro della propulsione nelle auto sarà totalmente l’elettricità, saresti disposto a puntare tutto sulla certezza di questo trend? I più visionari scommetterebbero immediatamente di sì, i più conservatori sarebbero restii e per questo probabilmente direbbero di no. Ma quanti si fermerebbero ad osservare le cose per come sono realmente? Il futuro delle auto elettriche è appunto, il futuro. Ed il futuro per sua definizione è soggetto a cambiamento in base all’evolversi degli eventi. Infatti siamo sicuri che sulle strade ci sono già auto a propulsione elettrica e “sembrerebbe” che il fenomeno si stia espandendo. Ma sappiamo anche che vi sono auto con propulsione ad idrogeno, le quali vengono collaudate allo stesso modo, anche se in volumi minori. Allora adesso anche i più visionari farebbero qualche passo indietro, come è normale che sia, perchè il futuro che non c’è in realtà non può essere previsto con certezza, poiché ci sarà sempre una forte componente probabilistica, legata ad altri fattori o ad altre industry nel nostro caso. Il futuro che c’è In realtà invece qualcosa sul futuro delle assicurazioni la conosciamo. Sto parlando di quei sottostanti sul quale si regge tutta la “baracca”. Per esempio potremmo affermare con assoluta certezza che il futuro delle assicurazioni sarà sulla copertura del rischio. Probabilmente c’è tra i lettori, a chi questo li sembrerà ovvio, ma non lo è affatto in pratica. Perchè se fosse ovvio, dovrebbe esserlo anche l’impegno nel miglioramento continuo sulla copertura dei rischi, invece osserviamo ancora mercati fortemente sotto serviti. Mi spiego meglio, se noi conosciamo i sottostanti del nostro business, poi intorno possiamo girovagare quanto vogliamo implementando diversi modelli di distribuzione o di biz., magari fornendo la nostra copertura come un servizio legato ad altri prodotti, ma in ogni caso il motivo per il quale ha senso esistere la nostra organizzazione è sempre quello (l’unico che avrà valore nel tempo). Nel caso specifico di prodotti assicurativi, possiamo sicuramente affermare che il mio cliente vorrà sempre e comunque una copertura migliore ad un costo inferiore (perché è un consumatore). Che ci piaccia o no, l’organizzazione dovrà costantemente lavorare per soddisfare questo bisogno al meglio rispetto al competitor. È importante sottolineare come vadano comunque implementati ed aggiornati i canali di distribuzione dei nostri prodotti assicurativi, utilizzando quelli che sono migliori per il mio cliente e che vanno maggiormente incontro a quelle che sono le sue esigenze, ma questo oggi si chiama “insurtech”... Un altro punto sul quale siamo certi è che il mio cliente domani vorrà un’assistenza al top, non vorrà problemi nell’utilizzo dei suoi prodotti e vorrà essere soddisfatto nel perimetro di quello che ha acquistato. Lo sappiamo è così, pertanto alla luce di questo diventa necessario lavorarci poiché sappiamo già che tanto tra 10 anni questa sarà una necessità del cliente ancora presente (forse molto più di adesso). Conclusioni Seguire tutti i trend futuri è di notevole importanza perché ci permette di non far cadere in obsolescenza i nostri prodotti/servizi rispetto ai competitor, magari ricavandone anche un vantaggio competitivo di un certo tipo perseguendo un’innovazione di tipo disruptive. D’altro canto i “sottostanti” per i quali il nostro business ha senso di esistere e i bisogni che il mio cliente vorrà sicuramente vedere risolti adesso come tra 100 anni, sono punti che non possono essere tralasciati in termini di progresso ma addirittura per chi continuerà incessantemente, “day by day” a migliorarsi su questi specifici temi, sarà colui che deciderà ogni volta dove posizionare l’asticella. Lavorando costantemente su ciò che ha veramente valore per il nostro cliente, ci possiamo garantire di raggiungere un poco alla volta il futuro ed essere già lì quando arriverà. Mi sento di concludere come sempre con una frase, che in questo caso ci potrebbe motivare a ragionare sul perché: “Chi ha un perché abbastanza forte, può superare qualsiasi come” - F. Nietzsche Secondo te quali sono le cose che tra 20 anni sicuramente non saranno cambiate? Parliamone insieme nel gruppo Slack. A presto! Ciao!
Qual è il valore delle informazioni per un SaaS e come possono essere attivati gli effetti di rete dei dati? Gli effetti di rete (o esternalità di rete) definiscono i casi in cui il valore di un bene o servizio è legato al numero di persone che usufruiscono dello stesso bene. Uno dei casi più rappresentativo di tale fenomeno è il telefono, la cui utilità aumenta in proporzione al numero di altre persone che è possibile chiamare; i social network sono chiaramente un altro esempio di servizio caratterizzato da forti effetti di rete, ma anche considerando il caso dei software possiamo evidenziare le esternalità se si valuta la relazione tra il livello di diffusione di uno standard (ad esempio un sistema operativo) e la domanda (e offerta) di programmi e applicazioni compatibili. Fonte: Wikipedia Come si può applicare il fenomeno degli effetti di rete ai Digital Analytics? Per spiegarlo useremo un case study di un’azienda che opera nel settore degli Analytics: CB Insights. Prima di approfondire il concetto degli effetti di rete applicati all’analisi dei dati, definiamo il contesto dell’azienda presentata come esempio. CB Insights è un’azienda che ha sviluppato un software per la raccolta ed elaborazione dei dati relativi a startup e aziende consolidate, investimenti da parte di fondi di Venture Capital, acquisizioni e IPO. Riesce a monitorare anche brevetti e partnership, tutto al fine di supportare il processo decisionale dei propri clienti e riconoscere l’emergere di trend tecnologici in un determinato settore e comprendere quali siano le migliori opportunità di investimento nelle startup che operano nei diversi settori di interesse. CB Insights è sempre stata interessata ad attivare il fenomeno del “volando dei dati”, l’idea che più utenti portano ad avere più dati a disposizione per ottimizzare gli algoritmi e costruire un prodotto migliore, con il risultato di ottenere più utenti e far ripartire il ciclo. Tale fenomeno è più comunemente conosciuto come data network effect (effetti di rete dei dati). Alex Rampell, General Manager di Andreessen Horowitz, uno dei più grandi fondi di Venture Capital americani, che ha investito in startup di successo quali Airbnb, Facebook, Groupon, Lyft (competitor diretto di Uber), Pinterest, Skype, spiega il concetto in questi termini: “si tratta di scrivere e leggere da un database, dove il valore della lettura dei dati aumenta esponenzialmente quando si usa un’unica repository centrale per i dati”. Per attivare il fenomeno dei data network effect, dal 2010 CB Insights ha contattato fondi di Venture Capital, fondi di Private Equity e aziende per chiedere di inserire i loro dati su CB Insights, ma senza alcun risultato. Nonostante gli sforzi per rendere il processo di inserimento dei dati più semplice, non c’era alcuna risposta positiva da parte delle persone intercettate, quindi si è deciso di procedere in modo diverso, con strumenti che limitassero il bisogno di un intervento umano nel processo di raccolta dei dati. Nasce così The Cruncher, un software che sfrutta il machine learning per estrarre automaticamente dati strutturati a partire da fonti con dati non strutturati, che cioè non sono organizzati secondo un modello definito e standardizzato (nel 1998, Merril Lynch, una società di investimenti acquisita nel 2008 da Bank of America, affermò che circa l’80-90% delle informazioni utili a fini di business sono in una forma non strutturata). L’utilizzo del machine learning permette a CB Insights di estrarre dati in modo più rapido e più efficiente rispetto ai competitor. fonte: CBS Insights Con l’introduzione del software The Cruncher, la raccolta dei dati è stata gestita al 95% in modo completamente automatico, lasciando all’intervento umano solo il 5% dei dati raccolti: in questo modo, l’attenzione sull’attivazione degli effetti di rete da parte dell’azienda è gradualmente calata, ma proprio in quel momento la situazione è cambiata. Arrivano molte email da parte di persone interessate a fornire i propri dati, cosa che l’azienda aveva richiesto per anni senza successo: cosa era cambiato? In breve: era intervenuto l’interesse personale. Nel 2015 avvengono alcuni eventi che hanno determinato lo shift nel comportamento degli utenti target per l’azienda: la newsletter di CB Insights (che oggi conta oltre 300.000 lettori) ha cominciato ad avere un seguito rilevante, l’azienda ha cominciato a ricevere notevole interesse da parte della stampa, grazie all’introduzione delle mappe del mercato, una forma grafica di visualizzazione dei dati raccolti dal loro software, i Limited Partner dei fondi di Venture Capital sono diventati clienti, il che ha portato CB Insights all’attenzione anche dei General Manager di tali fondi, i rapporti e le classifiche sugli investitori hanno iniziato a generare business anche per questi ultimi, che ricevevano maggiore copertura mediatica se presenti nei ranking di CB Insights, il che ha fatto sì che chi non fosse presente si adoperasse per fornire i propri dati e aggiornarli. Praticamente, ciò che in precedenza era visto come un’inutile richiesta di dati, ora diventava qualcosa che poteva portare benefici in termini di business alle persone interessate (l’interesse personale superava lo sforzo per la fornitura dei dati). E gli effetti di rete dove sarebbero? Hai ragione, finora abbiamo raccontato di come una newsletter di successo e l’aumento del numero di clienti abbiano attivato un “motore sistemico” per la raccolta dei dati per CB Insights: l’altra parte della storia riguarda invece il come i dati forniti aiutino a migliorare gli algoritmi di machine learning. Tali dati infatti forniscono: nuove fonti per confrontare le informazioni circa investimenti, partnership, clienti delle aziende target, così da permettere al Cruncher di avere un indice più ampio di siti su cui cercare le informazioni, dati aggiornati sui competitor delle aziende presenti in database, così da migliorare il sistema di selezione delle aziende simili (un po’ come Spotify suggerisce le canzoni simili o Amazon i prodotti correlati), informazioni aggiornate circa i round di finanziamento delle startup presenti in database, a partire dai primi finanziamenti da parte di Business Angel e acceleratori, e circa le valutazioni di tali aziende ad un livello di dettaglio diversamente non ottenibile e che permette a CB Insights di sviluppare nuove funzionalità di analisi dei dati, aiutano a migliorare la tassonomia della piattaforma, con l’aggiunta di tag che permettono di classificare meglio le aziende, informazioni su partnership o sulle dimensioni di mercato, fornendo così un set di dati su cui costruire nuovi classificatori e aggiungere nuovi tipi di dati alla piattaforma CB Insights. La mole di dati raccolti ed elaborati permette quindi lo sviluppo di prodotti migliori e aumenta il livello delle ricerche generate, il che attrae un numero maggiore di iscritti alla newsletter e di clienti, così da alimentare sempre di più il volano dei dati. Ecco uno schema riassuntivo degli effetti di rete dei dati per CB Insights: fonte: CBS Insights Take away Questa storia ci permette di evidenziare alcuni benefici offerti dall’integrazione del Digital nei processi aziendali e nello sviluppo di un prodotto. I principali su cui possiamo ragionare sono i seguenti: la tecnologia e l’analisi dei dati abilitano lo sviluppo di prodotti migliori nel caso di CB Insights, l’introduzione del machine learning e l’analisi continua dei dati ha permesso di migliorare continuamente la piattaforma, così da attivare un circolo virtuoso nel quale i clienti, sempre più contenti dei dati messi a disposizione dal software, arricchiscono il database aggiornando i propri dati, al fine di mantenere un prodotto di cui percepiscono l’elevato valore, ricorrere al machine learning ha permesso a CB Insights di non dipendere più dai gatekeeper del settore, che inizialmente si rifiutavano di inserire i propri dati, non conoscendo la piattaforma e i vantaggi che avrebbero potuto ottenere; come sostiene anche Gary Vaynerchuck, prima di chiedere valore ai clienti bisogna darne, così da far percepire che il tuo brand ha a cuore gli interessi dei propri clienti, i dati sono sempre più un asset di valore e generano business in molteplici modi, soprattutto se usati per alimentare algoritmi in grado di estrarre trend e pattern e fornire insight di valore per i clienti. Qual è l’esperienza della tua azienda circa l’utilizzo dei dati? Lascia pure la tua opinione nei commenti.
Un colosso come McDonald’s può sviluppare ancora il proprio business? o addirittura può, dopo anni di storia, migliorare ulteriormente l’esperienza dei clienti? Sì e l’ha fatto, lo sta facendo proprio ora. Sul sito di McDonald’s Italia troviamo che “il primo ristorante McDonald’s è nato negli Stati Uniti su iniziativa dei fratelli Richard e Maurice McDonald nel 1937”. Avete capito bene. McDonald’s nasce 80 anni fa; 80 anni di storia e di perfezionamenti che hanno portato il colosso del food ad arrivare dove lo vediamo oggi. La storia di questi anni la possiamo solo immaginare ma è importante capire che nel 2013 McDonald’s ha analizzato competitor ed ha deciso di assumere il primo CDO (Chief Digital Officer) del settore per portare la Digital Transformation in azienda modernizzando l’esperienza dei consumatori. Questo perché dopo analisi di settore e dei competitor ha capito che si tratta di un percorso obbligato per rimanere competitivi sul mercato. Nel mondo esistono: 7,4 miliardi di persone; 4,9 miliardi di persone che utilizzano uno smartphone; 4,2 miliardi di persone che utilizzano lo spazzolino da denti. fonte: EduBirdie Questo significa che gli smartphone, nonostante l’evoluzione che subiranno a causa dell’intelligenza artificiale, si attestano come mezzo strategico per una comunicazione ottimale con il cliente. Ne parliamo approfonditamente in questo articolo che ti consiglio: Smart Retail: le strategie di Proximity Marketing per il punto vendita Una nuova esperienza per il consumatore Con l’idea di migliorare sempre di più l’esperienza del consumatore, McDonald’s ha lanciato in USA il servizio di acquisto online da smartphone attraverso un’applicazione dedicata. L’app è stata studiata per permettere agli utenti di avere a portata di mano tutto il mondo McDonald’s e di poter decidere se ritirare il pasto in negozio, se ritirarlo presso un McDrive o se richiedere la consegna a domicilio. Inoltre è possibile pagare online, velocizzando così il processo. Al momento in Italia è disponibile la consegna a domicilio attraverso un’applicazione esterna a McDonald’s, Glovo. Stringere accordi, fare rete, spesso si rivela una strategia vincente. In negozio sono stati installati punti dove è possibile effettuare le prenotazioni in autonomia, questo cambiamento ha portato meno code alle casse con conseguente riduzione dello stress per i dipendenti e maggior cura verso il cliente, utenti felici di non dover aspettare in coda, maggior facilità nella gestione degli ordini. Pagare è diventato semplice con McWallet, servizio che consente di pagare nei negozi attraverso lo smartphone. Continuare a soddisfare le necessità degli utenti La Digital Transformation è orientata al cliente e risulta perciò fondamentale perseguire le necessità del target di riferimento nel tempo. Da studi di settore è emerso che le persone hanno sviluppato una maggiore sensibilità verso il cibo, desiderano conoscerne i dettagli nutrizionali seguendo una dieta più consapevole ed eco-sostenibile. Per far fronte a questa necessità McDonald’s ha realizzato un’interfaccia web chiara dove ogni dettaglio è reso trasparente al consumatore. Adottare la Digital Transformation in azienda Come abbiamo visto anche per Amazon, la strategia da adottare in azienda deve essere Agile e capace di evolvere nel tempo. Qualche ristoratore potrebbe dire, e lo dirà, che il digitale non è adatto per il proprio modello di business (A proposito di questo, ti consiglio: Ma nel mio settore è diverso). Non è così: sicuramente McDonald’s ha possibilità economiche fuori dall’ordinario ma chiunque oggi può partire dal basso ed arrivare lontano in tempi relativamente brevi (in 10 anni Amazon è diventato quello che è ora), il digital offre questa possibilità. Dire “poi ci penseremo” non salverà l’azienda da chi sta partendo ora.
Assicuratore tradizionale vs Assicuratore digitale. Che Assicuratore sei? “Ho avuto due padri, uno ricco e uno povero. Uno era notevolmente istruito e intelligente; aveva completato in due anni il ciclo universitario quadriennale e poi si era specializzato. In seguito, ha studiato alla Stanford University, alla University of Chicago e alla Northwestern University, progredendo nella sua materia sempre grazie a borse di studio e sovvenzioni. L’altro padre non ha mai finito le medie inferiori. Entrambi hanno avuto successo nella loro professione, lavorando duramente per tutta la vita. Ambedue avevano redditi ragguardevoli. Eppure, uno ha avuto problemi finanziari per l’intera esistenza, l’altro è diventato uno degli uomini più ricchi delle Hawaii. Uno è morto lasciando in eredità decine di milioni di dollari, da dividere tra i famigliari, la chiesa e le organizzazioni di beneficenza. L’altro ha lasciato solo debiti da pagare” Il resto è storia…. Vi ho appena citato l’introduzione del Best Seller “Padre Ricco Padre Povero” di Robert T. Kiyosaki, uno dei libri di finanza personale più interessanti che un principiante possa leggere. Non parla nei dettagli dei movimenti finanziari da fare, quanto della mentalità che una persona che vuole ottenere la così detta “libertà finanziaria” dovrebbe avere. Dato che io mi ritengo costantemente un principiante nel mondo della finanza, poiché credo che sia l’approccio migliore che possa tenere per apprendere il più voracemente possibile, è uno dei miei libri entry level preferiti del settore. Adesso, provate a rielaborare il discorso, sostituendo il termine “Ho avuto due padri, uno ricco e uno povero” con quello di “Ho conosciuto due Assicuratori, un assicuratore digitale e uno tradizionale” …. Secondo voi, oggi nel 2017, quale può essere il primo assicuratore (quello povero) e quale il secondo (quello ricco)? Quando leggerete questo libro e prima o poi lo leggerete, scoprirete che il padre ricco è stato colui che ha saputo sfruttare al meglio le opportunità che gli si presentavano di fronte, non lasciando spazio per lamentele, ma sapendo creare denaro e ricchezza più in generale, da tutte le opportunità che gli si presentavano di fronte. Allo stesso modo, potremmo riportare il caso nel nostro specifico settore, quello assicurativo, andando ad imparare a riconoscere le opportunità che ci si presentano davanti, cercando di individuarle attraverso gli strumenti di cui un assicuratore digitale deve dotarsi, assimilando magari anche la mentalità di questo Broker potenziato dai nuovi strumenti digitali a disposizione . Le domande le quali potrebbero fungere da campanelli d’allarme, oppure generare risposte motivazionali sono molte, ma alcune le possiamo citare: Quanto veramente mi aiuta continuare a lamentarmi dell’erosione del portafoglio? Quanto tempo sto utilizzando per studiare nuovi settori dove inserirmi? Sto veramente sfruttando al massimo gli strumenti che oggi sono disponibili? Ho una visione globale del mio mercato? Quello che gli assicuratori dovrebbero sapere del mercato di oggi. È abbastanza assodato, che il mondo intorno a noi è cambiato e che anche il modo di assicurarsi è cambiato. Per naturale conseguenza quindi, anche il modo di vendere polizze e trovare clienti dovrà cambiare. Sono infiniti gli strumenti che oggi sono disponibili online per pubblicizzare la propria attività o per far conoscere le proprie competenze alle milioni di persone presenti sul web ogni giorno. Quello che bisogna fare è capire qual è quello più adatto a noi e iniziare da lì a presidiare il nostro mercato. Una volta le statistiche e i dati erano in mano a pochi centri di ricerca e magari accessibili solo a pagamento, adesso basti pensare a tutto il mondo Google e le infinite possibilità (GRATIS) che ci fornisce per capire cosa gli utenti cercano in rete e soprattutto dove lo cercano. Nei miei articoli parlo spesso di Google, non perché ne sia ossessionato, ma semplicemente perchè è il motore di ricerca che oltre l’80% delle persone utilizza. Per indagini di tipo più tecnico e statistico possiamo sempre documentarci su tutti i report pubblicati regolarmente in rete, ma già iniziando a padroneggiare gli strumenti di ricerca online, come se fossero delle armi potenzianti per la nostra attività, potremo essere in grado di far fare un bel balzo in avanti al nostro business, avviando la trasformazione per diventare un assicuratore digitale. Eccone alcuni totalmente gratuiti: Conoscere dove i clienti hanno un determinato tipo di bisogno assicurativo, può fare la differenza, altrimenti potremmo rischiare di trovarci a “vendere il ghiaccio al polo sud”. Quante volte ci è capitato di vedere che uno stesso prodotto facesse il “tutto esaurito” da una parte e un totale “flop” dall’altra?! Oggi il digitale, ma più in particolare i nuovi strumenti che un assicuratore digitale ha a disposizione, possono evitare di fare “flop” o per lo meno farlo in maniera economica. La verità è che da pochi anni a questa parte è cambiato tutto, anche il modo di fare marketing. Vediamo in giro, ancora troppi cartelloni 7x3 che promettono ma non mantengono. Le persone vogliono essere informate e non “bombardate”. Questo va capito, le compagnie lo hanno fatto e capito, ma quante sono le agenzie/broker che nel loro piccolo hanno iniziato a fare un tipo di marketing per attirare clienti (Inbound), invece di rimanere al solito vecchio ed ormai finito marketing ossessivo (Outbound). Chiediti: “Quanto il tuo marketing assicurativo sta trasmettendo valore al cliente finale?” Conclusioni Potremmo tornare alla domanda iniziale dove ti sei chiesto a che tipo di categoria di assicuratore appartieni, se a quella “Ricca” o a quella “Povera”. Quello che conta in questo momento è prendere atto della realtà, mettere un punto e partire da dove siamo in questo istante. Il materiale per apprendere l’uso di questi strumenti, che da domani puoi iniziare a utilizzare per il tuo business o la tua professione da assicuratore digitale, sono totalmente gratuiti in rete. Dipende da te, ma in particolare dalla tua volontà di diventare un “Assicuratore Digitale Ricco”, sfruttando l’accesso all’informazione di cui oggi si dispone, oppure decidere di rimanere un assicuratore “Povero” continuando a parlare di quanto la crisi abbia impattato sul tuo business. Vi lascio quindi con una frase calzante, riguardante la determinazione e le opportunità: “L’insuccesso è soltanto l’opportunità di ricominciare in modo più intelligente” - Henry Ford
Google, Starbucks, Amazon, un e-commerce di cosmetici, un’azienda locale con anni di storia alle spalle. Cosa accomuna queste attività? Tutte dipendono dai propri utenti e clienti. Come ho raccontato nell’articolo Il Design è un processo orientato ai dati, le aziende hanno bisogno di rendere Customer centric i propri prodotti e di ricercare la soddisfazione dell’utente. Ogni esperienza vissuta dall’utente si rifletterà sulle vendite, un’esperienza positiva si traduce in maggior fiducia nel brand e in maggiori conversioni. Come un manager può portare innovazione in azienda attraverso lo studio e la riprogettazione dell’usabilità di un sito web Come indicato nel libro Guida per manager nell’era digitale (qui ti offro il primo capitolo gratuitamente), l’user experience rientra nei Digital Building Blocks che ogni manager dovrebbe adottare per rimanere competitiva sul mercato futuro. Studiare e perfezionare l’usabilità significa aumentare la produttività, rendere soddisfatti i clienti e generare maggiori vendite. Immaginate un’applicazione o sito web aziendale che non risulta utilizzabile dall’utenza. Cosa produrrà? nulla. Da recenti studi è emerso che: le aziende con UX efficaci hanno aumentato i loro guadagni del 37%; il 90% degli utenti interrompe l’utilizzo di un’applicazione a causa delle scarse prestazioni della stessa; l’86% degli utenti pensa che per un’esperienza cliente efficace valga la pena pagare di più; il 48% degli utenti afferma che approdare su un sito web aziendale non ottimizzato per il mobile sia inteso come un scarso interesse dell’azienda verso il rispettivo business rendendoli poco propensi a completare l’acquisto. il 40% degli utenti abbandona una pagina web con più di 3 secondi di caricamento. Avendo chiari questi concetti è chiaro come le big company come Apple o Amazon, focalizzate da anni nello studio e nell’ottimizzazione dell’UX, siano leader di mercato. Aumentare il tasso di conversione In un mondo sempre più digital è necessario mantenere la competitività sulle vendite e ciò è possibile attraverso uno studio approfondito. Come dicevo in Incrementare le conversioni e le vendite con l'analisi dei dati qualitativi, effettuando ricerche sugli utenti è possibile comprendere come migliorare il prodotto in base alle esigenze riscontrate. Il tasso di conversione medio di un sito web si attesta intorno al 2,35% ma non è impossibile imbattersi in siti web con un’ottima UX ed un tasso dell’11% o superiore. Risparmiare sul lungo periodo L’analisi, lo studio e la progettazione dell'usabilità del sito web ha certamente un costo ma intraprendere questa strada in fase iniziale risulterà più economico rispetto ad interventi di correzione a progetto ultimato. Consideriamo inoltre le mancate vendite dovute alla cattiva usabilità, alla clientela insoddisfatta che non parlerà del brand. Le scelte di Amazon Per via della sua interfaccia semplice spesso pensiamo che l’azienda non compia ottimizzazioni grafiche. In realtà elementi come la barra di menu hanno visto molteplici modifiche nel corso degli anni per permettere agli utenti di visualizzare tutti i prodotti offerti a colpo d’occhio. trasformazione della barra di navigazione nei primi anni di vita di Amazon Grazie alle ottimizzazioni e allo studio continuo, oggi Amazon viene utilizzato come motore di ricerca per l’acquisto di prodotti, non è un caso se il primo elemento che ci viene proposto sia la barra di ricerca. Quante volte abbiamo pensato “mi servirebbe il prodotto x, lo cerco su Amazon”? Questa espressione è il frutto delle ottimizzazioni UX di cui abbiamo parlato: facilità nell’utilizzo + risposta immediata = l’utente ha esattamente quello che vuole ottenere nel giro di pochi secondi. La forza e la genialità di Amazon risiedono anche nella funzionalità dei prodotti correlati agli acquisti passati ed in funzione delle ricerche effettuate. Secondo questa idea, nell’intero sito troviamo proposte di acquisto interessanti e profilate, impossibile non acquistare. “Hai acquistato questo ebook con argomento UX, ti interessa anche questo ebook con argomento UX?” “Ma sì, grazie Amazon. Molto gentile”. Il team che si occupa dell’UX di Amazon è data-driven, ossia orientato ai dati, e apporta modifiche solo quando può verificare con i dati e gli A/B test che un elemento necessita di ottimizzazioni (come è successo con la barra di navigazione). Sostituire l’intera grafica non è necessario dal momento che l’ecommerce funziona alla grande, lo scopo non è rendere un sito bellissimo ma renderlo sempre più produttivo. Recentemente (2017) la homepage di Amazon ha subìto delle importanti modifiche enfatizzando maggiormente i nuovi servizi offerti (Prime, Prime video, Pantry, Alexa su amazon.com) ma come dicevamo, si tratta di trasformazioni che portano il sito ad evolversi nel tempo e non a modificarlo drasticamente. L'esperienza ora è resa completamente personalizzata: sulla home troviamo il nostro indirizzo, gli ultimi prodotti visualizzati (nel caso volessimo acquistarli), i prodotti consigliati in base alle recenti ricerche, i prodotti dalle liste salvate. È il mio negozio personale, dove trovo tutto ciò che mi serve. Stiamo parlando di iper-personalizzazione, qui un articolo di approfondimento: Internet come un grande CRM. Cosa può imparare un'azienda da Amazon: Lo sviluppo di un'interfaccia flessibile nel tempo può riverlarsi un'ottima scelta in termini di performance; è importante avere un team specializzato che effettui test continui sul pubblico; l'analisi dell'usabilità è fondamentale per sviluppare un business di successo. Come manager hai tutte le carte in regola per adottare la Digital Transformation nella tua azienda e aumentarne i profitti. Il primo passo è informarsi. Ne parliamo nel nostro gruppo pubblico, unisciti a noi e ad altri manager.
Ecco. È successo. Ma tu lo sapevi già da tempo. L'azienda dove lavoravi stava andando male da anni, ma hai sperato fino all'ultimo (irrazionalmente) che qualcosa cambiasse. In realtà quello che sta continuando a cambiare è il mondo intorno. Molto velocemente. Non cambiava solo l'azienda dove lavoravi. Però ti hanno lasciata a casa facendoti beneficiare di un servizio di outplacement. Probabilmente questa è l'opportunità migliore che ti è capitata negli ultimi anni. Hai l'occasione di fermarti e accorgerti del fatto che il mondo è cambiato e quella azienda che oggi ti ha licenziato, probabilmente non esisterà nei prossimi 10 anni (come scrivevo in Perchè un manager non dovrebbe usare il Digital: I leader di mercato cambiano sempre più velocemente. 89% delle aziende che erano nella lista Fortune 500 nel 1955 non lo sono più nel 2015. A questi ritmi nei prossimi 10 anni il 40% di tutte le aziende della lista Fortune 500 spariranno a beneficio di nuovi entranti che avranno capito meglio i tempi in cui fanno business). Probabilmente farà la fine della Mivar ( Mivar da leader di mercato in Italia a “Regalo la mia Fabbrica”. Meglio cambiare o fallire? Ma tu no! Tu hai avuto l'opportunità di usufruire di un budget per formarti sulle nuove competenze digitali. Non farti abbindolare... non è nulla di così difficile. Ci riescono i ragazzini, figurati una manager con esperienza. Bisogna però volerlo fare e non nascondersi dietro gli stereotipi della resistenza al cambiamento. Per vedere l'outplacement sotto la giusta ottica dobbiamo risalire alle sue origini. È un termine di derivazione inglese poiché importato dagli Stati Uniti dove è stato coniato intorno agli anni '60. Per primo fu utilizzato dall'ente spaziale della Nasa che aiutò migliaia di dipendenti provenienti dal concluso progetto Apollo a rientrare nel mercato del lavoro. Infatti l'outplacement si presenta come un servizio che la National Aeronautics and Space Administration offrì per favorire la riqualificazione e il ricollocamento in differenti contesti aziendali degli individui in cerca di lavoro. Lo so che la tua vecchia azienda non è la NASA, ma consideralo di buon auspicio e sfrutta l'occasione. La ricollocazione in azienda è possibile diventando il mediatore culturale che consentirà al top management di capire i nuovi paradigmi. Magari assumendo prima una posizione di temporary manager ed in seguito la qualifica di Chief Digital Officer. Prima regola: osservare Non ignorare che nel tuo settore ci sono delle cose che succedono. Il fatto che tu non le capisca, appunto, non è necessariamente una buona indicazione del fatto che siano sbagliate: è che devi capire dove vanno realmente. Nel 2007 Steve Balmer, allora amministratore delegato di Microsoft, intervistato in merito all’iPhone affermò: «Five hundred dollars? Fully subsidized? With a plan? That is the most expensive phone in the world. And it doesn’t appeal to business customers because it doesn’t have a keyboard, which makes it not a very good email machine. There’s no chance that the iPhone is going to get any significant market share. No chance.». Il fatto che un manager nella sua posizione, con un punto di visibilità privilegiato, non abbia capito il potenziale del modello di business dello smartphone, ha fatto sì che il colosso di Redmond rimanesse fuori dai giochi e ora paghi uno scotto non indifferente. Peraltro, dopo che nel 2008 aveva affermato di voler restare per altri 10 anni, dal 2014 non è più amministratore delegato di Microsoft. Quando si è dimesso il titolo Microsoft è salito in Borsa. Lo scenario è completamente cambiato. A fronte dell’inarrestabile processo di Digital Trasformation in atto, le aziende devono fare i conti con la necessità di operare radicali trasformazioni nel modello di business, organizzativo e prima di tutto culturale. Siamo nel mezzo della II Rivoluzione Digitale, un periodo storico caratterizzato dalla sempre maggiormente diffusa consapevolezza che il mondo oggi viene cambiato dalla digitalizzazione dell’informazione in ogni settore. Le opportunità maggiori sono in quelli dove non è ancora arrivato il cambiamento; dove manager con anni di esperienza e un occhio proiettato al futuro (ed il tempo per farlo) possono esserne artefici, ispirandosi a ciò che è successo in industry limitrofe alla propria. Non basta cercare di rendere i canali di vendita più digitali e interattivi, formare il proprio team all’utilizzo di social technology o assumere la società di consulenza che mi voglia vendere l’ennesima piattaforma digital interna, che i miei colleghi difficilmente useranno, non chiamandola più intranet, bensì con le ultime buzzword del momento: Platform, APIs Business Model, Open Platform etc. È necessario sapere leggere le direzioni del proprio business e dei business «confinanti». Capire cosa vorranno in futuro i miei clienti (sempre più in una logica di servizio e meno di prodotto) e sapere effettuare scelte tecnologiche finalizzate al business di domani: lavorare su innovazione che gli utenti vorranno usare quando l’innovazione sarà «finita», non quando ci si inizia a lavorare. Chi può farlo se non una manager con esperienza, il tempo per documentarsi e la voglia di dimostrare che si può essere artefici del cambiamento e non subirlo? Un servizio di outplacement si esplicita in 5 fasi successive: - Assessment (autodiagnosi/bilancio delle competenze) Certo. Bisogna passare da un esame di coscienza dei propri talenti. Salvo scoprire che sono tanti e con una spolverata digital possono anche essere molto rari. Mi è capitato di suggerire ad un Istrutture Sub che aveva trovato questo modo per sbarcare il lunario quando era stato licenziato come progettista meccanico di sistemi di automazione industriale, di conseguire le certificazioni di Google Adwords (gratuite online) perchè sapevo di una azienda italiana produttrice di sistemi di profondità (camere iperbariche tc.) che non riusciva a trovare persone esperte di meccatronica e competenti di digital marketing. L'azienda le voleva assumere immediatamente per la gestione della nuova divisione aziendale nata in seguito all'esplosione delle lead che stavano arrivando da tutto il mondo (incidentalmente l'istruttore sub parla anche inglese e francese oltre l'italiano). Per quanto di nicchia il tuo talento oggi può trovare una collocazione se condito in salsa digital. - Formazione Dopo l'esame di coscienza forse ti sei resa conto che qualche area di possibile approfondimento c'è. Magari proprio in quell'ambito Digital dove oggi ci sono tante opportunità. E finalmente ora hai il tempo per farlo. Ti consiglio di iniziare dalla presenza all'evento di Digital Building Blocks più vicino a te e dalla lettura di Guida per Manager nell'era digitale: Il metodo Digital Building Blocks. - Preparazione degli strumenti di marketing (personal branding, profilo Linkedin, contenuti qualificanti) No. Mi spiace. Il Curriculum Vitae non serve più. Finito. Morto. Ora chi sei lo dice internet. E se non lo dice, non sei. Per cui inizia a lavorare al tuo profilo Linkedin (più connessioni hai e più sarà vero tutto quello che hai scritto, perchè mica vuoi bruciarvi la faccia con chi conosci.... invece sui CV si scrivevano molte cose vere solo a metà). E se scrivi articoli o contenuti che dimostrino la tua competenza (meglio ancora se un libro) riuscirai a qualificarti senza bisogno del passaparola di amici e conoscenti (che è tanto bello e utile quanto non governabile). - Ricerca attiva sul mercato Dopo aver messo in piedi gli strumenti per farti trovare, cerca attivamente le opportunità migliori. No... non cercando tramite annunci di lavoro, bensì chiedendo consiglio alle persone che commenteranno i tuoi articoli su linkedin o sul tuo blog (non è rocket science la competenza per iniziarlo). E presidiando, meglio se come relatrice, quegli eventi dove si esplori l'innovazione nel tuo settore. In ambito innovazione è avvantaggiato chi ha molta esperienza nell'industry e un mindset aperto per riuscire a capire le opportunità delle nuove tecnologie e saper strutturare i nuovi business model (chi credi lo saprà fare? un ragazzino che magari ha lavorato solo un paio di anni nel settore?) - Reinserimento A questo punto sei pronta per ricominciare. Ma dalla porta principale e con le giuste motivazioni. Oltre ai giusti strumenti. Magari addirittura ad intraprendere un'avventura imprenditoriale. Si, perché il mito dei giovani startupper di successo è ... appunto... un mito, come puoi leggere in questo articolo Why Great Entrepreneurs Are Older Than You Think.
Ciao a tutti e bentornati all’appuntamento settimanale del mondo Insurtech con l’associazione Digital Building Blocks. Un paio di giorni fa, ho letto la notizia su Jeff Bezos che sarebbe diventato l’uomo più ricco al mondo, con un patrimonio di circa 90.7 Mld di dollari (Bloomberg Billionaires Index). Da allora hanno iniziato a passarmi per la mente pensieri del tipo: “Se Jeff invece di Amazon avesse fondato una Società Assicuratrice?!?” “Come si comporterebbe Bezos, che ha sempre una visione del business di lungo periodo, a capo di una Compagnia?” e “Che lezioni possiamo apprendere nel mondo delle assicurazioni da un genio del business come lui e da una Amazon regina occidentale del Retail?”. A proposito di Amazon un’immagine che proietto sempre quando mi confronto su questi temi nel mondo delle assicurazioni è questa: Dove si evidenzia come Amazon abbia una capitalizzazione di mercato che gli permetterebbe ipoteticamente, di acquisire totalmente la maggior parte delle compagnie più inflazionate e continuare a fare anche il proprio business con qualche “miliardetto” che è avanzato. Ma tornando a noi, per rispondere alle poche, ma strategiche domande che mi sono posto, bisogna cercare di capire come ragiona un genio come Bezos e quali sono i principi alla base dei suoi modelli di ragionamento per ”cavarne” fuori il valore e riportarlo nella galassia delle assicurazioni. Chi NON è Jeff Bezos Prima di tutto è sì il fondatore di Amazon, ma non ha creato Amazon in cantina mentre era disoccupato e senza un centesimo in tasca. Infatti lui prima di fondare Amazon “diceva la sua”, anche nel mondo della finanza a Wall Street, dove lavorava in una società che si occupava di sviluppo software ed algoritmi da applicare nel mondo della finanza. Probabilmente con quello che ho appena detto ho demolito le fantasie di molti che credevano che lui fosse semplicemente “il giovane pelato che ha creato un e-commerce”, mi dispiace per aver infranto questo sogno, ma in primis è necessario sapere che la maggior parte dei fondatori di aziende che hanno avuto successo in circolazione, alla base aveva un know how non banale in qualche settore. Infatti le aziende create dal ragazzino nel garage che valgono centinaia di milioni, nonostante siano le più inflazionate, ma si contano veramente sulle dita di una mano. Jeff aiutaci tu! La miglior cosa, che credo possiamo fare per capire come quello che fa Jeff Bezos con Amazon possa tornarci utile nel mondo Insurance, è analizzare un paio di frasi che lo rappresentano e i relativi “case study” annessi: 1.0 Siamo diversi Quando a Jeff gli viene chiesto il vantaggio competitivo di Amazon, lui con molta semplicità risponde: “Siamo una società veramente customer centric, orientati nel lungo periodo e veramente ci piace innovare...” Il fatto di sottolineare che sono veramente orientati al cliente denota come ritenga che gli altri lo dicano, ma in realtà non lo siano fino in fondo. Ma questo è assodato, no? Essere realmente orientati al cliente denota un mindset specifico. È emblematico il caso di cui si sente sempre più parlare della signorina del call center di Amazon che ha passato oltre 40 ore al telefono con un cliente (in più telefonate) per risolvergli un problema. Oppure potremmo analizzare un post che è diventato virale su Linkedin, dove una persona ha raccontato brevemente la sua esperienza di confronto tra Amazon e una compagnia telefonica italiana, la storia è andata più o meno così: “La compagnia telefonica in questione scrive a questo cliente (di lunga data) per provvedere al pagamento della bolletta scaduta e della relativa mora di 2,00 € circa. Il cliente perciò ha fatto notare che in 15 anni non aveva mai saltato un pagamento e sostenendo che questo era un caso non riteneva giusto avere questa penale dopo tanti anni di servizi acquistati dalla società. Alla fine, ciò nonostante gli fosse sembrato ingiusto, paga sia la bolletta che la mora. Un po’ di tempo dopo, la stessa persona, si trova contattare il servizio clienti Amazon poiché l’aspirapolvere acquistata 1 anno prima inizia ad avere dei problemi. Cosa fa Amazon? Senza dubitare della veridicità delle informazioni del suo cliente, propone immediatamente il reso con la restituzione del denaro o l’acquisto di un altro bene simile sul loro sito….” Ne trovate decine di questi casi sul web. Forse adesso abbiamo capito cosa intende Jeff quando dice che Amazon è veramente Customer Centric. In aiuto anche un’interessante definizione data proprio da Amazon: 1.1 Assicurazioni Nel mondo delle assicurazioni non ancora stata ben assimilata questa cosa, almeno non per tutti. C’è da dire che già per il cliente medio l’assicurazione è una cosa piuttosto astratta, la quale si concretizza solo al momento del sinistro. Poi non sono inventati i casi di compagnie che nella loro politica aziendale hanno dichiaratamente la strategia di liquidare il meno possibile ogni sinistro. Inoltre non diciamo nulla di strano, se prendiamo i casi di agenti che pur di prendere la polizza vanno a fare buchi a destra e a manca, tra sotto assicurazioni, massimali bassissimi o franchigie alle stelle. Osservando questi due o tre fattori capiamo quanto siamo ancora lontani da Amazon in una logica Customer Centric. 2.0 Ci mettiamo in gioco Un’altra frase che rappresenta molto bene il mindset di una persona come Jeff è questa: “Kill your Business” Come tanti altri imprenditori di successo Jeff cerca sempre di contraddirsi e di mettere in dubbio il proprio Business, perché sa bene che: “o lo cambi tu il tuo business o arriverà qualcuno che lo farà al posto tuo”. Potremmo prendere come esempio il Kindle, un prodotto lanciato da Amazon stessa e che mette in discussione il business dei libri cartacei, il quale per altro è uno dei principali business iniziali di Amazon, con tutto il discorso della vendita sulla long tail etc. etc. Mettersi continuamente in gioco cercando di distruggere le basi del proprio business ponendole continuamente in discussione, non è solamente una caratteristica di Amazon e Jeff Bezos, ma vediamo come anche altre big lo hanno fatto e lo continuino a fare quotidianamente, si veda Google, Tesla, Facebook etc... 2.2 Assicurazioni Nell’attuale periodo storico la maggior parte delle innovazioni che stanno mettendo in dubbio i modelli di business delle compagnie assicuratrici, provengono per lo più dall’esterno e questo fa risaltare due fattori, uno positivo ed uno negativo: Le società assicuratrici stanno rispondendo bene, inglobando queste nuove realtà e facendole proprie. Questo anche grazie alle capacità economiche che possiedono. Non facendo emergere innovazione reale quasi mai dall’interno, denota una lenta reattività al cambiamento al di fuori del tema “capitale da investire”. Questo può essere un problema di minore importanza oggi che i fondi possono essere appetibili per chi è appena nato in questo mercato e necessita di liquidità. Il rischio di mantenere questo approccio cresce nel lungo periodo, se pensiamo a quando si affacceranno in questo mercato società che non hanno bisogno di essere finanziate e detengono intrinsecamente un mindset di ben più reattività, rispetto a quello che è presente oggi nella galassia Insurance. La soluzione in questo caso potrebbe essere quella di iniziare percorsi di innovazione interni all’azienda, valorizzando il capitale umano e dotandolo del mindset di cui si parlava poco fa. In questo modo ci potremmo allineare anche con la frase iniziale di Jeff , dove ci diceva che “in Amazon ci piace veramente innovare”. Per farlo però c’è prima bisogno di costruire delle basi mentali solide. Conclusioni Quanto ci stiamo mettendo in discussione?! Quanto stiamo ragionando attraverso una visione di lungo periodo e soprattutto quanto ci piace veramente innovare?! Queste sono le domande che secondo me un genio del calibro di Jeff Bezos si sarebbe posto se avesse fondato una compagnia di assicurazione. Concludo con una frase che non è di Jeff Bezos, ma ci fa ugualmente comprendere l’importanza di seguire il modello dei suoi ragionamenti e riportarli nel mondo delle assicurazioni per garantirsi un vantaggio competitivo nel lungo periodo. “Se non hai un vantaggio competitivo, non entrare nella competizione” Jack Welch Ex ceo general Electric A presto! Ciao!
Nell’articolo precedente Saper vendere non basta più. La crisi di Paolo Bitta. abbiamo visto come la Digital Transformation sta rivoluzionando i paradigmi socio-economici e quindi anche il settore delle vendite. Il concetto base è quello di comprendere il trend del cambiamento e salire sul treno giusto prima che sia troppo tardi. Facciamo che qualcuno che abbia letto l’articolo mi abbia dato del pazzo… e che qualcun altro mi abbia dato ragione: per entrambi i casi ho pensato fosse necessario avvalorare quanto detto nell’articolo con un caso studio…. “fidarsi è bene... fidarsi è bene!”. Quanti di voi hanno visto Rocky 4 in tv? Secondo le ricerche sino al 2000 il 35% di voi ha visto trionfare lo Stallone Italiano sul cattivissimo Ivan Drago da uno schermo a tubo catodico Mivar. Chi di voi ora vede i documentari Rai di Alberto Angela da un tubo catodico Mivar? Nessuno. Vi racconto una storia C’era una volta ad Abbiategrasso (MI) un’azienda tutta Italiana che produceva dalla A alla Z televisori a tubo catodico: La Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio). Il suo fondatore era (ed è all’età di 95 anni) un uomo tutto d’un pezzo, si direbbe un uomo d’altri tempi: Carlo Vichi. La Mivar era Carlo Vichi e Carlo Vichi era la Mivar. Alla fine degli anni ‘80 ad Abbiategrasso si producevano 400 mila televisori al giorno, il fatturato del 2000 era pari a 350 miliardi di lire e in Mivar ci lavoravano 900 dipendenti. La Mivar fu fondata nel 1945 come azienda produttrice di apparecchi radiofonici, poi con l’avvento della tv Il Sig. Vichi iniziò a produrre dalla A alla Z i suoi televisori a tubo catodico. La stagione d’oro del settore Tv in Italia arrivò negli anni ‘60 - ‘70. Ma il decennio successivo porta con sé la prima sfida per il Sig. Vichi: i colossi giapponesi entrano nel mercato italiano. Sony, Sanyo, Panasonic, Jvc e Mitsubishi. Molti marchi italiani fanno fatica e altri spariscono dal mercato, invece la Mivar non si limita a resistere ma addirittura sopravanza le vendite dei giganti dell’elettronica di consumo: negli anni ‘90 è leader di mercato in Italia con un presidio più importante nei Crt (Cathode ray tubes) a piccolo formato e a basso costo di 14 e 20 pollici. È sulle ali di quel successo in quel decennio che il Sig. Vichi concentra tutte le sue energie nella costruzione della sua “fabbrica Ideale”: progettata interamente da lui, è vasta 120 mila metri quadri, di cui 60 mila a parco alberato. La costruzione fu terminata nel 2001. Ma prima arrivò il 2000, tutte le paure sul Millennium Bug e la fine del mondo si dimostrano fasulle, ma non per tutti. Il 2000 è l’anno dell’avvento del nuovo millennio ma anche delle TV a cristalli liquidi e al plasma… la fine del mondo del tubo catodico. E questa volta per tutti, anche per Mivar. L’accelerazione data da Samsung e LG, dai produttori Giapponesi e da quelli Turchi, cambiò drasticamente il mercato. Nel 2005 le Tv a tubo catodico sono un prodotto vecchio. Nell’ultimo trimestre del 2007 le vendite di televisori LCD superarono per la prima volta quelle degli apparecchi a tubo catodico: 47% la quota LCD contro il 46% dei Crt. Ma quella degli schermi piatti fu una rincorsa che durò dieci anni e che si concretizzò proprio nel 2007. Una rincorsa che iniziò con la guerra tra Digitale e Analogico (suona familiare?), con un percorso in linea con il normale sviluppo di un’innovazione: pochi volumi e alti costi per gli early-adopter, poi la tecnologia diventa matura ed entra nel mercato di massa scalzando la vecchia tecnologia. Insomma nulla di nuovo sotto il sole: un processo innovativo normale. Ma l’annus horribilis per Mivar fu il 2008: gli LCD coprirono il 45% del totale del fatturato dell’elettronica di consumo, più 48% in unità e più 22.4% in valore. I Crt invece rispetto al 2006, nel 2008, registrano un meno 42% in volumi e sempre nello stesso anno rappresentavano solo un misero 11% delle vendite. In Italia la situazione seguiva lo stesso trend: nel 2006 la domanda di LCD era due milioni scarsi e nel 2008 era di 3,6 milioni, circa l’83% della domanda totale. Il 60% dei televisori che entrarono nelle case degli Italiani in quell’anno era a schermo piatto e di 32 pollici… non più il 20, 21 pollici a tubo catodico della Mivar. Cosa faceva Mivar intorno al 2008? Il primo televisore non catodico di Mivar annunciato (2006) fu un 20 pollici stereo TFT a matrice attiva. Ovviamente non ebbe successo in quanto dati alla mano (vedi sopra) le tendenze del mercato andavano sui 32 pollici; secondo il Sig. Vichi non andò bene poiché non aveva la staffa per il montaggio al muro. (Tutto può essere eh!!!). Nel 2009 Mivar lanciò il suo Full HD ma preferisce usare i piccoli canali distributivi e non la grande distribuzione per raggiungere il mercato. Anche questo modello non ebbe successo. Nel 2013 Mivar rientra sul mercato (come assemblatore) con un Tv Mivar 40Led1 con pannello Full Hd retroilluminato, tuner HD, classe energetica B, Ingressi HDMI e scart, presa VGA, slot cam per pay-tv, ben cinque ingressi USB per la riproduzione multimediale da chiavette di memoria, funzione PVR e diffusori audio frontali da 2 x 10 watt. Il modello base è disponibile in quattro diversi colori (nero lucido, nero opaco, bianco e titanio)...Si bello, bello ma io voglio il Samsung! Ormai i pochi acquirenti di tv Mivar stavano svolgendo una missione, un gesto d'affetto verso l'ultimo produttore italiano di tv. Il 2013. La Mivar era Carlo Vichi, Carlo Vichi era la Mivar. Ad una prima lettura della storia non risulta chiaro come è possibile che un leader di mercato con una market share monstre del 35% e 900 dipendenti, passi in soli 10 anni dalla realizzazione della “fabbrica ideale” a dichiarare la chiusura delle linee di produzione di tv e il passaggio alla costruzione di mobili. I televisori Mivar erano semplici, pratici, affidabili, a basso costo, per questo amatissimi dai consumatori e poi il nulla. Quali sono le cause? Le cause sono da ricercare nella gestione di Mivar da parte del Sig. Vichi che, anche se possiamo definirlo un esponente del miracolo Italiano, è stato sempre identificato come un “imprenditore contro”. Contro in che senso? Contro l’esportazione e l’importazione. Fautore di un mercato quasi autarchico: i televisori Mivar erano progettati internamente, sempre internamente venivano costruite le componenti e poi il tutto veniva assemblato… internamente. Ha sempre rifiutato la tecnologia di nuova generazione, non ha mai usato il cellulare e tanto meno il computer; tutto ciò che per Vichi era importante era contenuto in una cartellina gialla riposta nel cassetto della sua scrivania. Non era d’accordo con i 55 milioni di euro stanziati nel dal Ministero delle Comunicazioni per l’adozione del Digitale Terrestre (ed era palese come questo provvedimento avrebbe cambiato il suo settore). Ma soprattutto ha considerato il marketing sempre come un costo buono solo ad aumentare il prezzo finale per il consumatore. In un settore in cui l’update tecnologico dal 2000 in poi si ha ogni 12 mesi e non più in linea con i passati update di 3 anni, Mivar ha annunciato il primo LCD nel 2006 ben 6 anni dopo che gli LCD erano arrivati sul mercato. La gestione della rete di vendita: dove comanda la GDO con nuovi metodi di vendita, come marketing e spinta sulle percentuali di vendita, Mivar funzionava ancora con il passa parola e sfruttava i piccoli rivenditori che stavano comunque scomparendo sotto la scure della GDO. Per quanto possiamo ammirare un uomo che ha fatto impresa in Italia, non possiamo che dedurre facilmente come il suo “andare contro” sia stato la causa scatenante del fallimento di Mivar come azienda produttrice di Tv; è stato più che altro un andare contro se stessi. Durante la gestione del periodo d’oro di Mivar (anni ‘90) si è focalizzato sulla costruzione di un immobile: la “fabbrica ideale” invece che investire in R&D. Non ha mai voluto allargare il potere decisionale ad una management: la Mivar era Carlo Vichi e basta! In tal modo è rimasto schiavo della “trappola del fondatore” (teorizzata da Ichak Adizes) e si è chiuso nei suoi ideali e valori lasciandosi sfuggire quello che intorno a lui stava accadendo. Ha perso il treno del trend dello schermo piatto e quando ci è voluto salire era troppo tardi e lui era troppo rigido per rivedere certe strategie: includere il marketing e includere la GDO nella rete di vendita. E non è una questione di concorrenza o del basso costo del lavoro in Asia, il marchio Mivar era forte prima di sembrare vetusto dopo, quando la pubblicità la faceva da padrone insieme alla vendita nei grandi centri commerciali della GDO. Era cambiato il modo di informarsi sul prodotto, di vendere e ancor più il modo di intendere il TV… e Mivar doveva cambiare allo stesso modo seguire il cambiamento, per rimanere in vita! La fine della storia: “Che fine ha fatto la fabbrica ideale”? Il 2017 Se fate un giro sulla homepage del sito di Mivar (vi prego fatelo) troverete un sito internet triste con scritto: Signori Imprenditori asiatici, siete gli unici costruttori della componentistica elettronica. Venite a rendervi conto dei vantaggi che potreste avere assemblando in Italia 3 milioni all'anno dei vostri televisori, la Mivar vi concederebbe l'uso gratuito di un complesso industriale unico al mondo in provincia di Milano, come pure il supporto necessario a una vostra presenza in Italia. Il governo stesso darà il benvenuto a una Industria costruttrice di televisori. Signor Presidente della Samsung, mandi un suo incaricato a verificare personalmente come stanno le cose, non le costerà nulla. What else?! Morale della Storia Tutte le storie sono degne di essere raccontate solo se alla fine insegnano qualcosa. Leggendo e cercando materiale per questo Case Study mi sono interrogato anche io su cosa questa storia mi stesse insegnando. E posso dire che rimane l’ammirazione per un uomo che ha fatto grande la sua impresa con il lavoro e le sue capacità, sicuramente è uno che a suo tempo ci ha saputo fare. C’è da imparare dalla caparbietà e dalla tenacia di quest’uomo… ma allo stesso tempo provo un pò di rammarico. Perché con un pizzico di elasticità staremo parlando di un’altra storia… magari una di quelle che finiscono con “e produssero tutti felici e contenti”, ci sarebbero ancora 900 posti di lavoro e un marchio italiano nell’elettronica. A volte tra il fallire e il rimanere al top sul mercato il passo è breve. Non è scontato ma è necessario, oggi più che mai con l’innovazione che viaggia alla velocità della luce, restare sul pezzo, guardarsi intorno e capire che il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi. Sarebbe bastato poco al Sig. Vichi per aver meno paura, sarebbe bastato vedere dal tubo catodico di una sua amata Mivar una replica di Rocky 4 per capire che per quanto non possa piacere il cambiamento: “Quando sono venuto qui non sapevo cosa mi aspettava. Ho visto che molta gente mi odiava ed io... ed io... non sapevo... non sapevo come la dovevo prendere. Poi ho capito che neanche voi mi piacevate, ma durante questo incontro ho visto cambiare le cose: cioè quello che provavate per me e quello che io provavo per voi! Sul ring eravamo in due disposti ad ucciderci l'un l'altro, ma penso che è meglio così che milioni di persone! Però quello che sto cercando di dire è che se io posso cambiare, e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare!” E qui si parlava di guerra fredda… La rivoluzione digitale è più semplice! Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani.
Ciao a tutti e bentornati con l’articolo settimanale sulla trasformazione “Insurance to Insurtech”. Oggi voglio parlarvi di come un recente studio di KPMG abbia prospettato la riduzione del business assicurativo nel settore automotive di circa 137 Miliardi di dollari entro il 2050. La cosa ancora più interessante è che appena due anni fa le stime in termini economici erano le stesse, ma per 10 anni più avanti. Quindi è evidente che qualcosa sta cambiando anche nel leggere ed interpretare i dati nel lungo periodo. Questo fenomeno è piuttosto conosciuto e si chiama legge di Moore, è una legge informatica espressa per la prima volta da Gordon Moore (fondatore di Intel) che recita questo: “La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi (e quadruplica quindi ogni 3 anni)“. L’esponenzialità di questo fenomeno è stato dimostrato come possa essere estesa, più in generale, a tutto il settore delle tecnologie. In definitiva è stato osservato come ogni 18 mesi raddoppi la capacità di calcolo, ciò significa che la stessa tecnologia oggi è disponibile solo per alcuni, tra pochi anni lo sarà per la massa. Implicazioni nel settore Assicurazioni La legge di Moore ci porta a capire come mai le stime sui dati fatte da KPMG appena due anni fa, sull’impatto della guida autonoma nel settore automotive, adesso non valgano più. Infatti c’è da aspettarsi, sempre secondo la legge di Moore, che tra pochi anni le stime siano ancora diverse, con tempi più stretti e impatti maggiori sul mercato. Se oggi pensiamo alla guida autonoma, ad alcuni potrà sembrare un’utopia solo perchè ancora non è disponibile per tutti e quindi non tangibile per la “massa”. A tal proposito mi vengono in mente la tecnologie disponibili sulle auto tedesche; alcuni anni fa potevamo trovare l’assistenza alla frenata solo su automobili di alta fascia (Es. mercedes S-Class), adesso invece è disponibile di serie su modelli entry level (Es. Vw Polo). Quello che fino a poco tempo fa poteva sembrare riservato ad un’elite, adesso non lo è più. Allo stesso modo per capire quanto la guida autonoma stia per diventare una realtà, basta che osserviamo quante siano le società che hanno avuto il permesso dallo stato della California, per sperimentare sulle proprie strade la tecnologia della guida autonoma. Vi stupirete nel leggere che non sono solo Google, Uber e Apple... Qualche dato analizzato Si prevede, sempre in via minorativa e tenendo conto della legge di Moore, che i mezzi driverless porteranno ad una diminuzione degli incidenti su strada fino al 90% entro il 2050. Questo perché le nuove tecnologie stanno già acquisendo ogni giorno centinaia di migliaia di km di dati su “come la gente guida” e stanno implementando i loro modelli di analisi predittiva del comportamento degli utenti al volante (solo Tesla ha dichiarato di aver già acquisito dati su 47 milioni di km). Poi aggiungiamoci che aumenterà il numero di automobili a guida autonoma in circolazione e il dato osservato ci risulta presto plausibile. Si può prevedere che entro il 2024 circa la metà dei viaggi in auto sarà effettuato attraverso servizi auto “on-demand” Per capire meglio questo dato potremmo analizzare il sempre crescente trend del car sharing; se prendiamo ad esempio la città di Milano, vediamo come questo fenomeno ha iniziato a prendere piede anche verso altri tipi di clienti, più esigenti se volessimo categorizzarli. Infatti il servizio “DriveNow”, viene offerto attraverso auto di categoria superiore rispetto a quelle che eravamo abituati con “enjoy” e “car two go”. E’ palese e sotto gli occhi di tutti come stia crescendo l’offerta per servizi di questo tipo, anche per fette di mercato non ancora servite. I rischi cambiano In questo settore, ed in particolare nel ramo automotive, abbiamo capito come le assicurazioni saranno sempre meno legate alla singola persona (guidatore), ma sempre più fornite come servizio già compreso nel mezzo. Con l’avvento di questi nuovi modelli di business, non potevamo aspettarci che il mondo delle assicurazioni potesse rimanere invariato sia in termini di processi, ma soprattutto di prodotti offerti. Infatti quello che viene richiesto oggi è l’essere in grado di adattarsi velocemente al cambiamento, fornendo soluzioni innovative che siano in grado di rispondere ad un bisogno emergente, il quale magari non esisteva fino a pochissimo tempo fa. Conclusioni Il metodo lean startup sembra un valido alleato in questo caso, soprattutto adesso che come si diceva sopra c’è la necessità di adattarsi e cambiare velocemente, non ci si può più permettere di uscire con un prodotto “perfetto”, ma al contrario bisogna portarlo davanti al customer il prima possibile ed eseguire continui test e implementazioni per migliorarlo secondo le esigenze di un cliente in continuo cambiamento. Diventare Insurtech Manager è anche questo, plasmare il proprio know-how con le nuove metodologie e le nuove tecniche di management, magari “estrapolandole” da chi già le utilizza con successo in altri ambiti, come lo sviluppo software per esempio. Voglio lasciarvi con una frase che mi è rimasta impressa; fa parte di un libro molto bello che si dice che sia uno dei più antichi mai scritti (Sun Tzu, l’Arte della Guerra), penso che in questo caso possa portarci a riflettere sull’approccio da avere verso il cambiamento: “Tutti possono vedere le mie tattiche, ma nessuno può conoscere la mia strategia” Sun Tzu A presto! Ciao!
Proximity marketing o marketing di prossimità: la nuovo frontiera che rivoluziona il settore retail e non solo. Wifi, NFC , Bluetooth, iBeacon: sono questi i nuovi strumenti che domineranno il commercio del futuro. Ormai è noto, gli utenti sono online, cercano online e acquistano online: su internet si sviluppano le diverse fasi del processo decisionale e di acquisto. C’è chi visita un negozio per vedere un prodotto, ma poi acquista il prodotto online (Showrooming) e chi, invece cerca i prodotti online e poi conclude l’acquisto in negozio (Webrooming). Ne abbiamo parlato nell’articolo Showrooming, Webrooming e Unified Commerce: Il futuro dell’ecommerce è offline. C'è però un altro elemento fondamentale che non può più essere ignorato dai commercianti. Secondo una ricerca condotta dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, un utente su tre sceglie cosa comprare cercando informazioni in mobilità, ovvero tipicamente dal proprio smartphone, e addirittura il 31% afferma di essere stato influenzato nella sua scelta, mentre cercava informazioni quando si trovava già all'interno del punto vendita. L'uso dello smartphone in negozio è dunque oggi un'opportunità unica per ingaggiare i clienti. Gli addetti marketing si sforzano quotidianamente per raggiungere gli obiettivi della propria azienda, realizzando campagne pubblicitarie mirate alla conoscenza del Brand o del prodotto...e poi? Niente: perdiamo per strada il cliente, non lo accompagniamo come si deve e, soprattutto, non lo intercettiamo nel momento giusto. Ecco però che ci viene in soccorso il marketing di prossimità, studiato proprio per abbattere o in qualche modo penetrare quella barriera immaginaria che (purtroppo) ancora esiste tra il mondo fisico e il mondo digital. Che cosa è il proximity marketing e perché è importante? Il marketing di prossimità si basa su due principi fondamentali: offrire al cliente contenuti pertinenti con la sua intenzione di acquisto farlo nel momento giusto, ovvero quando è in prossimità del punto vendita o del prodotto. Per ottenere questo risultato, dobbiamo porci due domande. 1. Che cosa vogliamo offrire ai nostri clienti? Hai sicuramente sentito parlare di “content marketing” per l’online, di strategie per incrementare le visite in negozio, o di upselling nel caso di in un ecommerce. Bene, nello scenario in cui ci troviamo oggi, in quello che è stato definito Unified commerce, tutte queste attività devono continuare e coesistere all’interno del punto vendita. L’obiettivo è offrire contenuti di valore ai clienti, informazioni aggiuntive, sconti e offerte personalizzate che attirino l’attenzione dei consumatori e ne favoriscano il ritorno. 2. In che modo possiamo intercettare i clienti all’interno del punto vendita? Con quale mezzo veicoliamo i contenuti al nostro target? Parliamo quindi delle applicazioni disponibili, caratterizzate da un sistema in grado di rilevare la presenza di una persona (del suo dispositivo mobile) all’interno di un’area specifica o di valutare la sua distanza rispetto a un punto predefinito. Scopriamo insieme quali sono le tecnologie che possono essere utilizzate per intercettare i clienti all’interno del punto vendita. Wifi Le applicazioni di proximity marketing possono appoggiarsi su reti wifi per rilevare la presenza in un’area fisica dei dispositivi. In ambito retail, l’operazione di marketing più ovvia è quella di chiedere a chi si collega un like, un tweet, dati di contatto, o semplicemente la visualizzazione di un messaggio pubblicitario. NFC NFC sta per Near Field Communication, ovvero comunicazione a corto raggio e consente a due dispositivi di comunicare tra loro fino a una distanza di circa dieci centimetri. Avvicinando il device a un altro dispositivo che supporta la NFC, questo può ricevere dei comandi, attivare funzioni sullo smartphone e quindi inviare una risposta. Risulta quindi molto adatto soprattutto in ambito di mobile payment: basta avvicinare il cellulare alla cassa per innescare il processo di pagamento. Bluetooth, beacon ed iBeacon Il protocollo Bluetooth è un sistema di comunicazione supportato dai nostri cellulari e smartphone da oramai più di dieci anni e, già in passato, tale tecnologia è stata utilizzata per inviare messaggi in modalità “push” e in tempo reale ai dispositivi vicini a un determinato device. Le caratteristiche Bluetooth hanno permesso, nel tempo, la costruzione di segnalatori a basso costo e di dimensioni molto contenute: I Beacon. Piccoli dispositivi alimentati a batteria che emettono un segnale costante, in un raggio che varia dai pochi centimetri fino a circa 50 metri. L’utilizzo di queste tecnologie sta rivoluzionando moltissimi settori ma l’ambito retail è probabilmente lo scenario in cui i vantaggi del proximity marketing sono più evidenti. Collocando gli iBeacon sulla vetrina, ad esempio, i negozianti possono inviare contenuti e notifiche a chi sosta davanti al punto vendita. Con i beacon sugli scaffali o in prossimità di offerte speciali è possibile fornire informazioni dettagliate sui prodotti, contenuti emozionali, raccogliere feedback. Ricorda quindi: la tecnologia è utile e ci offre ogni giorno tantissime opportunità ma non basta. La reale efficacia del proximity marketing consiste nel fornire valore aggiunto all'utente che si trova presso un determinato prodotto o in un luogo significativo dello store. Valore aggiunto che, nel contesto digitale attuale, significa solo una cosa: informazione.
Non solo per startup o nuove realtà, Slack è per ogni azienda, per ogni business, per ogni manager che punti ad aumentare la produttività del team. Creato da Stewart Butterfield, co-fondatore di Flickr, durante lo sviluppo di un gioco online oggi conta più di 5,8 milioni di utenti attivi attestandosi come il miglior strumento di comunicazione che un team possa usare. Slack fornisce una piattaforma per le organizzazioni per creare canali di chat di gruppo, chat personali e vanta l’integrazione con famose applicazioni esterne. Pensiamo alla quantità di comunicazioni che vengono scambiate ogni giorno in un’azienda: conversazioni Skype individuali o di gruppo, email, messaggi personali. Con Slack è possibile avere tutte queste comunicazioni in un solo posto, alla portata di tutti per essere fruite e rintracciate in qualsiasi momento. Segmentare le comunicazioni per argomento Attraverso l’utilizzo di diversi canali, slack permette di segmentare le discussioni e di focalizzare l’attenzione del team su un preciso argomento. È possibile creare canali pubblici dove condividere la discussione con tutto il team o canali privati con accesso ristretto. I canali sono ottimi per focalizzare l’attenzione della discussione su un preciso argomento. È possibile inserire un messaggio di benvenuto che comunichi immediatamente le regole da adottare nel canale. All’interno dei canali consigliamo di utilizzare i tag come: @channel: invia una notifica a tutto il canale; @here: invia una notifica solo a chi è online in quel momento; @nomeutente: invia una notifica ad una persona specifica. Inoltre inTeam Settings > Customize > Slackbot Responses è possibile impostare una frase come risposta automatica che Slack mostrerà quando in un messaggio verrà inserita una data parola o frase. Strumenti per la produttività aziendale integrati Slack vanta l’integrazione con le applicazioni più utilizzate per aumentare la produttività, all’indirizzo https://slack.com/apps è possibile consultare l’intero catalogo. Integrando le applicazioni in Slack sarà possibile fruire dei contenuti creati direttamente nella piattaforma. Tra le più utilizzate troviamo: Google Calendar; Trello; Asana; GitHub; Google Drive. Contenuti facilmente rintracciabili Durante il lavoro spesso si avrà la necessità di recuperare comunicazioni datate. Slack velocizza questo processo mettendo a disposizione una barra di ricerca filtrabile per argomento, per canale e per persone coinvolte. I parametri di ricerca comprendono: from:[username] to:[canale o username] in:[canale or username] after:[data] before:[data] on:[data] during:[mese/anno] has:[stella o link] Condivisione dei file semplificata Slack rende semplice e veloce la condivisione di file con l'intero team. Come molte altre piattaforme di messaggistica, è possibile caricare files attraverso: Drag and drop da cartelle; Copia e incolla direttamente nella chat; Caricamento cliccando il tasto +. È inoltre possibile creare dei link per la condivisione partendo dai files caricati. Disponibile da ogni dispositivo Slack è utilizzabile da web o da applicazione per desktop (Mac e Windows) e mobile (iOS e Android). Avere sempre a disposizione il canale di comunicazione aziendale è chiaramente comodo e permette di sentirsi connessi con il team anche quando si è in movimento o fuori ufficio. Discussioni individuali La trasparenza nelle comunicazioni di gruppo è certamente una grande opzione ma spesso è necessario comunicare privatamente con una o più persone. Proprio come qualsiasi altro client di chat, Slack rende semplice lo scambio di messaggi in privato tra persone singole. Aggiornamento di stato e profilo personale Come in altri strumenti di messaggistica, anche in Slack è possibile inserire uno stato particolare per comunicare se si sta lavorando da remoto, se si è malati o in vacanza. È inoltre importante mantenere aggiornato il profilo personale per rendere subito disponibili i contatti personali come email e numero di telefono. Per lo sviluppo Cliccando sul tasto + è possibile caricare parti di codice (html, php, js..) e condividere lo snippet con chiunque attraverso il link che verrà generato. Inoltre incollando un codice esadecimale sarà mostrato il colore equivalente. Produttività Per massimizzare la produttività è fondamentale utilizzare lo strumento adottando alcuni accorgimenti: è importante che i membri del team non controllino Slack costantemente per non perdere la concentrazione sul lavoro; i membri del team potranno condividere con tutti link interessanti atti alla crescita professionale dell’intera squadra; condividere traguardi e successi al fine di migliorare l’umore di tutti. contrassegnare con il simbolo “stella” argomenti di cui si potrebbe avere bisogno in futuro; utilizzare le applicazioni integrate; essere sempre precisi nella comunicazione indicando tutti i dettagli all’interlocutore senza lasciare spazio a incomprensioni. La funzione Reminder è molto interessante per aumentare la produttività, inserendo in qualsiasi canale o chat la stringa: /remind me #team [quando] [orario] to [oggetto] verrà registrata e inviata una notifica alla persona o a se stessi in un dato momento della giornata. Ad esempio: /remind #team-alpha to update the project status every Monday at 9am La funzione è disponibile solo in inglese. Le aziende che hanno adottato Slack Come dicevamo Slack negli ultimi anni ha tagliato traguardi incredibili. Nel momento in cui scrivo (luglio 2017), si contano nel mondo: 5,8 milioni di utenti attivi; 60.000 team; 1 milione di utenti attivi contemporaneamente; 100 milioni di ore passate mensilmente sulla piattaforma. Tra le aziende che hanno adottato Slack troviamo: NASA; Lush; The Times e The Sunday Times; Survey Monkey; Udemy; Jet.com; Intercom. La redazione del noto noto quotidiano The Times, abituata a metodi tradizionali, non pensava di poter migliorare la produttività dello staff adottando un diverso approccio comunicativo. Quotidianamente il team si riuniva in meeting e si scambiava periodiche mail di allineamento, questo significava maggior tempo da dedicare in programmazioni e organizzazioni. Il team di sviluppo utilizzava già altri servizi di messaggistica ma la vera svolta è arrivata quando un membro del team ha provato Slack, da quel momento la piattaforma è stata adottata da tutta la redazione. Come usiamo la piattaforma noi di Digital Building Blocks La gestione di un blog multiautore non è semplice, abbiamo autori che lavorano a svariati chilometri di distanza e che operano in settori diversi, su vari progetti. Slack è per noi fondamentale per stabilire il calendario editoriale, confrontarci sugli argomenti, scambiarci opinioni, ottimizzare i processi, condividere idee, stabilire le scadenze. Recentemente abbiamo creato un team aperto a tutti, ti va di entrare a farne parte? Avrai la possibilità di confrontarti con gli autori del blog e di sperimentare la piattaforma in modo immersivo prima di adottarla per la tua azienda.
Ciao a tutti e bentrovati. Oggi voglio confrontarmi con voi su un paio di aspetti che contraddistinguono Google, una delle aziende più innovative al mondo, cercando di capire come le assicurazioni e i loro managers possono trarne vantaggio. I) 20% del Tempo In particolare è interessante capire come Google richieda ai propri dipendenti di impiegare il 20% del loro tempo a studiare tematiche nuove che li appassionano. Sai cosa significa? Che 1 giorno a settimana lo dedicano ai propri progetti e ad esplorare nuovi mercati. Passioni, qui si parla di passioni, cioè lavorare su quella cosa che ti senti dentro e che fa parte di te. Questo “gioco” in Google ha tirato fuori prodotti come: Gmail, AdSense, Google Talk e Google News. Come ben sappiamo il mondo delle assicurazioni sta cambiando molto velocemente e ci sono “territori” che sono ancora totalmente inesplorati o che stanno per essere scoperti in questi istanti. È il caso del mondo Insurtech, l’alba di un nuovo modo di concepire l’assicurazioni. I.I) Casi Pratici dove utilizzare il tuo tempo nelle Assicurazioni Ma facciamo un esempio per toccare con mano l’enorme gap che il manager assicurativo di oggi può cogliere. Prendiamo 3 trends, tra i tanti, che sono destinati ad impattare massivamente sull’industria assicurativa e per ognuno di questi chiediamoci: “Chi nella mia azienda è esperto di questo o sta presidiando questa scena?” Se la risposta è negativa o comunque le unità si contano con due dita, allora quella può essere un’opportunità. Iniziamo: Blockchain - Avrà un impatto enorme legato alla disintemediazione ed all’applicazione di contratti automatici “smart contract”. Ha già abilitato, come mai fino ad ora, l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari, come derivati su catastrofi naturali es. “CatBond”; Assicurazioni peer to peer - Dette anche assicurazioni social, seguono il trend pazzesco della sharing economy e spesso sono la fusione tra modelli di business già esistenti come la mutua assicurazione e le potenzialità del Digital; Assicurazioni on demand - Assicurazioni che si attivano al bisogno, solitamente con un design mobile first, quindi attraverso una app. In alcuni mercati sono già presenti, ma i mercati non presidiati da questo business model sono ancora decine; Tre, non mille, tre (tra le tante opportunità ) che stanno cambiando per sempre il modo in cui l’assicurazione si approccia ed entra in contatto con il proprio cliente. Qual è adesso la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio dell’elenco?! Ecco.. consideriamolo come il gap da poter sfruttare per diventare l’esperto all’interno della tua azienda e portare innovazione. La verità è che presidiare i nuovi trends è come tornare a scuola... l’unica differenza è che quando si esce dalla fase di studio, qui si è tra i pochi esperti di un settore in elevato fermento. II) Fallisci! “if you don’t fail often enough, you’re not trying hard enough” Non sto impazzendo, infatti questo è un motto di Google. In Italia non è ancora pienamente “sdoganato” il concetto dal fallire per apprendere, ma in aziende come Google, il fallimento è una tappa obbligata verso il successo. Non a caso via via, vediamo diverse nuove opzioni che ci vengono fornite dal mondo Google e che poi spariscono, semplicemente perchè non hanno funzionato (metriche alla mano). Questa sperimentazione può essere applicata anche nel settore assicurativo attraverso l’introduzione di una nuova figura... II.I) Insurtech Manager La figura manageriale all’interno delle Compagnie Assicurative può trarre un enorme vantaggio dalle dinamiche interne di un’azienda come Google; enormi saranno quindi le opportunità di oggi per chi decide oggi di iniziare a pensare da Insurtech Manager. Se vogliamo iniziare realmente a fare innovazione disruptive, bisogna anche iniziare a mutare il mindset, iniziando magari a parlare di apprendimento convalidato. È una di quelle “cose” di cui si fa ampio uso nel mondo startup, se ne sente parlare infatti nel metodo “Lean Startup” di Eric Rice, che ci fornisce un’interessante punto di vista a riguardo: “Una startup esiste per capire come creare un business sostenibile oltre che per creare un prodotto”. Questo presuppone delle hp che poi vadano verificate e state tranquilli che il fatto di smentirle è spesso all’ordine del giorno. L’Insurtech Manager è quindi una figura di mente profondamente aperta che sa sfruttare queste nuove dinamiche intorno a se attingendo “sapere” da modelli che vanno molto forte in altri settori e sdoganandoli nel proprio. Conclusioni Google è un modello di mindset e innovazione continua che impatta profondamente nella vita delle persone, per questo è importante ogni tanto buttare un occhio su quello che stanno inventando nell’azienda di Mountain View sia in termini di processi che di prodotti. Per concludere ecco 3 buoni motivi per i quali un “Insurance Manager” deve trasformarsi in “Insurtech Manager”: Il settore è nuovo, infatti è da appena un paio di anni che si sente parlare di Insurtech , questo fa si che ci sia ancora un enorme gap di posizionamento; I trends da seguire sono spesso la naturale evoluzione di quello che già esiste (es. assicurazioni p2p ) quindi a maggior ragione ha importanza il punto successivo; L’esperienza maturata nel settore ha un grande valore, che seppure sprovvisti delle competenze tecnologiche approfondite, può essere integrato e generare comunque il valore primario di un progetto tech; A presto! Ciao!
Stai costruendo la homepage del tuo sito e vuoi inserire i loghi dei tuoi clienti? Vuoi stampare delle brochure informative e farti conoscere tramite le referenze dei tuoi partner commerciali? Ecco cosa accadrà: Farai una ricerca su Google Troverai il logo del tuo cliente Copierai il logo per incollarlo sul tuo sito, sulle brochure e su ogni altro materiale grafico ti verrà in mente. Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta? È molto facile ormai trovare su internet le immagini che ci occorrono per riempire un blog, la pagina di un sito o una presentazione in power point. Facilità di accesso, però, non significa legittimità. L’utilizzo di immagini create da altri e/o di proprietà di altrui segue regolamentazioni precise in Italia e nel mondo che gli addetti ai lavori e le Aziende dovrebbero conoscere per non incorrere in spiacevoli situazioni di violazioni del diritto d’autore. Quali sono? Scopriamole insieme. Il logo, cioè la parte grafica di un marchio (c.d. marchio figurativo), identifica l’attività di un’azienda e la rende differente e riconoscibile da tutte le altre esistenti. La registrazione del logo offre un duplice piano di garanzia: ai consumatori, consente di individuare esattamente la fonte d’origine dei prodotti o dei servizi da esso contrassegnati; al titolare, consente di impedire a terzi non autorizzati l’uso del logo stesso o di altri capaci di ingenerare confusione nel consumatore (c.d. “diritto di privativa”). L’uso del logo da parte di terzi è quindi soggetto ad esplicita autorizzazione da parte del titolare. Non dare per scontato l’utilizzo del logo altrui sul tuo sito: equivale a scrivere il nome di una persona, ad identificarla e ad associarla inequivocabilmente alla tua azienda. Non commettere l’errore di pensare: “È un mio cliente da tanti anni... non avrà alcun problema!” “Mi ha già concesso l’utilizzo del logo in passato per la brochure... inutile disturbare di nuovo!” “Non possiamo perdere tempo a chiedere l’autorizzazione: chissà quando la otterremmo! Intanto procediamo.”. Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani. Come fare per evitare di commettere errori? Richiedi una specifica autorizzazione scritta al titolare del logo in questione: ciò ti eviterà di affrontare spiacevoli situazioni (pensa al lavoro in più che dovrai fare per eliminare il logo dal sito o il costo di produrre nuovo materiale pubblicitario), ma anche pesanti sanzioni civili e penali. Tale autorizzazione dovrà specificare i luoghi di destinazione della pubblicazione del logo (es. sito web, landing page, email, brochure pubblicitarie), gli usi che se ne faranno, i tempi e i modi. È chiaro che non sarà possibile modificare le caratteristiche del logo (colore, forma) per piegarle alle esigenze del materiale di destinazione che intendiamo produrre. Sei sicuro che inserire un link esterno sia la scelta giusta? Se sei riuscito a portare l’utente sulla pagina del tuo sito o su una Landing Page che contiene un form per il rilascio del Lead, perché offrirgli l’occasione di proseguire altrove la sua navigazione? Peraltro, se vuoi inserire il logo di un’Azienda cliente o di un partner commerciale, è perché si tratta di aziende conosciute ai più: è davvero necessario dare all’utente la possibilità di visitare il loro sito? Se vuoi fornire più informazioni relative alle attività effettuate nei confronti di questo cliente, forse la strada migliore è quella del case study. Se inserire il logo di un cliente o di un partner commerciale sul tuo sito ti appare la scelta migliore, sappi che dovrai dotarti di una liberatoria firmata dal titolare della proprietà del Logo e del sito web il cui indirizzo sarà inserito. ATTENZIONE: I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali e non possono in alcun modo sostituire il contributo di un professionista qualificato. Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica-digitale che interessa è possibile contattare questo indirizzo. L'autore declina ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio o non aggiornato delle presenti informazioni.
Un buon prodotto soddisfa le esigenze dell’utente, un ottimo prodotto supera le aspettative e un prodotto eccezionale da agli utenti qualcosa di cui non sanno di aver bisogno. Realizzare un prodotto eccezionale è un processo complesso, richiede tempo, denaro, fatica e analisi a partire dal design. Come abbiamo visto precedentemente il design è un processo orientato ai dati, dobbiamo perciò raccogliere e analizzare dati quantitativi e dati qualitativi prodotti dall’esperienza utente del nostro sito web o applicazione. Nel gruppo dei dati quantitativi rientrano tutti i dati numerici o statistici raccolti con strumenti come Google Analytics, possono essere riassunti in tabelle e solitamente riguardano dati come età, numero di visite, percentuali. I dati quantitativi raccontano esperienze reali sul comportamento che gli utenti adottano online, non possono essere misurati ma possono essere osservati. Le osservazioni che possiamo analizzare possono portare ad avere una visione di insieme incredibile che consentirà di prendere decisioni che possono essere determinanti per l’aumento delle vendite e delle conversioni. Analizzando i dati qualitativi possiamo rispondere a domande come: Perché gli utenti abbandonano il carrello di un e-commerce? Perché gli utenti non cliccano su bottoni o elementi cliccabili? Perché gli utenti non completano il ciclo di conversione che abbiamo progettato? Perché gli utenti escono dal sito dopo pochi istanti? Perché alcuni utenti non riescono ad effettuare il login? Forniscono quindi una panoramica sui “perché”. Non studiare i comportamenti dell’utenza significa non avere consapevolezza degli ostacoli dei possibili clienti con un conseguente aumento di mancate conversioni che si traducono in minor fatturato. Spesso le aziende cercano il sito più bello, più moderno, più innovativo e particolare ma dopo aver seguito i clienti ci si rende conto che tutto questo non converte come sperato. Di solito è questione di rendere tutto più intuitivo, più semplice e più veloce. Come raccogliere i dati qualitativi con Hotjar Come abbiamo detto, esistono diversi modi per raccogliere i dati qualitativi, fortunatamente possiamo avvalerci di strumenti online estremamente validi, spesso all-in-one. Uno di questi è sicuramente Hotjar che ci aiuta a raccogliere, analizzare e ad avere a colpo d’occhio tutti i dati qualitativi che ci servono. Hotjar ci offre una serie di ottimi strumenti quali: Mappe di calore Con questo strumento abbiamo la possibilità di visualizzare esattamente dove gli utenti concedono più attenzione, quali elementi ricevono più click e come gli utenti scorrono la pagina. Registrazioni Le registrazioni dei visitatori sono la funzionalità che preferisco, permettono di guardare le sessioni di utilizzo di ogni utente mostrando chiaramente ogni passaggio. Se gli utenti riscontrano problemi nella navigazione o non trovano elementi importanti per la conversione, lo sapremo. Forms Lo strumento Forms permette di analizzare i form di contatto già presenti sul nostro sito o piattaforma. Inserendo il link del form, Hotjar saprà indicare quali campi causano l’abbandono della compilazione e ogni errore di qualsiasi sorta. Sapendo quale form causa l’abbandono è possibile intervenire sostituendo la richiesta o ponendo la domanda in modo più comprensibile. Indagini Nel corso delle indagini qualitative potremmo aver bisogno di porre direttamente alcune domande agli utenti. Con Hotjar possiamo farlo integrando un piccolo form contenente una domanda specifica e risposte rapide. È importante non abusare di questo strumento in quanto l’utente ci sta concedendo il suo tempo e la sua fiducia, non poniamo quindi domande complesse o non gradite. Il confronto diretto è una fonte di dati qualitativi I tool svolgono davvero un ruolo fondamentale nella ricerca qualitativa ma non dimentichiamo che è sempre possibile intervistare personalmente i possibili clienti dell’azienda chiedendo loro di raccontarci la propria esperienza con il nostro prodotto. Possiamo incontrare le persone o chiedere di poter effettuare un’intervista telefonica, il trattamento personalizzato verrà sicuramente apprezzato. L’ecommerce che ha ottenuto un aumento del 30% sulle vendite L’ecommerce Wyldsson nasce qualche anno fa ma, nonostante gli studi approfonditi di sviluppo e di design, il progetto non manifesta i risultati sperati. It was very frustrating. We had spent the best part of a year and a ton of money building our shiny new store, and it wasn't delivering. - Dave McGeady, CEO. La svolta avviene quando i membri del team iniziano a studiare i comportamenti degli utenti sulla piattaforma avvalendosi degli strumenti offerti da Hotjar e, grazie alle mappe di calore e alle registrazioni, capiscono che l’utenza abbandona il carrello dopo essersi trovati davanti a problemi come: difficoltà nell’effettuare il login; difficoltà su un browser specifico; difficoltà nella conclusione dell’acquisto. Dopo aver risolto i problemi riscontrati, l’ecommerce ottiene un aumento delle vendite del 30%. Notevole, vero? Conclusioni Ottenere dati qualitativi, contrapporli ai dati quantitativi e saperli analizzare non è sempre facile ma è un processo che necessita di essere preso in considerazione. Il rischio è di perdere clienti e di non veder aumentare le vendite. Raccontami la tua esperienza Da anni aiuto aziende a migliorare le conversioni, ora mi farebbe piacere parlare dell’argomento con te. Contattami se hai domande o se vuoi raccontarmi la tua esperienza.
Le Associazioni No Profit svolgono un’attività socialmente utile e che deve ricevere un consenso dal proprio pubblico; A questo fine, e per divulgarne gli scopi, è necessario e utile un approccio metodico e preciso anche per quanto riguarda il digital. Una realtà che opera nel terzo settore ha infatti bisogno di marketing anche più di un’organizzazione Profit, in quanto ha 3 mercati di riferimento, invece di 1 solo: il mercato dei prodotti/servizi che fornisce ai vari clienti/utenti, in concorrenza con altre No Profit e Profit, il mercato dei volontari, e quello delle donazioni, anche in qui in concorrenza con altre organizzazioni. Il primo step per una strategia di marketing digital è senz'altro quello di ottimizzare le risorse gratuite che il web ci offre come ad esempio la pagina Facebook. Verificare la vostra pagina Facebook Una Fan Page deve, per prima cosa essere verificata, ossia ottenere il bollino di certificazione accanto al nome. In questo modo quest'ultima sarà più facilmente mostrata da Facebook nella barra di ricerca e, soprattutto, darà l'idea precisa all'utente che si tratta di un canale di comunicazione ufficiale. Come farlo? Nel menù delle impostazioni della vostra pagina troverete la risposta! Come strutturare le varie sezioni di una pagina Facebook? La vostra pagina Facebook Associativa deve avere come immagine del profilo il logo della vostra Associazione/Cooperativa, è importante che il Logo sia di una buona qualità grafica, anche perchè si tratta di un'immagine che difficilmente cambierete, il vostro logo è distintivo della vostra realtà e così sarà anche sul web. Come immagine di copertina invece, è buona prassi l'utilizzo di una grafica inerente al vostro prossimo progetto/evento, alla vostra campagna sul 5x1000, o anche un modo per augurare a chi vi segue gli auguri di Natale/Buon Anno, quindi veicolo di una comunicazione dinamica che andrà a creare un ponte tra voi e la vostra Audience, da aggiornare quindi anche 4-5 volte durante l'anno. Cosa condividere sulla vostra pagina? Anche per una realtà no profit è fondamentale avere bene in mente un piano editoriale, in modo da avere una content distribution professionale da cui si percepisca la cura nella comunicazione. Un buon piano editoriale potrebbe prevedere 3 pubblicazioni a settimana: Il lunedì ad esempio si potrebbe condividere un contenuto di interesse generale per quanto riguarda il settore di competenza della vostra Associazione, il mercoledì la condivisione di un evento o di un progetto particolare che si vuole pubblicizzare e il Venerdì magari dedicarsi a raccontare la quotidianità della vostra realtà attraverso uno Storytelling, magari veicolato da foto e/o video. Quest'ultimo aspetto è sicuramente il più importante, in quanto contribuirà a creare un legame di fiducia tra voi e chi vi segue e potrebbe aiutarvi nel mercato del volontariato o delle donazioni. Questo è solo un esempio di come è possibile sfruttare le risorse che il web offre, una strategia completa chiaramente richiede investimenti ma un'ottimizzazione di ciò che si può realizzare gratuitamente è il primo step!
Un passo che tutte le aziende si trovano, prima o poi, ad affrontare, è quello di selezionare una piattaforma di CRM per la gestione di lead e clienti. Quando tenere traccia di tutte le informazioni su un foglio di calcolo diventa un lavoro in se stesso e copiare i dati dal taccuino per condividerli diventa una incombenza giornaliera, è giunto il momento di prendere una decisione, frenare la propria crescita o scegliere un CRM. Nel secondo caso, i parametri che possono guidare questa scelta possono essere molteplici, ad esempio la semplicità d’uso, la personalizzazione, l'integrabilità con altri software. Per valutare tutti questi aspetti serve tempo, e spesso l’idea di affrontare una spesa per un software che potrebbe non soddisfare le nostre esigenze diventa un freno all’acquisizione dello strumento. Fortunatamente il CRM di Hubspot, uno dei più completi ed efficienti sul mercato, è offerto gratuitamente e permette di valutare in tutta calma opzioni e funzionalità. In questo articolo andremo ad illustrare alcune delle caratteristiche più rimarchevoli della piattaforma: Nessun contatto duplicato In Hubspot ogni contatto viene identificato univocamente attraverso l’indirizzo e-mail, e viene inserito in una categoria quale Lead, Contatto o Cliente. In altri CRM capita di dover inserire la stessa persona in categorie diverse, ad esempio come Lead e come Contatto. Alla lunga questo crea confusione e rischia di portare alla creazione di record duplicati. In Hubspot questo non accade, quando un Lead si trasforma in Contatto è sufficiente modificare il suo status, mantenendo intatta tutta la cronologia associata. 2. Strumenti per trovare opportunità Molti CRM si presentano come una scatola vuota, in cui inserire le informazioni di cui abbiamo bisogno o di cui si vuole tenere traccia. Hubspot permette di aggiungere direttamente Lead, Clienti e Compagnie. L’impegno richiesto dalle due procedure è simile, ma la marcia in più del CRM di Hubspot consiste in un database di compagnie che possono essere esaminate per valutare nuove opportunità. Semplicemente inserendo un dominio web potremo accedere a dati quali fatturato medio, dimensione, dipendenti, localizzazione, utili per filtrare le opzioni e definire i propri obiettivi prioritari. 3. Personalizzazione Molte piattaforme permettono di personalizzare le informazioni da raccogliere e da visualizzare, ma poche permettono di farlo con la facilità del CRM di Hubspot. Attraverso una semplice procedura guidata possiamo creare un campo dati personalizzato scegliendo fra diverse tipologie, campo di testo, menù a tendina selezione a bottone e molti altri. I campi , definiti “Proprietà”, sono raggruppati per categorie, quali Dati del contatto, Social Media, Conversion information, e se necessario è possibile creare altri gruppi per gestire nuove tipologie di informazioni. Quando si hanno molte informazioni diventa però essenziale poter selezionare quelle principali da quelle secondarie. Hubspot permette di decidere quali campi verranno visualizzati nella scheda di un contatto o di un’azienda, semplicemente applicando una spunta dall’elenco generale, e la cosa migliore è che i dati non visualizzati verranno comunque aggiornati automaticamente quando necessario. 4. Informazioni sulle attività dei Lead Chi non vorrebbe sapere quando un cliente ha aperto una mail, o quando un lead ha visitato il nostro sito? Grazie alle opzioni di tracciamento incluse nella piattaforma CRM di Hubspot possiamo avere queste informazioni a portata di mano. Tutte le attività del contatto vengono infatti registrate, in ordine cronologico, nella sezione Timeline della sua scheda. Grazie a queste informazioni sarà semplice decidere come e quando contattare il lead, o inviare una proposta al cliente, adattando la comunicazione sulla base degli interessi e delle attitudini mostrate. 5. Filtri e Report a portata di mano Solitamente, quando si accede ad un database di lead, si ha la necessità di vedere solo i contatti a noi assegnati. E spesso cerchiamo delle caratteristiche precise nei lead, magari che si adattino alle esigenze di fatturazione o di gestione che abbiamo in quel momento. Con il CRM di Hubspot possiamo ottenere questo risultato con estrema semplicità: grazie alle viste impostabili possiamo fare una prima selezione del nostro database, e con l’applicazione dei filtri raffinarla a piacere fino ad ottenere esattamente l’elenco desiderato. Utilizzando le funzioni di export, i report e le dashboard integrate sarà poi agevole condividere con i collaboratori le informazioni estratte dagli archivi. Conclusione Se la gestione dei contatti è diventata una parte preponderante della vostra giornata lavorativa, l’accesso e la condivisione dei dati creano colli di bottiglia nel flusso lavorativo o se semplicemente si è curiosi di capire come funziona un CRM, la piattaforma di Hubspot offre un’alternativa valida e completa, con un bonus da non sottovalutare: è gratis. Per sempre!
Mark Andreessen dichiara: “in the future every company will become a software company” . Andreessen è il co founder di Netscape, tra i primi investitori di Twitter e questa frase è di fondamentale importanza per capire la trasformazione dell’industria assicurativa, un’evoluzione che può essere raccolta in una sola parola: Insurtech. Il termine Insurtech viene utilizzato in senso ampio quando si parla di Assicurazioni (Insurance), facendo riferimento alla rivoluzione che sta avvenendo in questo settore, grazie all’utliizzo di nuove tecnologie (tech) e nuove logiche nella creazione e distribuzione di prodotti. Infatti “tech” sta per tecnologia e il termine “insurtech” prende spunto dalla parola “fintech”, coniata alcuni anni fa nell’industria bancaria (tra le prime industry finanziarie a essere rivoluzionata) e che fa riferimento alla fornitura di servizi e prodotti finanziari attraverso le nuove tecnologie. Ed è proprio il digital ad essere la principale causa di questi cambiamenti e la principale fonte di alimentazione di tutte le nuove tecnologie che rivoluzioneranno il settore. I trends nel mondo Insurtech sono tantissimi dall’intelligenza artificiale a logiche blockchain per l’accesso alle informazioni, ma in ogni caso è sempre il digital che rende possibile tutto questo. Per fare un’esempio prendiamo le piattaforme digitali (Es. Facile.it), che già da diversi anni rendono disponibile per il cliente un servizio online trasparente e chiaro di confronto dei premi e condizioni di polizza, questo accesso all’informazione in maniera così dettagliata e trasparente non permette più di tornare indietro, ai tempi dove l’assicuratore sotto casa ci faceva il prezzo che lui diceva essere il migliore e noi ci fidavamo ciecamente. Adesso abbiamo accesso a più informazione dal nostro smartphone di quanta ne aveva l’FBI negli anni 90, ed è per questo che l’asset principale sul quale basarsi è diventato l’informazione. Anche i modelli di copertura assicurativa diventano sempre più avanzati, come ad esempio le polizze “pay as you go” e cioè quelle assicurazioni che possono essere attivate quando e dove vogliamo, se e solo se usufruiamo del servizio, eliminando quella noiosa sensazione che ci fa dire: “sto pagando qualcosa senza utilizzarla”. Per fare un esempio in questo senso potremmo pensare alla startup scozzese Cuvva, che permette di pagare il premio RCA a ore… avete capito bene a ore.. cioè solo quando effettivamente viene utilizzata l’auto; il tutto attraverso il mio smartphone. Questo è possibile solo grazie all’avvento di tecnologie digitali, al sempre maggiore utilizzo degli smartphone e all’adozione sempre più su larga scala dell’internet delle cose (Iot), cioè tutti gli oggetti connessi alla rete ( es. frigoriferi, auto, orologi, allarmi …..) . Un esempio di applicazione nel mondo assicurativo di Iot potrebbe essere a proposito della copertura “pay as you go” di cui si parlava prima; pensiamo alla scatola nera installata nell’auto che mi permette di sapere effettivamente quando sto utilizzando quell’auto (quella scatola nera fa parte di tutto il mondo Iot) e quindi farmi pagare il premio solo quando effettivamente c’è un rischio. Questi trends e tanti altri portano a parlare non più di Insurance ma di Insurtech, cioè le assicurazioni che diventano tech company (società tecnologiche) e che si avvalgono quindi in maniera sostanziale di tecnologia per rimanere competitive sul mercato migliorando i propri prodotti/servizi. Il fenomeno è molto interessante, infatti conoscere tutti i trends che stanno trasformando questo settore permette a chi vi è all’interno di poter cavalcare le onde senza esserne travolto. Questo è il motivo principale per il quale ho deciso di studiare a fondo il cambiamento che sta avvenendo nel mondo delle Assicurazioni e farmi portavoce delle possibilità che vi sono per chi opera in questa industry. Ma in verità chiunque si trovi in questo settore dovrebbe studiare a fondo questi trends, perché la storia ci insegna che l’innovazione necessita nella maggior parte dei casi di una profonda conoscenza delle dinamiche interne, ma con una mente sempre pronta a mettersi in discussione; questo fa sì che chi quotidianamente opera nel business delle assicurazioni abbia più possibilità di rivoluzionarlo. Inoltre non bisogna sottovalutare big come Google, Amazon ed altre tech company che si sono affacciate a questo settore già da un po’ di anni, con uno sguardo molto interessato, una community pazzesca alle spalle ed una leva tecnologica non indifferente. Dopo tutto, come dargli torto, l’industria assicurativa è un mercato da triliardi di dollari e loro capitalizzano molto di più delle più grandi compagnie assicurative al mondo. Quindi se Facebook fa da banca perchè Amazon non può fare da assicurazione? Personalmente non vedo il limite. In sostanza possiamo affermare che la forza di un’azienda e la sua capacità di generare valore sono traslate, passando da un asset basato sul capitale, ad uno dove la value proposition (come si dice in ambito startup) è data dalla capacità di sapersi adattare velocemente, in questo caso utilizzando la potente leva tecnologica che abilita la trasformazione Insurance to Insurtech. E i Manager o Imprenditori del settore assicurativo? Come possono “surfare” questa “insurtech wave”? Come al solito le persone fanno tutta la differenza del mondo, ma in particolare lo fa il mindset (mentalità) di cui si deve dotare l’imprenditore o manager che opera in questa industry. Adottando il metodo Digital Building Blocks l’opportunità che ci viene fornita è quella di mettere a punto una macchina digitale perfetta, anche grazie alla creazione di un collaborazione tra figure all’interno della Compagnia con diverse competenze tra loro, ma che insieme creano una miscela esplosiva: DIGITAL NATIVE - cioè quelle persone che il digital lo hanno nel sangue e sono esperti di nuove tecnologie, ma soprattutto sono in grado di adattarsi velocemente al cambiamento tecnologico; LEADERS - in azienda è la figura che si rispecchia nel top management come CEO, CMO, COO e più in generale nella governance aziendale; BUSINESS NATIVE - sono tutti coloro che hanno decine di anni di esperienza e che conoscono profondamente le dinamiche del business. Per loro il business in questione non ha segreti, ne conoscono punti di forza, di debolezza e sanno esattamente come muoversi; È proprio plasmando insieme queste figure nel giusto modo e grazie al metodo Digital Building Blocks, che si creerà un team disruptive in grado di salire sulla cresta dell’onda Insurtech e “surfarla” fino in fondo.
Con il termine “pubblicità occulta” si fa riferimento a quella pratica pubblicitaria consistente nell'inserimento di un prodotto o di un servizio appartenenti ad un Brand perfettamente riconoscibile. Per la sua esistenza, la “pubblicità occulta” richiede la compresenza di 2 elementi: Il pagamento di un corrispettivo da parte dell’Azienda che viene pubblicizzata; L’assenza dell’informazione al consumatore medio che si tratta di un contenuto con intento commerciale. Questa mancanza di trasparenza nei confronti degli utenti, ha assegnato al termine “pubblicità occulta” un’accezione prettamente negativa nel corso del tempo. L’art. 22 comma 2 del Codice del Consumo prescrive infatti che una pratica commerciale è da considerare omissione ingannevole quando, tra gli altri casi: Non indica l’intento commerciale e questo non risulti già evidente dal contesto Sia idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Grazie alla sua struttura, la pubblicità occulta è in grado dunque di influenzare il consumatore medio nelle sue successive scelte di acquisto: egli assocerà quel Brand ad una situazione “già vissuta” e ad un personaggio noto che apprezza, segue e vuole emulare. Questo fenomeno di associazione positiva e inconscia del Brand avviene ancora più facilmente se realizzato dai cc.dd. influencer, abituati ad interagire con i propri followers anche su aspetti della vita quotidiana. In questo modo i Brand “affittano l’attenzione” ottenuta dal personaggio pubblico per meriti estranei al Brand stesso: la fan page del personaggio pubblico diventa quindi una grande vetrina e lui un manichino in carne e ossa. Il concetto di “attenzione in affitto” si contrappone a quello di “attenzione di proprietà”. Tradizionalmente il marketing si è insinuato là dove altri sono riusciti a attirare l’attenzione del consumatore (pensiamo ad esempio alla pubblicità in tv o a quella cartacea). Oggi, a causa del contesto di mercato affollato in cui ogni azienda si ritrova, l’attenzione è diventata un bene sempre più raro e la scelta di “prenderla in affitto” si rivela spesso poco efficace (pensiamo ad esempio al calo di ascolti registrato dai canali televisivi da quando è arrivato Netflix). Per questi motivi le Aziende più attente e lungimiranti stanno modificando le tradizionali strategie accettando la Digital Transformation che il mercato impone: non più “attenzione in affitto” ma “attenzione di proprietà”, cioè la costruzione con il potenziale cliente di una relazione stabile, personale ed esclusiva. È questa la sfida della Lead Generation degli ultimi tempi e dell’Inbound Marketing. Chiara Ferragni si è definita un “media pubblicitario”: ogni scatto postato sui social network è frutto di accordi con Brand che le chiedono di indossare o utilizzare i loro prodotti L’art. 22 del Codice del Consumo, però, non tiene conto dell’evoluzione nel mondo dei media pubblicitari (l’ultima rettifica risale al 2007) e del modo in cui gli utenti oggi cercano informazioni, scelgono i prodotti da acquistare e si relazionano con i personaggi pubblici. Il fenomeno, in grande espansione, è attualmente fuori controllo e di certo non riguarda soltanto l’Italia. Negli Usa, Selena Gomez (122 milioni di follower su Instagram e più di 61 milioni su Facebook, considerando soltanto la sua official fan page), poco tempo fa ha pubblicato una foto in cui beveva una Coca-Cola, ottenendo 6,7 milioni di like e più di 270.000 commenti. Secondo la rivista Adweek, considerato il numero degli utenti raggiunti, a quel post è attribuibile un valore di circa 550.000 dollari. Bel colpo per Coca-Cola, no? È chiara dunque la necessità di un intervento legislativo per regolamentare la c.d. “unlabbed advertising”, cioè la “pubblicità senza etichetta”. La prima Antitrust a prendere sul serio la vicenda è stata la Competition and Markets Authority, quando ha sanzionato circa 40 celebrità e 15 aziende “per aver indotto in errore il pubblico con pubblicità indiretta su social network”. Ha anche richiesto l’inserimento dell’hashtag #ad per indicare che il post ha un contenuto sponsorizzato. La stessa linea è stata seguita dalla Federal Trade Commission negli Stati Uniti, l’Autorità governativa indipendente che promuove la concorrenza e difende i consumatori, quando ha richiamato la Warner Bros che, per ottenere recensioni positive sul nuovo videogame “Middle Heart: Shadow of Mord” ha pagato alcuni influencer statunitensi (uno di questi era PewDiePie, che vanta un canale YouTube con più di 54 milioni di iscritti), ottenendo 5,5 milioni di visualizzazioni sui social network. Ebbene, secondo la Federal Trade Commission, la Warner Bros ha ingannato i consumatori, “i quali hanno il diritto di sapere se gli influencer online esprimono liberamente i loro giudizi o sono solo dei piazzisti pagati da terzi”. E in Italia? È di qualche giorno fa la notizia che la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge annuale sulla Concorrenza che, al suo interno, impegna il Governo ad intervenire “affinché l’attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco i contenuti online sponsorizzati”. Si tratta del tentativo di riempire il vuoto normativo attuale, “copiando” il modello statunitense, il quale poggia su 7 regole: La dicitura “contenuto sponsorizzato” deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori. L’indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi, cioè tramite jingle o etichetta. L’etichetta “sponsorizzato” deve essere ben distinguibile dal resto, per cui non deve essere inserita vicino a loghi o altri elementi visivi, perché ciò potrebbe ingenerare confusione nel consumatore. L’etichetta deve essere presente anche in video streaming e, se si tratta di jingle, deve essere facilmente udibile. L’etichetta deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata. La dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target La comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione. In questo modo si intende porre un freno e un controllo sulla pubblicità occulta che imperversa indisturbata sui social networks, vigilando su di essa come già si fa su quella televisiva e radiofonica. E la tua Azienda, ha esperienze di questo tipo? È consapevole dei rischi che potrebbe correre ingaggiando influencer sui social networks? Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani.
Vi racconto la mia esperienza in X FACTOR, che mi ha fatto riflettere sulla situazione del digital e il paragone tra le industry. Per fare compagnia ad una persona cara, sono andato a vedere le audizioni di X Factor #11 a Torino. X Factor è la versione italiana del talent show di origine britannica The X Factor. Le prime quattro edizioni sono andate in onda su Rai 2, mentre dal 2011 il programma va in onda su Sky Uno. Un programma che ha avuto un impatto notevole sui conti di Sky Italia, producendo risultati record, evitando la crisi di abbonamenti prevista dagli analisti dopo la perdita dei diritti TV della Champions League, acquisiti da Mediaset per 700 milioni di euro per il triennio 2015-2018, riducendo il possibile tasso di abbandono (Churn) che si mantiene in media con gli altri major market Europei (Regno Unito e Germania, circa 10%). Non guardo molta TV, eccetto le partite. Ho sempre la sensazione di perdere tempo. Ma cerco di usare tutte le possibilità che mi vengono offerte, anche solo per conoscerle (Netflix, Mediaset Premium, Streaming, Amazon). Ho visto qualche puntata di X Factor. A casa molti fan. Sono stato dunque coinvolto per partecipare alle audizioni di Torino al Pala Alpitour. Uno spettacolo incredibile, che mi ha coinvolto in tutte le fasi dell’organizzazione ed esecuzione. Probabilmente non ho ascoltato nemmeno una canzone (strano, il focus dello spettacolo sono proprio i cantanti). Ma non riuscivo a distogliere lo sguardo e i pensieri da ogni singolo particolare legato all’organizzazione dello spettacolo. Una macchina organizzativa quasi perfetta, studiata, testata in ogni singola attività, con ruoli certi, funzioni, gerarchie chiare; pensata in ogni dettaglio. Siamo stati intercettati (ACQUISITION) tramite spot televisivo. C’era una chiara CTA: partecipa a X FACTOR AUDITION TORINO. Vai sul sito e registrati gratuitamente. Ci siamo registrati e immediatamente abbiamo ricevuto email con conferma della registrazione e la richiesta di confermare i partecipanti. Immagino che, essendo un evento gratuito e popolare, le registrazioni ricevute saranno tantissime. Ma penso anche che, dovendo registrare una trasmissione che richiede una grande partecipazione e il palazzetto pieno, gli organizzatori avranno calcolato una percentuale di registrati che non si sarebbe presentato all’evento. Durante la registrazione del programma non è possibile presentare posti vuoti nelle tribune spettatori. Immagino che, data l’esperienza degli organizzatori, avranno calcolato una percentuale esatta dei “no show”. Probabilmente questa percentuale è conosciuta in funzione del mese, giorno del mese, giorno della settimana (l’evento dura tre giorni; probabilmente sarà più facile riempire sabato e domenica), meteo (caldo = vanno tutti al mare). Gli organizzatori hanno esperienza, confrontano le percentuali degli anni passati, di programmi simili. Hanno le metriche per prendere le loro decisioni. Arrivati al Pala Alpitour, ci mettiamo in coda, 3 lunghe code in funzione della tipologia di biglietto. Superato il primo livello di controllo, metà degli spettatori in fila, vengono bloccati gli ingressi e le persone concentrate all’ingresso interno del palazzetto. Si crea una folla compatta di persone. Arrivano i Giudici. Ecco il motivo della permanenza degli spettatori all’ingresso. Applausi, entusiasmo, animatori che incitano il pubblico, telecamere ovunque, droni che riprendono l’entusiasmo. Fuori, il pubblico in coda viene intervistato da una troupe mobile, invitato a condividere sui social (REFERRAL). Tutto organizzato, conosciuto, voluto. Finalmente, dopo ben 2 ore, tutti gli spettatori raggiungono l’ingresso. Nuove code. Una squadra di hostess accompagna gruppi di spettatori sugli spalti del palazzetto, occupando ogni singola sezione, fila, sedile, mentre gli steward controllano e forniscono tramite auricolari istruzioni (PROCESS). Il direttore di scena guida i cameramen per riprendere tutte le scene che serviranno per montare lo spettacolo per la messa in onda. Solo una parte del palazzetto è allestita. Grandi teloni neri coprono le altre parti e i sedili non utilizzabili. Ogni singolo posto viene occupato. Entra in scena l’animatore. Un professionista che intrattiene il pubblico con un fiume di parole, giochi, battute, interviste. Riscalda il pubblico, lo coinvolge, spiega cosa andranno a vedere a breve (RETENTION). Ma soprattutto carica di entusiasmo gli spettatori e limita la sensazione di stanchezza, stress, noia dell’attesa (churn). Infatti, dopo 1 ora, entra il direttore di scena che inizia a comandare (ormai poteva chiedere qualsiasi cosa) al pubblico alcune funzioni da compiere per le riprese: <<...un applauso modesto, un applauso euforico, risata, risata con applauso euforico, applauso e ora standing ovation, buuuu, fuori fuori fuori, chiamate i giudici, Manuel, Fedez, Mara, Levante, alzate le mani, fate la X con le braccia…ripetiamo >>. Poi comanda, facciamo delle foto: <>. Impressionato guardavo 4.000 persone che obbedivano, sorridenti, ad ogni comando (SOCIAL??) . Hostess e Steward osservavano e rispondevano ad eventuali sollecitazioni che dalla cabina di regia arrivavano nelle cuffie. I cameraman danzavano intorno al pubblico. L’animatore gesticolava per dare l’esempio al pubblico e farsi imitare. Il direttore di scena teneva tutti in pugno. Tantissime attese, 20 minuti almeno tra un cantante e l’altro (mentre si sistemava il palco e i giudici parlavano tra di loro o si rifacevano il trucco). Ogni movimento, ogni pausa, ogni parte dello spettacolo era perfettamente controllata, organizzata, scritta in copioni a disposizione di tutti gli operatori (CONTENT). Gli spettatori non potevano abbandonare il loro posto prima della fine dello spettacolo (10 ore) e comunque dovevano chiedere il permesso di muoversi dal loro posto alzando la mano; 4.000 persone che a turno alzavano la mano per andare ai servizi. Nessuna lamentela, ognuno seguiva un copione; il valore dello spettacolo era per tutti sufficiente per obbedire. Gli spettatori sono diventati attori dello spettacolo, coinvolti nell’esperienza, co-responsabili della riuscita della “macchina” organizzativa; divertiti, stanchi, emozionati. Uno spettacolo lungo 10 ore, con lunghe pause organizzate nei minimi dettagli, per estrarre 2/3 ore di programma. Giorni / mesi per organizzare quella macchina enorme, complessa, quel successo. Questo racconto sembra inappropriato per gli argomenti che tratto solitamente. Ma non ho mai smesso di associare ogni evento di quella giornata con quello che vivo quotidianamente nella mia attività di consulente digitale. Il mio tempo è dedicato a pensare, studiare, implementare strategie digitali per aziende e startup. La mia vita è digitale: internet è ovunque. Cerchiamo online, leggiamo notizie e ci formiamo online, compriamo online, viviamo online (il 26% delle coppie etero che si sposano in USA si sono conosciute online). Il 96% degli utenti online fa ricerche sui motori di ricerca per trovare il prodotto / servizio, risolvere un problema, raggiungere obiettivi. Non trovo lo stesso zelo, lo stesso pensiero strategico, la stessa progettualità e attenzione nel gestire il digital che ho potuto ammirare nell’organizzazione di una registrazione di un programma televisivo. Un canale di acquisizione sistemico delle visite. La trasformazione delle visite in lead, ovvero contatti commerciali interessati al prodotto / servizio. L’organizzazione dell’evento paragonata all’organizzazione del sito web o della proprietà web che deve soddisfare le esigenze dell’utente, intrattenere, informare, convertire. La conoscenza esatta dei tempi dello spettatore, paragonata al day in the life della Customer Persona. I contenuti scritti e distribuiti (la distribuzione rende il contenuto rilevante) a tutti i soggetti coinvolti. Ruoli definiti e la ricerca della massima professionalità per ogni attività. Le azioni che ci si aspetta dagli spettatori (applaudire, saltare, standing ovation, buuu), paragonate all’obiettivo che assegniamo ad ogni proprietà online (sito web, landing page, app, social, bot, etc). Le metriche che vengono sfruttate per organizzare uno spettacolo, confrontate con quelle disponibili online che troppo spesso vengono ignorate, o per ignoranza o per comodità (derivante dall’ignoranza). Il digital è misurabile, il marketing moderno è misurabile. L’intuito non potrà essere, in questo ecosistema, una variabile determinante nel processo decisionale. Ma si continua a supporre, a smentire i numeri, a sottovalutare quelle aziende che grazie a questi processi misurati hanno costruito negli ultimi 15 anni imperi che hanno eliminato e sostituito business prima solidi e irraggiungibili. Si parla spesso di una nuova geografia, AGAF: Apple, Google , Amazon, Facebook. Queste aziende, insieme ad altre che conquistano sempre più rilevanza nelle nostre vite, potere economico e decisionale, hanno creato dei modelli di business semplicemente basati su quello che ancora oggi, molte aziende e manager, sottovalutano, delegano all’ultimo arrivato o all’esterno: il DIGITAL. Non può essere un caso se Facebook raggiunge 2 miliardi di utenti nel mondo. Non può essere un caso se acquista WhatsApp, scatenando l’ilarità della gente “esperta” di business per l’enorme prezzo pagato per una startup che non aveva mai presentato un bilancio in positivo (e tutt’oggi non fattura), ma viene giornalmente utilizzata da 1 miliardo di utenti. Non può essere una coincidenza se Amazon vende l’85% dei prodotti retail e i marketplace conquistano il 42% delle vendite online nel mondo (e si apprestano a conquistare anche l’offline con l’acquisto di Whole Foods per 13,7 billion dollar lo scorso 16 giugno). Non può essere fortuna quando Apple, software e plastica, raggiunge una capitalizzazione di mercato di 631 billion dollar (Q4 2016), avanzando, e di molto, quella totale dei brand leader dell’automotive. Sicuramente non è coincidenza se Google, sorry Alphabet (tradotto: scommessa sulle versioni alpha), sviluppa 7 prodotti utilizzati da 1 miliardo di persone giornalmente nel mondo. Potrei continuare ben oltre “le solite” aziende. Da Uber (67 miliardi di dollari) a Airbnb (30 miliardi di dollari), da Dollar Shave Club a Slack (Startup capace di raggiungere 1 miliardo di dollari di valore in 1 anno e 2 mesi, con 250.000 daily active users e circa 83.000 paid seats). Come mai sottovalutiamo il digital, considerandolo una sotto funzione del marketing, delle vendite (aziende lungimiranti) o dell’ICT? Secondo Forrester, solo il 27% delle aziende ha una chiara visione strategica della Digital Tranformation nella propria azienda che sia in linea con gli obiettivi di business ed il valore che si intende comunicare al cliente. Ma dove sta il limite? Industry giovane? Competenze digitali diffuse ma poco profonde? Incapacità di misurare? Paura di misurare? Velocità di crociera insostenibile? Sfiducia nei fornitori? Nelle proprie risorse? Nei manager? Quanto può valere una strategia digitale corretta? Il prezzo di un sito internet? Il costo di un social media qualcosa? Sono le aziende indietro, o in primis gli operatori del settore? Pochi giorni fa ho assistito alla presentazione di una Multinazionale di origine Italiana che ha presentato il percorso di Digital Transformation dell’azienda: hanno creato una chat interna per comunicare, senza barriere, tutto condiviso. È possibile che siamo fermi a questo? Forse, arriverà un incrocio fortunato….
Il 2016, si sa, è stato l’anno per eccellenza dell’ecommerce: moltissimi brand di ogni dimensione, italiani e internazionali, hanno accettato la sfida della digital trasformation lanciandosi nel commercio online. Sono nati così siti ecommerce proprietari e incrementata notevolmente le presenza di aziende e brand sui principali MarketPlace, come Amazon, Ebay e Alibaba. Il commercio si è “totalmente” spostato online e i negozi fisici hanno registrato un calo notevole nelle vendite, è inutile negarlo. Esperti e ricercatori parlano di un’apocalisse del settore retail: moltissimi brand, soprattutto nel settore moda, hanno chiuso i propri negozi fisici, poiché non riescono a parlare la lingua del consumatore. Che cosa sta succedendo al settore Retail? Come detto nell’articolo precedente sui trend per il settore Retail, è in atto un profondo cambiamento della domanda e dell’offerta. Oggi, i bisogni del consumatore sono molto diversi rispetto al passato, devono essere analizzati e soddisfatti in tempo reale. Gli utenti di Amazon, che possono definirsi oggi gli acquirenti online per antonomasia, si aspettano un servizio in tempi rapidi, il più possibile geolocalizzato e orientato a soddisfare le necessità più immediate. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire quali sono stati i processi che hanno determinato questo cambiamento. Parliamo di Showrooming e Webrooming, due pratiche molto diffuse tra gli utenti online che hanno rivoluzionato i retailer di tutto il mondo. I consumatori showrooming sono coloro che visitano un negozio per vedere un prodotto, ma poi acquistano il prodotto online da casa. Gli utenti che fanno showrooming spesso confrontano i prezzi che trovano sul punto vendita tramite lo smartphone e, in base ai risultati, stabiliscono se acquistare subito o attraverso ecommerce. A volte chi fa showrooming cerca di colmare l’eventuale mancanza di informazioni di un addetto vendita. I consumatori webrooming, invece, cercano dei prodotti online, si documento e confrontano i prezzi, prima di andare in un negozio fisico per la valutazione finale e l’acquisto. Quello che ogni rivenditore deve tenere ben a mente però, è che ad oggi è quasi impossibile riuscire a fare una netta distinzione tra chi fa shoowrooming e un consumatore webrooming. Entrambi sono il risultato di un’esperienza unica e coesistono nello stesso consumatore, insieme (ovviamente) agli inseparabili smartphone. Qual è quindi il futuro del commercio? Le aziende devono essere in grado di creare un’esperienza dove online e offline e i diversi device si integrano costantemente. Molti negozi di eCommerce, alcuni dei quali nati esclusivamente online, stanno migrando offline. Il futuro del commercio online sta nella trasformazione del business e del negozio tradizionale. Vediamo ad esempio Amazon Go: il negozio fisico e senza contanti di Amazon. Per acquistare i prodotti, il cliente deve mostrare un QR code all’ingresso. Una volta identificato dal sistema informatico, le telecamere nel negozio identificheranno i prodotti acquistati e il cliente riceverà a seguire la fattura, dal proprio account Amazon. La crescita della vendita online non vuol dire la fine dei negozi tradizionali: nasce lo Unified Commerce Ci siamo abituati a sentire spesso parlare di strategie multicanale, cross channel e poi Omnichannel. Arriviamo oggi allo sviluppo di nuovi scenari e nuovi modelli di business. Come afferma Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, “comincia una nuova fase che si definisce e-commerce conversazionale, in cui l’offerta di acquisto supera le suddivisioni tra fisico e virtuale”. Che cosa devono fare i retail per sviluppare l’Unfied Commerce? Intercettare l’utente e portarlo a finalizzare l’acquisto online o offline: i rivenditori hanno oggi tutta la tecnologia necessaria per intercettare i clienti, riconoscerli e per fidelizzarli (leggi l’articolo per approfondire). Stimolare la visita nel punto vendita tramite offerte e privilegi esclusivi, assistenza al cliente di alto livello. Intervenire tempestivamente e in base alla localizzazione sfruttando le logiche di prossimità. Diventa fondamentale per ogni retailer dotarsi di una piattaforma centralizzata in cui far convergere tutti i canali, raccogliere i dati dei consumatori e analizzarli in tempo reale. Nel nuovo paradigma economico, insomma, sono le tecnologie e le piattaforme a farla da padrone. La chiave per il successo però, come in tutti i business, riguarda il saper analizzare e sfruttare i dati che si hanno a disposizione.
Don Norman, psicologo cognitivo e Direttore del Design Lab presso l'Università della California, ha definito l’User Experience (UX) come l’insieme degli aspetti dell’interazione tra l’utente finale e l’azienda, i suoi servizi e i suoi prodotti. “Il primo requisito per una user experience esemplare è quello di soddisfare le specifiche esigenze del cliente, senza alcun problema o fastidio.” Perchè le aziende dovrebbero investire nello studio e nell’ottimizzazione dell’esperienza utente? Progettare servizi con una buona usabilità significa soddisfare i bisogni dell'utenza fornendo strumenti in grado di rispondere ai bisogni prima che questi si manifestino. Possiamo quindi affermare con certezza che progettando esperienze sulla base delle esigenze degli utenti saremo in grado di generare un ciclo ottimale di acquisto: L’utente è soddisfatto del prodotto, lo trova utile e alla sua portata → diventerà cliente dell’azienda → conseguente aumento delle vendite e del ROI. Perchè l’UX è data driven (orientata ai dati) Fino a pochi anni fa la strategia da adottare nell’ambito dell’esperienza utente era affidata a singoli designer che prendevano decisioni basate unicamente sul proprio talento e intuito, oggi per creare esperienze orientate all'utente i progettisti devono utilizzare un approccio basato sui dati, le migliori decisioni in ambito di esperienza utente si basano su dati quantitativi e ricerca qualitativa e devono essere connessi a obiettivi e mission aziendali. In ambito web, la capacità di ogni utente di utilizzare un’interfaccia è correlata alle sue caratteristiche personali come età, istruzione, zona geografica di provenienza, usanze e vincoli fisici. La raccolta dei dati ci sarà utile per capire i bisogni e i limiti degli utenti con cui ci relazioniamo. Dati qualitativi e dati quantitativi I dati raccolti durante le analisi possono essere catalogati come: Dati quantitativi: Generalmente sono rappresentati con numeri, grafici e diagrammi.Indicano cosa, quanto. Un esempio sono le statistiche di utilizzo di un sito web, la permanenza, il numero di page views. Dati qualitativi: si tratta di dati non numerici ed indicano il perché. Spesso si tratta di dati narrativi derivanti da interviste o studi comportamentali visualizzabili mediante tool appositi. Può capitare di analizzare gruppi di persone simili per attitudini e per caratteristiche socio-culturali e di notare diversi comportamenti. Questo perchè può essere risolto solo andando a cercare una risposta qualitativa. Ecco un esempio: Google Analytics fornisce dati quantitativi come il numero di utenti online o la loro provenienza. Ciò che non sappiamo è il perchè. Perché alcuni utenti hanno compiuto una determinata azione? Ecco che entrano in gioco i dati qualitativi. Personalmente adoro Hotjar ma esistono altri strumenti molto validi. Per una corretta e completa analisi dobbiamo studiare attentamente entrambe le tipologie di dati, solo così potremo visualizzare la situazione nella sua interezza e identificare la migliore strategia da adottare. Utilizzando questi strumenti saremo consapevoli del modo in cui gli utenti interagiscono con i nostri contenuti, come sono arrivati da noi e quali difficoltà incontrano. Osservazione, comprensione, analisi Per comprendere le abitudini degli utenti sarà necessario studiarne i comportamenti attraverso cinque fasi fondamentali. Osservazione: Nella fase di osservazione seguiamo le azioni dell’utente e capiamo come si relaziona con il prodotto utilizzando tool specifici. In questa fase Google Analytics e tool di osservazione come Hotjar sono fondamentali. Sondaggi: I sondaggi sono strumenti semplici ma efficaci, in pochi istanti l’utente potrà fornirci dati preziosi rispondendo a poche domande. Possono essere sondaggi telefonici, di presenza mentre il cliente si sta relazionando con noi o sondaggi online. I dati raccolti possono essere qualitativi e quantitativi. Focus group: In passato sono stati un elemento chiave nelle indagini di mercato. Si tratta di veri e propri gruppi di 10-15 persone in target guidate da un moderatore che propone argomenti su cui si discuterà. In passato mi è capitato di essere stata scelta da una grossa azienda per confrontarmi con altre donne in merito ad un noto prodotto alimentare, solo durante i miei studi di UX ho realizzato che si trattava di un focus group. Interviste: L’intervista con l’utente è un ottimo strumento per raccogliere dati qualitativi, si tratta infatti di elementi discorsivi ed esperienze narrative. È la metodologia più elastica, si può scegliere di lasciar raccontare l’esperienza all’utente proponendogli domande specifiche. A/B test: Consiste nel testare diverse opzioni di design al fine di determinare quali decisioni possano produrre migliori esperienze utente (la posizione di una call to action, i colori, i font, il tipo di immagini). Airbnb: un’esperienza orientata al cliente Airbnb nasce nel 2007, e come la maggior parte dei progetti in startup, fa fatica a decollare. Gli sviluppatori hanno provato ogni soluzione tradizionale senza successo ma tengono molto al loro progetto e non hanno nessuna intenzione di mollare quindi decidono che è arrivato il momento di uscire dagli schemi e intraprendere una strada completamente diversa ed emozionante. Capiscono che il loro core business deve essere incentrato sull’esperienza utente per creare qualcosa di unico e indimenticabile, per iniziare si recano personalmente negli alloggi proposti sul sito per scattare immagini di qualità superiore a quelle presenti sulla piattaforma rendendo così più piacevole la fruizione del catalogo agli utenti. Una decisione decisamente non scalabile e fuori dagli schemi. Iniziano a ricercare la felicità degli utenti, è l’inizio della scalata verso il successo. I punti forti di Airbnb sono: l'offerta economica, accessibile a tutti: Le strutture presenti soddisfano vari range di possibilità. il profondo clima di fiducia che si instaura tra proprietario e cliente: Airbnb punta molto a questo aspetto, nella sezione Stories si possono leggere racconti di viaggi e di relazioni. Questo stimola un clima informale e degno di fiducia. Che problema stanno risolvendo? “Posso fidarmi di un prezzo così basso?”, Chissà se mi sentirò a mio agio, ad esempio. Inoltre, a supporto di questo punto troviamo un sistema di reviews estremamente affidabile. Community: l'utenza è supportata da una community forte e sempre più ampia. Viaggiatori e proprietari possono confrontarsi, trovare risposta ad ogni dubbio e sentirsi parte di un mondo fatto su misura per loro. Design della piattaforma facile e accogliente: Mira a soddisfare le necessità dell’utente ancora prima che un qualsiasi problema possa presentarsi. Subito troviamo strumenti per pianificare il viaggio e consigli utili. La barra di ricerca è intuitiva e semplice, a misura di tutti. Crediti immagine: Venturebeat Airbnb è cresciuta del 750% dal 2009, con 450 milioni di dollari di finanziamenti, una valutazione di 10 miliardi di dollari e oltre 600 dipendenti. Quindi come possiamo percepire i bisogni degli utenti? Osservando, comprendendo, analizzando e realizzando.
Senza la capacità di tracciare e gestire con precisione le campagne di marketing e vendita, stiamo veramente facendo tutto il possibile per far crescere i nostri lead e ottimizzare la sales pipeline? Un lead è una persona (o un’azienda) che ha il potenziale per diventare un nostro cliente, magari il nostro più grosso cliente! Implementare una gestione continua e coerente dei nostri lead (la pratica che si definisce Lead Management) è un passaggio fondamentale del nostro processo di vendita. Ma cosa si intende davvero parlando di Lead Management? Non è semplice descrivere sinteticamente cosa si intende quando si parla di Lead Management, dato che in questo termine si includono tecnologie, filosofie, applicazioni e best practices progettate per trasformare i Lead in clienti (e i clienti in clienti migliori…). Ma se dovessimo riassumere in una frase il concetto di Lead management, la frase sarebbe:” Tenere traccia ed utilizzare efficacemente tutte le informazioni dei clienti e dei prospect, acquisite attraverso le attività di marketing e di vendita”. Il CRM (Customer Relationship Management) è la chiave per svolgere con profitto questa attività. Ma come può aiutarmi realmente un CRM? Quali vantaggi mi offre? Una piattaforma CRM offre svariate opportunità di incremento della produttività e di aumento dell’efficienza [Condividi su Twitter], grazie alle possibilità di automazione dei processi, ai tool di comunicazione e agli strumenti di analisi che mette a disposizione. Tra i vari aspetti che vale la pena di evidenziare ne abbiamo selezionati alcuni: Profili dei Lead Una buona piattaforma CRM fornisce un’immagine accurata e data-driven dei Lead, che ci permette di fare leva su dati altrimenti intricati e difficili da analizzare, con l’evidente vantaggio di una maggiore produttività di marketing e vendite, e di una sales pipeline più diretta e controllata. Marketing Analytics Fornendo una vista analitica di ogni lead, la piattaforma CRM automatizza il processo di gestione, tracciamento, marketing e vendita a clienti vecchi e nuovi. Grazie al CRM si potranno creare, monitorare e gestire efficacemente le campagne di marketing. Che si tratti di contatti diretti, e-mail marketing o campagne social , la piattaforma CRM permette di automatizzare il processo, fornendo dati accurati che permetteranno di misurare, e migliorare , le attività di marketing. Monitoraggio interattivo e reportistica Le piattaforme CRM forniscono ai manager e alle forze vendita gli strumenti e le informazioni essenziali per chiudere più velocemente le vendite e per monitorare l’efficienza dei processi. Si hanno a disposizione dashboard interattive, come quelle fornite dal CRM di Hubspot, tool di gestione per compiti e attività giornaliere, strumenti intuitivi per il monitoraggio di opportunità, gestione di calendari e appuntamenti, presidio di canali social , il tutto da un’unica postazione. Grazie alla possibilità di creare report in pochi click, diventa semplice selezionare singole aree o argomenti, creare nuovi report e filtrare dati non necessari, utilizzando procedure guidate e wizards online per massimizzare l’efficienza. Grazie alla padronanza dei dati ottenuta con questi strumenti, diventa semplice ottenere una visione globale e in tempo reale delle performance delle vendite, e con i report automatici che forniscono approfondite analisi sui processi, l’efficienza nella gestione dei lead aumenterà. Collaborazione aziendale Le soluzioni CRM promuovono l’aumento di produttività e lo scambio di informazioni, grazie a strumenti di collaborazione derivati dai social, compresi l’apprendimento peer-to-peer e l’employee engagement (l’approccio lavorativo in cui tutti i collaboratori vengono coinvolti e incentivati a dare il massimo). L’accesso da dispositivi mobili, una funzionalità ormai imprescindibile per una moderna piattaforma, garantisce ai collaboratori l’accesso 24/7 a tutte le informazioni essenziali sui clienti, quali impegni , progetti e storia personale. Grazie all’aumento nella collaborazione aziendale e nel senso di unità del gruppo di lavoro si otterrà un miglioramento delle performance nelle pratiche di lead nurturing. Comprensione approfondita dei Lead Nel CRM vengono immagazzinate le informazioni di tutti i lead ed è possibile creare report che evidenziano quali sono i fattori che influenzano i leads e in che modo si inseriscono nella pipeline di vendita. Grazie al tracciamento automatizzato e continuo del lead, dall’acquisizione alla chiusura del deal, e con l’uso di report personalizzati, possiamo gestire efficacemente i leads in ogni fase del processo di vendita. Possiamo inoltre automatizzare le attività di follow-up, per una maggiore efficienza nel coltivare e migliorare le relazioni con i clienti. Il CRM ci permette di automatizzare il modo in cui acquisiamo, gestiamo, analizziamo e facciamo marketing con i nostri lead, garantendo a noi, e a loro, una migliore esperienza nel processo di acquisto.
Forse parlare di Paolo Bitta è un po’ un azzardo, sicuramente non è un personaggio conosciuto come Batman, ma per chi non lo conoscesse ve lo presento in due righe così che chiunque possa seguirmi in questo articolo. Paolo Bitta è un personaggio protagonista della sitcom Camera Cafè; ha 37 anni ed è il responsabile vendite dell’azienda. […] Paolo è l’uomo di punta del settore commerciale grazie alla sua grande abilità di venditore, anche se spesso manda a monte affari di milioni di euro per qualche suo stupido comportamento, attirandosi così le ire e i rimproveri della dirigenza, da cui però riesce sempre, in un modo o nell’altro, a uscirne indenne. Oltre a essere il miglior venditore dell'azienda, è anche un abile maestro nel suo campo, tanto che, in più occasioni, grazie ai suoi insegnamenti, moltissime persone sono state influenzate dal suo stile […]. Il suo epiteto: “Un uomo chiamato contratto”. Ha grossi problemi di memoria, tanto da non ricordare la seconda parte intermedia dei proverbi; ad esempio secondo Paolo Bitta “chi va con lo zoppo”.... “va con lo zoppo”. Nelle entrate di scena esordisce con un po’ di sano egocentrismo: “stavate parlando di me!?”. Ma perché Paolo Bitta è in crisi? Siamo nella fase di un cambiamento generale, il vento della Digital Transformation sta cambiando i paradigmi economico - sociali, il modo di fare impresa [Condividi su Twitter]: lo testimonia il fatto che le aziende leader mondiali non sono più industrie petrolifere, banche o holding della finanza. I nuovi leader sono aziende come Google (Alphabet), Apple, Facebook, Amazon. Tutte aziende che basano il loro business sul Digital, sulle potenzialità di internet. Aziende che hanno saputo creare l’onda della Digital Transformation e che continuano a cavalcarla alla grande. E se queste aziende hanno scavalcato aziende storiche, che sono state al top per quasi un secolo, allora qualche motivo ci sarà: fanno qualcosa che gli altri non fanno o lo fanno meglio. Per tanto la logica è semplice, se sei un’azienda, un imprenditore, un impiegato, un dipendente, uno studente, un manager o un venditore (stavate parlando di me?!), se non mastichi di digital farai fatica, e tanta, ad essere al top o se sei già al top qualcuno più “digitalizzato” di te è lì pronto a scalzarti. Sembra un po’ forte come concetto, sono consapevole che è una teoria che può essere confutata ma ci sono dati alla mano che la supportano alla grande. Tutte le aziende stanno vivendo questo cambiamento, la creazione distruttrice di Schumpeter ancora una volta si abbatte sul mondo con una violenza creatrice non indifferente. La digital transformation ha fatto tante vittime, ma chi si è rimesso in discussione, chi ha voluto accettare il cambiamento, ha risalito la china. Ovvio ogni cambiamento richiede sacrificio, tempo di apprendimento e di adattamento. Ma questa volte è più facile. Il mondo digital è alla portata, (se non altro perché pervade ogni aspetto della nostra vita), e apprenderne le basi non è impossibile. Basta essere intraprendenti… persino Paolo Bitta ce la farebbe, ne sono sicuro. Saper vendere non basta più. É cambiato il sistema prodotto - strategia di vendita. In che modo? Ogni venditore che si rispetti parte da delle basi: Sa vendere, talmente bene che ti venderebbe anche ciò che è già tuo. Ha esperienza di azienda: conosce perfettamente la sua funzione e i sistemi di azienda, sia quelli scritti che quelli taciti. Conosce il suo prodotto più del cliente, ma meno di chi lo produce. (tipico) Nella contrattazione sa far leva sulla sua posizione dominante nella asimmetria informativa. Sa far leva sul suo potere contrattuale. La digital transformation ha cambiato un pò di cose nel processo di vendita. La base della strategia di vendita è trovare chi può essere interessato al prodotto, ed è la fase più dispendiosa e critica, o meglio lo era o al massimo continua ad esserlo per quei venditori che decidono deliberatamente di restare nella “lavatrice” del marketing automation. L’Inbound, sales e marketing, infatti, ha snellito questa fase, l’ha semplificata… possiamo anche azzardare: l’ha risolta. In pratica una strategia di vendita innovata con inbound marketing e sales non ha di questi problemi… Cosa sono inbound marketing e inbound sales? Per ora vi basti sapere che risolvono un problema atavico, sono soluzioni che spiegherò nei prossimi articoli! Mi ringrazierete! Inoltre, un passo indietro, nel caso in cui non ci fosse mercato allora c’è un’altra fase dolorosa da attraversare: la creazione del bisogno. Ma per quanto riguarda il digital il bisogno è lì presente, come un vasetto di miele pieno sino all’orlo. Ci sono clienti che aspettano una soluzione a problemi che non si sono accorti di avere, e quando vedranno la soluzione sarà come presentargli la chiave che apre tutte le porte. Altri aspetti: Ci sono prodotti obsoleti che non stanno al passo coi tempi e non si vendono più. Ed è palese quanto non sia conveniente ostinarsi a vendere prodotti che il mercato non chiede. L’asimmetria informativa è passata dal venditore al cliente. Chiunque voglia fare un acquisto, ora da Google può prendere tutte le informazioni che desidera e quando contatta un venditore ne sa tanto e forse di più, sa i prezzi, le specifiche, conosce i competitor. Con una call su Skype può chiedere informazioni al leader di mercato, anche se è a migliaia di chilometri, e chiudere un contratto di fornitura magari usando Concord Now. I bisogni delle aziende sono cambiati sia nella natura sia nel modo di risolverli. C’è un bisogno che fino a poco tempo fa era latente ma ora sta emergendo fortemente: il bisogno di digitalizzare l’azienda, non per diventare leader di mercato ma per sopravvivere nel mercato. E la digitalizzazione è pervasiva: nei processi; nei prodotti; nella gestione; nella comunicazione interna (Slack); nella gestione del cliente (CRM); nella raccolta, gestione e lettura dei dati (Data Studio), e potremmo fare un elenco infinito. Come permettere a Paolo Bitta di continuare ad essere “l’uomo chiamato contratto? La risposta, se hai seguito sin qui il discorso, è tanto semplice quanto scontata. É sufficiente spostare la propria attenzione verso quei bisogni che cercano risposta proponendo le soluzioni che sono già belle e pronte. Farsi tramite, facendo leva su competenze ed expertise che rappresentano un asset strategico e raro, che non si apprende se non con anni di esperienza ed è difficilmente trasferibile. Facendola breve: Cosa serve per vendere “digital”: Innanzitutto la voglia di cogliere l’occasione offerta dal Digital cercando di migliorare, trasformare la propria strategia di vendita con l’implementazione dell’ inbound sales nel vostro processo di vendita. La voglia di imparare a conoscere le soluzioni che il Digital propone e che già esistono plug-in, pronte da usare/vendere. Quindi se seguirai il percorso che parte con questo articolo potrai scoprire cosa vendere; quanto sia facile capire il prodotto; quanto sia grande la fetta di mercato che cerca questi prodotti, che sa di avere il bisogno ma non conosce la soluzione. Il cambiamento è in atto… Sarai tu a portare la soluzione e ad essere l’attore del cambiamento? Stavate parlando di me? A buon intenditor… a buon intenditor.
“La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistori per chip, raddoppia ogni 18 mesi (e quadruplica quindi ogni 3 anni)”. Questa è l’ormai famosa prima legge di Gordon Moore, cofondatore di Intel, che osservò che nel periodo 1959 - 1965, il numero di componenti elettronici che formano un chip fosse raddoppiato ogni anno. Ipotizzò dunque che la potenza dei processori sarebbe raddoppiata ogni 12 mesi (divenuti poi 18 mesi alla fine degli anni ottanta nella sua elaborazione definitiva). Possiamo tradurre questa deduzione sul progresso tecnologico affermando che l’evoluzione della tecnologia è un processo a crescita esponenziale e non lineare. Con la crescita e la diffusione di internet, il mondo è cambiato. Ha reso l’informazione, e tutto ciò che è basato sull’informazione, esponenziale: digital, AI, nanotecnologie, IoT, etc. È un concetto che le nostre menti non riescono a comprendere; sono abituate a ragionare in maniera lineare, non colgono il significato di esponenziale. Se fai 30 passi di 1 metro in termini lineari, ti troverai a 30 metri dal punto di partenza. Se gli stessi 30 passi li fai in termini esponenziali, ti troverai ad aver fatto 24 volte il giro del mondo. Un mondo che cambia, come sempre è successo, ma ad una velocità di crociera differente. Il nostro modo con cui siamo abituati a processare la realtà deve cambiare. Teniamo in tasca, nel nostro smartphone, più informazioni di quelle che possedeva Clinton per governare l’America. Qualsiasi cosa vogliamo imparare è a pochi click da noi. Basta saper cercare, avere curiosità, cambiare gli schemi, imparare a correre alla stessa velocità per cogliere le nuove opportunità. Occorre cominciare subito a porsi in una posizione di percettività, destinare la giusta attenzione al proprio aggiornamento professionale e allo sviluppo di nuove competenze e potenziare il pensiero strategico!… Con la crescita e la diffusione di internet, il mondo è cambiato passando dal paradigma della scarsità delle informazioni a quello dell’abbondanza. [Condividi su Twitter] Secondo Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Alphabet, la quantità di informazione creata dalla comparsa dell’uomo sulla terra fino al 2003, stimata in 5 Exabyte, viene oggi prodotta ogni 2 giorni. La scarsità della «risorsa» attenzione, l’Attention Economics come la definì Herbert Simon, ha portato anche ad uno spostamento dall’attenzione «in affitto» a quella «di proprietà». Tradizionalmente, il marketing si è trovato a utilizzare l’attenzione che altri hanno costruito. Ad esempio, l’acquisto di una pagina pubblicitaria su una rivista o uno stand in una fiera di settore. Ma in questo mercato affollato, quando l’attenzione diventa un bene ancora più scarso, questa attenzione «presa in affitto» diventa meno efficace. Sorge l’esigenza di costruire con i potenziali clienti un’attenzione «di proprietà», solo nostra, il più possibile esclusiva. É proprio il mix tra queste due tipologie di attenzione che permetterà ai nostri sforzi di marketing di essere efficaci, di conquistare il processo di acquisto dei consumatori, con il giusto mix di Inbound e Outbound Marketing. Partecipa all'evento Become a Digital Leader per approfondire tutti gli aspetti della Digital Transformation e diventare il referente digitale della tua rete Le aziende che riescono a competere nel «mercato attuale» sono dunque quelle che sanno sfruttare le nuove tecnologie, i nuovi tool, i social, per creare un’attenzione di proprietà, rispondendo al JOBS TO BE DONE (Why) del Cliente. Guidate da manager imprenditori, che pianificano strategie di marketing digitali, implementando le migliori tattiche per raggiungere il loro target audience, intercettare i cosiddetti micromoments, ovvero i momenti che contano, per guidare il nuovo processo decisionale dei consumatori. Secondo Forbes, nel 2016, i CEO concentreranno gli sforzi nell’integrazione di diverse iniziative digitali orientate al business e creeranno una chiara vision digitale finalizzata a mostrare come le aziende possono sfruttare l’esperienza digitale per aumentare i ricavi. Probabilmente ancora non tutti i CEO. Secondo Forrester, solo il 27% delle aziende attuali ha una Digital Strategy coerente con gli obiettivi di business in grado di creare valore per i clienti. Gartner afferma che i CEO stimano un incremento dei ricavi derivante da tali iniziative superiore all’80% entro il 2020. La Digital Transformation diventa un elemento strategico chiave per i CEO. Sarà frutto di una vision aziendale e consolidate in un’unica funzione. Anche Coca Cola, Marketing Brand Leader, ha eliminato la figura del Chief Marketing Officer (CMO), creando una nuova figura strategia, il Chief Growth Officer (CGO), responsabile del Marketing, Innovation, Insights, Corporate Strategy, Sales Research & Development, M&A, con l’obiettivo di creare processi scalabili, scientifici, data driven, digitali; abbattere le gerarchie e i silos funzionali, in modo da velocizzare i processi e permettere la contaminazione delle idee. In questo contesto, il marketing è cambiato, ma contestualmente ha acquisito un’importanza vitale per la sopravvivenza e il successo delle aziende. Basta guardare le società che hanno scalato la classifica dello S&P 500 negli ultimi 10 anni. Il successo di questi modelli di business è frutto dell’innovazione, abilitato dalle nuove tecnologie e sospinto dall’azione del marketing. I leader di mercato NON sono quelli che offrono il prodotto o il servizio migliore: qualità, prezzo, distribuzione non sono più fattori critici di successo. I leader di mercato SONO quelli capaci di intercettare gli interessi, di partecipare al processo decisionale del consumatore, fornendo le informazioni e guidando la scelta. Col digital possiamo ridurre il gap tra uso e valore. I nostri modelli di business dovrebbero essere pensati come modelli FREEMIUM, solo dando valore potremo estrarre valore dai nostri clienti. L’equazione vincente è: Business Value = Customer Value Il valore per il cliente non è il prodotto / servizio, ma l’esperienza che saremo capaci di costruire insieme: Customer Value = Relationship Partecipa all'evento sulla Digital Transformation: Become a Digital Leader Ti offriamo un'anticipazione di come è il nuovo modo di vivere e di lavorare sfruttando le tecnologie Digitali. Un programma intenso con speaker d'eccezione per portarti nella tua azienda di domani.
Sono passati oltre 40 anni dall'ideazione del TPS (Toyota Production System), precursore della metodologia LEAN. Sebbene inizialmente si applicasse soprattutto in ambito industriale, a causa del progressivo aumento della complessità del software, la metodologia AGILE ha fatto il suo ingresso in ambito digitale nel 2001 con la pubblicazione del Manifesto per lo sviluppo agile del software (Kent Beck, Robert C. Martin, Martin Fowler) ed ha ottenuto una più larga diffusione a partire dal 2003 grazie alla pubblicazione del libro Lean Software Development (coniugi Poppendieck). Negli ultimi anni, l'aumento della complessità del software si è estesa anche ai siti web (che oggi ci piace chiamare piattaforme), che hanno quindi beneficiato dell'introduzione delle metodologie agili. Quali sono i risvolti per un digital manager? Troppo spesso capita di sentire di siti web che non funzionano come dovrebbero, che non hanno le features richieste, che gli utenti fanno fatica ad utilizzare. È sempre colpa degli sviluppatori? Dell'agenzia di consulenza? Il problema, quasi sempre, deriva da un difetto di comunicazione tra chi esegue il lavoro, chi lo supervisiona e chi lo commissiona. In particolare, dal fatto che chi ha le conoscenze di marketing non ritiene necessario avere le competenze tecniche (e viceversa). Chiariamo una cosa: la conoscenza tecnica è fondamentale per chiunque debba decidere! La conoscenza degli strumenti moltiplica in modo esponenziale le opzioni del marketing e permette la nascita di progetti innovativi e di successo. Quindi, bisogna diventare programmatori? No, esattamente come non si diventa meccanici per acquistare un'auto nuova. L'importante è informarsi, specialmente quando si parla di siti web, che potrebbero produrre danni economici e d'immagine ben superiori all'acquisto dell'auto sbagliata. Si ma LEAN e AGILE cosa c'entrano? Tralasciamo i soliti elenchi di principi e riprendiamo due dei motivi per i quali queste metodologie sono nate: Ottenere il prodotto nel più breve tempo possibile Ottenere un prodotto che funziona (perché un prodotto che non funziona non serve a nessuno) Diminuire gli sprechi (perché le risorse sono sempre limitate) Cosa deve fare un digital manager? Parleremo in un altro articolo di come approcciarsi agli sviluppatori, per il momento fissiamo alcuni punti utili. 1.Precisione e chiarezza Bisogna essere chiari e precisi nello specificare gli obiettivi, ma anche il modo in cui devono essere raggiunti. Quando si lascia spazio all'interpretazione, la problematica deve essere risolta da chi non dovrebbe occuparsene, con quattro principali conseguenze: Costanti rifacimenti e revisioni Frustrazione del team (marketing e sviluppo) Aumento incontrollabile dei costi Ritardi dei rilasci 2.Innovare poco alla volta Quando si introducono troppe innovazioni, comincia ad essere difficile individuare cosa funziona e cosa no. Nella metodologia AGILE questo problema viene risolto attraverso lo sviluppo di un MVP e le iterazioni brevi. Un MVP (Minimum Viable Product) è il minimo stadio di sviluppo per cui il prodotto può essere testato o introdotto sul mercato. Rilasciare un MVP permette di ridurre al minimo i tempi e i costi iniziali. Dal rilascio del MVP si può procedere ad inserire migliorie e innovazioni, una alla volta, rilasciando e misurando il feedback. In particolar modo, iterazioni brevi e ben definite evitano le modifiche in corso d'opera, che sono spesso la principale causa dell'aumento dei costi e dei ritardi. 3.Digital Analysis Basarsi sui dati è fondamentale! A volte è difficile distinguere un luogo comune o un'impressione da un fatto oggettivo. Si tende a pensare che un'affermazione sia talmente ovvia da essere corretta, ma questo approccio nasconde delle insidie. Molto spesso sono le affermazioni scontate che creano i maggiori problemi e a volte comportano addirittura il fallimento dell'intero progetto. Come distinguere un'opinione da un fatto? Abituatevi ad analizzare ogni affermazione, anche la più banale, chiedendovi se esistono dati che la confermino. Se non esistono raccoglieteli! In un sito web sono moltissimi i dati che si possono raccogliere, è importante impostare un piano di misurazione in maniera corretta, in linea con gli obiettivi di business. Per chi volesse approfondire, Gennaro Polito ha scritto due ottimi articoli: come impostare un efficace piano di misurazione digital analytics e information action value chain 4. Minimizzare gli sprechi con la modularità Quando ci si approccia ad una metodologia agile, è importante assicurarsi che il software disponga di un'ottima capacità di modularità. Parleremo più avanti ad esempio della differenza tra un Framework e un CMS, per il momento è sufficiente sapere che di solito i primi hanno una modularità estremamente più elevata, ma la loro implementazione è più costosa. Un basso grado di modularità è sempre sconsigliabile, in quanto ad ogni cambiamento è necessario riscrivere molto più codice del necessario. Il costo di un software non è fatto solo dal primo rilascio, ma anche dalla somma di tutti i costi delle successive modifiche, implementazioni e manutenzioni. Alcune delle cose a cui fare attenzione (chiedete al vostro meccanico di fiducia dei siti web): Il software è MVC (Model-View-Controller) o simili? (Per gli umani: la grafica, i dati e le logiche di controllo sono indipendenti? Se cambio una devo rifare anche tutto il resto?) Il software di base è Open Source? (Esiste una comunità di sviluppatori che mantiene il software aggiornato ed efficiente e si occupa di migliorarlo costantemente?) È possibile introdurre facilmente nuove modifiche in momenti successivi? Take Away Alla base di ogni successo si trovano ottima conoscenza e perfetta esecuzione. Le metodologie agili aiutano a concentrare gli sforzi sull'acquisizione della conoscenza (attraverso i dati), sulla corretta esecuzione (attraverso le iterazioni) e sulla sinergia dei team coinvolti. Ogni digital manager dovrebbe essere consapevole di essere parte dell'intero processo di sviluppo. Il mondo è cambiato, voi a che punto siete?
La Digital Transformation ha determinato un cambiamento che nessuno, ad oggi, può ignorare. Non mi riferisco solo alle tecnologie innovative che dominano le vite dei consumatori, ma ai nuovi processi di acquisto che si sono sviluppati negli ultimi anni. Le abitudini sono cambiate, Il consumatore è più informato, più esigente e meno paziente. I brand devono quindi adeguarsi e adottare particolari strategie per rimanere sul mercato, sia online che offline. Perchè la Digital Transformation è un’opportunità per il settore Retail? Il 70% dei consumatori italiani oggi è omnicanale, e nonostante la crescente comodità e curiosità nell’acquistare online, il negozio fisico è il riferimento per il 99% dei clienti. Tuttavia, in Italia il 58% degli executive del settore retail ammette la propria lentezza nella digitalizzazione e la maggior parte dei rivenditori percepisce il cambiamento in atto come un ostacolo, considerando la presenza di siti web, ecommerce e MarketPlace, come competitor diretti. In realtà, i rivenditori di oggi non hanno mai avuto più opportunità come quelle che hanno oggi per raggiungere i loro clienti, in modi nuovi ed emozionanti. Come devono fare i Retailer per stare al passo con la Digital Transformation? La parola d’ordine è: Esperienza I rivenditori non devono vendere prodotti, ma vendere l’esperienza di acquistare un prodotto. [Condividi su Twitter] Un’esperienza unica, personalizzata e non replicabile (ancora) nell’online. Negozi e brand devono rispondere a questi cambiamenti mediante la creazione di nuovi prodotti, servizi e attraverso la capacità di integrare il digitale e tecnologie nelle proprie strategie. La soddisfazione dei bisogni dei consumatori da parte delle aziende deve passare per l’adozione di un approccio integrato, che gestisca il flusso delle informazioni e le risorse attraverso l’intera rete di store, dipendenti, canali e touchpoint diversi. Non si parla più di strategie multi channel o cross channel, gli elementi chiave per il settore Retail sono oggi l’omnichannel e la personalizzazione. I canali online e offline del negozio non vanno gestiti come due entità distinte, ma come due facce della stessa medaglia. Grazie a questo approccio, è possibile creare un’esperienza d’acquisto unica sfruttando più informazioni possibili sul cliente: abitudini d’acquisto, gusti, hobby e interessi. Ma quali sono gli investimenti tecnologici necessari per far tutto questo? Gli investimenti in ambito tecnologico che più impattano sulla customer experience sono: il Mobile: recenti studi dimostrano come l’82% dei consumatori, consulta il proprio smartphone mentre è in negozio prima di acquistare, per confrontare il prezzo o cercare recensioni sul prodotto. Digital payments: anche i pagamenti, ad oggi passano dallo smartphone grazie ad applicazioni, Touch ID e ai Chat Bot, che rispondono all’esigenza delle persone di un’esperienza di pagamento immediata, semplice e legate alle proprie preferenze (Un esempio? Amazon Go). Sensori e IoT: packaging interattivo, attraverso il quale il consumatore può ricevere ulteriori informazioni sul prodotto a cui è interessato: un esempio è il QR Code, grazie al quale con un smartphone, riesce a visualizzare una scheda tecnica del prodotto oppure un approfondimento. Intelligenza artificiale, dagli assistenti virtuali ai Chat Bot che si inseriscono come strumento di produzione, gestione, assistenza predittiva e customer service; VR/AR: ovvero applicazioni per la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata come vetrine intelligenti, specchi e camerini smart. Esempio di ChatBot sviluppato da Burberry Perchè è così importante per i Retailer sfruttare questa tecnologia? Grazie alla tecnologia i rivenditori hanno accesso a una quantità di dati che, fino a qualche anno fa, era inimmaginabile. Analizzare e sfruttare queste informazioni nel modo corretto significa: Monitorare sempre più nel dettaglio i clienti in store Inviare comunicazioni specifiche nel posto giusto e nel momento giusto, ad esempio quando il cliente si trova nei pressi del punto vendita. Inviare offerte dedicate sui prodotti più acquistati dal cliente, sia offline che online creare pagine web create instantaneamente sulla base del profilo di acquisto del cliente creare piani fedeltà personalizzati determinare facilmente l’efficacia di una campagna marketing (rendimento sulla posizione dei prodotti, tipologia di clienti coinvolti). Ottimizzare la customer services, disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. In tale contesto la tecnologia si pone come vera alleata dell'azienda che oggi ha la possibilità di creare strategie di marketing innovative, migliorare l’esperienza di acquisto dei propri clienti e favorire la fidelizzazione. Sia che si tratti di un core business del settore food e grocery (alimentari, fai da te, ecc) sia che invece si abbia a che vedere con i cosiddetti beni luxury, i trend tecnologici tra loro non sono molto differenti. Ciò che cambia è il campo di applicazione, ma la visione che un manager deve avere sarà la stessa!
Quando si parla di Digital Transformation e di seconda rivoluzione digitale troviamo versioni divergenti su quali siano gli elementi più strategici, ma credo che nessuno possa pensare a qualcosa di più necessario rispetto all’energia. L’innovazione ci ha portato le smart grid, con una rete di informazione e una rete di distribuzione elettrica integrate, in modo da consentire la gestione della rete elettrica in modo “intelligente” sotto vari aspetti. O meglio, in maniera efficiente per la distribuzione di energia elettrica e per un uso più razionale della stessa, andando a gestire anche sovraccarichi o variazioni della tensione. Il concetto davvero innovativo consiste nel far transitare l’energia elettrica da più nodi rendendo la rete in grado di rispondere tempestivamente alla richiesta di maggiore o minore consumo di uno o più utenti rendendo immediata e ottimale la gestione come un vero organismo intelligente. Ma è nella fruizione dell’energia nel contesto quotidiano che abbiamo i normali benefici che ormai consideriamo scontati. Questa commodity in realtà ha visto una liberalizzazione del mercato che ha portato una pletora di nuovi operatori e il leader di mercato non è certo stato a guardare l’arrivo della concorrenza. Ha acquisito tutti gli strumenti per erogare il servizio nel modo migliore possibile e con una gestione del cliente molto efficiente. Questo mese abbiamo intervistato Nicola Lanzetta, responsabile Mercato Italia di Enel, multinazionale presente in 30 paesi di 4 continenti, con headquarter in Italia. Attualmente, i clienti di Enel sono 61 milioni di cui circa 31 milioni in Italia e la rendono di con certezza il soggetto leader nel mercato elettrico italiano. Nell’ambito della Digital Transformation ci ha raccontato che il gruppo sta completando una transizione da un sistema CRM on premise installato presso la propria server farm a uno SaaS in cloud e completerà la migrazione a ottobre 2017, ma già ora il nuovo sistema è utilizzato per gestire cluster di dimensioni minori di utenze di servizi evoluti (fotovoltaico, pompe di calore, auto elettriche, etc.). Questa transizione è orientata al passaggio da un modello delivery-oriented a un modello service-oriented dove sia il dato a governare la relazione con il cliente o il prospect. Lo strumento di analisi che intendiamo usare per delineare una panoramica della situazione aziendale è la metodologia Digital Building Blocks. Digital analytics – Essendo i dati il focus del cambiamento in atto, l’efficienza portata dal Digital ha consentito di basare la gestione del cliente e i processi di upsell a partire dalle informazioni puntuali di ognuno. I dati aggregati permettono di effettuare analisi di business intelligence sui singoli cluster di utenti e di prendere decisioni strategiche. I dati del singolo permettono ai sistemi di dirigerlo nel corretto funnel anche in fase di contatto con il customer care e di gestire la relazione con informazioni puntuali. Il gruppo Enel si è dotato anche di sistemi di speech analytics che consentono di analizzare in automatico un alto numero di conversazioni con gli operatori di customer care al fine di capire quali singole problematiche siano più sentite dai diversi cluster di utenti avendo informazioni utili sia per la gestione del servizio, sia per dare feedback ai manager su strategie commerciali o marketing in atto. Inbound marketing – Il gruppo sta mirando ad una strategia omnicanale che prevede sia canale fisico sia canale digitale. Per quanto riguarda il canale fisico, il gruppo ha negozi diretti (circa 130) e una rete indiretta con presenza presso punti vendita di terzi (corner e shop in store) o con imprenditori terzi che vendono prodotti Enel (circa 500). La tecnologia ha velocizzato i processi gestionali e permesso approcci smart al cliente, ad esempio la dotazione di tablet ai venditori permette un accesso agile alle informazioni per rendere più efficace la proposta di soluzioni in target rispetto al cluster di clienti in cui il prospect rientri. Il canale virtuale storico è quello telefonico con numeri verdi, dove il cliente viene riconosciuto rispetto al numero di telefono chiamante e indirizzato nella coda più adatta in funzione del gruppo di appartenenza (per livello di spending, per servizi particolari acquistati, etc.). Un IVR consente di gestire automaticamente alcune chiamate e ogni operatore che interviene dispone di tutte le informazioni a monitor fornite da CRM. L’omnicanalità consente anche di riprendere la relazione con il cliente dal punto in cui si era interrotta magari su altri canali (es. durante self-caring su sito web). Al canale telefonico sono stati affiancati tre canali digitali: 1) Il web, con possibilità di self caring per ogni tipologia di attività e relazione intelligente con chatbot automatici, chat personalizzate e possibilità condivisione dello schermo; 2) Le app, tramite le quali abilitare anche funzionalità su colonnine sul territorio; 3) Il social, soprattutto Facebook e Twitter dove vengono gestite direttamente richieste di customer care grazie all’accesso degli operatori ai dati del CRM. In generale l’utilizzo della tecnologia in questi canali consente di aumentare la numerosità e ridurre gli errori umani. Lead generation e processi di vendita – L’attività di lead generation viene condotta attraverso attività online per differenti servizi dove l’attività di vendita sia opportuno che venga condotta da un operatore, ad esempio per la generazione di contatti interessati all’acquisto di auto elettriche Nissan Leaf Enel Edition e installazione di Box station. L’utente può richiedere il ssupporto anche durante i weekend. La gestione di informazioni e profilazione delle opportunità è demandata ai commerciali che eventualmente aggiornano i dati nel CRM e verificano se si abbiano già rapporti con i prospect. E-commerce – Nel negozio online è possibile acquistare diversi prodotti a marchio Enel. Troviamo dalle bici elettriche agli elettrodomestici, ai kit e sensori per smart home. L’app che permette di gestire i consumi e il sistema di controllo della casa e-goodlife viene utilizzata dai clienti anche per ordinare la spesa grazie all’accordo con Supermercato24. Il livello di fiducia che si viene a instaurare con certi cluster di clienti, grazie all’efficienza della tecnologia, è tale da permettere business model incrementali e nuove forme di guadagno. User experience – Il focus sull’omnicanalità permette di servire il cliente sia attraverso servizi online sia telefonicamente (in Italia ancora il modo preferito), con un attenzione particolare sul servizio al cliente che non deve “ricominciare” la relazione con un operatore qualora cambiasse canale di contatto a metà di una richiesta. L’indirizzamento delle richieste nel giusto funnel grazie ai dati del chiamante permette anche di avere una relazione con operatori adeguati rispetto alle esigenze. I servizi tramite canali digital permettono inoltre di svolgere ogni tipologia di attività di self caring abilitando gli utenti più smart a fare tutto in autonomia e con livelli di efficienza maggiori. Iper personalizzazione – I dati condivisi dai clienti permettono una personalizzazione delle offerte in funzione delle esigenze in occasione di ogni tipologia di contatto da parte degli operatori. Al cliente gas, si consiglia la pompa di calore più efficiente, mentre quello che ha acquistato un’auto elettrica e relativo sistema di ricarica, si aggiorna sulle ultime release ed eventuale manutenzione necessaria. Il focus è sul cliente e sulle sue esigenze. La tecnologia è diventata un potente alleato per la gestione in tempo reale della relazione con caratterizzazione dei servizi in funzione delle necessità degli interlocutori. Da una rielaborazione di un articolo di Alberto Giusti su Data Manager