Pubblicità occulta sui Social: fine della pacchia?

14/07/17 13.33 / Di Fabiana Lo Sicco

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Con il termine “pubblicità occulta” si fa riferimento a quella pratica pubblicitaria consistente nell'inserimento di un prodotto o di un servizio appartenenti ad un Brand perfettamente riconoscibile.

Per la sua esistenza, la “pubblicità occulta” richiede la compresenza di 2 elementi:

  1. Il pagamento di un corrispettivo da parte dell’Azienda che viene pubblicizzata;
  2. L’assenza dell’informazione al consumatore medio che si tratta di un contenuto con intento commerciale.

Questa mancanza di trasparenza nei confronti degli utenti, ha assegnato al termine “pubblicità occulta” un’accezione prettamente negativa nel corso del tempo.

L’art. 22 comma 2 del Codice del Consumo prescrive infatti che una pratica commerciale è da considerare omissione ingannevole quando, tra gli altri casi:

  1. Non indica l’intento commerciale e questo non risulti già evidente dal contesto
  2. Sia idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Grazie alla sua struttura, la pubblicità occulta è in grado dunque di influenzare il consumatore medio nelle sue successive scelte di acquisto: egli assocerà quel Brand ad una situazione “già vissuta” e ad un personaggio noto che apprezza, segue e vuole emulare.

Questo fenomeno di associazione positiva e inconscia del Brand avviene ancora più facilmente se realizzato dai cc.dd. influencer, abituati ad interagire con i propri followers anche su aspetti della vita quotidiana. In questo modo i Brand “affittano l’attenzione” ottenuta dal personaggio pubblico per meriti estranei al Brand stesso: la fan page del personaggio pubblico diventa quindi una grande vetrina e lui un manichino in carne e ossa.

 

Il concetto di “attenzione in affitto” si contrappone a quello di “attenzione di proprietà”. Tradizionalmente il marketing si è insinuato là dove altri sono riusciti a attirare l’attenzione del consumatore (pensiamo ad esempio alla pubblicità in tv o a quella cartacea).

Oggi, a causa del contesto di mercato affollato in cui ogni azienda si ritrova, l’attenzione è diventata un bene sempre più raro e la scelta di “prenderla in affitto” si rivela spesso poco efficace (pensiamo ad esempio al calo di ascolti registrato dai canali televisivi da quando è arrivato Netflix).

Per questi motivi le Aziende più attente e lungimiranti stanno modificando le tradizionali strategie accettando la Digital Transformation che il mercato impone: non più “attenzione in affitto” ma “attenzione di proprietà”, cioè la costruzione con il potenziale cliente di una relazione stabile, personale ed esclusiva.

È questa la sfida della Lead Generation degli ultimi tempi e dell’Inbound Marketing.

 

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Chiara Ferragni si è definita un “media pubblicitario”: ogni scatto postato sui social network è frutto di accordi con Brand che le chiedono di indossare o utilizzare i loro prodotti

L’art. 22 del Codice del Consumo, però, non tiene conto dell’evoluzione nel mondo dei media pubblicitari (l’ultima rettifica risale al 2007) e del modo in cui gli utenti oggi cercano informazioni, scelgono i prodotti da acquistare e si relazionano con i personaggi pubblici.

Il fenomeno, in grande espansione, è attualmente fuori controllo e di certo non riguarda soltanto l’Italia.

Negli Usa, Selena Gomez (122 milioni di follower su Instagram e più di 61 milioni su Facebook, considerando soltanto la sua official fan page), poco tempo fa ha pubblicato una foto in cui beveva una Coca-Cola, ottenendo 6,7 milioni di like e più di 270.000 commenti.

Secondo la rivista Adweek, considerato il numero degli utenti raggiunti, a quel post è attribuibile un valore di circa 550.000 dollari. Bel colpo per Coca-Cola, no?

È chiara dunque la necessità di un intervento legislativo per regolamentare la c.d. “unlabbed advertising”, cioè la “pubblicità senza etichetta”.

La prima Antitrust a prendere sul serio la vicenda è stata la Competition and Markets Authority, quando ha sanzionato circa 40 celebrità e 15 aziende “per aver indotto in errore il pubblico con pubblicità indiretta su social network”. Ha anche richiesto l’inserimento dell’hashtag #ad per indicare che il post ha un contenuto sponsorizzato.  

La stessa linea è stata seguita dalla Federal Trade Commission negli Stati Uniti, l’Autorità governativa indipendente che promuove la concorrenza e difende i consumatori, quando ha richiamato la Warner Bros che, per ottenere recensioni positive sul nuovo videogame “Middle Heart: Shadow of Mord” ha pagato alcuni influencer statunitensi (uno di questi era PewDiePie, che vanta un canale YouTube con più di 54 milioni di iscritti), ottenendo 5,5 milioni di visualizzazioni sui social network.

Ebbene, secondo la Federal Trade Commission, la Warner Bros ha ingannato i consumatori, “i quali hanno il diritto di sapere se gli influencer online esprimono liberamente i loro giudizi o sono solo dei piazzisti pagati da terzi”.

E in Italia?

È di qualche giorno fa la notizia che la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge annuale sulla Concorrenza che, al suo interno, impegna il Governo ad intervenire “affinché l’attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco i contenuti online sponsorizzati”.

Si tratta del tentativo di riempire il vuoto normativo attuale, “copiando” il modello statunitense, il quale poggia su 7 regole:

  1. La dicitura “contenuto sponsorizzato” deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori.
  2. L’indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi, cioè tramite jingle o etichetta.
  3. L’etichetta “sponsorizzato” deve essere ben distinguibile dal resto, per cui non deve essere inserita vicino a loghi o altri elementi visivi, perché ciò potrebbe ingenerare confusione nel consumatore.
  4. L’etichetta deve essere presente anche in video streaming e, se si tratta di jingle, deve essere facilmente udibile.
  5. L’etichetta deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata.
  6. La dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target
  7. La comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione.

In questo modo si intende porre un freno e un controllo sulla pubblicità occulta che imperversa indisturbata sui social networks, vigilando su di essa come già si fa su quella televisiva e radiofonica.

E la tua Azienda, ha esperienze di questo tipo?

È consapevole dei rischi che potrebbe correre ingaggiando influencer sui social networks?

 

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Topics: Legal & Digital

Fabiana Lo Sicco

Scritto da Fabiana Lo Sicco

Abilitata all'esercizio della professione forense, con un master in Marketing Management e un lavoro da Digital Strategist. Specializzata in consulenza legale-digitale, prova a far dialogare due mondi distanti tra loro, per dimostrare che gli opposti si attraggono sempre.

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