Atychifobia – il nostro vero nemico non è il fallimento, ma la paura di fallire

13/05/19 12.30 / Di Sandro Zilli

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La paura è una delle forze più potenti nella vita. Influisce sulle decisioni che prendiamo, sulle azioni che poniamo in atto e sui risultati che raggiungiamo. Di fatto, chi siamo e cosa facciamo in qualche modo è influenzato dalla paura.

 

Il ruolo principale della paura dovrebbe essere quello di proteggerci, perché ci mette in guardia dai pericoli, ci invia il segnale che in una determinata circostanza forse è meglio fermarsi. Quando diventa un ostacolo e blocca completamente il nostro procedere verso una meta, diventa non più funzionale in quanto diviene un impedimento significativo che si frappone tra noi ed i nostri obiettivi. Il successo dipende in gran parte dal sapere come sfruttare la paura.
La paura si presenta in diverse forme e per una varietà di cose, alcune molto specifiche come ad esempio la paura dei ragni o dei serpenti, e altre sono più generiche, come avere paura del cambiamento, di provare cose nuove o di parlare in pubblico. Tra questi diversi tipi di paura, ce n’è uno che è molto limitante e può avere un impatto diretto sul nostro potenziale di successo: la paura di fallire detta anche “Atychifobia”. La scomoda verità è che è insita in tutti noi, da quando siamo bambini, ed è strettamente connessa con la paura del giudizio degli altri e con quella del rifiuto.
La paura di fallire è la reazione emotiva, cognitiva e comportamentale alle conseguenze negative che prevediamo per il mancato raggiungimento di un obiettivo. È l’intensa preoccupazione, il pensiero negativo e la riluttanza a intraprendere azioni, che si sperimenta quando immaginiamo tutte le cose orribili che potrebbero accadere se manchiamo il raggiungimento di un obiettivo.


La paura di fallire influenza i tipi di obiettivi che ci fissiamo, i tipi di strategie che usiamo per raggiungerli e il livello di standard che abbiamo impostato come indicatori di successo. Quando si scelgono gli obiettivi da perseguire, le persone con una dose maggiore di paura di fallire tendono a concentrare i propri sforzi più sulla prevenzione delle perdite che sul raggiungimento dei benefici che si possono ottenere. Ad esempio, pensiamo ad un giocatore di tennis, è difficile per lui mettere a segno il tiro giusto se continua a concentrarsi a non sbagliare.


Le persone che temono il fallimento, di fatto sono intrappolate nella logica della profezia (nefasta) che si auto-avvera, bloccando sul nascere qualsiasi possibilità di vittoria spesso ancora prima di aver iniziato la partita.


La paura di fallire ci tiene apparentemente al sicuro nell’area di comfort del “mantenimento dell’acquisito”, lontano dall’assumerci un qualche rischio, ci fa sentire privi di risorse e potenzialità, tuttavia non ci permette di provare cose nuove, di fare nuove esperienze, di affrontare nuove sfide e dunque acquisire nuove informazioni. Il timore di non farcela, di non essere all’altezza di un compito o un ruolo, spesso ci sovrasta.
Il nostro vero nemico non è il fallimento, ma la paura di fallire che ci spinge a mantenere l’asticella sempre verso il basso, facendoci precludere la possibilità di acquisire una nuova consapevolezza e una maggiore esperienza, che chi non ha mai fallito non può avere. Gli errori fanno parte dell’apprendimento, aiutano a capire e ad andare avanti più velocemente grazie alle nuove informazioni acquisite che ci permettono di aggiustare il tiro. È molto più giusto considerare un fallimento come una prova che non è andata bene. Un giorno il CEO di un’azienda multinazionale per cui lavoravo, un manager di grande talento, durante uno speech dove ci spiegava del perché di un’acquisizione di un’altra compagnia, ci disse: “non so se questa acquisizione ci porterà tutti i vantaggi che ci aspettiamo, ma se è un errore, spero di sbagliare il più presto possibile affinchè possa avere questa informazione e migliorare la nostra strategia… C.B. cit.”


Le persone di successo non sono quelle che non tentano mai, né quelle che non falliscono mai, sono quelle che da ogni errore ne traggono un’esperienza formativa.
È vero, la nostra cultura ci mette piuttosto in guardia dal fallimento e come se non bastasse dà giudizi su chi fallisce o commette errori, con il risultato di occultare gran parte della saggezza che un fallimento è in grado di rappresentare. Però ci sono anche segnali incoraggianti come ad esempio nei college americani dove s’insegna ai propri studenti come affrontare il fallimento, oltre che a raggiungere il successo. Harvard ne è un esempio, infatti ha lanciato il Success Failure Project , ovvero una serie di iniziative per formare gli studenti ad accettare che a volte il fallimento ci può stare ed è inevitabile e che non è necessariamente una vergogna o un motivo per abbandonare i propri progetti, piuttosto un occasione di apprendimento per diventare grandi.

 

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Topics: Il Manager nell'era digitale

Sandro Zilli

Scritto da Sandro Zilli

Professionista con oltre 25 anni di esperienza nel settore tecnologico maturata come Business Developer, Business Coach, Chief Digital Officer. Da sempre appassionato al mondo delle startup e della trasformazione digitale nelle imprese, collabora con associazioni di settore, incubatori di impresa e istituti di ricerca, svolgendo attività di Business Coaching focalizzato sul cambiamento delle strategie aziendali.

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