Pillole di Inbound
un metodo testato per l’era Digitale
Oggi vorrei iniziare con voi un percorso che ci porta indietro di qualche anno fino al 2005, quando Brian Halligan, partendo dal concetto di permission marketing dell’esperto di marketing Seth Godin, iniziò a ragionare sul fatto che il marketing tradizionale era in qualche modo “rotto”, non poteva più funzionare, quindi andava rivisto.
Alla base del suo pensiero c’erano alcuni dati rappresentativi di come il rapporto tra le persone e la pubblicità fosse cambiato:
- l’86% dei consumatori evita gli spot televisivi;
- il 91% degli utenti si disiscrive dalle email;
- il 44% delle lettere inviate via posta non è aperto;
- 200 milioni di persone sono iscritte alle liste “Do not Call” (il nostro Registro Pubblico delle Opposizioni).
Era cambiato anche il modo di vivere delle persone:
Era giunto il momento di rivoluzionare il modo in cui le aziende entravano in contatto con i propri clienti attuali o potenziali, senza più interrompere le attività delle persone ma cercando di essere presenti nel momento in cui cerca informazioni al fine di portare a termine un compito: così è nato il metodo Inbound, mostrato nel seguente grafico (avremo modo di esplorarne insieme le varie fasi).
A guidare la rivoluzione c’era un nuovo concetto, il Jobs to be Done, che può essere applicato praticamente a qualsiasi prodotto: se vuoi approfondire, c’è un interessante video di Clayton Christensen, professore alla Harvard Business School, su quale possa essere il Job to be Done legato all’acquisto di un milkshake.
Ti lascio con una domanda: ti capita mai di svegliarti la mattina con la voglia di vedere una pubblicità?
A me no.