La Digital transformation non è semplicemente un’onda che si autoalimenta e travolge tutto, ma è piuttosto un motore che necessita quindi di tre componenti fondamentali per mettersi veramente in moto.
In passato abbiamo lavorato sui Digital enablers, ovvero su quei manager d’azienda che conoscono i rispettivi settori e diventano quindi fondamentali per implementare un approccio digitale innovativo. Per loro si parla soprattutto di cultural shift ovvero un cambiamento di mentalità che è stato già strutturato nel libro Digital Building Blocks.
I Digital enablers sono coloro che conoscono il mercato specifico, i prodotti, la concorrenza, i clienti, le normative, e hanno quindi chiare le dinamiche specifiche che, anche nel digitale, si dovranno affrontare. Non è plausibile immaginare loro seduti dietro una «Google Consolle» a settare un Tag Manager o a progettare un workflow o a costruire una landing page. Loro devono sapere cosa significano quelle parole e cosa puoi farci, ma avranno bisogno di chi è poi in grado di sporcarsi realmente le mani ovvero «i makers».
Il motore della Digital transformation necessita quindi di altri due componenti fondamentali, senza i quali non si riuscirà a percorrere molta strada. I Digital makers sono coloro che sapranno operare per conto dei Digital enablers, affiancandoli. Chi si muove con confidenza in questo mondo va inserito nel meccanismo al fianco di chi conosce il business dell’azienda. Molto del futuro si giocherà su questo affiancamento, chi conosce e guida la strategia fianco a fianco con chi opera su strumenti e legge dati.
Abbiamo osato ricreare il concetto di bottega, di laboratorio: una struttura che ritagli addosso al garzone un modello professionale definito «Digital tailor» (il Sarto digitale) proprio pensato per i Digital makers. iI nostro non ha certo la pretesa di essere l’unico modello né tantomeno il modello vincente, ma sarà un modello che aiuta a fare ordine. Già questo serve come il pane. Mettere fianco a fianco Digital enablers e Digital makers non è un lavoro semplice. Ecco dove entriamo noi, i Digital disruptors.
Ognuno di noi ha un ruolo specifico nel funzionamento del motore, quantomeno in questa fase iniziale di evoluzione. Ci chiamiamo Digital disruptors, e altro non siamo che «interpreti» capaci di far comunicare Enablers e Makers. Siamo Project manager, Analisti funzionali, formatori e consulenti che hanno competenze di Business ma anche di Digital. Siamo coloro che sono in grado di mettere attorno ad un tavolo le necessità di business con le opportunità di un mondo nuovo, tecnologico ma non solo.
Come detto questo modello si rivolge ai nuovi Digital makers che noi chiamiamo Digital Tailors. Durante questo approccio ci facciamo accompagnare da un parallelismo che a molti potrà sembrare azzardato, ma che riteniamo sia indovinatissimo: il paragone tra un Digital manager ed un Sarto.
Proviamo a spiegare. Ci sono stuoli di persone appassionate al mondo fashion. Moltissime di loro ambirebbero a ritagliarsi un ruolo in un settore trendy e ricco; moltissime sarebbero tentate a creare proprie linee e modelli per vederli sfilare su una passerella a Parigi o Milano. Sono però pochissimi coloro che hanno una reale consapevolezza di cosa significhi trasformare uno schizzo su carta in un abito. Lo stesso ci piacerebbe poter dire anche nel mondo professionale del Digital, eppure notiamo con sommo dispiacere che pochissimi si fanno remore ad auto-insignirsi del titolone «esperto, guru, illuminato…» anche lavorando per aziende importanti quali «me stesso» ed avendo studiato alla sempre valida «Università della vita». Forse è solo una nostra impressione ma soltanto in questo settore è ammessa una tale improvvisazione a fianco dell’accezione Digital, Web o Social media marketing. Tornando al nostro parallelismo infatti risulta evidente che la moda (fashion) sia un settore che negli anni si è dato una struttura ben definita. Ci sono corsi, scuole, istituti che offrono percorsi strutturati per avvicinarsi a questo mondo con ambizioni professionali. Ci sono istituzioni che vigilano e standard qualitativi. Esistono infine periodici mensili di grande reputazione in grado di separare qualsiasi vero professionista dall’improvvisato «wannabe». Eppure, ci sono percorsi delineati anche per chi vuole crescere e ritagliarsi il proprio spazio, percorsi in cui non ci si improvvisa, ma si impara sul campo, affiancando persone esperte, sbagliando per prepararsi al momento in cui il proprio talento ti regalerà la tua occasione.
Nel mondo digital invece è tutta una questione di «auto-certificazione» e la reputazione basta comprarsela con qualche video ben assestato. In rete «gli schizzi su carta» diventano immancabilmente sinonimo di professionalità ed affidabilità. Per carità, c’è spazio per tutti, ma continuiamo a pensare che questo marasma finisca per rendere difficile ad un cliente valutare chi ha davanti. Non siamo mai stati preoccupato dalla concorrenza, neanche da quella di «disperati» ma se quella concorrenza mi «svacca il mercato», svendendo gli anni di esperienza a due lire, promettendo mari e monti per poi lasciare clienti paganti in mezzo al guado, quello è anche un problema nostro.
Ci piace usare quindi questo strano paragone proprio per cercare di distinguere chi «fa schizzi su carta» e chi è in grado di confezionare un abito per un cliente pagante. Per un sarto padroneggiare l’arte per trasformare un’idea in un capo unico passa dal saper conoscere a fondo strumenti come macchina da cucire, forbice da tessuto, forbicina, spoletta per macchina, gesso per tessuto, metro, aghi, spilli e ditale. Per un sarto serve saper comprendere e scegliere tessuti, e soprattutto sperimentarne la tenuta del tessuto sul capo. Quella è la parte che non appare su Vogue magazine, la parte che non viene celebrata, ma che è la vera leva su cui si sviluppa il talento. Ancora, al sarto occorre «ascoltare» il cliente, capirne le reali esigenze, gli obiettivi, i fabbisogni espliciti, ciò che ti nasconde, intercettare i suoi bisogni latenti. Lavorare sui desiderata di persone che non conosci sembra facile, ma un sarto non può ignorare «la figura» che dovrà vestire, soprattutto visto il fatto che «la gravità vince sempre». Creare un sogno partendo da una evidente dose di realismo è l’arte che il sarto è in grado di sviluppare. Ogni promessa non mantenuta viene svelata di fronte ad uno specchio, e poi agli occhi perplessi di chi ti osserva.
Questo paragone ci aiuta quindi a ragionare sulle competenze di un Social media manager, o un Digital strategist, in termini di «modelli», «strumenti» e «arte», tre termini che secondo noi caratterizzeranno questo lavoro in futuro. Tutti possono fare il sarto? No. Tutti possono fare il Chief Digital Officer? No, servono modelli chiari (basi, tecniche, metriche), strumenti di lavoro professionali abbinati ad un’arte frutto di esperienze e stimoli sempre nuovi… proprio come un sarto (tailor). Quando abbiamo pensato a «Digital tailor - modelli sartoriali per professionisti social e digital» ci siamo immediatamente convinti che un libro simile andasse condiviso e scritto a più mani. Nessuno poteva lavorarci in solitudine. Per far uscire un trattato del genere serve condivisione di esperienze e zero auto-celebrazione. Una cosa è fare emergere professionalità spiegandole simpaticamente durante un evento, un’altra cosa è strutturare un modello. Essendo quest’ultima la strada ambiziosa che abbiamo scelto, solo un libro scritto a più mani, da parte di professionisti veri del settore può funzionare. Professionisti che si mettono in gioco creando una guida pratica che aiuti chi c’è già a strutturarsi, e chi non c’è ancora, a dotarsi di un metodo professionale cui aspirare. Come spiegato, si sta lontano dagli strumenti, ma ci si focalizza sui «modelli» pratici, industrializzabili e abbinabili a qualsiasi cliente. L’ambizione è stata di provare a dare un framework di riferimento a quei professionisti che hanno già esperienza pluriennale nella gestione di strumenti, progetti e clienti in ambito Digital, ma forse non si sono trovati spesso a confrontarsi con «loro pari» o per mancanza di esigenza (era sufficiente il loro operato per portare a casa il risultato) o mancanza di opportunità (non venivano coinvolti in progetti di grandi dimensioni o di aziende strutturate). Nell’interazione con collaboratori è necessario avere un modello comune per potersi coordinare e raggiungere l’obiettivo. In una precedente pubblicazione abbiamo definito un metodo ad uso e consumo dei Chief Digital Officer che ha l’ambizione di modellizzare la parte destra del Business Model Canvas quando si voglia beneficiare dell’elemento Digital.
Cosa è un modello? cosa è un metodo?
Definiamolo:
1) un modello deve essere riproducibile, affidabile e condivisibile. Vedi il metodo scientifico, che è su base empirica;
2) il metodo è una procedura generale da applicare alla risoluzione di situazioni simili. Non dà tutte le risposte ma aiuta a farsi le domande giuste;
3) ogni volta che si applica un metodo a una nuova situazione, bisogna verificare che le determinanti la soluzione siano le stesse;
4) adattarlo alle circostanze e… di tanto in tanto, provarne altri. Più prospettive di vedute ci sono più sarà possibile poi migliorare quel metodo.
Il metodo Digital Building Blocks consente una visione d’insieme dei vari elementi Sales&Marketing in ambito Digital. Il Digital tailor ha però l’esigenza di calarsi operativamente nelle singole attività per cui non è sufficiente un modello di alto livello. Proprio come in una bottega rinascimentale il novello sarto impara dal Maestro e dagli altri artigiani, apprendendo le procedure e le tecniche sul campo realizzando progetti, con l’ambizione di far evolvere il proprio operato nella creazione di capolavori unici.
Per questo il modello è stata la base per dare origine alle Gilde del nostro progetto Guilds42. Se desideri essere l’artefice locale di questo Rinascimento Esponenziale contattami in privato per condividere il disegno e fare un pezzo di strada insieme per contribuire all’Evoluzione.
Andrea Alfieri e Alberto Giusti