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X Factor (la TV) ed il Digital

Scritto da Alberto Giusti | 12/07/17 12.00

 

Vi racconto la mia esperienza in X FACTOR, che mi ha fatto riflettere sulla situazione del digital e il paragone tra le industry.

Per fare compagnia ad una persona cara, sono andato a vedere le audizioni di X Factor #11 a Torino.

X Factor è la versione italiana del talent show di origine britannica The X Factor. Le prime quattro edizioni sono andate in onda su Rai 2, mentre dal 2011 il programma va in onda su Sky Uno.
Un programma che ha avuto un impatto notevole sui conti di Sky Italia, producendo risultati record, evitando la crisi di abbonamenti prevista dagli analisti dopo la perdita dei
diritti TV della Champions League, acquisiti da Mediaset per 700 milioni di euro per il triennio 2015-2018, riducendo il possibile tasso di abbandono (Churn) che si mantiene in media con gli altri major market Europei (Regno Unito e Germania, circa 10%). 

Non guardo molta TV, eccetto le partite. Ho sempre la sensazione di perdere tempo. Ma cerco di usare tutte le possibilità che mi vengono offerte, anche solo per conoscerle (Netflix, Mediaset Premium, Streaming, Amazon). Ho visto qualche puntata di X Factor. A casa molti fan.

Sono stato dunque coinvolto per partecipare alle audizioni di Torino al Pala Alpitour. Uno spettacolo incredibile, che mi ha coinvolto in tutte le fasi dell’organizzazione ed esecuzione. Probabilmente non ho ascoltato nemmeno una canzone (strano, il focus dello spettacolo sono proprio i cantanti). Ma non riuscivo a distogliere lo sguardo e i pensieri da ogni singolo particolare legato all’organizzazione dello spettacolo. Una macchina organizzativa quasi perfetta, studiata, testata in ogni singola attività, con ruoli certi, funzioni, gerarchie chiare; pensata in ogni dettaglio.

Siamo stati intercettati (ACQUISITION) tramite spot televisivo. C’era una chiara CTA: partecipa a X FACTOR AUDITION TORINO. Vai sul sito e registrati gratuitamente.

Ci siamo registrati e immediatamente abbiamo ricevuto email con conferma della registrazione e la richiesta di confermare i partecipanti. Immagino che, essendo un evento gratuito e popolare, le registrazioni ricevute saranno tantissime. Ma penso anche che, dovendo registrare una trasmissione che richiede una grande partecipazione e il palazzetto pieno, gli organizzatori avranno calcolato una percentuale di registrati che non si sarebbe presentato all’evento. Durante la registrazione del programma non è possibile presentare posti vuoti nelle tribune spettatori. Immagino che, data l’esperienza degli organizzatori, avranno calcolato una percentuale esatta dei “no show”. Probabilmente questa percentuale è conosciuta in funzione del mese, giorno del mese, giorno della settimana (l’evento dura tre giorni; probabilmente sarà più facile riempire sabato e domenica), meteo (caldo = vanno tutti al mare). Gli organizzatori hanno esperienza, confrontano le percentuali degli anni passati, di programmi simili. Hanno le metriche per prendere le loro decisioni. Arrivati al Pala Alpitour, ci mettiamo in coda, 3 lunghe code in funzione della tipologia di biglietto. Superato il primo livello di controllo, metà degli spettatori in fila, vengono bloccati gli ingressi e le persone concentrate all’ingresso interno del palazzetto. Si crea una folla compatta di persone. Arrivano i Giudici. Ecco il motivo della permanenza degli spettatori all’ingresso. Applausi, entusiasmo, animatori che incitano il pubblico, telecamere ovunque, droni che riprendono l’entusiasmo. Fuori, il pubblico in coda viene intervistato da una troupe mobile, invitato a condividere sui social (REFERRAL). Tutto organizzato, conosciuto, voluto.

Finalmente, dopo ben 2 ore, tutti gli spettatori raggiungono l’ingresso. Nuove code. Una squadra di hostess accompagna gruppi di spettatori sugli spalti del palazzetto, occupando ogni singola sezione, fila, sedile, mentre gli steward controllano e forniscono tramite auricolari istruzioni (PROCESS). Il direttore di scena guida i cameramen per riprendere tutte le scene che serviranno per montare lo spettacolo per la messa in onda. Solo una parte del palazzetto è allestita. Grandi teloni neri coprono le altre parti e i sedili non utilizzabili. Ogni singolo posto viene occupato.

Entra in scena l’animatore. Un professionista che intrattiene il pubblico con un fiume di parole, giochi, battute, interviste. Riscalda il pubblico, lo coinvolge, spiega cosa andranno a vedere a breve (RETENTION). Ma soprattutto carica di entusiasmo gli spettatori e limita la sensazione di stanchezza, stress, noia dell’attesa (churn). Infatti, dopo 1 ora, entra il direttore di scena che inizia a comandare (ormai poteva chiedere qualsiasi cosa) al pubblico alcune funzioni da compiere per le riprese: <<...un applauso modesto, un applauso euforico, risata, risata con applauso euforico, applauso e ora standing ovation, buuuu, fuori fuori fuori, chiamate i giudici, Manuel, Fedez, Mara, Levante, alzate le mani, fate la X con le braccia…ripetiamo >>. Poi comanda, facciamo delle foto: <<non masticate, alzate la schiena, sistemate i capelli, donne truccatevi, non vorrete venire male??? >>. Impressionato guardavo 4.000 persone che obbedivano, sorridenti, ad ogni comando (SOCIAL??) . Hostess e Steward osservavano e rispondevano ad eventuali sollecitazioni che dalla cabina di regia arrivavano nelle cuffie. I cameraman danzavano intorno al pubblico. L’animatore gesticolava per dare l’esempio al pubblico e farsi imitare. Il direttore di scena teneva tutti in pugno.

Tantissime attese, 20 minuti almeno tra un cantante e l’altro (mentre si sistemava il palco e i giudici parlavano tra di loro o si rifacevano il trucco). Ogni movimento, ogni pausa, ogni parte dello spettacolo era perfettamente controllata, organizzata, scritta in copioni a disposizione di tutti gli operatori (CONTENT). Gli spettatori non potevano abbandonare il loro posto prima della fine dello spettacolo (10 ore) e comunque dovevano chiedere il permesso di muoversi dal loro posto alzando la mano; 4.000 persone che a turno alzavano la mano per andare ai servizi. Nessuna lamentela, ognuno seguiva un copione; il valore dello spettacolo era per tutti sufficiente per obbedire.
Gli spettatori sono diventati attori dello spettacolo, coinvolti nell’esperienza, co-responsabili della riuscita della “macchina” organizzativa; divertiti, stanchi, emozionati. Uno spettacolo lungo 10 ore, con lunghe pause organizzate nei minimi dettagli, per estrarre 2/3 ore di programma.
Giorni / mesi per organizzare quella macchina enorme, complessa, quel successo.


Questo racconto sembra inappropriato per gli argomenti che tratto solitamente. Ma non ho mai smesso di associare ogni evento di quella giornata con quello che vivo quotidianamente nella mia attività di consulente digitale. Il mio tempo è dedicato a pensare, studiare, implementare strategie digitali per aziende e startup.

La mia vita è digitale: internet è ovunque. Cerchiamo online, leggiamo notizie e ci formiamo online, compriamo online, viviamo online (il 26% delle coppie etero che si sposano in USA si sono conosciute online). Il 96% degli utenti online fa ricerche sui motori di ricerca per trovare il prodotto / servizio, risolvere un problema, raggiungere obiettivi.

 

Non trovo lo stesso zelo, lo stesso pensiero strategico, la stessa progettualità e attenzione nel gestire il digital che ho potuto ammirare nell’organizzazione di una registrazione di un programma televisivo.

 

Un canale di acquisizione sistemico delle visite. La trasformazione delle visite in lead, ovvero contatti commerciali interessati al prodotto / servizio. L’organizzazione dell’evento paragonata all’organizzazione del sito web o della proprietà web che deve soddisfare le esigenze dell’utente, intrattenere, informare, convertire.

La conoscenza esatta dei tempi dello spettatore, paragonata al day in the life della Customer Persona. I contenuti scritti e distribuiti (la distribuzione rende il contenuto rilevante) a tutti i soggetti coinvolti. Ruoli definiti e la ricerca della massima professionalità per ogni attività.

Le azioni che ci si aspetta dagli spettatori (applaudire, saltare, standing ovation, buuu), paragonate all’obiettivo che assegniamo ad ogni proprietà online (sito web, landing page, app, social, bot, etc). Le metriche che vengono sfruttate per organizzare uno spettacolo, confrontate con quelle disponibili online che troppo spesso vengono ignorate, o per ignoranza o per comodità (derivante dall’ignoranza).

 

Il digital è misurabile, il marketing moderno è misurabile. L’intuito non potrà essere, in questo ecosistema, una variabile determinante nel processo decisionale. Ma si continua a supporre, a smentire i numeri, a sottovalutare quelle aziende che grazie a questi processi misurati hanno costruito negli ultimi 15 anni imperi che hanno eliminato e sostituito business prima solidi e irraggiungibili.

 

Si parla spesso di una nuova geografia, AGAF: Apple, Google , Amazon, Facebook.

Queste aziende, insieme ad altre che conquistano sempre più rilevanza nelle nostre vite, potere economico e decisionale, hanno creato dei modelli di business semplicemente basati su quello che ancora oggi, molte aziende e manager, sottovalutano, delegano all’ultimo arrivato o all’esterno: il DIGITAL.

 

Non può essere un caso se Facebook raggiunge 2 miliardi di utenti nel mondo. Non può essere un caso se acquista WhatsApp, scatenando l’ilarità della gente “esperta” di business per l’enorme prezzo pagato per una startup che non aveva mai presentato un bilancio in positivo (e tutt’oggi non fattura), ma viene giornalmente utilizzata da 1 miliardo di utenti.

Non può essere una coincidenza se Amazon vende l’85% dei prodotti retail e i marketplace conquistano il 42% delle vendite online nel mondo (e si apprestano a conquistare anche l’offline con l’acquisto di Whole Foods per 13,7 billion dollar lo scorso 16 giugno).

Non può essere fortuna quando Apple, software e plastica, raggiunge una capitalizzazione di mercato di 631 billion dollar (Q4 2016), avanzando, e di molto, quella totale dei brand leader dell’automotive.

 

 

Sicuramente non è coincidenza se Google, sorry Alphabet (tradotto: scommessa sulle versioni alpha), sviluppa 7 prodotti utilizzati da 1 miliardo di persone giornalmente nel mondo.

 

Potrei continuare ben oltre “le solite” aziende. Da Uber (67 miliardi di dollari) a Airbnb (30 miliardi di dollari), da Dollar Shave Club a Slack (Startup capace di raggiungere 1 miliardo di dollari di valore in 1 anno e 2 mesi, con 250.000 daily active users e circa 83.000 paid seats).

 

Come mai sottovalutiamo il digital, considerandolo una sotto funzione del marketing, delle vendite (aziende lungimiranti) o dell’ICT?

 

Secondo Forrester, solo il 27% delle aziende ha una chiara visione strategica della Digital Tranformation nella propria azienda che sia in linea con gli obiettivi di business ed il valore che si intende comunicare al cliente.

 

Ma dove sta il limite?

Industry giovane?

Competenze digitali diffuse ma poco profonde?

Incapacità di misurare?

Paura di misurare?

Velocità di crociera insostenibile?

Sfiducia nei fornitori? Nelle proprie risorse? Nei manager?

 

Quanto può valere una strategia digitale corretta? Il prezzo di un sito internet? Il costo di un social media qualcosa? Sono le aziende indietro, o in primis gli operatori del settore?

 

Pochi giorni fa ho assistito alla presentazione di una Multinazionale di origine Italiana che ha presentato il percorso di Digital Transformation dell’azienda: hanno creato una chat interna per comunicare, senza barriere, tutto condiviso.
È possibile che siamo fermi a questo?

 

Forse, arriverà un incrocio fortunato….