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Perché fallisce un progetto digitale?

Scritto da Alberto Giusti | 17/05/19 8.50

Considerazioni sulla causa intentata da Hertz contro Accenture

 

Prendo spunto da una notizia che nell’ultimo mese ha conquistato l’attenzione degli addetti al lavoro nella consulenza, web agency e digital consulting firm, pubblicato dalla rivista online Skift del 26 aprile, col titolo: “Hertz Wanted a Cool Website: It Ended up With a 32 $ Milion Legal Nightmare, scritto da Isaac Carey (qui l’articolo completo: https://skift.com/2019/04/26/hertz-wanted-a-cool-website-it-ended-up-with-a-32-million-legal-nightmare) per fare qualche riflessione sui motivi che possono causare il fallimento di un progetto digitale. Ne abbiamo parlato anche all’interno della community DBB dei Chief Digital Officer Italiani (http://digitalbuildingblocks.it). 

Andiamo con ordine, partendo dal contenuto dell’articolo.

 

 

Il gigante del noleggio veicoli, Hertz, ha intentato in USA, presso lo stato di New York, una causa milionaria contro la società di consulenza Accenture, a cui aveva affidato nell’agosto del 2016 il progetto di ridisegnare il sito web e l’applicazione mobile. Il progetto, che aveva l’obiettivo di migliorare la user experience del cliente intenzionato ad usare il servizio di noleggio online della società in tutto il mondo, ha subito continue posticipazioni delle scadenze concordate con il fornitore, Accenture, senza riuscire, a maggio 2018, data in cui Hertz ha licenziato l’azienda di consulenza, a raggiungere gli obiettivi definiti. 

Hertz richiede il rimborso di quanto pagato, 32 milioni in 21 mesi di progetto, più quanto necessario per assegnare ad un'altra società l’incarico di riparare quanto fatto da Accenture, e completare finalmente il progetto e andare online con le nuove proprietà web che, sicuramente, visto l’impatto mediatico di questa causa, conquisteranno l’attenzione, oltre dei clienti che potranno finalmente vivere una UX unica, visto quanto l’azienda ha pianificato di investire, anche di molti web marketer e developer spinti dalla curiosità di scoprire le formidabili innovazioni sviluppate. 

Hertz contesta inoltre il mancato rispetto dei requisiti funzionali definiti in fase di progettazione. La struttura web doveva essere flessibile (che significa???) in modo da essere applicata a tutti i marchi di noleggio (compreso Dollar e Thrifty) e per tutte le località; mentre la consegna ha riguardato solo il sito "North America”. 

Le pagine dovevano essere responsive (RWD: responsive web design), ovvero capaci di adattarsi alle differenti dimensioni dei dispositivi. Altro punto il non rispetto delle Visual Style Guide.

Il malcontento di Hertz si è accentuato soprattutto in seguito alle continue richieste di ulteriore budget da parte di Accenture per completare le attività o risolvere eventuali criticità, nonostante, a detta del committente, i ritardi del fornitore e la promessa di non consuntivare costi aggiuntivi per il go-live del progetto. 

 

Quindi, in definitiva, vengono contestati tre tipologie di mancanze contrattuali:

  • requisiti di progetto, 
  • ritardi sulle scadenze di progetto
  • costi aggiuntivi non previsti a budget 

 

Accenture, da parte sua, ritiene che la causa sia “senza merito”. 

Non voglio entrare nel merito della discussione e non mi interessa sapere chi ha ragione e chi torto. Penso che la questione sia più complessa di quello che emerge dai vari articoli online e anche dalla denuncia depositata da Hertz (qui il link per approfondire https://regmedia.co.uk/2019/04/23/hertz-accenture-website.pdf). Visto l’ammontare del progetto, penso non si tratti di un semplice sito web o applicazione mobile.

Ma la discussione mi è utile per fare alcune riflessioni sulla gestione dei progetti digitali. 

Un progetto di Digital Transformation corrisponde, nella maggior parte dei casi, all’introduzione di una nuova struttura organizzativa che crea valore e lo trasferisce efficacemente al contesto interno o esterno con cui interagisce.

Questa è proprio la definizione di “innovazione”, fornita dall’economista J. Schumpeter. 

E’ proprio l’innovazione che accomuna tutte le aziende oggi:

=> La necessità di innovare

=> La difficoltà di innovare

Ma innovare richiede la capacità di generare, gestire e sopportare una discontinuità organizzativa. 

 

Anche i progetti di Digital Marketing, in moltissime organizzazioni, rientrano nella sfera dell’innovazione, in quanto richiedono l’inserimento di nuove tecnologie, di nuove metodologie e processi, di nuove risorse in grado di creare e gestire una discontinuità organizzativa e, probabilmente più importante, farle comprendere al “cliente” interno. Nuove figure capaci di gestire la complessità. 

Ed è proprio la COMPLESSITÀ l’elemento maggiormente sottovalutato in questa trasformazione digitale. Complesso non significa difficile. Ma piuttosto che richiede la conoscenza e la comprensione, o la capacità di orientamento, su una molteplicità di elementi, variabili e aspetti. 

Anche quando si parla di DIGITAL MARKETING & SALES, facendo riferimento ai processi che incidono sulla parte destra del Business Model Canvas, la complessità spesso viene SOTTOVALUTATA, causando distorsioni nel mercato, poca attenzione dell’Executive aziendale, scarsa pianificazione strategica e allocazione di risorse, emergere di Guru e metodologie non testate, fragili, non allineate con gli obiettivi di business (ed ecco la comparsa di grandi fenomeni senza un giorno in azienda, l’inseguimento di Hype comunicativi, l’introduzioni di metriche della vanità, etc), e causando il fallimento dei progetti (vedi esempio Hertz vs Accenture).

Le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo. Il Digital non è un settore, una funzione aziendale, un business. E’ un ELEMENTO, come l’energia elettrica, la carta, la ruota, il fuoco. Un elemento che tocca ormai tutte le Nostre attività, abilita nuovi processi, nuovi modelli di business, genera innovazione. 

La tecnologia sta cambiando il mondo ad una velocità di crociera mai vista prima. Un’accelerazione della velocità del cambiamento con una transizione da scala lineare a scala esponenziale. L’elemento distintivo in questo processo trasformato non è il “cambiamento", che può essere definito una variabile costante del processo evolutivo delle organizzazioni (sociali e aziendali), ma la velocità del cambiamento. 

 

Abbiamo imparato come scalare la tecnologia (principalmente il cloud computing, la mobilità, le reti, … ). Ora è tempo di scalare nelle organizzazioni, la strategia, la struttura, i processi, la cultura, i KPIs, le persone e i sistemi. 

Fino al 1800 la maggioranza degli individui lavorava in agricoltura. Durante la rivoluzione industriale gli abitanti dei paesi sviluppati abbandonarono i campi e cominciarono a lavorare nell'industria. Nel 2010 solo il 2% degli Americani lavorava nell'agricoltura, il 20% era occupato nell'industria, mentre il 78% era costituito da insegnanti, dottori, consulenti e cosi via. Quando algoritmi privi di mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare malattie e progettare meglio degli umani, la capacità di definire processi creativi, di integrare metodologie e tecnologie diverse per raggiungere determinati obiettivi; la capacità di sfruttare competenze e abilità acquisite in determinati contesti, modificarle, correggerle, ridefinerle, adattarle ad altri contesti generando valore o incrementando le performance, sarà una caratteristica (“Learning Transfer Model”) solo umana. Una caratteristica di successo dei cosiddetti “Expert Generalist”, persone capaci di apprendere da diverse fonti, capaci di combinare metodologie e tecnologie in modo nuovo, che si interessano ad argomenti che appartengono a campi diversi.

Elon Musk, visionario imprenditore fondatore di SpaceX, Tesla, PayPal, SolarCity e ideatore di Hyperloop, ci fornisce la sua opinione sull’argomento in un suo intervento:

“Dovete considerare la conoscenza come una sorta di albero semantico. Inizialmente, assicuratevi di aver capito i principi fondamentali dell’argomento: il tronco e i rami di un albero. Una volta fatto questo passerete poi ai dettagli, se necessario, ovvero le foglie dell’albero”.

Si diceva “sei un pozzo di conoscenza”, in un’epoca nella quale si credeva che specializzarsi fosse logico, naturale e anche auspicabile. Ma si può scegliere di osservare il mondo dal bordo del pozzo, avere una visione globale, valutare le idee di business applicabili in ambiti e contesti diversi, con una visione da principiante esplorando nuove possibilità e abilitando l’intuizione. Queste nuove figure devono assumere il ruolo di Disruptive Leader, manager e imprenditori capaci di guidare il motore della trasformazione digitale, da Expert Generalist, abilitando i "Digital Natives”, coloro che possono fare, e coinvolgendo i Business Native, coloro che posso abilitare il digital sul business. 

 

Il Chief Digital Officer

Abbiamo chiamato queste figure Chief Digital Officer. Figura che sta evolvendo spesso verso Chief Growth Officer o Chief Innovation Officer o Chief Information Officer. Diversi nomi, che rappresentano la stessa missione: la necessità di innovare il modello di business, sfruttando la scalabilità della tecnologia. 

Le organizzazioni che stanno cambiando il mondo e che, oggi, sono leader di mercato (o community) hanno costruito un modello di business frutto dell’innovazione, abilitato dalle nuove tecnologie e sospinto dall’azione del marketing. 

Ecco la mia definizione del Massive Transformative Purpose del Chief Digital Officer, in generale del Digital Leader. Un leader capace, con umiltà e consapevole del contesto, di gestire la complessità e ridurre una situazione di incertezza, ovvero la situazione in cui "non ho idea di come andarci, qualunque strada va bene” (praticamente tutto è ugualmente possibile, o impossibile), in un insieme discreto di situazioni rischiose: “ci sono tre strade più o meno rischiose che posso esplorare, da quale parto?" 

Quindi non HA LA SOLUZIONE, ma comprende il sistema, il contesto, conosce metodologie, strumenti, processi, nuove culture, altri modelli di business, da testare con l’obiettivo di apprendere e validare nuove opportunità. 

D’altronde, come diceva Gandhi:

“la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”.