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Il contesto dei Digital Analytics: l'Information-Action Value Chain

Scritto da Alberto Giusti | 03/05/17 8.20

Quando si affronta il tema dell’analisi dei dati da un punto di vista più professionale, ci si concentra molto sulle attività di elaborazione dei dati e di applicazione di modelli analitici per comprendere il significato dei dati raccolti.

Tali attività rappresentano gran parte della “vita” di un Data Analyst e sono spesso anche la parte divertente (soprattutto l’interpretazione in chiave strategica dei dati).

Un’altra parte rilevante del tempo è impiegato nel tentativo di rispondere a domande quali Da dove prendere i dati? Qual è la fonte corretta e come posso accedervi? I dati rappresentano che sto cercando di comprendere?

Mentre l’analisi potrebbe essere vista come la parte più interessante del lavoro, la verità è che una buona parte del nostro tempo e delle nostre energie è spesa in attività che avvengono a monte o a valle dell’analisi.

Come in molti altri contesti di business, anche l’analisi dei dati presenta una propria Value Chain (processo sequenziale dove ciascun passaggio aggiunge valore ad oggetti/idee relativi al risultato da ottenere): più precisamente, possiamo fare riferimento al modello della Information-Action Value Chain, sviluppata dalla University of Colorado Boulder.


Modello di Information-Action Value Chain

Fonte: University of Colorado Boulder

 

 

 Modello di Information-Action Value Chain

Fonte: University of Colorado Boulder

 

Qualunque analisi parte dall’intenzione di comprendere le caratteristiche di un evento del mondo reale, ad esempio il processo di acquisto di un cliente o l’utilizzo che fa di un determinato prodotto o servizio.

Per qualsiasi tipo di analisi io voglia realizzare circa un determinato evento, avrò bisogno di raccogliere dati, il che porta alla nascita del bisogno di un sistema che catturi la rappresentazione fisica o digitale del fenomeno e gestisca tali informazioni: tale sistema rappresenta la fonte dei dati.

Ora che abbiamo definito la modalità di raccolta dei dati, possiamo già iniziare l’analisi dei dati? In realtà, ancora no.

Spesso capita che le fonti di dati siano sistemi ottimizzati per la raccolta, ma non adatti all’estrazione di dati per l’analisi: ad esempio, possiamo avere sistemi che raccolgono informazioni in modo non strutturato o che sono critici per il controllo delle operazioni di business in tempo reale, e non vogliamo che molte persone possano accedervi per il rischio di danneggiare i dati; ancora, possiamo aver bisogno di raccogliere i dati da più fonti.

Per questi motivi, conviene far convergere i dati in un sistema comune, un data warehouse aziendale o in cloud: questo è il terzo step della nostra value chain.

Gestire le informazioni in questo modo non solo riduce gli sforzi necessari per l’accesso ai dati, ma permette anche di rendere i dati maggiormente utilizzabili ai fini dell’analisi, controllando ad esempio eventuali problemi, stabilendo nuove relazioni tra tipi diversi di dati e trasformando i dati in modo da renderli più utili per applicazioni a valle.

Una volta definite le logiche del database, ancora non siamo pronti per entrare nel vivo dell’analisi: serve un set di dati ottenuto estraendo le giuste informazioni per completare l’analisi, come mostrato dal quarto step del modello della value chain.

 

 

L’abilità di estrarre tali informazioni è una delle skill che rende il data analyst una risorsa indispensabile in azienda, ed è un argomento mancante in molti programmi formativi.

Il quinto elemento del nostro modello è l’attività di analisi. Sebbene esistano diversi metodi, tecniche e strumenti, possiamo distinguere tre principali categorie di analisi: descrittive, predittive e prescrittive.

L’analisi descrittiva, come suggerisce il nome, aiuta a descrivere le situazioni attuali o passate, al fine di usare queste informazioni per una migliore comprensione del proprio business e integrare tali insights con l’esperienza di settore per prendere migliori decisioni.

L’analisi predittiva parte dalla comprensione degli eventi passati e usa tali informazioni nella previsione del comportamento futuro del sistema: questo tipo di analisi coinvolge l’utilizzo di metodi statistici avanzati o altre tecniche quali la regressione lineare o logistica, algoritmi ad albero, reti neurali e tecniche di simulazione come il metodo Monte Carlo.

Infine, l’analisi prescrittiva collega in modo esplicito l’analisi al processo decisionale fornendo indicazioni su quali scelte compiere per raggiungere un determinato risultato.

Proseguendo l’analisi del modello della value chain, cominciamo a porre l’attenzione sui risultati, su come riassumerli e interpretarli: è qui che interviene l’importanza del contesto di business per avere una chiara visione del collegamento tra i dati frutto dell’analisi e le performance aziendali.

Riassumere un’analisi significa identificare le modalità in cui presentare i risultati, le tabelle e i grafici necessari a mostrare in modo chiaro la situazione analizzata e qual è il significato dei dati raccolti ed elaborati.

È un momento utile anche per valutare se si è riusciti a rispondere in modo efficace alle domande che hanno portato all’analisi. Ci si è fatti distrarre? Si è perso il focus sull’obiettivo? Oppure è stata l’occasione per imparare qualcosa da cui è emerso che ci si poneva le domande sbagliate?

Per molti analisti, il lavoro potrebbe finire qui: una funzione aziendale diversa potrebbe essere responsabile dello sviluppo di una strategia sulla base dei risultati emersi dall’analisi; sebbene non sia sempre quest’ultimo il caso, l’obiettivo professionale deve essere quello di diventare parte dei processi decisionali ed esecutivi dell’azienda, in quanto le analisi non apportano molto valore se non sono usate per sviluppare un piano d’azione.

Questo processo coinvolge l’impostazione di una strategia di alto livello, da cui partire per lo sviluppo di specifiche azioni finalizzate al raggiungimento dei risultati attesi.

L’elemento definito come Deliver the pitch si riferisce alla capacità di convincere i livelli esecutivi a seguire le indicazioni fornite dall’analisi per testare una soluzione: non importa quanto sia corretta l’analisi o quanto sia promettente il piano se non si è in grado di presentare in modo efficace i risultati e “vendere” la propria proposta.

È preferibile trovare un modo semplice per presentare il messaggio e focalizzare l’attenzione sui risultati, evidenziando i benefici in termini di valore del piano.

L’ultimo punto del modello riguarda l’esecuzione di un’azione sulla base dei risultati dell’analisi.

La natura di tale azione dipende dalla strategia e dagli obiettivi di business dell’azienda, ma in ogni caso sarà necessario comprendere il loro impatto e il ROI delle attività di analisi implementata.

Conoscere la Value Chain dell’analisi dei dati, dunque, permette di aggiungere contesto alle attività di analisi e collegare direttamente i risultati ottenuti alla sperimentazione di soluzioni per il miglioramento delle performance aziendali.


Gennaro Polito