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Dimmi che metriche misuri e ti dirò chi sei

Scritto da Alberto Giusti | 28/11/16 16.29

 

Uno dei principali vantaggi offerti dal Digital è la possibilità di misurare tutto ciò che avviene sulle proprietà online dell’azienda.

 

Se da un lato questo può essere un vantaggio, dall’altro può essere fuorviante considerare tutti i dati in modo uguale e considerarli tutti utili senza fare distinzioni.

Innanzitutto cominciamo a dettagliare maggiormente la definizione di dati: una prima distinzione che possiamo fare è tra dimensioni e metriche.

Le dimensioni sono attributi descrittivi o caratteristiche di un oggetto a cui possono essere attribuiti valori diversi: ad esempio, una località geografica potrebbe avere dimensioni denominate Latitudine, Longitudine o Nome città.

I valori della dimensione Nome città potrebbero essere San Francisco, Berlino o Singapore.

Le metriche, invece, sono singoli elementi di una dimensione misurati sotto forma di somma o rapporto. Ad esempio, la dimensione Città può essere associata a metriche quali Popolazione, che rappresenta la somma di tutti i residenti della città specifica.

Prima di addentrarci nell’analisi delle varie tipologie di metriche, cominciamo a distinguere tra le due principali categorie che ci si possono presentare: metriche buone e metriche cattive.

 

Le metriche cattive sono anche note come vanity metrics, quel tipo di metrica che in genere fa riferimento a valori assoluti, che non aiuta a prendere decisioni e a cambiare il proprio comportamento, ma aiuta a sentirsi meglio (di qui l’aggettivo vanity).

Stranamente sono il tipo di metriche maggiormente usato dalla maggior parte delle aziende che affermano di adottare un approccio data-driven.

Quando si è di fronte ad una metrica, bisogna sempre chiedersi “Cosa farò diversamente sulla base di questa informazione?” Se non si è in grado di rispondere, non ci si dovrebbe preoccupare molto di quella particolare metrica.

 

Vuoi capire se sei di fronte ad una vanity metrics?

Allora chiediti se quella metrica può sfiduciare le tue ipotesi. Le domande corrette da porsi devono criticare il sistema di ipotesi che hai costruito per consentirti di esplorare le relazioni di causa-effetto che ti permettono di validare l’ipotesi stessa.   

 

Consideriamo, ad esempio, il totale degli iscritti. Questa è una vanity metric, in quanto tale numero può solo aumentare nel tempo, ma non dà indicazioni su come gli utenti iscritti interagiscono con le nostre proprietà online o sull’importanza che hanno in relazione agli obiettivi di business.

 

Graficamente, le vanity metrics presentano un andamento crescente nel tempo, il che le rende ideali per gonfiare d’orgoglio chi ne fa uso:

Il totale degli utenti attivi è una metrica leggermente migliore rispetto alla precedente (ammesso che si sia definito bene un utente attivo), ma resta ancora una vanity metric.

La metrica di interesse, in questo caso, è la percentuale degli utenti attivi, che permette di ottenere informazioni sul livello di engagement che i nostri utenti hanno con i nostri prodotti/servizi. Ad esempio, se lo scopo del sito è quello di attirare potenziali contatti commerciali (Lead), possiamo definire come utenti attivi quelli la cui durata delle visite è maggiore di un determinato valore, che permette di identificare un reale interesse verso i prodotti/servizi proposti.

Un’altra metrica interessante può essere il numero di utenti acquisiti in un dato periodo di tempo: spesso, questa metrica può aiutare a confrontare diversi approcci di marketing.  

 

Cosa definisce, quindi, la “bontà” di una metrica?

Si definisco metriche buone quelle che presentano le seguenti caratteristiche:

  • sono comparabili;
  • sono comprensibili;
  • sono relative (ad esempio un tasso o una percentuale);
  • sono actionable, cioè danno indicazioni su come modificare il proprio comportamento.

 

PERCHÈ DEVONO ESSERE COMPARABILI?

Permettono il confronto con diversi periodi, gruppi di utenti, o competitor, aiutando a comprendere quale fattore contribuisce maggiormente al miglioramento delle performance.

Ad esempio “un incremento delle conversioni rispetto alla scorsa settimana” è più significativa rispetto a “tasso di conversione del 2%” (il tasso di conversione, o conversion rate, è il rapporto tra il numero di utenti che effettuano un’azione sul sito importante ai fini di business e il numero totale degli utenti, in un determinato periodo di tempo).

 

PERCHÈ DEVONO ESSERE COMPRENSIBILI?

Se le persone non possono ricordarle e discuterne, diventa più difficile guidare un cambiamento nei dati in un cambio di cultura.

 

PERCHÈ DEVONO ESSERE RELATIVE?

  • I rapporti rendono le azioni più semplici.
  • I rapporti sono per natura comparabili.
  • I rapporti sono anche utili per confrontare fattori che in qualche modo sono opposti.

 

PERCHÈ DEVONO ESSERE ACTIONABLE?

Un cambiamento nei trend evidenziati dall’analisi delle principali metriche prese in considerazione in fase di analisi deve significativamente cambiare il comportamento al fine di ottimizzare il prodotto, la strategia di pricing, o il mercato.

Bisogna avere chiare le modifiche che interverranno in seguito all’analisi prima ancora di cominciare la raccolta dei dati: se, ad esempio, è evidente la volontà da parte degli utenti di non voler pagare per una determinata feature, è inutile crearla, oppure se il Minimum Viable Product testato non aumenta gli ordini del 30%, bisogna provare un’altra strada.

 

 

Takeaway: imparare a distinguere le metriche e comprendere quali, tra le tante a disposizione, sono quelle più indicate per valutare lo stato di salute del proprio business rappresenta un grande vantaggio, che può avere impatto non solo in termini di marketing, ma sull’intera strategia aziendale.

 

Gennaro Polito