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E se il conversion rate fosse una vanity metrics?

Scritto da Livia Francesca Caruso | 21/09/18 10.48

Prima di analizzare il conversion rate come metrica della performance di una campagna online occorre soffermarsi innanzitutto sul concetto di conversione nella lead generation, ossia definire cosa sia un lead, e poi chiarire lo stesso concetto nell’e-commerce ovvero approfondire il significato di transazione.

Un lead in un contesto di vendita si riferisce al contatto con un cliente potenziale detto anche “prospect”.

Il significato di lead può variare a seconda del tipo di organizzazione: per alcune aziende un lead è un contatto già determinato ad essere un potenziale cliente, mentre altre società considerano lead qualsiasi contatto di vendita. Ciò che ad ogni modo resta uguale tra le varie definizioni è che un lead potrebbe potenzialmente diventare un futuro cliente.

Se ci spostiamo invece nel panorama dell’e-commerce una transazione costituisce invece un trasferimento di denaro a fronte dell’acquisto di un bene o di un servizio da parte di un cliente.

Il tasso di conversione dunque rappresenta uno dei KPI digitali fondamentali in quanto misura del successo di una campagna o di un sito web nell’ottenere da parte dei visitatori un’azione desiderata che sia più di una semplice visita. Ciò ad esempio può riguardare la compilazione di un modulo online, l’iscrizione ad una newsletter, il download di un software, l’attivazione di una trial etc..

In uno scenario di vendita calcoliamo il tasso di conversione come l’ammontare delle vendite sul totale delle visite:

Conversion rate= Number of sales/Number of visits

Quindi un conversion rate del 5% sta ad indicare che su 100 visite di un online store 5 si sono convertite in acquisti.

Ma è veramente questa una metrica esaustiva?

Così come tante domande “easy to ask” la risposta è tutt’altro che semplice da dare.

Un valore ragionevole per un tasso di conversione è difficile da stabilire. Se stiamo creando un business plan e vogliamo che questo sia convincente allora indicheremo un conversion rate maggiore del 50%

Se invece ci interessa mostrare una valore ottenibile con il minimo sforzo e che superi le aspettative allora in questo caso la percentuale sarebbe del 10%.

Ma facciamo qualche altro esempio. Ipotizziamo il seguente caso:


  • Giorno 1: tasso di conversione del 4% (equivalente a 5000 visite e 200 acquisti)
  • Giorno 2: tasso di conversione del 10% (equivalente a 1000 visite e 100 acquisti)

Da una prima lettura dei risultati notiamo un conversion rate nel giorno 2 pari a più del doppio di quello che si osserva nel giorno 1. Tuttavia se consideriamo le cifre dietro tali percentuali nel giorno 1 il numero delle visite e degli acquisti è di gran lunga superiore a quello che si verifica nel giorno 2 pertanto potremmo concludere che il business scenario che si prospetta nel giorno 1 è sicuramente migliore di quello del giorno 2.

Appare evidente quindi che il conversion rate non è l’unica metrica su cui focalizzarsi.


Gary Vaynerchuk, imprenditore americano esperto di social media marketing, alle continue richieste da parte di un CMO “conservative” su quale fosse il ROI dei social media risponde “What is the ROI of your mother?” a significare che il pregio del digital consiste nel fatto che è possibile misurare tutto - non solo il ROI quindi. “Il ROI non c’entra con lo strumento (in questo caso i social media), ma è legato al tempo e agli sforzi investiti per utilizzarlo in maniera corretta”, precisa Gary. L’investimento non ha niente a che fare col denaro ma riguarda l’esecuzione. “Se vuoi fare i soldi facendo qualcosa devi essere molto bravo in quel qualcosa per vederne i ritorni attesi”.  Quindi per quanto riguarda i social occorre prima conoscere bene le piattaforme, trovare la giusta combinazione di creatività, copywriting e strategia. Capire le intuizioni, iterare ed eseguire contro di esse. Solo a quel punto allora è possibile parlare di ROI dei social media.