Eppure lo diceva anche Rocky. Mivar da leader di mercato in Italia a “Regalo la mia Fabbrica”. Meglio cambiare o fallire?

08/08/17 14.00 / Di Angelo Leone

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Nell’articolo precedente "Saper vendere non basta più. La crisi di Paolo Bitta." abbiamo visto come la Digital Transformation sta rivoluzionando i paradigmi socio-economici e quindi anche il settore delle vendite. Il concetto base è quello di comprendere il trend del cambiamento e salire sul treno giusto prima che sia troppo tardi. Facciamo che qualcuno che abbia letto l’articolo mi abbia dato del pazzo… e che qualcun altro mi abbia dato ragione: per entrambi i casi ho pensato fosse necessario avvalorare quanto detto nell’articolo con un caso studio…. “fidarsi è bene... fidarsi è bene!”.

 

Quanti di voi hanno visto Rocky 4 in tv? Secondo le ricerche sino al 2000 il 35% di voi ha visto trionfare lo Stallone Italiano sul cattivissimo Ivan Drago da uno schermo a tubo catodico Mivar.

Chi di voi ora vede i documentari Rai di Alberto Angela da un tubo catodico Mivar? Nessuno.


Vi racconto una storia

C’era una volta ad Abbiategrasso (MI) un’azienda tutta Italiana che produceva dalla A alla Z televisori a tubo catodico: La Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio). Il suo fondatore era (ed è all’età di 95 anni) un uomo tutto d’un pezzo, si direbbe un uomo d’altri tempi: Carlo Vichi. La Mivar era Carlo Vichi e Carlo Vichi era la Mivar. Alla fine degli anni ‘80 ad Abbiategrasso si producevano 400 mila televisori al giorno, il fatturato del 2000 era pari a 350 miliardi di lire e in Mivar ci lavoravano 900 dipendenti.


La Mivar fu fondata nel 1945 come azienda produttrice di apparecchi radiofonici, poi con l’avvento della tv Il Sig. Vichi iniziò a produrre dalla A alla Z i suoi televisori a tubo catodico. La stagione d’oro del settore Tv in Italia arrivò negli anni ‘60 - ‘70. Ma il decennio successivo porta con sé la prima sfida per il Sig. Vichi: i colossi giapponesi entrano nel mercato italiano. Sony, Sanyo, Panasonic, Jvc e Mitsubishi. Molti marchi italiani fanno fatica e altri spariscono dal mercato, invece la Mivar non si limita a resistere ma addirittura sopravanza le vendite dei giganti dell’elettronica di consumo: negli anni ‘90 è leader di mercato in Italia con un presidio più importante nei Crt (Cathode ray tubes) a piccolo formato e a basso costo di 14 e 20 pollici. È sulle ali di quel successo in quel decennio che il Sig. Vichi concentra tutte le sue energie nella costruzione della sua “fabbrica Ideale”: progettata interamente da lui, è vasta 120 mila metri quadri, di cui 60 mila a parco alberato. La costruzione fu terminata nel 2001.  


Ma prima arrivò il 2000, tutte le paure sul Millennium Bug e la fine del mondo si dimostrano fasulle, ma non per tutti. Il 2000 è l’anno dell’avvento del nuovo millennio ma anche delle TV a cristalli liquidi e al plasma… la fine del mondo del tubo catodico. E questa volta per tutti, anche per Mivar. L’accelerazione data da Samsung e LG, dai produttori Giapponesi e da quelli Turchi, cambiò drasticamente il mercato. Nel 2005 le Tv a tubo catodico sono un prodotto vecchio. Nell’ultimo trimestre del 2007 le vendite di televisori LCD superarono per la prima volta quelle degli apparecchi a tubo catodico: 47% la quota LCD contro il 46% dei Crt. Ma quella degli schermi piatti fu una rincorsa che durò dieci anni e che si concretizzò proprio nel 2007. Una rincorsa che iniziò con la guerra tra Digitale e Analogico (suona familiare?), con un percorso in linea con il normale sviluppo di un’innovazione: pochi volumi e alti costi  per gli early-adopter, poi la tecnologia diventa matura ed entra nel mercato di massa scalzando la vecchia tecnologia. Insomma nulla di nuovo sotto il sole: un processo innovativo normale.

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Ma l’annus horribilis per Mivar fu il 2008: gli LCD coprirono il 45% del totale del fatturato dell’elettronica di consumo, più 48% in unità e più 22.4% in valore. I Crt invece rispetto al 2006, nel 2008, registrano un meno 42% in volumi e sempre nello stesso anno rappresentavano solo un misero 11% delle vendite. In Italia la situazione seguiva lo stesso trend: nel 2006 la domanda di LCD era due milioni scarsi e nel 2008 era di 3,6 milioni, circa l’83% della domanda totale. Il 60% dei televisori che entrarono nelle case degli Italiani in quell’anno era a schermo piatto e di 32 pollici… non più il 20, 21 pollici a tubo catodico della Mivar.

Cosa faceva Mivar intorno al 2008?

Il primo televisore non catodico di Mivar annunciato (2006) fu un 20 pollici stereo TFT a matrice attiva. Ovviamente non ebbe successo in quanto dati alla mano (vedi sopra) le tendenze del mercato andavano sui 32 pollici; secondo il Sig. Vichi non andò bene poiché non aveva la staffa per il montaggio al muro. (Tutto può essere eh!!!). Nel 2009 Mivar lanciò il suo Full HD ma preferisce usare i piccoli canali distributivi e non la grande distribuzione per raggiungere il mercato. Anche questo modello non ebbe successo. Nel 2013 Mivar rientra sul mercato (come assemblatore) con un Tv Mivar 40Led1 con pannello Full Hd retroilluminato, tuner HD, classe energetica B, Ingressi HDMI e scart, presa VGA, slot cam per pay-tv, ben cinque ingressi  USB per la riproduzione multimediale da chiavette di memoria, funzione PVR e diffusori audio frontali da 2 x 10 watt. Il modello base è disponibile in quattro diversi colori (nero lucido, nero opaco, bianco e titanio)...Si bello, bello ma io voglio il Samsung! Ormai i pochi acquirenti di tv Mivar stavano svolgendo una missione, un gesto d'affetto verso l'ultimo produttore italiano di tv.  

 

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Il 2013. La Mivar era Carlo Vichi, Carlo Vichi era la Mivar.

Ad una prima lettura della storia non risulta chiaro come è possibile che un leader di mercato con una market share monstre del 35% e 900 dipendenti, passi in soli 10 anni dalla realizzazione della “fabbrica ideale” a dichiarare la chiusura delle linee di produzione di tv e il passaggio alla costruzione di mobili. I televisori Mivar erano semplici, pratici, affidabili, a basso costo, per questo amatissimi dai consumatori e poi il nulla. Quali sono le cause?

Le cause sono da ricercare nella gestione di Mivar da parte del Sig. Vichi che, anche se possiamo definirlo un esponente del miracolo Italiano, è stato sempre identificato come un “imprenditore contro”. Contro in che senso?

  • Contro l’esportazione e l’importazione. Fautore di un mercato quasi autarchico: i televisori Mivar erano progettati internamente, sempre internamente venivano costruite le componenti e poi il tutto veniva assemblato… internamente.
  • Ha sempre rifiutato la tecnologia di nuova generazione, non ha mai usato il cellulare e tanto meno il computer; tutto ciò che per Vichi era importante era contenuto in una cartellina gialla riposta nel cassetto della sua scrivania.
  • Non era d’accordo con i 55 milioni di euro stanziati nel  dal Ministero delle Comunicazioni per l’adozione del Digitale Terrestre (ed era palese come questo provvedimento avrebbe cambiato il suo settore).
  • Ma soprattutto ha considerato il marketing sempre come un costo buono solo ad aumentare il prezzo finale per il consumatore.
  • In un settore in cui l’update tecnologico dal 2000 in poi si ha ogni 12 mesi e non più in linea con i passati update di 3 anni, Mivar ha annunciato il primo LCD nel 2006 ben 6 anni dopo che gli LCD erano arrivati sul mercato.
  • La gestione della rete di vendita: dove comanda la GDO con nuovi metodi di vendita, come marketing e spinta sulle percentuali di vendita, Mivar funzionava ancora con il passa parola e sfruttava i piccoli rivenditori che stavano comunque scomparendo sotto la scure della GDO.

Per quanto possiamo ammirare un uomo che ha fatto impresa in Italia, non possiamo che dedurre facilmente come il suo “andare contro” sia stato la causa scatenante del fallimento di Mivar come azienda produttrice di Tv; è stato più che altro un andare contro se stessi. Durante la gestione del periodo d’oro di Mivar (anni ‘90) si è focalizzato sulla costruzione di un immobile: la “fabbrica ideale” invece che investire in R&D. Non ha mai voluto allargare il potere decisionale ad una management: la Mivar era Carlo Vichi e basta! In tal modo è rimasto schiavo della “trappola del fondatore” (teorizzata da Ichak Adizes) e si è chiuso nei suoi ideali e valori lasciandosi sfuggire quello che intorno a lui stava accadendo. Ha perso il treno del trend dello schermo piatto e quando ci è voluto salire era troppo tardi e lui era troppo rigido per rivedere certe strategie: includere il marketing e includere la GDO nella rete di vendita.  

E non è una questione di concorrenza o del basso costo del lavoro in Asia, il marchio Mivar era forte prima di sembrare vetusto dopo, quando la pubblicità la faceva da padrone insieme alla vendita nei grandi centri commerciali della GDO. Era cambiato il modo di informarsi sul prodotto, di vendere e ancor più il modo di intendere il TV… e Mivar doveva cambiare allo stesso modo seguire il cambiamento, per rimanere in vita!


La fine della storia: “Che fine ha fatto la fabbrica ideale”? Il 2017

Se fate un giro sulla homepage del sito di Mivar (vi prego fatelo) troverete un sito internet triste con scritto:

"Signori Imprenditori asiatici, siete gli unici costruttori della componentistica elettronica. Venite a rendervi conto dei vantaggi che potreste avere assemblando in Italia 3 milioni all'anno dei vostri televisori, la Mivar vi concederebbe l'uso gratuito di un complesso industriale unico al mondo in provincia di Milano, come pure il supporto necessario a una vostra presenza in Italia. Il governo stesso darà il benvenuto a una Industria costruttrice di televisori. Signor Presidente della Samsung, mandi un suo incaricato a verificare personalmente come stanno le cose, non le costerà nulla."


What else?!

Morale della Storia

Tutte le storie sono degne di essere raccontate solo se alla fine insegnano qualcosa. Leggendo e cercando materiale per questo Case Study mi sono interrogato anche io su cosa questa storia mi stesse insegnando.

E posso dire che rimane l’ammirazione per un uomo che ha fatto grande la sua impresa con il lavoro e le sue capacità, sicuramente è uno che a suo tempo ci ha saputo fare. C’è da imparare dalla caparbietà e dalla tenacia di quest’uomo… ma allo stesso tempo provo un pò di rammarico. Perché con un pizzico di elasticità staremo parlando di un’altra storia… magari una di quelle che finiscono con “e produssero tutti felici e contenti”, ci sarebbero ancora 900 posti di lavoro e un marchio italiano nell’elettronica.

A volte tra il fallire e il rimanere al top sul mercato il passo è breve. Non è scontato ma è necessario, oggi più che mai con l’innovazione che viaggia alla velocità della luce, restare sul pezzo, guardarsi intorno e capire che il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi.

Sarebbe bastato poco al Sig. Vichi per aver meno paura, sarebbe bastato vedere dal tubo catodico di una sua amata Mivar una replica di Rocky 4 per capire che per quanto non possa piacere il cambiamento:


“Quando sono venuto qui non sapevo cosa mi aspettava. Ho visto che molta gente mi odiava ed io... ed io... non sapevo... non sapevo come la dovevo prendere. Poi ho capito che neanche voi mi piacevate, ma durante questo incontro ho visto cambiare le cose: cioè quello che provavate per me e quello che io provavo per voi! Sul ring eravamo in due disposti ad ucciderci l'un l'altro, ma penso che è meglio così che milioni di persone! Però quello che sto cercando di dire è che se io posso cambiare, e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare!”


E qui si parlava di guerra fredda… La rivoluzione digitale è più semplice!

 

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Topics: Inbound Marketing, Il Manager nell'era digitale

Angelo Leone

Scritto da Angelo Leone

Laureato in "Mercati e Strategie d'impresa" presso l'Università Cattolica di Milano. Dopo esperienze di consulenza all'estero, Africa e Asia, si è avvicinato al mondo del Digital, focalizzandosi sui processi di vendita e di prodotti nell'era Digitale. È Digital Analyst presso Guanxi S.r.l.

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